Archivi categoria: Manuali di Volo

Recensione dei Libri aeronautici

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell’aviazione civile

titolo:  Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell’aviazione civile

autore: Ivan Anzellotti 

editore: Phasar edizioni

anno di pubblicazione: 2016 

ISBN: 8863584109

ISBN 13 cifre: 978-8863584103

pagine: 192



Questo pregevole romanzo di Ivan Anzellotti si potrebbe leggere anche senza aver letto gli altri due che trovate recensiti qui su VOCI DI HANGAR. Ma il mio consiglio è di leggere prima quelli.

Storia di un pilota” e “Storia di un pilota 2” sono l’uno la continuazione dell’altro, come ho avuto modo di mettere in evidenza nelle relative recensioni. Questo invece è certamente diverso, è un romanzo e non il racconto della vita reale dell’autore come pilota in giro per il mondo intero. Però, in un certo senso, anche questo volume è una sorta di continuazione dei precedenti. Perché nella trama di questo romanzo continua ad essere presente un elemento che costituisce l’ossatura portante di tutta la narrazione delle tre opere. Vale la pena riprendere alcune frasi di Ivan Anzellotti, prese da altri ambiti, che meglio chiariscono di cosa stiamo parlando:

“Il mondo dell’aviazione sta cambiando radicalmente, perdendo di vista il valore che ha il personale nel mantenere gli standard di sicurezza necessari, e quando la vita di migliaia di persone resta nelle mani degli equipaggi di volo, dei tecnici e dei tanti altri che lavorano nell’indotto, è una questione che non si può sottovalutare”.

A differenza dei “conduttori” di altri mezzi di trasporto, il pilota di aeroplani commerciali continua a godere di un certo fascino nell’immaginario collettivo, una sorta di aura magica continua ad avvolgerlo; probabilmente è legata all’altissima professionalità necessaria per poter sedere nella cabina di pilotaggio qui ritratta dall’esterno. In passato tale professionalità, abbinata alla notevolissima responsabilità, comportava una retribuzione adeguata e proporzionata, tuttavia la tendenza delle compagnie aeree negli ultimi anni (specie le low cost) è stata quella di schiacciare verso il basso i compensi dei piloti imponendo loro contratti a cottimo o a chiamata e al contempo privandoli delle rappresentanze sindacali o strappando loro contratti capestro del tipo: “o ti mangi ‘sta minestra o voli fuori da questa compagnia” . Oggi il lavoro del pilota non è più l’attività professionale meglio pagata nel panorama del mondo del lavoro e anzi, coloro che intendono cimentarsi nel pilotaggio professionale devono mettere in conto un pluriennale e dispendioso investimento di risorse economiche, fisiche e mentali (foto proveniente da www.flickr.com)

Eh, no. Non si può sottovalutare.

Invece, non solo si sottovaluta, ma nella degenerazione dilagante di tutti gli ambienti, non soltanto aeronautici, il personale perde costantemente valore. Almeno nella concretezza dei fatti, perché a parole si rappresenta, invece, tutta un’altra storia. A parole sembrerebbe evidente che:

La retrocopertina del bel libro di Ivan Anzellotti che è destinato agli appassionati del mondo del volo benché, solo apparentemente, si tratti di un libro cosiddetto “giallo”.

“La chiave del successo per la sicurezza in aviazione è l’esperienza costruita con anni di studio, addestramento e momenti di tensione in volo. Questa eredità deve continuare, com’è stato da sempre, ad essere trasferita dai comandanti anziani ai giovani cadetti in un prezioso investimento di conoscenza. Il futuro dell’aviazione è a rischio perché molte compagnie aeree stanno bloccando questo percorso lasciando a terra piloti di grande esperienza fermando così i presupposti di questo passaggio di testimone”.

Oggi un aereo di linea ha talmente tanti automatismi che il pilotaggio manuale è ridotto a poche manciate di minuti durante la fase di decollo e di atterraggio. Ma cosa direbbero i passeggeri se sapessero che i piloti sono stanchi, proprio alla fine di un lungo volo, quando si trovano condizioni meteorologiche difficili, durante l’avvicinamento finale, con turbolenza, vento forte al traverso e magari anche pericolo di wind shear? Aggiungiamo che per una stupida normativa il secondo pilota, per quanto esperto, spesso più del comandante, non può tenere i comandi con venti al traverso superiori ai quindici nodi. E il comandante, giovane e con poca esperienza deve operare in quelle condizioni con addosso una grande stanchezza. Succede.

Un’immagine assai singolare (del di dietro) di un aeroplano commerciale che è stato considerato per decenni un gigante del trasporto aereo passeggeri e merci e che, per questo motivo e non a torto, è stato affettuosamente chiamato “Jumbo jet”: il Boeing 747. Quello in primo piano è lo scarico dell’APU (auxiliary power unit – unità di potenza ausiliaria) che viene utilizzata come sorgente di energia (elettrica e pneumatica) per alimentare l’aeroplano quando è al parcheggio. Inoltre si noterà, assolutamente inconfondibile, la gobbetta che consente di disporre di un piccolo ponte di volo abitualmente riservato ai passeggeri di maggior riguardo. Naturalmente i piloti di questo ciclope dell’aviazione commerciale – non a torto – venivano considerati al vertice della categoria professionale (foto proveniente da www.flickr.com)

Ma succedono anche gli incidenti.

E quando succedono, non sempre l’inchiesta che ne consegue riesce a risalire ai veri motivi che li hanno indotti. La vera responsabilità può facilmente sfuggire, nascosta sotto motivazioni che non si possono scoprire, sfuggita attraverso le maglie farraginose delle procedure e delle normative.

Dunque, sul personale e sul suo benessere bisognerebbe investire, non certo risparmiare.

Dice Anzellotti:

“Il fulcro per la buona riuscita di una compagnia aerea è avere il miglior materiale umano, non lavorare contro di esso”.

In questo scenario può accadere facilmente che la responsabilità di un incidente non venga fuori. E che nessuno paghi, civilmente o penalmente, per il disastro e per i morti che ha provocato.

Il vero, o i veri responsabili continueranno a sedersi, ogni giorno, nelle loro poltrone, ai vertici di una compagnia, di un’azienda, alla direzione di un reparto, impuniti. E indifferenti al peso morale che invece li dovrebbe schiacciare.

No, nessun peso. A fine anno ricevono invece gratifiche, indennità, promozioni, per aver risparmiato notevoli cifre o realizzato maggiori introiti.

Pazienza per le vittime e per il dolore nel quale hanno gettato intere famiglie.

Ok. Ma torniamo al romanzo.

Un’altra immagine inconsueta di un moderno aeroplano commerciale. Mentre ci torna facilmente alla memoria un famosissimo “Assassinio sull’Orient Express”, non ci risulta che sia mai stato ambientato un romanzo giallo con relativo assassinio a bordo di un aeroplano … questo prima che il buon Ivan Anzellotti consegnasse alle stampe il suo libro “Il destino degli altri” (foto proveniente da www.flickr.com)

Certamente non ne svelerò la trama. Fin qui ho solo delineato una situazione che riguarda il mondo dell’aviazione. Ed è in questo mondo che la suddetta trama prende forma e si sviluppa.

Lo scenario è quello della Capitale. Fiumicino e la città di Roma, all’inizio. La descrizione che Anzellotti fa di questi luoghi è perfetta. Verrebbe voglia di farsi un giro e andare a vedere se davvero esistono certi uffici, certe abitazioni.

Ovviamente non tutti i lettori possono essere di Roma o pratici di questi luoghi. Ma per me che abito qui da una vita è impressionante leggere le pagine di questo romanzo.

Comunque la storia prende subito il largo e va ben oltre i confini nazionali. E anche gli scenari esteri sono altrettanto vividi. Anzellotti li conosce bene per esserci vissuto a lungo.

Dopo aver pubblicato due romanzi chiaramente autobiografici, giusto per non cadere in una banale ripetitività, Ivan Anzellotti non poteva che escogitare qualcosa di completamente nuovo e completamente originale rispetto alle esperienze già narrate e … occorre ammetterlo: c’è pienamente riuscito, pur rimanendo fedele al suo progetto che prevede di divulgare le disavventure dei piloti italiani alle prese con il fallimento dell’Alitalia, alla loro emigrazione in paesi improbabili, al loro subire squallidi ricatti economici e morali. E bravo Ivan!  (foto proveniente da www.flickr,com)

Leggete il romanzo. Iniziatelo, almeno. Sono certo che andrete fino alla fine, perché sospenderne la lettura sarà difficile.

Come ormai avrete intuito, la storia riguarda un incidente aereo. Ma comincia con un omicidio, abbastanza misterioso e inspiegabile, almeno sul momento. E’ solo grazie all’investigazione di un ex appartenente ad uno dei corpi delle forze dell’ordine, in pensione, se tutte le connessioni con l’episodio aeronautico vengono svelate. E’ lui il protagonista del romanzo. La sua figura, davvero carismatica, emerge in tale vividezza che, dopo alcune pagine, ci sembra di conoscerlo davvero.

Voglio aggiungere un’ultima considerazione che ritengo importante comunicare.

Mentre leggevo non potevo fare a meno di pensare che di questa storia se ne potrebbe, dovrebbe, ricavare addirittura un film. Tra l’altro servirebbe a mettere, in ancor migliore evidenza, l’elemento di cui abbiamo trattato all’inizio. E a portarlo alla conoscenza di tutti.

In fondo, lo scopo del romanzo sembra fortemente essere questo.

Lo so che la mia esortazione non raggiungerà nessun soggettista, regista o sceneggiatore.

Ma … ok, l’ho buttata là.

Hai visto mai!?





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 


Storia di un pilota. Dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar" e "Storia di un pilota 2 - Dalle low cost alla conquista dell'Est

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell'aviazione civile

Ali in valigia

titolo:  Ali in avaligia 

autore: Bruno Servadei 

editore: Amazon

anno di pubblicazione:  dicembre 2018

ISBN: 179041332X oppure 978-1790413324

pag: 314





Il sesto libro di Bruno Servadei, pur non essendo l’ultimo, conclude però il racconto della sua vita professionale in Aeronautica Militare, come scrive lui stesso nella prefazione. In circa sei pagine introduce il lettore a quello che sarà il contenuto del libro. Tanto che, volendo, potrei copiare quelle pagine e otterrei già un’ottima recensione. Ma questo libro merita molto di più.

Uno dei velivoli citati dal recensore e prima ancora dall’autore del volume “Ali in valigia” è proprio il Piaggio P-180 Avanti che, tra gli altri operatori civili e varie Forze Armate, svolge attività in seno all’AMI in virtù di 17 esemplari consegnati, di cui 4 configurati per attività radiomisure (foto proveniente da www.flickr.com)

Merita di più perché nelle sue 314 pagine, suddivise in 25 capitoli, tratta argomenti inediti e sensazionali. Leggendo i suoi libri precedenti avevo già conosciuto la sua carriera di pilota operativo, trattata magistralmente nei libri “Vita da cacciabombardiere” e “Deci 83-86“. Negli altri, in “Ali di travertino” e in “Ali diplomatiche” avevo conosciuto le sue vicende più specificamente rivolte verso una  carriera diplomatica. 

Nei tre anni trascorsi presso il Quirinale come Consigliere Militare del Presidente della Repubblica e narrati nel suo libro “Un pilota a Palazzo“, Servadei svolgeva compiti più vicini al mondo diplomatico che a quello del volo operativo. Dopo quel periodo, infine, giunse in un altro ufficio, denominato “Ufficio Cooperazione Internazionale”.

Ali in valigia” tratta proprio di questo periodo della carriera militare dell’autore.

Inizialmente le mansioni che questo ufficio deve svolgere non appaiono molto chiare nel libro. Ma pian piano si fanno sempre più evidenti. E si rivelano decisamente interessanti.

Servadei descrive ogni aspetto del suo nuovo lavoro.

La IV di copertina del bel libro di Bruno Servadei che costituisce idealmente l’epilogo del lungo racconto della sua altrettanto lunga e variegata carriera professionale iniziata come pilota cacciabombardiere. La prefazione del volume ci ha colpito in particolare per una considerazione espressa con disarmante sincerità dall’autore: “Completato il ciclo della mia vita militare da ufficiale pilota […] emerge evidente quanto sia relativamente ridotta la fase dedicata al volo. […] Io ho fatto 10 anni di reparto di volo su 37 anni in servizio. […] il pilota lo si fa e con grandi soddisfazioni, ma per un breve periodo.” Parola di Bruno Servadei!

Possiamo così conoscere la ragnatela di legami che intercorrono tra moltissimi Stati esteri. Tra questi e le industrie. E tra gli Stati, le industrie e le forze armate. Una rete fittissima di interessi, di comunicazioni, di normative, di legami e di cerimoniali.

Negli anni in cui Servadei ha fatto parte di questo mondo diplomatico sono avvenuti fatti che, per la loro importanza, sono diventati di pubblico dominio. Abbiamo conosciuto i fatti riportati dalla cronaca, ma non sapevamo molto dei vari retroscena.

Retroscena che, molto opportunamente, sono contenuti in questo libro.

Dopo aver letto alcuni capitoli mi sono trovato a dover riconsiderare la qualità di alcuni aerei che mi avevano fatto sognare all’epoca.

Parlo del Tornado, del G-91, del P-180 Avanti della Piaggio e dell’AMX.

E purtroppo, ho dovuto ridimensionare anche l’opinione che avevo nei riguardi di certe industrie, che consideravo non solo al passo con i tempi, ma addirittura molto avanti, avveniristiche sotto molti aspetti. Invece…

Per fare un esempio, quanto siamo stati fieri della nostra linea di produzione su licenza del famoso F 104! Un grande aereo, non c’è dubbio. La FIAT lo ha prodotto fino a non molto tempo fa.

Un giorno il famoso Gen. Chuck Yeager si trovava in Italia e fece una visita alla FIAT, a vedere proprio quella linea di produzione. Rimase interdetto, poi disse:

“Incredibile. Mi sembra di essere tornato indietro agli anni cinquanta…”.

L’F-104 è stato sostituito dal Tornado. Ma quest’ultimo era già superato ancora prima di entrare in servizio.

Un libro illuminante, questo.

Come ho avuto modo di dire in un’altra recensione, i libri di Servadei sono unici. Trattano aspetti della vita militare di un pilota che nessuno ha trattato mai. E’ pur vero che Servadei ha fatto una carriera particolare, riservata a pochi. E questo lo ha portato a girare il mondo intero e a frequentare ambienti particolari. Non so se qualcun altro abbia avuto la fortuna di accumulare tanta esperienza di vita diplomatica come ha fatto lui. Ma di certo, se altri personaggi lo hanno fatto, non hanno poi scritto alcun libro.

Uno scatto memorabile di cui dobbiamo essere riconoscenti all’abile fotografa Irene Pantaleoni che, appostata come un cecchino, ha immortalato il redivivo G-91R (rimesso in condizioni di volo dopo un certosino restauro) in quel di Pratica di Mare, in occasione della grande manifestazione aerea tenutasi per festeggiare degnamente il centenario della fondazione dell’Aeronautica Militare Italiana. La livrea della PAN – Pattuglia Acrobatica Nazionale rende questo velivolo particolarmente affascinante tuttavia – occorre ricordarlo – l’AMI utilizzò operativamente nelle sue svariate versioni ben 241 esemplari di questo tipo di velivolo fino all’aprile 1992 quando avvenne ufficialmente l’ultimo volo di un G-91R (foto proveniente dalla pagina Facebook di Irene Pantaleoni, https://www.facebook.com/irene.pantaleoni)

Ho già detto, e lo ribadisco, che i libri di Servadei dovrebbero essere utilizzati in alcuni corsi di laurea. Con uno stile semplice e lineare, con una narrazione vivida e autorevole, che sembra tenere conto di tutti i criteri essenziali della metodologia didattica, questi libri mostrano al lettore il funzionamento della diplomazia che sta alla base del funzionamento del mondo. Questo è un libro che insegna. Come lo sono anche gli altri.

Chiunque leggerà questi libri capirà cosa intendo.

Il ventiquattresimo capitolo si intitola: “L’addio”.

Arriva un po’ troppo presto, perché a quel punto si vorrebbe che il libro continuasse. Infatti continua per  un altro capitolo, molto opportuno, che ci porta nientemeno che negli Emirati Arabi …

Ma solo per poche pagine ancora.

Tornando all’addio, c’è una cosa di cui vorrei parlare.

Dopo l’immancabile cerimonia, appunto, di addio, perché anche per Servadei era arrivato il giorno della pensione, lui torna a casa e, come tutti i giorni, va in camera per cambiarsi. Aveva i gradi di Generale di Brigata, ricevuti proprio quel giorno, come era consuetudine.

Scrive Servadei:

“Finiti i saluti tornai a casa. Appena arrivato me ne andai nella mia camera da letto per spogliarmi. Mi apprestavo a togliere la giacca della divisa quando passai davanti al grande specchio dell’armadio guardaroba: vedendomi mi resi improvvisamente conto che quanto stavo per fare non era il rituale passaggio dalla divisa alla tenuta borghese che si era succeduto per tutti gli anni precedenti. Questo era un atto definitivo, un momento unico, irripetibile”.

Così indugia un po’, prima di togliersi la divisa. E rivive mentalmente tutte le fasi della vita che in quella divisa aveva vissuto.

“Attimi di nostalgia, subito superati da un ritorno ad una realtà che queste emozioni aveva ormai archiviato da anni. Basta, mi dissi, questa volta è veramente finita; domani comincia un’altra vita. E senza fretta mi spogliai definitamente di quella divisa che avevo orgogliosamente portato per trentasette anni”.

No, non si tratta di una nuova pattuglia acrobatica con in dotazione l’Aeritalia/Aermacchi/Embraer AMX Ghibli bensì di un sapiente collage fotografico che riproduce la fase di atterraggio di questo velivolo appartenente al 132° Gruppo CBR. L’autore degli scatti in sequenza e del geniale fotomontaggio è il bravissimo Latus10, nome in codice dietro il quale si cela Giorgio Levorato, già vincitore della sezione fotografica di RACCONTI TRA LE NUVOLE, edizione 2015.(foto proveniente dalla pagina personale Flickr.com di Giorgio Levorato, https://www.flickr.com/photos/latus10)

Nel capitolo successivo dichiara che per i primi dieci giorni non aveva la percezione chiara della sua nuova condizione. Sembravano dieci giorni di licenza.

Ho vissuto le stesse emozioni. Le conosco. Anche se nella mia vita operativa di controllore del traffico aereo sono riuscito a non fare mai neanche un giorno di scrivania. Ho sempre voluto essere operativo.

Il giorno del mio pensionamento, in Torre di controllo, all’ora stabilita, ho fatto la mia ultima comunicazione, ho posato il microfono, passato le consegne al collega e me ne sono andato. Al piano di sotto abbiamo fatto un rinfresco. Poi me ne sono tornato a casa.

E per i primi dieci giorni non mi sembrava di essere in pensione. Da turnista, con diversi giorni liberi dopo il turno, mi pareva sempre di essere in uno dei giorni liberi.

Il Panavia Tornado MRCA (Multi Role Combat Aircraft) volò per la prima volta nell lontanissimo agosto 1974 ed è ancora utilizzato dalle Forze Aeree di Italia, Gran Bretagna, Germania e Arabia Saudita. Nelle sue tre versioni IDS – cacciabombardiere destinata all’interdizione e all’attacco al suolo (InterDictor/Strike), ADV – caccia intercettore per la difesa aerea (Air Defence Variant), ECR – versione per la guerra elettronica e la ricognizione (Electronic Combat/Reconnaissance), è un velivolo alquanto sofisticato e molto costoso nonché capace di trasportare e utilizzare qualsiasi ordigno dell’arsenale NATO. Ne sono stati costruiti complessivamente 1001 esemplari e gli 85 acquistati dall’AMI hanno costituito un capitolo di spesa colossale, non tanto per l’acquisto in sé stesso – pure molto impegnativo – quanto e soprattutto per i costi di addestramento iniziale e continuativo degli equipaggi oltre al mantenimento in servizio dei velivoli pure assai oneroso (foto proveniente da www.flickr.com)

Ci ho messo un bel po’ a rendermi conto della mia nuova condizione.

Il volo, però, quello non si abbandona. Nel mio caso, dal 1973 ad oggi, non ho mai smesso di volare.

Servadei, lasciati dietro di sé i jet militari, approda fortunosamente al volo ultraleggero. Un capitolo della sua vita che ha descritto nel suo ultimo libro, “Un mondo ultraleggero“, di cui potete leggere la recensione in VOCI DI HANGAR (come degli altri volumi sopracitati).

Ho l’impressione che la vera pensione comincerà il giorno in cui smetteremo di volare.

Prima o poi arriverà. Ma non so quando.

Invece, mi domando se arriverà, prima o poi, un nuovo libro di Bruno Servadei.

Ho fatto una breve indagine presso i soliti bene informati.

Non posso anticipare nulla. Ma sembra che….





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





Dello stesso autore sono disponibili le recensioni di: 


Ali di travertino

Un pilota a palazzo

Un mondo ultraleggero

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

Caduta libera

titolo: Caduta libera

autore: William & Marylin Hoffer 

editore: Armenia

pagine: 256

anno di pubblicazione: 1990

ISBN: 8834404297 e 978-8834404294




Sono le 19:05 del 23 luglio 1983, quando il Boeing 767 volo 143 dell’Air Canada inizia la corsa di decollo spinto dalla potenza dei suoi motori, sulla pista dell’aeroporto di Ottawa destinazione Edmont.

Nessuno immaginava che la “catena degli eventi” aveva correttamente allineato le lettere della parola: DISASTRO!

L’evento più impensabile che potesse accadere a un aereo di linea si era realizzata: il volo AC 143 era decollato con una quantità insufficiente di carburante nei serbatoi.

Così a circa metà percorso, alla quota di 12’000, metri i due motori del Boeing 767 si spengono, il volo AC 143 ha esaurito il carburante, ora il comandante Pearson e il primo ufficiale Quintal dovranno tirar fuori tutta la loro abilità per cercare di portare in salvo i passeggeri e l’equipaggio.

“Caduta libera”, è la ricostruzione di quanto realmente avvenne, quel 23 luglio, al volo AC 143.

Gli autori William e Marylin Hoffer, giornalisti, hanno saputo ricreare, attraverso la raccolta delle testimonianze dei passeggeri e dei documenti della commissione d’inchiesta, con grande realismo la vicenda.

Il velivolo commerciale con marche C-GAUN era un Boeing 767-233 in forza alla compagnia aerea canadese Air Canada ed è qui ritratto in un giorno – il 24 gennaio 2008 – in cui assurse agli onori della cronaca mondiale per la seconda volta: l’ultimo volo prima dalla radiazione dal servizio attivo. Il volo avvenne da Montreal Trudeau all’aeroporto internazionale di Tucson prima di volare verso il suo ritiro definitivo nel deserto del Mojave in California, USA (foto proveniente da www.flickr.com)

La storia di un disastro mancato che portò alla luce una serie di inadeguatezze e carenze a tutti i livelli nelle procedure della compagnia aerea e che, solo grazie alla professionalità dell’equipaggio, si era potuto evitare il peggio.

Pearson cominciò a pensare a voce alta: ‘Qual è la migliore velocità di discesa in questo caso?’ L’addestramento dell’Air Canada e i manuali di volo non spiegavano come far planare un 767 senza motori e atterrare sani e salvi.”

 …nessuno ci aveva provato prima, così come nessuno sapeva se il 767 fosse in grado di planare” (senza motori funzionanti, NdR)

Probabilmente il più famoso tra i 767 mai costruiti dalla Boeing è qui ritratto in tutta la sua bellezza. Nel 1995 fu prodotto anche un film-tv, intitolato: “Volo 174: caduta libera”, riadattamento cinematografico di quante accadde veramente al C-GAUN (foto proveniente da www.flickr.com)

Ma come era stato possibile che un aeroplano di linea decollasse senza la giusta quantità di carburante nei serbatoi?

Le origini di un disastro, soprattutto in campo aeronautico, sono spesso da ricercare andando molto indietro dal momento in cui si è verificato l’evento.

Nel caso del volo AC 143, occorre andare indietro al 1970, anno in cui il Canada aveva aderito all’adozione del Sistema Metrico Decimale e abbandonava il sistema di misura anglo-statunitense.

Il capitano Pearson, che nel suo tempo libero amava pilotare un aliante modello Blanik L-13, probabilmente non esitò granché quando realizzò che, in caduta libera, con una inevitabile discesa di 2500 piedi al minuto, non sarebbe mai riuscito a raggiungere l’aeroporto di Winnipegh … dunque decise di atterrare alla vicina base abbandonata della RCAF (la forza aerea canadese). C’era però un piccolo dettaglio che il comandante ignorava: all’epoca Gimli era utilizzata come pista da parte di auto da corsa. Ma detto fatto: l’aeroplano si fermò a 800 piedi dalla soglia pista e gli appassionati di corse automobilistiche contribuirono a spegnere il principio d’incendio che si sviluppò a causa del contatto del muso sull’asfalto. Una persona rimase ferita durante l’evacuazione ma, tutto sommato, andò di lusso. Questo scatto testimonia l’accaduto in tutto il suo feroce realismo (foto proveniente da www.flickr.com)

A partire da quella data, ora si parlava di “litri” e “kilogrammi” e non più di “galloni” e “libbre”.

L’aereo in questione era il primo 767 dell’Air Canada sul quale la quantità di combustibile veniva misurata dal computer di bordo in kilogrammi, mentre tutti gli altri aerei e i manuali della compagnia usavano ancora le libbre. 

Per il viaggio l’equipaggio calcolò che occorrevano circa 19’600 kg di carburante e chiese la verifica a terra. Gli addetti misurarono il carburante in litri: comunicarono il risultato assieme al fattore di conversione indicato in 1,77, quindi il decollo venne autorizzato risultando caricati oltre 20’400 kilogrammi di carburante. Purtroppo però questo fu uno sbaglio: il fattore di conversione di 1,77 trasforma i litri di kerosene in libbre e non in chilogrammi: l’aereo era stato caricato con solo il 45% del carburante necessario per completare il volo!

Come nella migliore tradizione editoriale, nel risguardo interno è possibile leggere una breve sinossi del volume

A questo errore si univa il non funzionamento degli indicatori di livello del carburante.

Pertanto il computer di bordo non avrebbe ricevuto in automatico la quantità di carburante presente nei serbatoi, ma il dato in partenza andava inserito manualmente, poi una volta in volo il computer avrebbe aggiornato i consumi basandosi sui calcoli.

E naturalmente non poteva mancare una biografia, seppure stringatissima, dei due autori

I computer sono bravissimi a fare i calcoli, ma lo fanno in base ai dati a loro disposizione, e se, come in questo caso, la quantità di carburante inserita è errata … beh il resto vien da solo.

In un incidente il “Fattore Umano” gioca sempre un ruolo importante. Il modo di reagire e di interpretare i segnali, prendere una decisione non sempre è facile soprattutto quando ci si trova davanti più opzioni.

Un’immagine recente del velivolo protagonista di questo libro. L’aspetto singolare è che, dopo la completa rimessa in efficienza e a distanza di più di venti anni dall’evento di Gimli, esattamente nell’agosto dl 2006, il velivolo C-GAUN ebbe una seconda piantata di motore (uno dei due) e atterrò in emergenza con un solo motore all’aeroporto internazionale di Winnipeg, stavolta senza alcuna conseguenza per le 153 persone a bordo. Aveva proprio la vocazione dell’aliante! (foto proveniente da www.flickr.com)

Il comandante Pearson insieme al suo primo ufficiale Quintal riuscì a mantenere una visione d’insieme di tutta la situazione, quella che oggi viene definita “situational airworthness”, e a prendere la decisione migliore in tutte le fasi dell’emergenza.

Quel “Fattore Umano” che aveva contributo insieme ad altri fattori concomitanti a creare la parola DISASTRO, stava ora lavorando in maniera razionale e sistematica in senso opposto cancellando una alla volta le lettere di quella parola.

Il cimitero dei nel deserto del Mojave in California (Stati Uniti) non è propriamente un luogo molto edificante dove un liner può finire, specie dopo essere stato al centro delle cronache mondiali (e non solo aeronautiche) tuttavia al “Gimli glider” è toccata questa fine ingloriosa alla stregua di tantissimi altri velivoli commerciali che, terminato il loro naturale ciclo operativo (di migliaia di ore di volo), sono stati letteralmente rottamati e parzialmente cannibalizzati in quanto fonte di preziose parti di ricambio. In effetti nell’aprile 2013 fu tentata una sorta di recupero in extremis tuttavia, venduto all’asta per la cifra galattica di 3 milioni di dollari canadesi, non ricevette offerte congrue e risultò invenduto con l’inevitabile esito già anticipato. Ad ogni modo un gruppo di volenterosi ha ideato un bizzarro museo nonchè un sito web dedicato all’episodio del “Gimli glider” (https://gimliglider.org/ ) mentre successivamente sono state realizzate delle medagliette personalizzate ricavate dal rivestimento in alluminio della fusoliera diventando un gadget assai originale anche se un po’ feticistico. Inoltre una piccola sezione della fiancata del velivolo è finita proprio nel museo assieme ad altri cimeli come la divisa indossata dal comandante Pearson (foto proveniente da www.flickr.com)

“… Pearson spiegò a Quintal che cosa intendeva fare: se si fossero ritrovati ancora troppo alti nell’ultima fase dell’approccio lui avrebbe imposto una scivolata d’ala all’aereo, scendendo rapidamente di quota e cercando di correggere così la posizione”

Una scivolata d’ala viene eseguita abbassando un’ala con l’aiuto degli alettoni e quindi dando timone nel senso opposto, o come si suol dire “piede opposto”.

Il timone deflesso fa sì che la fusoliera si presenti al flusso d’aria relativo obliquamente, creando molta più resistenza di quando il flusso è lungo la fusoliera come nel volo normale. Questa manovra spesso serve per dissipare energia, per esempio per perdere quota più rapidamente in avvicinamento, sempre a una velocità ben sopra allo stallo.

Nonostante questa manovra sia prevista nel corso di pilotaggio per aerei dell’aviazione generale, è alquanto azzardata per un aereo di linea; per non parlare del disagio per i passeggeri con un aereo fortemente inclinato da un lato.

La manovra della scivolata d’ala, con cui il comandante Pearson riuscì a far atterrare sulla pista di Gimli il Boeing 767 fu in seguito riprovata più volte nel simulatore di volo da parte di diversi piloti ma nessuno è riuscito a ripeterla con lo stesso risultato.

Oggi la storia del volo AC 143 è presente su “Indagini ad alta quota” (serie televisiva che ricostruisce gli incidenti di volo) con le ricostruzioni video e le interviste.

Tornando al libro, nonostante i suoi 40 anni, mantiene un suo fascino per come gli autori hanno saputo ben intrecciare il vissuto dei vari personaggi che il destino aveva messo insieme a bordo di quel volo, con la realtà che stavano vivendo. Di come quegli ultimi minuti di volo stavano cambiando le proprie concezioni della vita e le priorità.

Un volo che costrinse tutti a riflettere.

L’aereo, riparato dei pochi danni subiti, tornò in linea di volo e fu soprannominato “Gimli Glider” (l’aliante di Gimli) aliante in quanto atterrato planando senza motori funzionanti.

Un Boeing 767 che volle essere un aliante.






Recensione di Franca Vorano e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR.







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Oltre le nubi il sereno - L'uomo che visse tre volte
Cieli e Mari - copertina
Cieli e Mari - Le grandi crociere degli idrovolanti italiani (1925-1933)
Storia di un aeroporto - Da Roma Littorio a Roma Urbe - Alfredo Stinellis - Copertina Fronte
Storia di un Aeroporto - Da Roma Littorio a Roma Urbe
Biplano - Richard Bach - Copertina
Biplano
Un dono d'ali - Richard Bach - Copertina
Un dono d'ali
Andrà Bene Di Sicuro - Alessandro Soldati - Copertina in evidenza
Andrà bene di sicuro
Ali e Poltrone - Copertina
Ali e Poltrone
La Coda di Minosse - La verità sulla spedizione di Nobile - Felice Trojani - Copertina
La Coda di Minosse - La verità sulla spedizione Nobile
Vittoria tra le nuvole - V.M. Yeates - Copertina
Vittoria tra le nuvole
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In volo sopra il mondo
In volo senza confini - Laura Mancuso - Copertina
In volo senza confini - Laura Mancuso
Bomba a bordo - Penna Alata - Copertina
Bomba a bordo - Penna Alata

La virata

La grande giostra

Ali di travertino

Fuoco dal cielo

La mia parte di cielo

Elisa Deroche alias Raymonde De la Roche

Gagarin

Il mistero dei cosmonauti perduti

La via del cosmo - Non c'è nessun Dio quassù

Avventure in punta di ali

Meteorologia Aeronautica – L’informazione meteo per piloti e assistenza al volo

L'amante della guerra

Il mio idroscalo (Orbetello)

Storia di un’avventura. Dalla trasvolata atlantica ai cieli della Cina.

I disperati

Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto dal 1940 al 1986

Il giorno dell'aquila

Dove il tempo non era mai stato

La guerra nell'aria

Il pilota di ferro

Il padrone del cielo

L'U-2

I falchi del deserto

PASSIONE e i sogni diventano realtà

L'ultimo volo

Falco F8L

No dream is too high

Flying to the moon

Mission to Mars

Neil Armstrong - The success of Apollo 11 and the first man on the moon

The last man on the moon

Magnificient desolation

Return to Earth

La naissance d'un pilote

L'idea meravigliosa di Francesco Baracca

Amore per l’aria

Dear Bert. An American Pilot flying in World War I Italy

Capronis Farmans and Sias

I Foggiani

Ali di fantasia

La lunga notte delle aquile

Il volo dell'incursore

Forever young

Falling to Earth

Una donna può tutto

Ustica, i fatti e le fake news

Il Gruppo Buscaglia

Ustica, i fatti e le fake news

Di questo sono fatti gli aerei

Astronaut Oral Histories

Una vita per l'aviazione

The astronaut wives club

Le oche delle nevi

Carrying the fire

The right stuff - La stoffa giusta

An autobiography - Una vita in cielo

To fly and fight - memoirs of a triple ace

Emozioni in volo

Tempest pilot

Regia aeronautica - Raid e missioni speciali

Gun button to fire: A Hurricane Pilot Story of the Battle of Britain

Silver spitfire

The Great Rat Race For Europe - La grande corsa della conquista per l'Europa

Rise Against EagleS

FRANZ STIGLER E CHARLIE BROWN

Franz Stigler e Charlie Brown

Un pilota a palazzo

Scramble!

Il mio cuore a gravità zero

Un mondo ultraleggero

Sullandai

Bleeding Sky

Kindu - Una missione senza ritorno

L'eccidio di Kindu

La missione segreta

Il MIO VOLO IN ALIANTE

Manuale pratico per la licenza di P.P.

Come un sottile strato di nubi

Ero Amelia Earhart

Amelia Earhart

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

In un cielo di guai

Donne con le ali

Storia di un pilota. Dal funerale di Alitalia alla fuga dal Qatar" e "Storia di un pilota 2 - Dalle low cost alla conquista dell'Est

In un cielo di guai - bis

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

Caduta libera

Ali in valigia

Il destino degli altri. Un giallo nel mondo dell'aviazione civile

In un cielo di Guai - ter

Carrying the fire, Il mio viaggio verso la Luna

Forever Flying

Il diritto di contare

Avevo tredici anni ... e altri racconti





 

 

 

Ali diplomatiche. In Svezia con le cordelline

titolo: Ali diplomatiche

autore: Bruno Servadei

editore: Amazon (autopubblicazione)

pagine: 285

anno di pubblicazione: 2019 (seconda edizione)

ISBN: 978-1679497445




Dopo un decennio di “Vita da cacciabombardiere e alcuni anni di servizio presso il Ministero Difesa Aeronautica dove le sue ali sono diventate “Ali di travertino“, per Bruno Servadei si apre un altro capitolo della sua carriera.

Deve andare in Svezia come Addetto Aeronautico presso le Ambasciate di Svezia e di Norvegia. Un compito non certo facile, diverso da quello di pilota. Ma un ufficiale che esce dall’Accademia è soprattutto un professionista del comando, non solo del pilotaggio. E la sua carriera passa attraverso diversi tipi di incarichi, anche attraverso incarichi diplomatici come questo. Le sue, d’ora in poi, saranno “ali diplomatiche”; da qui prende spunto il titolo del libro.

Il primo capitolo è introduttivo, ma fondamentalmente tratta della partenza da Roma e del viaggio verso la Svezia. Inutile dire che la narrazione cattura immediatamente il lettore, questa è una costante, nei libri di Servadei. Così, senza accorgercene, finiamo coinvolti nel viaggio, nella ricerca di casa, nei primi contatti con la nuova realtà.

L’autore ritratto con indosso la divisa adorna delle famose cordelline mentre si intrattiene in compagnia dell’allora capo delle Forze Armate svedesi in occasione di una delle svariate cerimonie ufficiali cui dovette partecipare per dovere d’ufficio (foto fornita dall’autore)

I capitoli si susseguono e prendono in esame una moltitudine di aspetti che riguardano non solo la Svezia, ma anche la Norvegia. Riguardano gli usi e costumi tipici dei popoli scandinavi, le cerimonie ufficiali e la vita comune.

Lentamente, pagina dopo pagina, conosciamo i paesaggi, le automobili dell’epoca, le leggi locali…

Le associazioni, e le attività che queste svolgono, e alle quali Servadei deve prendere parte, senza potersi sottrarre se non in casi estremamente rari, finiscono per introdurre il lettore in una realtà che ben poco ha a che vedere con la nostra. Tutto è diverso a quella latitudine. Tanto da farci temere che per un italiano sia troppo difficile uniformarvisi.

Scopriamo sin da subito, invece, che l’autore non è davvero un italiano tipico. Lui si uniforma senza difficoltà.

Da ottimo sportivo, entra facilmente negli usi e costumi svedesi. Ha esperienza di tanti tipi di sport, sci, bob, pattinaggio, tennis, sport nautici, tiro con armi di ogni tipo.

In uno dei primi capitoli Bruno Servadei ci ricorda che: “In quei tempi la piccola Svezia, con le sue centinaia di Draken bisonici, era la terza forza aerea del mondo, dopo USA e Unione Sovietica, e questo ci impressionò molto”. Un aspetto non proprio trascurabile tenuto conto che la “piccola Svezia” era anche una nazione neutrale benché a ridosso del colosso bolscevico, esposta in tutti i suoi confini terrestri e marini a un possibile improvviso attacco (come la Blitzkrieg – la guerra lampo operata dai tedeschi aveva ben insegnato nel corso della II Guerra Mondiale). La premessa dell’autore è poi ancora più illuminante: “Bisogna ricordare che noi nel 1961 volavamo sul vecchio T6 e i nostri reparti da caccia viaggiavano ancora su velivoli della classe 80, tutti subsonici, o al massimo, appena supersonici in picchiata (foto proveniente da www.flickr.com)

Un’altra bella immagine del Saab J35 Draken che nelle sue diverse versioni (elaborate nel corso degli anni) ha equipaggiato le forze aeree svedesi a partire dal 1960 fino a tutto il 1999. Si trattava di un caccia inizialmente progettato per essere un ottimo intercettore (dei bombardieri ad alta quota) ma che poi si rivelò capace anche di buone doti di dogfight-combattimento manovrato. In questa foto risalta l’insolita (per non dire rivoluzionaria) ala con architettura a doppio delta. Tuttavia le specifiche più singolarei stabilite dai vertici militari svedesi e ai quali gli ingegneri della Saab risposero con il Draken erano quelle secondo le quali il velivolo avrebbe dovuto essere rifornito e riarmato in soli 10 minuti da personale minimamente addestrato allo scopo e inoltre il suo carrello gli avrebbe dovuto consentire il decollo da strade pubbliche (appena rinforzate), che, in caso di conflitto, avrebbero dovuto sostituire le basi aeree. (foto proveniente da www.flickr.com)

Non solo è all’altezza dei nordici, ma spesso ne sa anche qualcosa di più.

Troviamo descrizioni di pranzi, cene, colazioni. Tutto ciò fa parte della realtà del mondo diplomatico. Tutto è formale, in quel mondo. Tutto si svolge secondo modalità consolidate nel tempo, che bisogna conoscere e seguire alla lettera, altrimenti si rischia di fare figuracce imbarazzanti.

Perfino nei brindisi, con il classico skol, che si dovrebbe scrivere skal, ma col pallino sopra la “a” che si legge “o”, c’è un rigoroso cerimoniale da seguire scrupolosamente.

“Seduti a tavola prima di qualsiasi azione bisognava attendere che il padrone di casa facesse il brindisi di benvenuto, che spesso era anche preceduto da un discorsetto”,

spiega Servadei.

E continua:

“Lo skol iniziale, detto anche round skol perché interessava tutti i convitati, prevedeva che il padrone di casa alzasse il bicchiere fino all’altezza dello sterno invitando tutti a fare lo stesso, guardasse negli occhi ogni invitato, pronunciasse la parola skol, bevesse un sorso dal bicchiere, lo riportasse all’altezza dello sterno, riguardasse tutti i convitati e finalmente posasse il bicchiere e si sedesse”.

La copertina del libro di Bruno Servadei nella sua prima edizione pubblicata a cura delle SBC edizioni

A questa fase iniziale segue tutta una serie di azioni rituali per il tempo dell’intera cena e anche oltre.

Questo, però, è solo l’inizio. Non esistono solo i pranzi e le cerimonie ufficiali nella routine della sua attività diplomatica.

Il libro apre lo sguardo del lettore su una moltitudine di aspetti della diplomazia. Scambi commerciali di ogni tipo, solo alcuni dei quali riguardano gli armamenti e le faccende militari, perché insieme a queste, collegate a volte a doppio filo, ci sono accordi e commesse in ogni settore industriale.

La Svezia, inoltre, specialmente prima del 1989, quando cadde il “muro di Berlino”, ma anche dopo, si trovava pericolosamente stretta tra un mare interno, il Baltico, e il mare del Nord. Da ognuno di questi mari poteva arrivare, veloce e improvvisa, qualunque azione aggressiva da parte dell’Unione Sovietica. E questo apre tutta una serie di considerazioni interessantissime, che Servadei non si risparmia nel trattare.

L’autore presenzia alla manifestazione aerea svedese cui partecipò – evento di tutto rilievo – la PAN – Pattuglia Acrobatica Nazionale italiana nel corso di una turnèe internazionale. La singolare nomina di addetto militare in Svezia – lo ammette l’autore – era stata provocata perché, nel corso del suo precedente incarico presso lo Stato Maggiore dell’Aeronautica a Roma, aveva piantato non poche grane all’industria aeronautica italiana e dunque, presumibilmente, il sistema lo aveva “premiato” sbattendolo nel luogo più remoto e più ostico tra tutte le rappresentanze diplomatiche della Repubblica Italiana: la Svezia, appunto. Bruno Servadei nel ruolo di un Checco Zalone ante litteram? Probabile! (foto fornita dall’autore)

Ciononostante non era raro che qualche sottomarino di oltre cortina sconfinasse fino a raggiungere i dintorni della città di Stoccolma che aveva il mare tutto intorno.

Negli anni di permanenza in Svezia e Norvegia Servadei ha modo di visitare la struttura difensiva e i reparti dei due paesi. Ha modo di collaudare diversi mezzi. E di conoscere i comandanti delle diverse Forze Armate.

Interessante il racconto di una competizione tra addetti e personalità varie che si svolgeva nella parte più a nord del territorio scandinavo. Quella storia, dall’inizio alla fine, viaggio compreso, lascia incollati alle pagine.

Gli addetti militari facevano anche viaggi all’estero e Servadei si trova a visitare l’Islanda, un paese che vorrei tanto visitare anch’io. E forse un giorno lo farò.

Servadei ha modo di partecipare al cinquantenario della Crociera Atlantica di Italo Balbo. Gli Atlantici vi fecero scalo prima di affrontare la difficilissima traversata dell’Oceano. Altra parte interessantissima.

Da sempre spero che si concretizzi la creazione di un museo ad Orbetello, località che fa parte della mia terra di origine e dalla quale la squadriglia di Balbo era partita.

Il celebre pilone di ormeggio che fu utilizzato in occasione delle due missioni polari effettuate a mezzo di dirigibili. Si trova nella famosa Baia del Re o Kingsbay, il fiordo situato nell’isola di Spitsbergen occidentale, la più estesa dell’arcipelago delle isole Svalbard, in Norvegia, in prossimità dell’ex città mineraria di Ny Alesund, Oggi il pilone è un monumento storico nonché un supporto prezioso per tutta una serie di sensori scientifici che vi sono collocati a diverse altezze … ma nel 1926 vi attraccò il dirigibile Norge e nel 1928 lo sfortunato dirigibile Italia (foto fornita dall’autore)

Dulcis in fundo, un’altra escursione di estremo interesse viene descritta da Servadei. Le isole Svalbard, erano state l’ultimo trampolino di lancio della spedizione di Nobile verso il Polo Nord. Parliamo del secondo viaggio di Nobile, quello dove il dirigibile Italia naufragò sui ghiacci.

La vicenda della “tenda rossa” è una delle pagine più dolorose della storia dell’aviazione italiana: una parte dell’equipaggio del dirigibile Italia (8 membri e una cagnetta) visse 48 giorni sul pack in attesa dei soccorsi avendo come riparo una tenda divenuta rossa (ma solo per qualche giorno) grazie all’anilina con la quale era stata tinta affinché fosse più facilmente avvistata. Lo scatto ritrae il monumento dedicato ai caduti della “tenda rossa”, appunto. In concreto si tratta di circa quattro metri quadrati di terreno nella Baia del Re concessi da Olaf V, allora re di Norvegia. Fu inaugurato nel 1963 ed è anche detto il “monumento delle otto croci’ in quanto caratterizzato dalla presenza di otto croci a rappresentare gli otto membri dell’equipaggio periti nella missione. Alla base vi sono racchiuse 20 formelle di marmo provenienti da tutte le regioni italiane mentre un piccolo contenitore custodisce le letterine dei bambini delle scuole italiane e le lettere di Nobile, Biagi, Viglieri e Mariano, gli unici superstiti allora ancora in vita. In realtà gli uomini periti nel corso della missione polare e quelli che perirono per portare soccorso ai sopravvissuti furono in totale 17 e tra questi, sicuramente più famoso è il celebre esploratore polare Roald Amundsen, vero e proprio mito del mondo scandinavo, eroe nazionale norvegese nonché grande amico-nemico del generale Umberto Nobile, capo della missione italiana (foto fornita dall’autore)

Servadei doveva collocare una placca che ricordasse l’episodio e il sacrificio di coloro che persero la vita nell’impresa.

Gli altri, Nobile compreso, furono protagonisti di un salvataggio che ormai tutti conoscono per via del famoso film “La tenda rossa“. A salvarli fu una nave rompighiaccio sovietica. A questo punto, però, il discorso si farebbe davvero troppo ampio; rimandiamo alla lettura di altri libri di cui sono disponibili le relative recensioni in VOCI DI HANGAR come “La coda di Minosse” o “L’ultimo volo” oppure “Ali e poltrone“. L’equipaggio della nave, dopo aver salvato i naufraghi, ebbe un trattamento inquietante da parte del loro stato. Tipicamente, sparirono non si sa dove.

La nave rompighiaccio con il quale l’autore compì la sua crociera nel profondo Nord del continente europeo. Niente di aeronautico, per carità, ma pur sempre inerente i suoi doveri di rappresentante diplomatico ben inserito nella sua realtà locale. In effetti tutto il romanzo ha una componente aeronautica abbastanza limitata (diversamente dagli altri a firma di Bruno Servadei) tuttavia l’invidiabile capacità narrativa dell’autore fa sì che il lettore rimanga incollato fino all’ultima pagina, letteralmente travolto dal vortice di vicissitudini sapientemente riportate nel romanzo autobiografico (foto fornita dall’autore).

Aggiungo solo che durante gli anni da addetto militare, Servadei ebbe modo di fare anche un viaggetto tra i ghiacci, proprio a bordo di una nave rompighiaccio.

Il libro finisce con l’ordine di rientrare, un po’ in anticipo rispetto a quello che doveva essere il termine stabilito. Gli ordinano, infatti, di tornare in Italia per andare a comandare il poligono di tiro di Decimomannu, in Sardegna.

Ma questo è l’argomento del suo libro successivo dal titolo:  – Deci 83-86. Ricordi di “tiro zero

Per concludere vorrei esprimere qui un pensiero che mi ha accompagnato lungo tutta la lettura. Questo libro, come anche “Ali di travertino” e “Un pilota a palazzo“, ma perfino “Ali in valigia“, si possono considerare dei veri e propri testi di studio universitario. Sono ideali come testi complementari in diversi esami per il conseguimento della laurea in Scienze politiche e non solo. Li vedo bene anche nel corso di laurea in Scienza della comunicazione.

E perché no? … anche per qualche materia del corso di laurea in Giurisprudenza.





Recensione di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR






Ali di travertino

Un pilota a palazzo

Un mondo ultraleggero

Vita da Cacciabombardiere

Deci 83-86. I Ricordi di "Tiro 0"

Ali in valigia





 

 

 

In un cielo di guai – bis

titolo: In un cielo di guai

autore: Alessandro Soldati 

editore: Amazon

pagine: 192)

anno di pubblicazione: 2022 (tascabile e e-book)

ISBN: 979-8849987729




Questo libro è dedicato:

“Ai sognatori, agli irriducibili e ai ribelli poiché, da adesso in poi, siamo nelle loro mani”.

Praticamente Alessandro Soldati lo dedica a quelli come me. Chi, più di un maremmano quale sono, potrebbe essere sognatore, irriducibile e ribelle? Ho iniziato la lettura con una certa impazienza per vedere chi e perché, da oggi in poi, sarebbe nelle nostre mani.

La dedica si trova già alla seconda pagina del libro. E a pagina tre Soldati sente il bisogno di informarci subito: “del perché ho scritto questa vicenda“.

Nelle prime righe di spiegazione l’autore, Alessandro Soldati, fa riferimento a come aveva concluso il suo libro precedente (“Andrà bene di sicuro“), alla fine che aveva fatto fare al personaggio della storia e al motivo per cui, nel libro successivo, questo, di lui non si trovi più traccia. Anzi precisa che qui non siamo affatto nel seguito della precedente vicenda, ma in una tutta diversa.

Ok, non ho letto quel libro e non ne so nulla. Una carenza che durerà poco, perché ho tutta l’intenzione di procurarmelo e di leggerlo. Forse ne riparleremo.

A bordo di un velivolo commerciale – e Alessandro Soldati ce lo ricorda – ci dovrebbero essere due individui pensanti altamente qualificati per pilotare una macchina volante estremamente sofisticata. Non dovrebbero essere degli Operatori di Sistema ma dei piloti con tutti i limiti umani – è vero – eppure dotati delle enormi potenzialità di soluzione di avarie e situazioni di emergenza imprevedibili. Purtroppo, in nome del profitto, la politica condotta da anni da sempre più Compagnie aeree è quello di preferire gli Operatori di Sistema ai piloti, tuttavia rimane insoluta la domanda: i passeggeri salirebbero a bordo di un aeroplano commerciale consapevoli che a bordo non ci sono dei piloti bensì degli esperti informatici? Di fatto, già oggi, le macchina volanti in servizio consentono a malapena di essere pilotate senza l’ausilio dell’elettronica, viceversa è sempre più assillante il dubbio che i piloti, disabituati al pilotaggio manuale, siano ancora reattivi e allenati per “domare” i loro velivoli in caso di necessità … (foto proveniente da www.flickr.com)

La spiegazione è lunga una decina di pagine del Kindle, abbastanza da capire che l’argomento del libro, sviluppato attraverso la narrazione di una vicenda ambientata nel mondo dell’Aviazione Commerciale, riguarda la degenerazione del mondo del lavoro e della vita in generale di questi ultimi decenni. Un argomento al quale sono ormai parecchio sensibile, da molto tempo. Lo so che è tutto il mondo del lavoro a risentire dello sfacelo generale, si vede in ogni ambito e in ogni momento, ma per quanto mi riguarda ne soffro ancora di più, perché tutto ciò non risparmia neppure il mondo degli Aeroclub, che frequento con crescente disappunto e con una  vaga, ma non troppo, idea di darci un taglio definitivo.

La storia comincia con una ragazza e suo zio che vanno ad un centro commerciale a comprare qualcosa. Ma subito si scopre che la ragazza non è una comune cliente. E’ una pilota Comandante e mostra di avere una certa fretta, infatti sta per partire per un volo di linea e teme di arrivare in ritardo.

Deliziose le prime pagine, e simpatico il personaggio dello zio, ma non crediate che non c’entri niente nel resto della vicenda. C’entra eccome. Tenetelo a mente, memorizzate quello che dice, anche se d’ora in poi non lo ritroverete più e sarete catapultati, invece in mezzo alle difficoltà inerenti alla preparazione della partenza di un volo di linea, che rispetto al centro commerciale si rivela tutta un’altra storia.

Si può industrializzare il trasporto aereo fabbricando piloti “in batteria” alla stregua del pollame? Certamente il traffico aereo mondiale, pandemia e crisi economica permettendo, è destinato a crescere … ma mentre ridurre i costi sulle macchine volanti è ragionevolmente giustificato (più parche nei consumi di carburante, più capienti, più longeve e, non ultimo più semplici costruttivamente) ci domandiamo: è igienico risicare sul componente umano?  (foto proveniente da www.flickr,com)

Una storia di piloti, insomma. E di come si ritrovano, al giorno d’oggi, ad operare secondo criteri, regole e ritmi di lavoro assolutamente incredibili.

Avevo appena scritto le recensioni di tre libri di un altro pilota, Ivan Anzellotti, che diceva le stesse cose. Perciò mi sono impegnato nella lettura con la convinzione e l’aspettativa che avrei trovato qui altre conferme di questo insano modo di progredire della società umana.

Infatti è stato proprio così.

Dice Soldati:

“Mi capita spesso di dire che una persona decente, quando si accorge di essere entrata in un ambiente marcio, dovrebbe cercare di comportarsi come un tumore a rovescio, cioè deve trovare il modo di raccogliere intorno a sé persone, idee e situazioni sane, e deve propagarsi nel marciume, cercando di risanarlo, per quanto possibile”.

Certamente. Giustissimo.

Poi prosegue:

“Le scuole di volo, partendo proprio dall’inizio, qui da noi non si curano più di dare una solida base di Cultura Aeronautica ai loro allievi. A pochissimi importa oggi di formare Aviatori, perché non sono Aviatori quelli che le Aziende cercano, ma appunto Operatori di Sistemi. Persone capaci di imparare rapidamente a memoria tutta una serie di azioni che, se svolte correttamente, diligentemente e nella giusta sequenza, permetteranno ad un tubo di metallo di andare praticamente da solo e per aria da un luogo all’altro con un ragionevole margine di sicurezza”.

Infatti. Verissimo. Ma anche molto inquietante. E questo spiega chiaramente il sottotitolo.

Ma perché siamo arrivati a questo punto? Davvero le cose devono andare proprio così? Tanto da suggerire perfino l’opportunità di impiegare addirittura un solo pilota a bordo? E di fargli sostenere lo stress di ore ed ore di servizio, anche dodici o più? E quale sarebbe il vantaggio?

Purtroppo il vantaggio di maggior rilievo sarebbe quello economico. Pagare un pilota soltanto invece di due costerebbe la metà.

E’ talmente assurdo che temo di vedere applicato questo criterio in tempi brevi. Ormai si persegue proprio il massimo risultato al minor costo. A ogni costo…

Ma nelle restanti pagine l’autore spiega minuziosamente quali sono i motivi di una tale rivoluzione, che coinvolge il mondo dei piloti, ma che coinvolge anche, purtroppo tutti gli altri ambienti, di lavoro e non.

Dopo questa parte, prima che inizi il libro vero e proprio, la storia narrata, c’è una pagina che riporta una citazione di un certo A. Block e che fornisce un ulteriore indizio di quale sarà l’elemento portante della narrazione:

“In ogni organizzazione c’è sempre un individuo che ha capito esattamente come stanno andando le cose. Questa persona deve essere licenziata”.

E poi siamo al primo capitolo.

Oggi sarebbe impensabile utilizzare – come fece la Lufthansa – questo Junker Ju-52 per uso commerciale, eppure il trasporto di passeggeri negli anni ’30 era affidato a questo tipo di velivolo. Con 3 persone di equipaggio e ben 18 passeggerei a bordo, era in grado di volare alla fantasmagorica velocità di crociera di 200 km/h percorrendo in un tempo immane di circa 8 ore la ragguardevole distanza esistente tra Berlino a Roma sorvolando ovviamene le Alpi. Chissà se all’epoca avevano problemi di circuiti di attesa, di aeroporti alternati, di procedure strumentali, slot e Direttori aeroportuali?! (foto proveniente da www.flickr.com)

La vera storia incomincia a snocciolarsi da qui. Pagina dopo pagina entriamo in un intreccio di avvenimenti che mi riportano alla mente ricordi, diversi certamente, ma equivalenti, vissuti in questo ultimo mezzo secolo, non nel mondo del volo di linea, ma in quello degli Aeroclub, o in quello del controllo del traffico aereo. Ma anche in altri ambienti diversi. Perché certe dinamiche, certi personaggi, certi atteggiamenti, sono gli stessi. Nelle piccole come nelle grandi realtà. Sempre la stessa storia.

Ho scritto in altre recensioni che l’umanità è sempre quella, ovunque si trovi. Qualunque essere umano porta in sé le caratteristiche tipiche degli esseri umani. Nel bene e nel male. Anche se l’ho già detto e ridetto, vale la pena ripetere che un essere umano è capace di compiere le azioni più atroci, come pure quelle più elevate e nobili. Può spaziare dal peggio del peggio al meglio del meglio, con tutte le gradazioni intermedie. Ma dove si ritrova collocato in questa escursione dipende da un’infinità di fattori che è veramente difficile predire. Difficilissimo sapere chi è il soggetto che hai davanti e come potrà interagire con te e con le tue intenzioni. Se ti aiuterà o ti ostacolerà. Se ci sarà una possibilità di collaborazione o troverai soltanto ostruzionismo. Perché non si può stabilire a priori in quale parte di quella famosa possibilità di escursione tra il bene e il male si colloca il soggetto. E questo vale per tutte le persone che ci troviamo intorno.

La retrocopertina dell’ottimo libro di Alessandro Soldati che, a causa della indubbia bontà dei contenuti e della piacevolissima prosa, ha scatenato nella nostra Redazione il desiderio di analizzarlo, smontarlo e radiografarlo affinché fossero evidenziati alcuni dei suoi apprezzabili aspetti nonché i controversi spunti di riflessione a uso e consumo di piloti e passeggeri.

Dunque dipende da chi incontri.

E nel primo capitolo, infatti, troviamo subito alcuni personaggi che, come faremmo nella vita reale, possiamo già delineare. Si intuisce con chi abbiamo a che fare. Ma non troppo.

Complimenti all’autore per come ha caratterizzato i suoi personaggi. Pare di vederli.

Tutto questo prosegue nel secondo capitolo dove le situazioni si snocciolano meglio e i personaggi cominciano a rivelarsi sempre di più.

In realtà, nel continuare la lettura, seppure calamitato dallo sviluppo della vicenda tanto da non riuscire a finire un capitolo senza attaccare subito il successivo per vedere cosa sarebbe successo in seguito, mi sembrava che l’autore avesse calcato un po’ troppo la mano in certe situazioni. Troppa “cattiveria”, quasi perfidia, atteggiamenti di ripicca e di minaccia. Tutto questo si trovava ad affrontare la protagonista, praticamente ad ogni azione che cercava di compiere per raggiungere la linea di volo e poi addirittura durante il volo stesso. Sembrava che tutti, ma specialmente uno, cercassero il pelo nell’uovo per ostacolarla in ogni maniera.

La storia riguarda una serie di voli tra diversi aeroporti. Alla fine della prima tratta, durante l’avvicinamento finale alla pista, si verificano una serie di problemi che a tutta prima mi sono apparsi addirittura inverosimili. Nella mia vita di controllore del traffico aereo, avendo prestato servizio proprio sulle Torri di Controllo, non ho mai visto chiudere un aeroporto per i motivi descritti nel libro, né ho mai sentito comunicazioni tra controllore e pilota così pressanti, con richieste di conferma tanto asfissianti e continue, specie durante un avvicinamento finale. Troppo inverosimile. Sembravano richieste fatte per dispetto.

Nessun controllore metterebbe fretta ad un pilota, come descritto nel libro. E se lo fa, certamente si assume una bella responsabilità, nel caso dovesse succedere qualcosa. Inverosimile anche questo.

Inoltre mi sembrava che la protagonista del racconto, una pilota Comandante di nome Marina, fosse troppo succube nei confronti dell’altro protagonista, il suo copilota. La figura di un Comandante è di solito diversa.

Non sappiamo se, nell’immaginario dell’autore il viso del Comandante Marina, la protagonista principale del suo romanzo-parabola, somigliasse a quello di Shannon Hutchinson, certo è che quello del primo ufficiale che vola sui Boeing 737-800 della Caribbean Airlines è davvero molto molto affascinante. Possiamo comprendere come sia difficile per l’altro membro dell’equipaggio volare con lei senza distrarsi, tuttavia Shannon minimizza e, intervistata sull’argomento ha dichiarato: “Fortunatamente nel nostro settore, abbiamo procedure operative standard e corsi di gestione delle risorse dell’equipaggio che dobbiamo seguire. Questo ci consente di imparare a interagire tra di noi… non per essere gentili ma per la sicurezza operativa e per connetterci in modo interpersonale. Quindi, operativamente, non è diverso perché sappiamo tutti le stesse cose, quindi non c’è bisogno che nessuno si faccia intimidire”. Ad ogni modo – occorre ammetterlo, Shannon,  ha i lineamenti, le curve e le misure antropometriche che nulla hanno da invidiare alle modelle più famose.  Nata a Trinidad, ha unito il suo amore per il volo con quello per la pittura ed è sposata con un palestratissimo Comandante pilota (foto proveniente da www.flickr.com)

Questa Marina appare anche troppo indecisa, sia nelle decisioni tipiche della condotta di un aereo, sia nei confronti di tutti gli altri personaggi della vicenda.

Superata questa fase, nel progredire del racconto, quindi nelle altre tratte che i due piloti percorrono, ho iniziato a capire perché l’autore aveva calcato la mano su certi elementi. Voleva mettere in evidenza qualcosa.

E ci è riuscito alla grande, a mio giudizio.

Infatti mette in evidenza tutta una struttura di regole e procedure, automatismi e criteri che sono diventati talmente vincolanti da paralizzare addirittura l’unico elemento che dovrebbe invece rimanere al di sopra di tutto: il cervello umano.

Ormai gli automatismi hanno quasi annientato la figura umana e umiliato a tal punto la sua capacità di giudizio fino a farla apparire addirittura pericolosa. E così hanno reso la figura di un pilota più simile ad un Operatore di Sistema, uno che sappia spingere il bottone giusto al momento giusto e seguire pedissequamente le procedure scritte su una check list, lasciando che il resto lo faccia l’aeroplano.

Se in passato il pilota commerciale, specie se Comandante, era pressoché una divinità in terra (e soprattutto in volo), oggi è stato quasi equiparato a un semplice lavoratore, altamente qualificato – certo – ma pur sempre un lavoratore con tutto quanto di spiacevole il suo status comporta. Anche i compensi economici, seppure superiori alla media di un lavoratore dei trasporti, si sono enormemente abbassati rispetto a quando il lavoro del pilota di Compagnia aerea era uno dei meglio retribuiti nel panorama del mondo lavorativo; favolose le liquidazioni e le pensioni dei piloti di vecchia generazione. Forse rimane il mito secondo il pilota commerciale ha un’intensa vita sessuale … viceversa la stragrande maggioranza dei piloti ha difficilmente rapporti coniugali stabili, moltissimi sono i divorziati/separati o comunque vivono con molta difficoltà la gestione familiare. Un po’ come in questa foto, il pilota commerciale è spesso solo con il suo lavoro e le sue responsabilità (foto proveniente da www.flickr.com)

Ok, va tutto bene, ma insieme a questo, quel pilota dovrebbe avere anche capacità di pilotaggio manuale, capacità di reazione nelle situazioni anomale che le procedure standard non contemplano, dove ci vuole qualcosa di più, dove serve capacità di giudizio che consenta di risolvere un problema anche quando sia necessario andare addirittura contro le regole. E questa si chiama formazione. Forse oggi la formazione è stata lasciata un po’ indietro, a favore di addestramento e allenamento.

“… abbiamo messo l’Umanità al servizio delle regole e non viceversa”,

dice ad un certo punto uno dei personaggi durante una conversazione.

Niente di più vero. E questo ha consentito a personaggi dal forte ego, afflitti da motivazioni perverse, di appropriarsi degli ambienti e, sfruttando le regole, diventare una specie di dittatore, un accentratore di potere che detta legge con una crescente autorità e maniere sempre più arroganti. Una specie di Kapò, come dice l’autore.

A questi personaggi è difficile opporsi, difficile arginarli. Difficile combatterli. A loro si uniscono altri personaggi più deboli, ma altrettanto desiderosi di potere, che si alleano per avere di riflesso la loro parte di potere. Sono i leccapiedi, gente inetta e servile, subdola e falsa. Ma rafforzano i kapò.

Dato che le modalità sono le stesse nel piccolo ambiente come nel grande, non serve andare in una Compagnia Aerea per vedere queste cose. Ci sono in tutti gli ambienti. Anche negli Aeroclub.

Di solito sono personaggi che arrivano silenziosamente. Magari sono istruttori, presidenti o rappresentanti di specialità. E altrettanto silenziosamente crescono e costruiscono intorno a loro una coalizione che li sostiene. Ne ho visti un’infinità, sia nell’Aeronautica Militare che negli ambienti civili. E non mi meraviglia che ce ne siano un’infinità anche nelle Compagnie Aeree. O negli Aeroclub. Basta avvicinarsi ad una scuola di volo per adocchiare qualcuno che somigli al tipo di kapò di cui parla Soldati. Tra gli istruttori, infatti … anche se per fortuna non sono tutti così.

Come sottolineato dal recensore, le dinamiche additate da Alessandro Soldati nel suo romanzo sono facilmente estendibili al mondo del volo sportivo (quello degli Aeroclub, per intenderci) e, universalizzandole, a quelle dell’intera società in cui viviamo. Nella prefazione del libro – che per inciso, già da sola vale metà del valore del libro – il buon Alessandro Soldati scrive: “[…] Questi giovani, una volta giunti nel mondo del lavoro, saranno tutti uguali, tutti scontenti, tutti sostituibili, tutti ricattabili, tutti sottopagati, tutti precari. Tutti servi. I nuovi servi della gleba”. Come biasimarlo? In foto il tipico velivolo dell’Aviazione Generale come quelli che spesso utilizzano gli Aeroclub del nostro Paese (foto proveniente da www.flickr.com) 

Un istruttore ha il vantaggio di gestire il destino degli allievi. Per un allievo è facile mitizzare un istruttore, al quale, sin da subito affidano la loro vita, specialmente nelle prime missioni di volo. E un allievo non può capire da subito con chi ha a che fare. Passa del tempo. Ma la storia è sempre la stessa. L’istruttore, magari un incapace, subisce la presenza di altri istruttori più bravi di lui, perché gli fanno ombra. Così istiga gli allievi a volare solo con lui. Non con altri. Lasciando intendere che altrimenti se ne offenderebbe. In genere accentra su di sé un sacco di incarichi, si occupa di tutto. Diventa, per così dire, indispensabile, perché uno che libera gli altri di tante incombenze fa comodo.  Inizialmente si mostra gentile e disponibile, ma poi diventa sempre più autoritario e minaccioso. Con il risultato che molti, per timore di rappresaglie, gli si stringono di più intorno. Gli altri, quelli bravi che subiscono questo stato di cose, si tappano il naso e si allontanano. Molti se ne vanno, lasciando campo libero al kapò.

Qualcuno, magari un sognatore, irriducibile e ribelle, prova a risolvere il problema. Parla con qualcuno, un presidente o un direttore di scuola.

Alla domanda: “ma perché lo tenete?”, si sente rispondere: “perché fa comodo“.

Certo, fa comodo. Ma fa anche danni, che si paleseranno nel tempo. Quando ormai sarà difficile ricollegare la causa con il suo effetto.

Ho visto chiudere Aeroclub, ho visto succedere incidenti, per via di queste dinamiche. Ma ho visto che la strada per interrompere questo percorso, che avrebbe portato alle tristi conclusioni suddette, era chiusa.

Anche nel lavoro ho avuto modo di combattere contro personaggi e comportamenti del genere. Ho sempre affrontato tutto, ogni volta che ce ne è stato bisogno, ma nessuno mi ha mai seguito. Tutti se ne stavano in disparte, sindacati compresi. Ma soprattutto colleghi, che subivano come me lo strapotere di qualcuno, indispensabile e che faceva comodo, che però metteva tutti gli altri a rischio di qualche spiacevole conseguenza. Tutti muti. Silenzio.

La foto è stata scattata al Chicago O’Hare International Airport dopo che la torre di controllo ha comunicato ai piloti che il loro velivolo era il numero 42 autorizzato al decollo: un filino congestionato! E’ vero che l’aeroporto – il secondo al mondo per traffico di aeroplani e passeggeri – è dotato di ben 7 piste ma è pur vero che per smaltire tanto traffico occorrerà presumibilmente almeno un’ora e mezza di attesa con l’immancabile ritardo. In questo senso si comprende quanto scrive l’autore del volume nella sua mirabile prefazione: “[…] Così si affacciano nella vita degli aviatori turni di servizio perfettamente in linea con le normative ma che non sarebbero ritenuti idonei neanche per i camionisti che hanno il vantaggio enorme di potersi fermare a dormire in qualunque momento […]”

Una volta, dopo una di queste battaglie, una collega mi si avvicinò e, con voce suadente mi disse di lasciar correre. Di stare tranquillo. Le dissi che sarebbe stato anche interesse loro risolvere alla radice certi problemi. E le chiesi perché non facessero nulla.

Mi sentii rispondere, sempre con quella voce suadente: “Tu metti tensione. Noi vogliamo stare tranquilli”.

Ecco. Ho sempre saputo che il miglior alleato del guerrafondaio è il pacifista.

In questo libro però …

Pensavo che l’autore avesse esagerato le cose, avesse enfatizzato troppo gli avvenimenti, caratterizzato oltre misura i personaggi. Ma mi sbagliavo. Nella vita reale si trova anche di molto peggio. E l’intreccio della storia rende perfettamente l’idea.

Il mondo sta davvero andando in una direzione inquietante. Si cerca di automatizzare tutto, di controllare minuziosamente tutto, di risparmiare su tutto. Sacrificando però l’essenza della natura umana, trasformando le persone in automi, in una sorta di schiavi dipendenti da kapò che, in ultima analisi, sono schiavi pure loro.

Occorre comunque dire che questo libro riesce anche a portare una notevole dose di fiducia e di speranza nei nostri cuori. E’ fatto bene. La storia è strutturata in maniera magistrale e riesce davvero a comunicare ciò che stava a cuore all’autore. E indica addirittura il modo di riconoscere certi personaggi e come vanno combattuti.

Inoltre, fino alle ultime pagine, riesce a celare qualcosa che poi verrà fuori in tutta la sua evidenza, colpendo il lettore come un pugno. Bello davvero. E’ una sonora lezione di vita.

E anche se il cielo può essere pieno di guai – parafrasando il titolo del volume – ci piace immaginare che questo aeroplano voli tra i mille colori dell’arcobaleno (foto proveniente da www.flickr,com)

E con le ultime parole si ricongiunge all’appello iniziale, alla dedica:

“Ai sognatori, agli irriducibili e ai ribelli poiché, da adesso in poi, siamo nelle loro mani”. 

Eh, sì. Solo loro possono raddrizzare la brutta piega che ha preso il mondo. Anzi, diciamolo meglio: solo noi.

Speriamo, perché alla luce della mia esperienza personale e alle vicende attuali, guerre, mutamenti climatici, migrazioni di massa, delinquenza dilagante e altri malanni, ci credo poco.





Recensione di Brutus Flyer (Evandro Detti) e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR





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