Archivi categoria: Racconti tra le nuvole – X edizione

Nachthexen


Se il termine tedesco NACHTHEXEN non vi dirà praticamente nulla, siamo certi che, tradotto in italiano, la definizione “Streghe della notte” potrebbe evocare in voi ricordi più consistenti. Ma solo a condizione che abbiate letto almeno uno di questi due libri:

“Le streghe della notte. La storia non detta delle eroiche ragazze-pilota dell’Unione Sovietica nella grande guerra patriottica”

di Gian Piero Milanetti (pubblicato nel 2011) oppure:

“Una donna può tutto. 1941: volano le Streghe della notte”

di Ritanna Armeni (del 2018).

In questa immagine appare in tutto il suo splendore (si fa per dire) il Polikarpov Po-2, il biplano che fu utilizzato intensivamente tra le file dal 588° Reggimento da bombardamento notturno composto di sole donne. Costruito in più di 40 mila esemplari, il velivolo entrò in servizio alla fine degli anni ’20 e utilizzato praticamente ovunque nelle basi dell’Unione Sovietica per attività di addestramento e non solo. Prima dell’inizio della II Guerra Mondiale furono ritirati dalla prima linea in quanto ampiamenti obsoleti per poi essere miracolosamente riesumati specie a uso e consumo delle “Streghe” sebbene siano rimasti comunque in attività a tutti gli anni ’60 nei paesi filosovietici dell’Europa orientale. Fu soprannominato dai piloti russi Kerosinka (traducibile con un poco rassicurante nomignolo come “Lampada a cherosene”) per via della sua congenita vulnerabilità al fuoco (struttura in legno e tela) e la completa assenza di protezioni per il pilota/navigatore. Sottopotenziato (motore radiale con solo 115 cavalli) e con cabina rigorosamente aperta, fu utilizzato anche in Corea dove si fece beffa dei piloti statunitensi che, dotati dei velocissimi F-4 Phantom, non riuscivano a colpirli. Più o meno lo stesso problema in cui incapparono i caccia notturni della Luftwaffe tedesca che non riuscivano a inquadrarli facilmente e fare fuoco per abbastanza tempo su di loro a causa della notevole disparità di velocità. Il nemico principale dei PO-2 rimase perciò la Flak, la famigerata contraerea tedesca. Ne furono realizzate un’infinità di versioni e, come avrete facilmente immaginato, quello ritratto è un PO-2 moderno e restaurato come nuovo. Non male per una trappola volante del ’20. 1900. (foto proveniente da www.flickr.com)

In effetti questa è la dinamica in cui sono esattamente incappati i membri della Segreteria del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE (che organizziamo insieme ai nostri amici dell’HAG – Historical Aircraft Group)  quando hanno ricevuto il racconto di Diego Mascherpa intitolato appunto: ”Nachthexen”. Il tutto misto a un genuino stupore giacché, qualche giorno prima, avevano già ricevuto un altro racconto con un titolo ben più impegnativo ma fondamentalmente con lo stesso soggetto: ”Fratellanza – Sorellanza. Il 588° Reggimento da bombardamento notturno. Le streghe della notte” a firma di Gianvincenzo Cantàfora.

Ora, sebbene il libro di Milanetti ci fosse noto per vie traverse, quello di Ritanna Armeni ci è addirittura familiare in quanto ne ha curato la recensione la nostra redattrice Franca Vorano. Recensione che è ospitata in un angolino del nostro hangar all’indirizzo: Una donna può tutto.

La copertina del volume di Ritanna Armeni che, grazie a una lunga intervista concessa da una sopravvissuta che faceva parte del reparto, ricostruisce la storia delle “Streghe della notte”

E’ probabile che entrambe gli autori dei racconti abbiano letto l’uno o l’altro volume in quanto sono quasi gli unici pubblicati in lingua italiana sull’argomento tuttavia, mentre al racconto di Gianvincenzo Cantàfora è stato concessa l’opportunità di accesso alla fase finale del Premio (per poi classificarsi in XIV posizione ed essere pubblicato nell’ambito dell’antologia del Premio), quello di Diego Mascherpa non è stato valutato con la stessa benevolenza … ed eccolo ospitato nel nostro hangar. Per la nostra gioia e – ci auguriamo – anche per l’autore che, sebbene amareggiato per il modesto risultato conseguito in seno al Premio, godrà comunque della soddisfazione di vedere pubblicata digitalmente la sua ottima composizione.

“Streghe della notte”, dicevamo.

Una bella immagine risalente al 1944 che mostra una parte della linea di volo del reparto delle “Streghe” e due pilota nelle loro divise dell’epoca (foto proveniente da www.flickr.com)

Nella breve sinossi elaborata a cura dello stesso autore si legge:

Una ragazzina riflette sul proprio futuro negli anni ’60. Una eterna lotta tra convenzione ed emancipazione. Nei sogni a occhi aperti di questa ragazzina ci sono le gesta di aviatrici del passato, le così dette “Nachthexen” sovietiche.

In effetti raccontare “le streghe” con taglio divulgativo-giornalistico alla stregua di quanto già operato felicemente dal lodevole Gian Piero Milanetti, non avrebbe avuto granché senso (oltre che al limite del regolamento del Premio) … e forse è per questo motivo che Diego Mascherpa ha creato una storia di pura fantasia che vede quale protagonista un’adolescente in un periodo storico in cui le ragazze cominciavano a desiderare un futuro di cui potessero essere artefici esse medesime. Come appunto le famose “streghe” sovietiche. E avendole come fulgido esempio da emulare.

Siamo abituati alle foto che ritraggono piloti accanto ai loro velivoli, ugualmente non è raro incappare in scatti che immortalano le donnine discinte (le famose pin-up) dipinte mirabilmente sulle fiancate dei velivoli alleati, viceversa siamo molto meno abituati (anzi non lo siamo affatto) a vedere dei fotogrammi come questo che ritraggono i membri dell’equipaggio (pilota e navigatore/addetta alle bombe) di un Po-2: due sorridenti ragazze sovietiche in tuta di volo (foto proveniente da www.flickr.com)

Per dovere di storia editoriale, cronologicamente parlando, il primo libro in assoluto pubblicato nel nostro Paese a cura di Marina Rossi e intitolato: 

 Le Streghe della notte. Storia e testimonianza dell’aviazione al femminile in URSS. 1941-1945, 

risale solo al 2003 ma senza destare un particolare interesse nell’ambiente aeronautico e, purtroppo, anche in fatto di lettori. Prima di allora il nulla e dunque, in tutta onestà, immaginiamo che nel 1960 la vicenda delle Nachthexen fosse pressoché sconosciuta in Italia, anche se non è escluso che se ne favoleggiasse negli ambienti della sinistra italiana (Casa del Popolo, circoli culturali comunista, ecc ecc), specie nel Nord, ove sicuramente giungeva eco della propaganda politica sovietica.

Ad ogni modo, in un periodo – quello attuale – in cui gli adolescenti hanno perso un po’ la bussola (allo stesso modo di quanto accade alla protagonista) trarre esempio da personaggi storici così eroiche, vigorose, motivate come le “Streghe della notte” può essere più che mai utile se non addirittura salvifico. Oggi come allora, come pure domani.

Le “Nachthexen” difendevano il loro paese e partecipavano fattivamente allo sforzo bellico mettendo letteralmente a repentaglio la loro esistenza ogni volta che decollavano a bordo di velivoli vetusti, male in arnese, per nulla armati e assolutamente inadeguati all’ambiente glaciale delle lande sovietiche. Ne erano consapevoli? Certamente …  ma erano più forti i loro ideali e il desiderio di costruire il loro futuro. Di libertà, ovviamente.

La pilota del Polikarpov  PO-2 in secondo piano pianifica il volo che eseguirà nel corso della notte: recare scompiglio negli acquartieramenti dei reparti tedeschi di volo impedendo loro di dormire. La foto risale al 1942 e non è escluso che sia stata scattata a uso e consumo della propaganda sovietica (difficile immaginare che andasse in volo con tanto di medaglie appuntate sulla divisa). Rimangono comunque innegabili gli impressionanti dati statistici del reparto: circa 23.000 missioni effettuate, approssimativamente 3.000 ton di bombe sganciate, 31 “streghe” morte in combattimento e infine 23 “streghe” decorate con la Stella d’oro di eroe dell’Unione Sovietica (foto proveniente da www.flickr.com).

Certo, oggi non siamo in stato di guerra (grazie al cielo!) come lo erano le nostre eroine, tuttavia i valori di patriottismo, la difesa della libertà nazionale, personale, politica, religiosa, sessuale e culturale valgono oggi come allora nella lontana Unione Sovietica del conflitto mondiale.

Alla data odierna il mondo occidentale non vede di buon grado l’universo russo (e sottolineiamo russo, non sovietico)  – e ne ha ben donde, aggiungiamo con un certo rammarico – ma la storia è storia e nulla e nessuno ci potrà impedire di divulgare con obiettività e ammirazione le gesta tanto folli quanto eroiche delle donne sovietiche del 588° Reggimento da bombardamento notturno. Perché la storia non conosce colore politico o provenienza geografica. E se si tratta di un evento storico che merita di essere divulgato o del quale riteniamo debba essere mantenuta la memoria, allora non conosciamo barriere linguistiche o confini nazionali.

Tornando al racconto di Diego Mascherpa, la narrazione si limita inevitabilmente ad accennare un singolo episodio, una singola operazione al cardiopalma delle indomabili “streghe”. L’autore così lo sintetizza:

La copertina del libro di Gian Piero Milanetti che meglio ricostruisce, anche grazie al supporto di numerose testimonianze fotografiche, le vicende spesso dolorose ma eroiche delle Nachthexen

Negli anni ’40, tre “streghe” riflettono sulla vita mentre si apprestano ad attaccare un campo tedesco. L’attacco riesce, ma una di loro subisce danni e le altre due rischiano la vita pur di stare con lei nel bisogno.

E sarà pressoché inevitabile che:

La ragazzina degli anni ’60 userà questo come spunto di riflessione per il suo futuro.

Aggiungiamo di più: se ai lettori del racconto verrà sicuramente la voglia di approfondire le vicende del famigerato reparto da bombardamento composto da sole donne, ai noi ha instillato l’idea di fare delle donne in aero/astro nautica il tema suggerito della prossima edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE.

E poi dicono che le “streghe” sono pericolose!? Di più!



Narrativa / Medio – breve

Inedito

Ha partecipato alla X edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2022


Nachthexen


Una palla infuocata in cielo, era il luglio del Sessantadue.

Tutto era normale.

Lena era abbandonata su di una poltrona di vimini. Il sole bruciava le ante chiuse di una finestra arsa da anni di irradiazione, dietro alla quale lei si riparava durante una inutile ricerca di fresco.

Ovvio, non erano gli Stati Uniti: inutile pretendere un sistema di condizionamento. Un sogno irraggiungibile e impensabile nella calura agreste norditaliana degli Anni Sessanta.

Era uno di quei pomeriggi dove era solita cedere all’ozio, alla ricerca di un barlume di fresco e di una motivazione per il prosieguo della giornata.

Lei poteva: era figlia di possidenti terrieri. Poteva permettersi di oziare nella ricerca di un po’ di refrigerio, all’ombra proiettata dalle persiane arroventate dal sole. Un minimo sollievo le era concesso dalla sensazione di frescura dovuta alle folate di aria calda, capaci di generare improbabili momenti di ristoro rispetto alla totale immobilità aerea.

Lena rimpiangeva l’alba, quando la nascente rugiada si mischia ai rimasugli del fresco notturno e quest’ultimo si riversa poi nelle lande bruciate da un sole implacabile; palliativo poco utile a mitigare la calura giornaliera di un’estate che si preannuncia rovente.

Combatteva a modo suo la sua guerra con il caldo: una vestaglietta era la sua uniforme, leggera e bianca a celare una sottoveste nera appena visibile.

Tutto ciò racchiudeva una chiara lotta tra pudore adolescenziale e conformità contro la seduzione sognata e percepita di una ragazzina. Una lotta coi canoni della società, ancor prima che col caldo di quella giornata. Il ricordo andava ai Clark Gable e i Roger Moore visti al cinema.

Pensieri che scorrevano al ritmo del lento sorseggiare di una bibita fresca attraverso una cannuccia stretta tra le labbra, sottili acerbe e senza rossetto a indicarne la reale età di Lena. Il ricordo di Audrey Hepburn in quel film: Colazione da Tiffany, altra eroina del grande schermo che alimentava i suoi ideali di seduzione. Le sembrava così sensuale e adulto quel bere sbarazzino e seducente da una cannuccia, quasi la promessa di un avvenire nuovo ed elettrizzante, come nella Lolita di Kubrik.

Era evidente la freschezza di una maturità non ancora raggiunta, immaginata più che vista, attraverso gli ideali del grande schermo. Una sorta di emulazione del mondo dei grandi, quel periodo carico di sogni e aspettative che è una fase di passaggio verso la maggior età. Un tempo di confusione, dove tanti ideali si mischiano tra di loro e il risultato non è così certo.

Ciò che Lena non voleva vedere né accettare era il suo destino già scritto. Cruccio di un’adolescenza non ancora proiettata verso un futuro troppo stretto.

Negli anni Sessanta del profondo Nord Italia, lei era pervasa da quel desiderio di emanciparsi più che ovvio per una sedicenne con la vita già scritta: diploma, marito, figli, Messa alla domenica e una sorta di rispettabilità sociale.

Nessuna emozione, nessuno scossone. Un futuro già scritto per lei in cui non avrebbe trovato posto la ragazzina con quel rivolo di sudore che le scende dai capelli, con in sé il gioco e il desiderio della donna che ha il destino nelle proprie mani e i sogni di avventura in giro per il mondo.

I progetti troppo statici che non facevano per lei: il sogno di avventure di altri tempi la perseguitava. Voleva scrivere il suo nome nella storia del mondo e con la sua mente si perdeva in avventure e gesta di donne del passato, che avevano avuto la motivazione e il coraggio di farlo.

Un altro pensiero le frullava nella testa: quello di donne vere e rudi, come Hanna Reitsch e Marina Mikhailovna Raskova. Un tipo diverso di donna, sicuramente non la esile e ingenua casalinga americana, ma le rudi combattenti di 20 anni prima.

La diatriba tra i due tipi di donna si stagliava anche sul suo futuro: queste erano vere guerriere, non ingenue casalinghe. Un dualismo tra neo-amazzoni verso la figura riverente e sottomessa della donna di casa.

Da una parte merletti e ciglia curate, dall’altra giubbotti di pelle e occhialoni sporchi d’olio di chi va in aria a rischiare la vita.

“Le donne non volano, stanno a casa a cucinare!”

Immaginava sarebbe stata questa l’accoglienza alle sue idee di gloria da parte dei genitori. Era più auspicabile Il modello casalinga del midwest, con tutta la rispettabile tranquillità che sognavano per lei.

Ma forse quella noiosa, rispettabile tranquillità non era quello che Lena voleva per sé stessa.

Le donne avevano lasciato un segno nella storia, rompendo le convenzioni. E le donne nell’aviazione si ricordavano poco, ma erano state così incisive… Fondamentali, vien da dire.

Sognava le gesta delle Nachthexen, come venivano chiamate dai loro nemici tedeschi. Le Streghe della Notte, sue eroine fin dalla tenera età. Era venuta recentemente in possesso di un albo che ne narrava le gesta e quindi fantasticava di far parte di un terzetto di biplani Policarpov, arrivare di notte e colpire i tedeschi invasori. Avventure eroiche create dalla sua mente di adolescente per estraniarsi ai doveri che da lì a poco le sarebbero stati richiesti.

Lena si impossessava pian piano di questo sogno ad occhi aperti: gesta eroiche e record di volo, la spregiudicatezza di chi vuole scrivere il proprio nome nella storia e lasciare un ricordo di sé.

Tutto questo turbinio di decisioni e sogni si sviluppava dietro a una persiana, al primo piano di una casa colonica di architettura post bellica, con attigua un’aia cementificata e bruciata dal sole di un pomeriggio di luglio.

Ma nei suoi sogni ad occhi aperti lei era nelle pianure russe.

 “Irina, è la tua prima missione, stai tranquilla e non strafare. D’accordo che non sei una novellina e vieni da un’altra unità, ma un morto non ci serve.”

Mi dice così Polina, mentre siamo sedute nel campo di volo accanto al fuoco acceso, l’unico rimedio per combattere l’umidità e il buio incombente di un crepuscolo estivo.

Ci troviamo vicino al Dnepr ed è risaputo: l’acqua genera quella frescura, che diventa via via più densa, ad annunciare l’arrivo della notte.

Io, Irina, la tenera ragazza e la temibile pilota strega. Quanti campi distrutti, per non parlare dei “Fritz” uccisi. La mia mutazione è stata così rapida…

L’aria fresca porta gli ultimi momenti di tranquillità prima della consueta azione notturna. Come sempre, le Streghe arrivano di notte. Magari lo sanno anche i camerati tedeschi qui ad invaderci e che ci apprestiamo a visitare.

Polina è diversa da me. Maschile, rude e sicura di sé. Il prototipo della “donna nuova”: schietta e decisa, così è il nostro comandante. Provo un senso di ammirazione e una flebile e inconscia attrazione verso la sua persona. Se fosse un uomo parlerei di desiderio. Ricorda un ragazzo che avevo conosciuto e che mi era piaciuto. Tutto questo prima della guerra.

“Può darsi che ci guadagneremo un altro Ordine dell’Armata Rossa!” Sbotta Polina; per lei esistono solo il bombardare e distruggere l’invasore.

I miei dubbi si fanno sentire, perplessità di una giovane ragazza che bilancia la sua nuova vita con la vecchia. Ricordi di un passato ormai lontano.

È la prima uscita di guerra con quel nuovo reggimento e non sarà una passeggiata, ma le ragazze si sono dimostrate subito buone compagne e piloti di qualità. Non fanno rimpiangere le colleghe di sempre.

Le Streghe si muovono all’unisono, non importa a quale reggimento appartengano. Buio, incertezza, spari della contraerea. Due di noi a fare da bersaglio ai loro colpi, distrarli per sgombrare il campo. La terza a colpire le camerate tedesche con le FAB.

Non sono preoccupata: confido nelle donne al mio fianco. Di lì a poco sarà solo oscurità e fiducia. Il conflitto generato dalla mia ambivalente, figura: quella di esile e dolce vergine, calata nel ruolo di amazzone assassina e senza pietà.

È difficile stabilire cosa resti del passato e cosa sboccerà nel mio futuro: quale strada prenderò. La dacia sul Volga, l’essere una casalinga e una buona madre. Tutti sogni di un passato che non trovano posto nella crudeltà di questa guerra. Sembra che la tenera me stessa sia sparita, per lasciare il posto alla disillusa aviatrice. Ma il ricordo della “dolce ragazza” resta come un barlume di attaccamento a un tempo che ormai sta scomparendo.

“Le Streghe della Notte non volano per piacere, ma per uccidere o per essere uccise”.

Lo sappiamo bene: questo è il nostro presente; questo è l’ingiusto baratto col nostro passato.

Tra piloti, anche di opposte fazioni, c’è una sorta di filosofia cavalleresca e rispetto. La stessa però non si trova tra i serventi della contraerea nei confronti degli uomini volanti. Ogni storia ha due figure a incarnare il bene e il male: ma in questo caso sono io, una Strega, a portare il peso di entrambe.

Anche stanotte non sarà un duello alla pari, ma quello di un cavaliere contro un gruppo di arcieri.

Ma non è il tempo della filosofia e dell’etica: addosso non ci sono né armature né armi da taglio, ma solo la spessa pelle dei giubbotti e dei calzoni da volo.

“Pronta Irina?” Chiede Polina, già proiettata all’azione.

Rispondo con un cenno affermativo.

Ci avviciniamo agli aerei a bordo pista. La formazione è composta da me, Polina e Nina. Io e il capo abbiamo il compito di distrarre la contraerea, in pratica saremo a tiro. Saremo noi i bersagli, mentre Nina colpirà con le FAB 100, le fugasnyye aviabomby, bombe aeree ad alto potenziale esplosivo.

I nostri Po-2, tre vecchi biplani Policarpov, ci attendono. Le Streghe della Notte agiscono in formazione da tre aerei: silenziose, lente e letali.

In cuor mio spero che questa guerra abbia fine rapidamente: sono stanca di morte e distruzione. Voglio credere al miraggio di una vita più ordinaria: un matrimonio, dei figli e un lavoro. Sicuramente un’esistenza pregna di monotonia, meno pericolosa del bombardare i campi tedeschi; una vita meno appagante, ma più sicura. Un sogno di normalità a cui mi aggrappo per tollerare la brutalità di questa guerra.

Il discorso è ben presente nella mia testa: pagare la sicurezza con la moneta della monotonia; la mitezza e la tranquillità con noia e banale sussistenza.

La vita pericolosa ed incerta da belligerante non durerà per sempre: una scelta andrà fatta, ma l’esperienza militare sembra irreversibile, non sono sicura di poter tornare l’ingenua ragazza vissuta fino a prima della guerra.

La mia famiglia ora è composta dalle Streghe: quel gruppo di aviatrici che vivono con me, che condividono morte e vita, freddo e paura. Tutto in comune: pasti frugali, il pericolo dell’azione, la ferocia e quella costante presenza di morte. Per loro farei di tutto, anche uccidere… se questa non fosse la prassi.

La cosa più sensata sarebbe stata il restare l’adolescente senza pensieri, ma il richiamo della Patria e la prospettiva di una vita avventurosa sono state irresistibili.  È stata una scelta onerosa, ma il compito da svolgere è ben presente: tre donne, nell’ombra, che si apprestano a passare il Dnepr ed a scaricare un po’ di morte sull’invasore. Tre Streghe moderne.

Era questa la fantasia ad occhi aperti di Lena: pensieri di chi in fondo ignorava la brutalità della guerra ma sapeva che in futuro questi sogni di gloria sarebbero morti. Si rese conto all’improvviso che anche per le sue eroine gli argomenti ricorrenti erano gli stessi di lei: stabilità e sicurezza contro incertezza e soddisfazione.

Il sortilegio è pronto.

Un cenno di intesa e poi nessuna comunicazione da parte di Polina fino al ritorno dalla missione: un biplano aperto non facilita le comunicazioni radio né il buio semplifica le cose, rendendo poco visibili i gesti della capo formazione.

Sole coi nostri pensieri e le nostre paure. Questa è l’anteprima alla concitazione del bombardamento. L’addestramento ci porta a effettuare i controlli pre-decollo in modo automatico, senza dubbi.

Infilata nella carlinga, legata a un salvifico paracadute, stretta dalle cinture effettuo un ulteriore breve controllo: motore acceso, giri costanti, prova magneti, temperature dell’olio. Strumentazione visibile grazie alla flebile luce di bordo che presto sarà spenta: non vogliamo certo farci individuare dai Fritz.

Tutto a posto: un cenno di conferma alla capo formazione. Lei è il nostro mentore, noi seguiremo e replicheremo le sue manovre. Sempre a una decina di metri dall’ala di Polina: le sue decisioni saranno legge per il tempo dell’attacco. Questa la filosofia del volo in formazione.

Un continuo controllo di posizione e strumenti. Altimetro regolato, anemometro a zero, giri regolari e temperatura dei cilindri corretta. Luce spenta. Allineate alla pista, pronte al decollo e via per aria.

La consueta ora di volo: ecco cosa ci aspetta prima di agire. Un’ora passata con i propri pensieri e i propri demoni interiori. Questo non può accadere in un frenetico attacco: lo spirito di sopravvivenza annulla ogni pensiero, ogni riflessione. A volte il viaggio è più doloroso e sconvolgente dello scontro diretto, ma è il prezzo da pagare alla congrega delle Streghe.

Si fa lontano il tempo di merletti, dei chioschi di dolci, del civettare e conoscere gente nuova. Sbiadito è il ricordo del ragazzo coi baffetti che mi piaceva: chissà dove è adesso; magari a combattere nel fango per la gloriosa Unione Sovietica.

Sono lontani i tempi in cui esisteva una ragazza giovane e spensierata, dove il problema più grosso era il colore dello smalto. Quella ragazza è il passato.

Non esiste più quel tempo, ma è un ricordo a cui restare ancorata nel buio della pianura russa, un ricordo che mi aiuta a tollerare l’angelo della morte che sono diventa in questa guerra.

Lena si chiedeva se avrebbe mai avuto il coraggio di farlo. Lasciare tutto per combattere su di un vecchio biplano?

Ammirava quelle donne, la loro sagacia e il loro coraggio nel fare qualcosa di più grande di loro. Non per abnegazione o senso del dovere, ma per un ideale; per la fede in qualcosa di più importante della loro stessa vita.

Era tutto così romantico, così accattivante. Le ricordava la figura dei patrioti ottocenteschi studiati a scuola e letti per diletto: Mazzini, Micca, Pellico e tante altre figure magari minori ma non meno importanti.

Occhialoni e olio in faccia. Questo è quanto offre la Russia alle proprie combattenti; altro che cipria e vestiti alla moda! Certo quella dell’aviazione è una vita migliore di quella della fanteria: anzi, si combatte proprio per i compagni laggiù. Tutte hanno un marito, un fratello o un amante nel fango.

Una luce in lontananza mi distoglie dai pensieri e richiama al presente, il ritorno alla realtà è repentino: un campo avanzato della Wehrmacht. Un tremito al cuore, il sangue che fluisce alla testa e quel fresco, quella sensazione di onnipotenza.

Tutti gli strumenti a posto, nessuna luce accesa e visibile. La sagoma della capo formazione ci indica col pollice di scendere e colpire. Si preannuncia un’azione magica.

Chissà se saremmo amiche in un contesto non bellico. Una domanda innocua, forse, ma necessaria a spezzare la tensione. Così rude e schietta, fatico a immaginare Polina in un abito primaverile a passeggio mano nella mano di un giovane funzionario. Nella sua rude mascolinità, lei mi ricorda di quell’amico che mi piaceva: anche lui brusco e dinamico nel compiere il suo dovere.

Il passato mi segue anche qua. Anche se ho messo migliaia di chilometri tra me e quel mondo ormai lontano, chiuso. Se sopravviveremo, ci spetta il dovere di costruire un avvenire nuovo, a misura delle persone che conosciamo e a cui dobbiamo qualcosa. Questo sarà il nostro compito dopo la guerra.

Penso a Marija, la mia amica di San Pietroburgo. All’assedio che là infuria ed al suo sogno di maternità. Mi diceva che uno dei suoi figli si chiamerà Vladimir.

Ma penso anche a quei poveri ragazzi tedeschi: avranno qualcuno che li aspetta a casa. Ma sono nemici, ci hanno attaccato. Mi spiace per Fritz, non rivedrà la sua Helga. Le Streghe stanno arrivando.

Il pollice di Polina continua a indicare il basso, il da farsi era semplice: io e lei distrarremo la contraerea con la danza dei nostri aerei, mentre Nina colpirà con le sue bombe da 100 kg.

La discesa è vorticosa, costellata dai colpi delle mitragliatrici che ci grandinano addosso. I traccianti brillano come gemme, e mi ricordano quelle di una collana ereditata da ragazzina

Quei maledetti non stanno usando gli 88, sembrano piuttosto 20 mm. Lo deduco dalla velocità e dalla densità delle raffiche. La conferma arriva dalla poca illuminazione che rende ben visibili i traccianti. Gli 88 infatti sono cortesia riservata ai bombardieri d’alta quota.

Un’accoglienza per nulla galante per delle ragazze che vengono a far visita. Tre giovani donzelle appaiono all’improvviso e l’accoglienza è a suon di proiettili. Che gente questi tedeschi!

Polina e io richiamiamo con successo l’attenzione della contraerea, mentre le bombe di Nina creano l’inferno nelle camerate teutoniche.

L’azione è completata con successo, e questo ci rende fiere di lei e del nostro lavoro.

Nina, la nostra consorella più giovane, quella con meno esperienza, ha fatto un lavoro perfetto. Penso a lei e provo un sofferto senso di ambivalenza: da un lato protezione, a ricordo di un passato che non c’è più e a cui però istintivamente noi tutte tendiamo; dall’altro disillusione perché un giorno anche lei diventerà cinica come noi. Che peccato.

Ma…Polina!

Che succede? Non capisco.

Aumento di quota per guadagnare luminosità: devo individuare il problema.

Una raffica di AA le ha staccato un pezzo d’ala sinistra e forse colpito il motore, a stento riesce ad allontanarsi. Deve metterlo giù in sicurezza, ora. Non ha tempo. Ovunque, ma lontano da quel campo bombardato e dal fronte.  Il problema è l’oscurità: un covone, un fosso sono sempre in agguato.

Polina arranca, seguita da noi due con gli aerei fortunatamente in salute. Non segnala ferite o bisogno di un aiuto immediato, solo mi spaventa quel fumo nerastro che esce dal motore. Ha tutta l’idea di essere olio.

Passati dieci minuti, quindi circa venti km dal fronte: un cedimento all’aereo di Polina, fumo consistente dal motore, ce la farà il suo aereo a portarla a terra sana e salva?

È la speranza di tutte noi. Lei è una nostra sorella, la nostra capo formazione, e ad unirci è la danza notturna delle Streghe.

La prua del suo aereo punta finalmente verso uno di quei campi sterminati, tipici della pianura Russa occidentale, ai quali non mi abituerò mai. Non credo abbia molto tempo per decidere cosa fare.

Dalla nostra posizione in alto nel cielo, la luce del sole nascente è flebile, appena sufficiente a rischiarare l’ambiente, ma ancora nulla al suolo.

La decisione di Polina è per quel campo, ma prima di atterrare ci fa segno di sloggiare: ora per lei metterlo giù è una nuova battaglia, e due sono un po’ troppe per una sola notte di guerra. Purtroppo non possiamo aiutarla, quel combattimento è solo suo. A me e a Nina non resta che seguire gli ordini e puntare verso il nostro aerodromo.

Ma non si lascia indietro nessuno, specie le amiche. Questo è il pensiero della nuova Irina, non della ragazzina di anni fa.

Una virata di 180° e via verso quel campo immenso, alla ricerca di Polina. Questa è la mia scelta: forse illogica, non da militare, ma quella che sento più giusta.

Anche Nina mi segue. Deve aver intuito la cosa, una sorta di comunicazione telepatica tra me e lei: ci chiamano Streghe per qualcosa. Nina ha tutta la mia stima: benché abbia poca esperienza, è pronta a giocarsi la vita con noi.

Raggiunto il campo, le luci dell’aereo di Polina sono fioche ma visibili, accese per rendersi individuabile dagli alleati. Un breve circuito e il finale. Non si vede niente: atterrare a una certa velocità nel buio più assoluto è da folli, specie con un aereo integro ed efficiente e poi in un campo non preparato.

Anche nella Russia atea, in cuor mio la preghiera è verso quel Dio così lontano e osteggiato dai nostri governanti. Un Dio che fortunatamente vede di buon occhio i piloti; l’atterraggio avviene a regola d’arte: nessun ribaltamento, nessun danno apparente. Anche per Nina tutto bene.

Scendiamo e ci precipitiamo a raggiungere Polina.

“Ma siete pazze, vi avevo fatto segno di rientrare!”, ci grida lei.

Proprio un’accoglienza riconoscente, degna della sua ben nota mansuetudine. Mi piace questo suo aspetto. “Non si lasciano indietro le amiche, proprio no.” Le rispondo di rimando. È tutta intera, nervosa come sempre. “Stai bene?”

“Tutto a posto. Sono stata colpita: non erano le solite 20 mm. Ci ho rimesso un pezzo d’ala, ma devono aver preso anche il motore perché i giri hanno iniziato a diminuire all’improvviso. Alla fine l’aereo faceva un po’ di bizze: la soluzione più ovvia era metterlo giù in un campo, non ci arrivavo in aerodromo.”

Tiro fiato. La spiegazione ci calma, ma lo sguardo di Polina mi fa capire che sta per arrivare anche la ramanzina.

“Ma voi perché siete venute qua? Vi avevo ordinato di rientrare! Avete messo a repentaglio la vostra vita di aviatrici e i mezzi della gloriosa VVS!”

L’unica risposta che mi viene in mente è: “Vero, tutto vero, ma dimentichi una cosa. Non si abbandona un’amica e la nostra amicizia si vede perché abbiamo rischiato la vita per te. Io e la povera Nina, che sta in silenzio perché scossa oltre misura: è inesperta e tu lo sai, poteva rientrare, ma ha preferito giocarsi la vita per te.”

Polina non aggiunge altro e ci abbraccia: “Streghe per sempre…”

In lontananza, sentiamo le voci della nostra fanteria, mandata a vedere cosa è successo. Sicuramente vengono da un campo avanzato.

“Ci recupereranno, ma ci aspetteranno 200km di camion… Che sulle strade russe non sono così agevoli.” Detto da chi ha appena rischiato un paio di volte la morte. La solita visione positiva di Polina, che poi però puntualizza: “Però è bello rivedervi!”

Nel caldo di luglio, nella Pianura Padana, Lena sognava questo. Un mondo di eroismi, di azioni memorabili, la messa a repentaglio della propria vita per la Patria. Sognava di essere nell’abitacolo di quel biplano, sentiva cloche e manetta nelle sue mani. In Italia, negli anni Sessanta le donne non avevano accesso alla carriera in aeronautica militare, ma potevano formarsi a livello sportivo. Dare lustro e orgoglio al proprio Paese.

Sì, quello sarebbe stato il suo destino.

La prima missione? Convincere i genitori.

Giusto parlarne subito, ma con la coda dell’occhio vide per un attimo tre giovani aviatrici che la guardavano compiaciute.


Nota dell’autore:

Esistono due versioni che vogliono le “nachthexen” in equipaggi da 1 o 2 persone, con differenti modalità di attacco. Non essendo le due versioni concordanti e il racconto di fantasia, l’autore ha scelto quella di equipaggi singoli.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Diego Mascherpa

Diego Mascherpa


Laureato in chimica, già perito chimico.

Dal 1996 al 2010 pilota di aliante (Cremona e Novi Ligure), nel 2010 la carriera di pilota si interrompe a causa di un tumore alla testa, che lo ha reso invalido. Continua, però, il lavoro di ingegnere in campo petrolchimico.

Diego Mascherpa a bordo di un aliante

Nel 2022 ritiene che un tumore alla testa, 17 interventi, diplopia, atassia, disartria e una leggera emiparesi non sono scuse per smettere di volare.

Sta attualmente conseguendo l’attestato di VDS.


Per inviare impressioni, minacce ed improperi all’autore:

diego.mascherpa (chiocciola) gmail.com




Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:

Nonno Canarino


La X edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE – di cui siamo co-organizzatori assieme ai nostri amici dell’HAG (Historical Aircraft Group), verrà ricordato per la presenza, tra i suoi partecipanti, delle cosiddette “prof”, per il ritorno dei piloti professionisti e, non ultimo, per la presenza di ben due autrici in tenerissima età: Emma Lucietto, già ospite del nostro hangar all’indirizzo:

https://www.vocidihangar.it/w/il-sogno-di-alice/

Amelia Earhart (1897-1937)  è stata una donna pilota statunitense che ha segnato memorabili pagine di storia dell’aviazione e costituisce, non a torto, un esempio mirabile tra le appartenenti del genere femminile in quanto incarna il modello di eroina, caparbia, volita e indomabile eguagliata da ben pochi piloti uomini. E’ qui ritratta appena scende da un velivolo dopo essere atterrata in una località non meglio definita. Non ultimo, Amelia è l’esempio cui si ispira la nostra giovanissima autrice Casilda Chiara Cevoli

e Casilda Chiara Cevoli la cui data di nascita (dichiarata in fase di registrazione al premio), attesta inequivocabilmente la bellezza di dieci anni di vita.

Nel caso di Emma, purtroppo, non è stato possibile ammettere la sua composizione al premio in quanto si trattava di una favola anziché un racconto, viceversa, nel caso Chiara, il racconto è stato ammesso, tuttavia non ha riscosso il favore della giuria. E questo, probabilmente, in virtù di una prosa semplice, lineare, infantile sebbene matura, ossia tipica di una bambina di dieci anni che, per quanto promettente, nulla ha potuto contro quella ben elaborata e rifinita di autrici/autori  più adulti di Casilda.

In effetti questa vicenda, se da un lato testimonia l’imparzialità della giuria che – lo ricordiamo – riceve i testi in forma rigorosamente anonima, dall’altro pone in risalto l’enorme disparità dei testi forniti da partecipanti con età anagrafiche così diverse. D’altra parte sarebbe auspicabile creare diverse sezioni del premio per diverse fasce di età … ma queste fasce avrebbero poi un numero adeguato di partecipanti? La domanda sorge spontanea …

A differenza di quanto accade nel nostro paese in cui la conservazione di cimeli storici dell’aviazione è appannaggio di pochi musei (Volandia, Piana delle Orme, San Pelagio e il Museo storico dell’AMI di Vigna di Valle) negli Stati Uniti i musei dedicati all’aviazione sono numerosissimi … ma un velivolo prestigiosissimo come il Lockeed Vega, protagonista della trasvolata atlantica compiuta da Amelia Earhart, non poteva che finire, pressoché intonso, nel meraviglioso National Air and Space Museum dello Smithsonian Institute di Washigton (USA). (immagine proveniente da Flickr.com). Chissà se Casilda Chiara avrà un giorno l’opportunità di visitare questo luogo?!

Di certo la partecipazione di Emma e di Casilda  lascia ben sperare per il futuro giacché questi due teneri virgulti della narrativa potrebbero mettere presto radici ben salde e diventare non solo le autrici delle prossime edizioni del premio, ma anche e soprattutto delle colonne della futura narrativa aeronautica italiana. Gli organizzatori se lo augurano di cuore. E, in tutta onestà, questo è lo scopo ultimo di RACCONTI TRA LE NUVOLE.

Oggi non ci è dato sapere come e in che misura la maestra e la famiglia possano aver contribuito, anche solo di riflesso, alla stesura del racconto di Casilda Chiara, figuriamoci se ci è dato sapere in quale direzione essa potrà evolvere semplicemente crescendo. Ad ogni modo un dato è certo: a noi il racconto di Casilda è piaciuto. Molto. Sarà proprio per la sua semplicità, per la linearità, chissà? Sarà perché non possiamo che essere calorosamente benigni nei confronti di una ragazza in erba che si è cimentata laddove i suoi coetanei neanche si sognano di avventurarsi. E brava Casilda!

Il titolo del racconto “Nonno canarino”, si riferisce al velivolo biplano Kinner Airster che, secondo la storia, Amelia Earhart acquistò poco dopo aver terminato il corso di pilotaggio (peraltro tenuto da un istruttore di volo donna, certa Neta Snook) e con il quale nell’ottobre 1922 compì il suo primo volo record: 14’000 piedi di quota (circa 4260 metri). Fu la prima donna a raggiungere al mondo a raggiungere una quota così stratosferica. Il velivolo, dotato di un motore radiale a tre cilindri con una potenza ridicola, entrò nella leggenda in quanto verniciato di un bel giallo e perciò contraddistinto dal nomignolo affettuoso “The canary” (“Il canarino”) attribuito dalla stessa Amelia. In questo scatto riconosciamo (lato destro) una giovanissima Amelia Earhart e la sua istruttrice di volo inframezzate proprio da un Kinner Airster che la pagina Facebook del “Amelia Earhart Hangar Museum” reputa essere quello del record. In realtà la trasvolatrice atlantica pilotò diversi Airster e dunque, senza l’ausilio del colore, è difficile sostenere che questo fosse il vero “Canarino”.(foto proveniente dalla pagina Facebook del “Amelia Earhart Hangar Museum”- photo courtesy of @purduearchives)

Ma veniamo al racconto: come vuole la tradizione delle composizioni di esordio, la nostra autrice ha composto un testo molto autobiografico tanto che ha descritto la propria famiglia ma lo ha fatto con gli occhi disincantati di una bimbetta cresciuta di soli 10 anni (di età) e questo – se permettete – costituisce l’enorme valore aggiunto. Intendiamoci: “Nonno canarino” non è la rielaborazione sotto mentite spoglie del classico tema scolastico: “Descrivi la tua famiglia”, tutt’altro. E’ la visione dell’autrice del suo trascorso familiare e del suo futuro personale. 

La composizione infatti, seppure leggera, piacevolissima, tenerissima e, ci auguriamo, non troppo manipolata dall’intervento esterno, è un proclama d’intenti: Casilda intende volare molto, sì … ma per girare i suoi filmati naturalistici e questo sebbene il ramo maschile della sua famiglia  abbia tuttora o abbia avuto in passato un rapporto professionale con il mondo aeronautico. Insomma la nostra autrice campana,  sebbene sia geograficamente molto vicina alle due fucine dell’Aeronautica Militare Italiana quali Pozzuoli e Caserta, ha le idee molto chiare (ricordatevi che il suo secondo nome di battesimo è giusto appunto Chiara!): volare per svolgere il lavoro che l’appassiona. Più chiaro di così!?

Da parte nostra – dobbiamo ammetterlo – ci siamo letteralmente sciolti in un brodo di giuggiole quando abbiamo letto nel racconto di Casilda una frase che occorrerebbe scolpire nella pietra miliare di ciascun aeroporto:

“Perché il volo non è solo un lavoro ma libertà […] e la libertà unisce tutti”

Una delle immagini più famose ma anche una delle ultime scattare ad Amelia Earhart davanti al velivolo Lockheed Electra a bordo del quale scomparve nel luglio del 1937 in quella che rimane la sua ultima impresa impossibile: il giro del mondo in aeroplano. Ancora oggi la sua sorte rimane avvolta nel mistero sebbene siano state avanzate le più disparate congetture, più o meno suffragate da reperti fotografici e biologici (foto proveniente da Flickr.com)

Ci piace pensare che l’abbia coniata Casilda medesima con tutta la sua ingenuità e la purezza della sua età. 

Cresci bene, Casilda. Che il tuo volo sia lungo e ti porti lontano … noi saremo qui a leggerti. 



Narrativa / Medio – breve

Inedito

Ha partecipato alla X edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2022


Nota della Redazione: nella foto di copertina uno splendido primo piano a colori della trasvolatrice statunitense Amelia Earhart ritratta davanti al suo velivolo  Lockheed Vega con il quale attraversò l’Oceano Atlantico  nel maggio del 1932 impiegando quattordici ore e cinquantasei minuti, prima donna in assoluto e seconda solo a Charles Lindbergh. 


Nonno canarino


Lassù gli uccellini volano liberi, spensierati e… uniti.

Quaggiù, invece, c’è mio nonno che ha volato tanto.

Io ho un nonno che faceva l’ingegnere aeronautico e costruiva aerei. Quando me ne parla, chiudo gli occhi e mi sembra di essere lassù, nel cielo azzurro, a volare su un aereo giallo, come Canarino, l’aereo della coraggiosissima Amelia Earhart, che è stata la prima donna aviatrice.

Lui ora non può più volare, perché è molto anziano, però fa volare me con i suoi racconti. Io, per ringraziarlo, gli faccio tanti disegni di aerei e lui li conserva tutti. Ha anche alcuni modellini e tante foto degli aeroplani che ha costruito o revisionato durante la sua carriera, come il BR1150 Atlantic, il G222, l’ATR42, l’ATR72, l’F104, il G91 e tanti altri.

Il nonno è stato davvero un po’ un uccellino: anche se prima era un ingegnere, in vista della pensione ha preso il volo. Quando è andato all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli è diventato G.A.R.I. (Genio Aeronautico Ruolo Ingegnere). Pilota lo è diventato solo più tardi.

Lo ha desiderato tantissimo, il suo sogno si è avverato e ha messo le ali.

A me piace volare e sono già andata su qualche aereo, ma mai insieme al nonno.

Avrei tanto voluto fare una volatina con lui, e lui mi fa volare… con la fantasia.

«Nonno, raccontami di quando volavi con gli aerei!» gli dico spesso. E lui, paziente, racconta.

Il primo volo mio nonno l’ha fatto con un famoso collaudatore di volo, il Capitano Peracchi. Il nonno era emozionato, perché era il suo primo volo. Il collaudatore gli aveva spiegato cosa si doveva fare in volo e gli aveva affidato il compito di tenere le comunicazioni con la radio. Ad un certo punto il collaudatore iniziò una tirata a sessanta gradi e gli chiese di comunicare alla radio. Quando mio nonno cercò di premere il bottone per parlare, si accorse che doveva fare uno sforzo per muovere la mano e in quel momento capì che cosa era effettivamente l’accelerazione di gravità, anche se in teoria l’aveva ampiamente studiata all’università. E, anche se sapeva cosa succedeva in volo, si emozionò tantissimo.

Ma questa fu soltanto la prima delle sue avventure…

Dopo che il nonno prese il brevetto di volo, fece molti altri voli, e tra questi mi ha raccontato di quando fece per la prima volta la manovra che si chiama “la vite”. È decollato, è salito a duemilacinquecento metri, ha ridotto pian piano la velocità fino a quando l’aereo non si reggeva più in volo orizzontale. Allora il nonno mosse col piede il timone di direzione tutto da una parte e il velivolo iniziò ad avvitarsi su sé stesso, puntando il muso verso il terreno che si vedeva avvicinare velocemente. Dopo tre giri, il nonno azionò il timone di direzione in senso contrario alla rotazione, che si fermò, e il velivolo ritornò a volare orizzontalmente. Alla fine il nonno, che si era sentito lo stomaco risalire in gola, contento che la manovra fosse andata bene, portò l’aeroplano ad atterrare e tutto si concluse felicemente. L’aereo si chiamava CAP 10 ed era giallo e rosso. E io penso a Canarino, che però era un biplano tutto giallo.

Anche il mio bisnonno paterno era un aviatore e pilotava i biplani. Volava in Cina, negli anni Trenta del secolo scorso, su aerei con la carlinga aperta e ciò gli procurò l’asma da fieno, malattia tipica dei piloti di questo tipo di aeroplani.

Mio zio, il fratello di mia mamma, è pure lui un ingegnere aeronautico e un ufficiale dell’Aeronautica, come suo papà, mio nonno.

Mia mamma, invece, è un’archeologa e non pilota gli aerei, però ha volato anche lei con mio nonno su un P-68, per scattare delle foto aeree ai siti archeologici per la sua tesi di laurea. E alla fine l’istruttore di volo che li accompagnava le ha fatto eseguire la manovra di atterraggio assieme a lui.

Anche io vorrei imparare a volare, ma ci proverò da grande perché ora ho solo dieci anni. Farò la naturalista e userò gli aerei per i miei documentari dall’alto. Non sarò aviatrice per lavoro, ma volerò lo stesso.

Perché il volo non è solo un lavoro ma libertà, secondo me, e la libertà unisce tutti.

Il volo unisce, basta pensare all’associazione aeronautica delle “Novantanove”, la prima unione di donne pilota in un tempo in cui le donne non erano considerate tanto brave quanto gli uomini in molte cose, come pilotare un aereo. Il volo le ha rese uguali agli uomini.

Il volo unisce me, la mamma, lo zio, il nonno, il bisnonno, Amelia Earhart e uomini e donne di tutti i tempi, di tutte le generazioni e di tutti i luoghi. Tutti abbiamo le ali, basta saperle aprire. Come se fossimo tutti una grande famiglia e noi tutti fratelli e sorelle.

Quanti uccellini ci sono nella mia vita!



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Nota della Redazione: in copertina un North American T6 Texan che, con una livrea completamente gialla, fu soprannominato dagli allievi piloti militari italiani: “Giallone”. Assieme al famosissimo Piper J3 pure tutto di colore giallo (ma con il fulmine nero, che ne attraversa la fusoliera)  sono gli equivalenti moderni del biplano Kinner Airster  “Canary” (canarino, appunto) della trasvolatrice statunitense  Amelia Earhart.


Casilda CHIARA Cevoli