La mia AeroNatica

Tutto cominciò con la visita di leva. Ero stato dichiarato “Idoneo 1^ Categoria” e inquadrato nei “Granatieri di Sardegna”, anche se avevo chiesto di entrare nell’Aviazione Leggera dell’Esercito o, se impossibile, in qualche reparto dell’Antiaerea: comunque, non fui arruolato perché studente universitario. In quell’occasione lessi l’avviso di un concorso per AUPC (Allievi Ufficiali Piloti di Complemento dell’Aeronautica Militare) e, allora, considerato il mio fisico atletico avendo fatto molto nuoto e scalato montagne in bicicletta, decisi di parteciparvi pur essendo convinto di non farcela poiché ritenevo i piloti militari dei Super Men! Ed io, con il mio metro e ottantatre di altezza, mi sentivo piccolo piccolo! Da ragazzino avevo fatto un volo in Aeroclub, seduto sullo strapuntino laterale di un minuscolo aereo di legno e tela, gigantesco per me, ed era nata la malattia, la sola della mia vita. A scuola raccontavo di voli fantastici, di lanci col paracadute e, insomma, raccontando balle ci credevo anch’io! Così, dopo essere stato sottoposto ad una complessa visita psicofisica presso l’IML di Napoli (l’Istituto Medico Legale dell’AM) nonché ad accurate indagini (io per fortuna non ero fascista né comunista), avvenne la mia incredibile ammissione al 34° Corso! Abitavo in Sicilia, in un paese della costa tirrenica. Mio padre mi aveva assecondato (convinto anche lui che non ce l’avrei fatta). Ma, pur se contrario a questa mia pericolosa avventura, che peraltro avrebbe interrotto gli studi universitari, vedendomi felice e raggiante mi consentì di partire, non prima di avermi fatto le raccomandazioni di rito! E dopo interminabili tragitti in treno, scesi finalmente a Lecce con la valigia piena di sogni! Giunsi (non ricordo come) all’aeroporto di Galatina, cercai con gli occhi gli aeroplani, li vidi in cielo volteggiare nella finta caccia e già mi sentivo uno di quei fortunati piloti, libero di muovermi nelle tre dimensioni! Intanto mi vestirono, mi diedero un mucchio di libri, una tuta, un casco, un letto a castello ed un armadio tutto mio! La prima notte entrarono in camerata gli allievi del 32° Corso (il 33° era riservato agli allievi piloti sottufficiali); quei simpaticoni, già piloti, erano prossimi alla partenza per altre Scuole o Reparti, dove avrebbero volato con aviogetti e plurimotori. Gli intrusi ci fecero il “culo nero” con spazzola e lucido da scarpa, in quanto eravamo Pinguini con le alucce corte che ancora non ci consentivano di volare! Io mi ero sottoposto sorridendo a quel rito, pensando che fosse propiziatorio come il cosiddetto papello ottenuto dagli Anziani al primo ingresso da matricola nell’atrio universitario. Poi, sull’attenti ma con una mano sul fondo schiena, avevo solennemente dichiarato: “E questa è la mia AeroNatica”, suscitando un coro di risate! Chi di noi si ribellò, venne immobilizzato e debitamente spazzolato più volte nelle notti successive. Il secondo giorno, mentre eravamo in sala mensa (seduti a tavoli per sei con menù) ci furono sottratti i berretti nuovi appesi in anticamera, gentilmente sostituiti dai soliti noti con altri unti e bisunti. Li ripulimmo con acqua e sapone, facendoli tornare quasi nuovi. Quando piovigginava, ci portavano a mensa in pullman. Mi sentivo in paradiso! Iniziammo con le esercitazioni in aula. Ricordo un bellissimo filmato delle nubi, realizzato da un aeroplano che ci volava accanto e sopra! Fuori si marciava. Col sergente istruttore avanti, qualche spiritoso dietro si metteva a fischiettare una marcetta (quella del film “Il Ponte sul Fiume Kwai”: fifu… fufifu… fiffi… fu…) e altri attaccavano con lui! Il sergente rallentava e, quando era dietro, si metteva a fischiare la prima fila! Non era indisciplina ma esuberanza giovanile e felicità di essere in quel posto. “Hai cominciato tu?” Nossignore, rispondevo sull’attenti. “Dimmi chi è stato”. Non lo so, Signore. “Un giro campo di corsa”! Ma … tentavo di replicare … “Due giri campo”! Perciò ubbidivo (prima che diventassero quattro) e me li facevo, anche se non ero colpevole (?), canticchiando allegramente. I guai cominciarono quando ci misero in circolo attorno ad un graduato che, marciando, dovevamo salutare giunti a tre passi da lui: le nostre teste scattavano di lato e alcuni di noi salutavamo all’americana alzando poco il braccio e ponendo la mano aperta, con inclinazione di 45°, alla visiera del berretto. Niente da fare, si doveva sollevare il gomito all’altezza della spalla ed eseguire il saluto con la mano orizzontale, allineata all’avambraccio e con le dita chiuse! Mi esercitavo davanti allo specchio e mi riusciva, tornavo in “circuito” e sbagliavo di nuovo! Un’altra difficoltà era riconoscere i gradi. Alla stazione ferroviaria di Taranto, tempo dopo, ignorai un ammiraglio e salutai solennemente un vigile urbano, che si sentì sfottuto! Finalmente quella manfrinata finì e, in libera uscita, passavo alla larga da ogni persona in divisa diversa dalla mia. C’erano anche gli allievi ufficiali dell’esercito, ma ci snobbavamo a vicenda. E però insieme frequentavamo un bar che faceva affari d’oro perché al bancone c’era Lilly, una bella ragazza, davvero in gamba, che dava corda a tutti … ma non la mollava mai! Col pullman ci portarono in un campo per sparare ai bersagli con la mitragliatrice che aveva un treppiedi bassissimo: stando seduto a gambe aperte non mi riusciva di azzeccare un colpo; così decisi, là per là, di mettermi sdraiato a pancia in giù per mirare sulla canna e, alla prima raffica, per poco non persi l’occhio destro … essendomi scordato del rinculo! Mi aveva certamente salvato la mia AeroNatica! Finalmente cessò la quarantena e ci preparammo, con ansie, paure represse, felicità e pruriti sulla pelle (composite insalate di sentimenti), a volare con quei magnifici Texan T6. All’alba i meccanici li mettevano in moto: li sentivamo dalla camerata lontana ed era musica dolcissima! Il cuore mi diceva che ce l’avrei fatta. Ma prima, a gruppi di cinque, dovemmo recarci in infermeria per essere vaccinati contro il tetano e altri malanni, credo. Ci andai di corsa (stupido!) e, appena arrivato, il medico appoggiò sul mio petto lo stetoscopio e sentì che il cuore pulsava forte, guardò le mie tonsille arrossate (all’epoca fumavo ancora, ma avevo deciso di smettere al primo volo) e sentenziò: “Tu non puoi volare, hai un’endocardite provocata da una tonsillite cronica”. Violenta pugnalata assolutamente inattesa! Mai avuto un raffreddore, un’influenza o una febbre in vita mia, a parte quella che certe mattine mi procuravo strofinando il bulbo del termometro per non andare a scuola. Così avvilito, prostrato, distrutto, affrontai (non sapendo che potevo fare ricorso ad una certa Commissione di Roma) varie assurde peripezie che qui eviterò di narrare. Per dirla in breve, tuttavia, ero sano ma non avevano bisogno di me perché (disse qualcuno) non ero raccomandato! Fra le raccomandazioni del babbo … questa non c’era! Il Comandante di Gruppo, consapevole forse di quella ingiusta condanna, guardandomi negli occhi colmi di lacrime, decise di regalarmi un volo col T6. Mi affidò ad un maresciallo istruttore (che non sapeva nulla di quella mia brutta vicenda) e, dopo il decollo, mi disse nell’interfono di prendere i comandi. Dimenticato il dolore che mi schiacciava il petto, con i piedi poggiati sulla pedaliera presi delicatamente con la mano destra la cloche e mi accorsi che era elastica: per cui non feci nulla, poiché l’aeroplano andava diritto per la sua strada! Giunti sul mare, il pilota istruttore fece lui un paio di virate strette ed io, ritrovata la rabbia nascosta in corpo, di rimando parlai nel microfono: “Tutta qua la sua acrobazia?” Piccato da quella mia insulsa dichiarazione, sparò subito un looping, poi un tonneau, ancora un looping, infine la vite: e mentre l’aeroplano girava vorticosamente in discesa, si disegnò sul parabrezza un bellissimo arcobaleno con più colori di quanto si possa immaginare. Dovemmo, con disappunto, rientrare. A terra, dopo avermi fatto mettere su un solo piede per vedere se vacillavo (ma io rimasi immobile sull’attenti), gli raccontai la triste verità. Rimase di stucco e, scusandosi (ma di che?!), si allontanò a testa bassa. Fui mandato via e tornai a casa in treno. Un viaggio allucinante. Come in trance intravidi un Monaco che mi tirava per il braccio mentre dallo sportello aperto stavo per buttarmi di sotto. Frutto della mia immaginazione? Chissà! Ero stato posto in licenza illimitata e, trascorso il periodo di ferma, m’arrivò a casa, per posta, il congedo militare! Il racconto è vero, non ho esagerato e posso dimostrarlo. Poco dopo, infatti, superai una nuova visita psicofisica allo stesso IML di Napoli e frequentai, negli anni, diverse scuole di pilotaggio conseguendo a mie spese, con sacrifici, tutti i brevetti civili fino al 3°/IFR (pilota commerciale) nonché molte abilitazioni compresa quella di pilota istruttore AG (Aviazione Generale). Ho insegnato fino al compimento dei 65 anni d’età, limite fissato dalla legge e in seguito abolito (sempre fortunato, io!). Alcuni miei ex allievi, figli di Ufficiali, da tempo sono piloti militari; mentre altri, figli di muratori e falegnami, sono piloti di linea o a loro volta istruttori. L’AG mi rimane nel cuore! L’Aeronautica Militare italiana (AMI) … proprio no! Aggiungo che fin dalla nascita del Volo da Diporto o Sportivo (VDS), faccio l’istruttore con soddisfazione in questa specialità, addestrando ancora, a ben 76 anni d’età, tanti giovani appassionati e squattrinati. E così, senza la divisa azzurra che adoravo e che l’AMI non ha voluto lasciarmi, volo ugualmente da quasi 50 anni avendo trovato nel sovrastante cielo nuvoloso squarci di più limpido azzurro … col solo aiuto della mia AeroNatica!


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§ # proprietà letteraria riservata #


Michele Gagliani

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