Due parole per iniziare...

 

 

Soltanto oggi, 16 Giugno 1954, per motivi che in seguito sarà possibile comprendere, mi sento libero di raccontare ciò che accadde a Roma più di otto anni fa ...

A quell’epoca ero un giovane con due sole ambizioni; fare soldi in fretta e vivere in santa pace. E sebbene avessi sulle spalle un paio d’anni di campagna d’Africa, pagati dallo stato, ancora non riesco a spiegarmi come riuscii a vivere questa avventura senza farmela nelle brache.

Chissà, forse sarà stato per uno di quei casi fortunati che si verificano una sola volta nella vita, ma vi assicuro che fu un tale calcio nel fondo schiena da mutare in quattro e quattr’otto l’intero corso della mia vita.

Tanto per iniziare ebbi modo di viverla al fianco di persone talmente eccezionali (di quelle di cui si sente raccontare, ma che non s’incontrano mai) da provare, ancora oggi, una struggente nostalgia di quei momenti.

Ed ora veniamo ai fatti; ho già detto ove fossero rivolti i miei pensieri, ma considerando che in quegli anni per ottenere qualche risultato si doveva avere in famiglia un alto prelato o meglio ancora un politico, tutto rimaneva nel vago poiché la guerra non mi aveva lasciato neppure una famiglia a cui appoggiarmi.

In parole povere la mia vita si svolgeva tra la redazione del giornale presso cui svolgevo il mio lavoro, una triste camera in subaffitto e gl’incontri serali, al caffè Greco di Via Condotti, con alcuni amici.

La sera in cui ebbe inizio questa vicenda ero appena uscito dalla pizzeria in piazza di Pietra (il titolare faceva prezzi ridotti al personale del giornale), dove consumavo il mio unico pasto giornaliero, ed essendo più o meno le ventitré, un silenzio ronzante si era già impossessato di quella parte di Roma.

Ricordo che nel salire in macchina (una vecchia Fiat residuato di guerra) provai il solito fastidio fisico, ma per non lasciarla troppo distante dal locale in cui avrei dovuto vedermi con McSweet, feci buon viso a cattiva sorte e mi misi al volante immergendomi nelle penombre, appena stemperate dalle luci palpitanti delle finestre aperte, delle stradine contorte del rione Pigna.

Amavo intensamente tutta la città, ma quel rione era la parte che più mi affascinava. Di quelle viuzze mi esaltava l’immagine della loro vissuta grandezza, e nel percorrerle, quando ormai la gente le aveva abbandonate al dominio del buio, mi era facile cedere alla curiosa impressione di sentirmi a casa; e se consideriamo che il sottoscritto è nato all’ombra delle due torri, non è cosa da poco.

Eppure, ogni volta che respiravo l’aria di quel borgo, non soltanto avevo l’impressione di assaporarne la passata ed inquieta vita rinascimentale, ma d’intravedere, paludati in manti sgargianti, austeri messeri incedere al fianco di altezzose madonne.

Altre volte, invece, mi beavo di gustose impressioni (ma così reali da farmene provare il gusto sul palato) d’aromi di fritture e del dilagante odore di cavoli bolliti. Ero talmente innamorato di quei palpiti di umanità che a volte sostavo con l’auto nel buio, per perdermi in quei tintinnii di posate, di bicchieri e di voci ridenti di bambini che giocavano a rimpiattino.

Rammento molto bene le calde sensazioni di benessere fisico e mentale che ricavavo da quei momenti, ma altrettanto bene ricordo il fastidio che immancabilmente mi prendeva quando, alla fine, mi ritrovato a seguire il monotono sferragliare di una circolare rossa, che deturpando la taciturna quiete di un lungotevere carico di ombre incantate, mi rendeva ancora più bisbetico di quanto non fossi per natura.

 

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Quando parcheggiai l’auto sulla Piazza di Spagna, il profumo della primavera romana (che per nulla offesa dell’indifferenza degli uomini, era tornata a farsi sentire) aveva provveduto a cancellare in me ogni risentimento.

A quell’ora i gradini di Trinità dei Monti erano già punto d’incontro delle solite figure randage che vagavano la notte alla ricerca d’un amico o d’una donna, o forse, di una di quelle streghe che nelle notti romane si aggirano senza meta alla ricerca dei loro torturatori.

Un’antica leggenda racconta che se un mortale dovesse avere la fortuna o la sfortuna d’incontrare una di quelle anime in pena, è quasi certo che la sua vita potrebbe cambiare nel giro di un attimo.

Beh, io non ricordo di averne viste, però quella sera dovette accadere qualcosa di cui non mi resi conto, poiché nel preciso istante in cui varcai la soglia del caffè Greco, la mia vita mutò corso.

 

 Un uomo … un pilota… una strana storia

 

 segue:  I capitolo

 

 

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