La voce di Badger

Il caldo era soffocante e quasi tutti i presenti si erano rifugiati sotto il grande gelso che sembrava essere il punto più fresco dell’aviosuperficie grazie ad un filo d’aria quasi sempre presente.

“Guarda guarda”, dissi arrivando, “è una riunione del Club del Gelso o dei Sunday Pilots?”

“Visto che ci sei anche tu”, mi venne risposto, “saranno i Sunday Pilots”.

Avuta la risposta che meritavo, mi unii a quella pigra brigata.

Si stava discutendo di eliche a passo variabile e dell’incremento della corsa di decollo causata dalla temperatura quando il mio vicino mi disse che non aveva ancora visto il mio nuovo aereo e mi chiese di dargli un’occhiata.

“Ma non è nuovo”, mi schernii, “lo ho acquistato usato, ha 130 ore”.

“Beh, quasi nuovo”, mi rispose, “e lo vedrei volentieri”.

Con un pizzico di riluttanza abbandonai quell’oasi ombrosa e ci ritrovammo nella penombra dell’hangar a togliere la copertura dal velivolo.

L’amico lo guardò non ben convinto; “Bella bestia”, disse, “ma è un ultraleggero?”

Lo rassicurai facendogli vedere la targhetta di coda con peso a vuoto e quant’altro.

“Beh, beh”, commentò, “meglio comunque che tu voli con un copilota snello, soprattutto se riempi quei due serbatoi, 130 litri di benzina sono un centinaio di Kg”.

Non aveva tutti i torti e cercai di distrarlo accendendo il glass cockpit che sembrò suscitare il suo interesse. Mi lanciai allora in una esposizione dei vantaggi che il passaggio al digitale offre, concentrando in un solo strumento la visualizzazione ed il controllo di una serie di accessori neppure immaginabili con una strumentazione tradizionale, dalla visione sintetica, all’autostrada nel cielo (Highway in the sky) che, se non hai voglia di inserire l’autopilota, ti guida dove sei diretto infilando una serie di porte come in un videogame, all’ADSB, al FLARM ed al PCAS che ti avverte quando hai qualcuno nelle vicinanze (“con il transponder acceso”, aggiunse, con una punta di malizia, il mio ospite).

Alcune sigle non gli erano del tutto familiari e sembrò un po’ confuso poi disse: “Sarà, ma io preferisco gli strumenti tradizionali, quelli almeno sono semplici da usare”.

Leggermente piccato (ma come, la mia esposizione mi sembrava così convincente!) risposi: “Beh, se sei affezionato agli “orologi”, non è un problema, premi un tasto e…”

Così dicendo, feci comparire sul PFD i sei strumenti tradizionali evitando, per non infierire, di lasciare la visione sintetica sullo sfondo.

“Eh, così sì che va meglio”, disse soddisfatto, “gli manca giusto la parola”.

Non era vero neppure questo, scegliendo il livello di “loquacità” poteva diventare anche troppo ciarliero e, comunque, non c’era verso di evitare che strillasse disperato ‘Terrain! Terrain!’ quando riteneva che un finale fosse criticabile (e colorava anche di giallo, perfidamente, la zona dove riteneva possibile un contatto improprio con la madre terra). Altra inquietante ma ineliminabile fissazione il grido, egualmente disperato, ‘Traffic! Traffic!’ quando qualche altro aereo passava, a suo avviso, ad una distanza poco rispettosa. Ma non avevo alcuna voglia di raccontargli l’effetto un tantino lassativo di questi messaggi su alcuni passeggeri, così mi limitai ad un sorriso di assenso.

Mentre ritornavamo sotto il gelso mi chiese, sapendo che dò sempre un nome ai miei aerei, come lo avessi chiamato.

“Badger”, risposi. Mi aspettavo una richiesta di spiegazioni e non mancò.

“Sai”, gli dissi, “di notte il mio giardino è frequentato da una famiglia di tassi e, pur essendo animali un po’ schivi, siamo entrati in buoni rapporti; gradiscono molto gli spicchi di mela che preparo per loro, in particolare quelli di Golden Delicious. Ecco, mi sembra che il musetto del mio aereo assomigli un po’ al loro e per questo lo ho chiamato Badger cioè tasso in inglese”.

“Ah” , disse, poi mi guardò in maniera un po’ strana e non fece altre domande.

Quella domenica non volai, più per pigrizia che per il caldo, ma mentre ritornavo a casa, pensavo che, con ogni probabilità, non sarebbe stato difficile prelevare un certo numero di dati dallo SkyView che faceva bella mostra di sé sul cruscotto e dare a Badger, attraverso un sintetizzatore vocale, la possibilità di interagire con il pilota al di là dello schema, esteso ma prefissato, previsto dal suo Audio Advisory System.

Una volta arrivato sfogliai il corposo manuale di installazione e trovai rapidamente quanto cercavo. Tra i numerosi canali di comunicazione presenti nello SkyView vi erano anche quattro porte seriali, due delle quali, nel mio caso, ancora libere e rapidamente attivabili dal menù di configurazione. Decisamente sorprendente poi scoprire che il numero totale di misure che potevano venire prelevate era di alcune centinaia; fortunatamente era possibile selezionare, sempre da menù, solo quelle che interessavano. 

A questo punto era possibile disegnare uno schema a blocchi del piccolo sistema che avrei potuto realizzare e pensai ai seguenti moduli:

1) Un microcontrollore per leggere le misure inviate dallo SkyView, elaborarle, gestire i comandi inseriti dal pilota, predisporre le sequenze di controllo del sintetizzatore vocale ed inviarle;

2) Un sintetizzatore vocale;

3) Una unità di alimentazione;

4) Una logica di supervisione della priorità dei segnali audio (comunicazioni, sintetizzatore, musica) da inviare al pilota.

Nella configurazione mi sembrò poi opportuno inserire anche un amplificatore stereo di qualità elevata dato che l’impianto presente sull’aereo era monofonico e non prevedeva l’ingresso di una sorgente musicale esterna tipo lettore MP3, cellulare o altro.

Valutai che il costo totale dei componenti potesse aggirarsi sui 150 Euro e posi tra gli obiettivi progettuali quello di non effettuare un solo foro sull’aereo e di non modificare in nulla l’impianto di bordo se non per l’inserzione di due prese stereo al posto di quelle mono per le cuffie. Considerai anche che sarebbe stato quasi impossibile o, comunque, estremamente scomodo, effettuare la messa a punto del sistema in hangar quindi sarebbe stato opportuno mettere in conto anche la preparazione di un simulatore che fornisse, durante le prove, le sequenze di dati che avrei poi prelevato dallo SkyView. Un lavoretto in più che, tuttavia, mi avrebbe fatto risparmiare tempo e fatica.

Vario materiale era già disponibile e, in pratica, mi restava da scegliere il sintetizzatore e poco altro. Per il vero, ne avevo uno nel cassetto ma, vecchio di dieci anni, era poco flessibile e decisamente scomodo da controllare. Quello sul quale misi gli occhi si presentava invece come un piccolo gioiello in grado di pronunciare correttamente frasi sia in inglese che in lingue neolatine, già dotato di sei profili vocali diversi, peraltro ampiamente modificabili, della possibilità di variare accenti, toni e volume persino all’interno di una stessa frase e, dulcis in fundo, stando alle specifiche, molto facile da controllare.

Mi sembrò assolutamente straordinario, lo ordinai immediatamente e in un paio di giorni la Fedex suonava il mio campanello.

Scelsi poi un Burr-Brown high-end per i canali audio e mi chiesi per chi mai fosse stato progettato un oggetto con distorsione totale e rumore inferiore allo 0,00008%, forse per gli alieni visto che un orecchio umano addestrato non avverte granché oltre lo 0,1%.

Con tutte queste meraviglie tecnologiche a disposizione preparai un progettino ed assemblai un prototipo che mi consentì di restare sorpreso dalla qualità della riproduzione musicale ma … anche da qualche problemino non proprio previsto nella gestione del sintetizzatore dato che non lo avevano dotato di alcun modo di segnalare il termine della pronuncia delle frasi ma solo della segnalazione della acquisizione (praticamente istantanea) delle stringhe dei relativi comandi. Ad ogni buon conto, superato questo problema e testata la logica di controllo delle priorità, mi ritrovai con una ubbidiente scatoletta destinata a prendere posto, fissata con il velcro, sotto il sedile del pilota, collegata ad una unità di controllo a sua volta sistemata nel vano portaoggetti presente tra i due sedili. Avevo rispettato il proposito di non fare alcun foro.

L’unica messa a punto riguardò il settaggio del volume del sintetizzatore e, a questo punto, il giocattolone era pronto per essere programmato in modo da svolgere le funzioni desiderate. Non potei fare a meno di pensare a Mastro Geppetto con il Pinnocchietto appena terminato tra le mani e incrociai le dita; questo almeno aveva bisogno di corrente e nel caso, togliendola, non avrebbe potuto combinare troppi danni.

Iniziai scrivendo le piccole routine che intercettano le stringhe spedite dallo SkyView decodificando le misure di mio interesse, convertendo nodi in km/h ed altre bagatelle di questo genere. Avendo sottomano il simulatore che avevo costruito (in pratica solo un microcontrollore opportunamente programmato ed interfacciato) questo lavoretto fu rapido ed indolore. Ora, divertente o meno che fosse, dovevo scegliere le funzioni da implementare e scrivere i relativi software.

Mi sembrò logico partire dai controlli pre-volo senza tralasciare una breve frase di benvenuto e presentazione (Welcome on board. My name is India Bravo ecc.). Scordavo; la scelta era caduta in maniera naturale sull’inglese per la maggiore compattezza lessicale, per l’eccellente pronuncia di ‘perfect Paul’ (il profilo vocale scelto) e per il fatto che, volenti o nolenti, ce la ritroviamo come lingua ufficiale nel mondo dell’aviazione.

Dopo questi convenevoli inizia, con teutonica precisione, una lista di richieste (es. Arm emergency parachute). Al termine di ognuna il pulsante di conferma sull’unità di controllo si illumina di un blu intenso ed occorre premerlo per avere la conferma dell’operazione eseguita ed una nuova richiesta.

Alla fine della litania un beneaugurante “Ready for departure” gratifica, se tutti i controlli sono stati superati, la diligenza del pilota. Ovviamente un foglietto o la checklist caricata sullo stesso SkyView può svolgere la stessa funzione; questa però è più efficace e veloce e vale decisamente il modesto sforzo della sua preparazione. In pratica svolge compiti normalmente gestiti dal secondo pilota ma senza alcuno spiraglio per dimenticanze.

Al secondo modulo (attivato dalla posizione successiva del selettore) affidai una funzione di supporto nella fase di decollo che inizia con la lettura continua della velocità fino a raggiungere quella di rotazione, alla quale arriva il deciso suggerimento: “Rotation!”. Segue la lettura continua di velocità e quota fino al momento di ritrarre i flap al quale, come è facile immaginare, si è raggiunti da un “Retract flaps” che non ammette repliche e si è anche tenuti a confermare questa operazione.

Per la verità, pur non avendo difetti formali o necessità di modifiche, non apprezzo particolarmente questo modulo e non lo attivo quasi mai; a quale velocità effettuare la rotazione preferisco sentirmelo comunicare direttamente dall’aereo e non dal grillo parlante.

Il modulo successivo, dedicato alla crociera, ha un compito di tutto riposo; si limita infatti a ricordare, con la frequenza impostata dal pilota, prua magnetica, velocità indicata e quota barometrica.

Arriviamo così al modulo più delicato ed indaffarato, dedicato alla preparazione dell’aereo per l’atterraggio ed allo stesso atterraggio. E’ piuttosto improbabile che un pilota scordi qualche passaggio in questa fase; in ogni caso la sequenza delle istruzioni specifiche (quota e velocità nelle varie fasi, flap, passo dell’elica, luci e quant’altro) vengono ricordate chiedendo anche conferma per alcune delle operazioni (es. effettiva inserzione dei gradi di flap previsti). Durante il finale l’unica informazione ripetuta (con frequenza elevata) è la velocità.

L’ultimo modulo è dedicato ai controlli post volo, da quelli più ovvi come la ritrazione dei flap a quelli talvolta trascurati come il confronto tra il carburante presente nei serbatoi e quello indicato dal Fuel computer.

Il grillo parlante, come ho battezzato questo oggetto, svolge in maniera accurata il compito che gli è stato affidato, restando in paziente attesa per il tempo necessario ogni volta che una comunicazione interrompe l’operazione che sta svolgendo. Ha però un lessico un po’ limitato e non fa mai osservazioni inattese; magari, quando troverò un momento, gli darò un briciolo di autonomia consentendogli di fare qualche commento tutto suo in maniera non inopportuna ma nemmeno prevedibile. A dire il vero, qualcosa gli avevo già concesso, provvisoriamente, durante la scrittura del software, lasciandogli assemblare, in alcune circostanze, frasette diverse di significato analogo. Lo avevo però rapidamente epurato dopo che, per un modesto ritardo nel ritrarre i flap mi sono sentito apostrofare da un “Would you please retract those bloody flaps?”, più o meno “Ti vuoi decidere a metter dentro quei fo**uti flap?”.

Certamente colorito, magari anche efficace, ma non è quello il modo!


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

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Roberto Giudorzi

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