L’incontro

Salgo, in una bella giornata di inizio estate, verso la cima del Blinnenhorn in compagnia di un guardiano della diga. Ci siamo incontrati sulla stradina di coronamento della diga, c’è ancora molta neve e lui deve andare a rilevarne lo spessore in una zona pianeggiante, appositamente preparata, distante un paio di Km. Con il bel tempo, questa incombenza è, per lui, una piacevole passeggiata con gli sci. Non capisco l’utilità di un simile rilevamento e lui, stupito dalla mia ignoranza, precisa che quel dato, cioè il tipo e lo spessore della neve, permette di stabilire la riserva d’acqua per l’invaso, allo scioglimento estivo del manto nevoso. Assisto incuriosito al rilievo, peraltro molto rapido, e poi iniziamo la salita alla vetta. Il guardiano è un montanaro giovane, allenato e con il suo passo mi fa sputare anche l’anima, ma ce la faccio ad arrivare in vetta assieme. Ci sediamo, meglio, lui si siede mentre io mi accascio sul ghiaccio. Facciamo quattro chiacchiere, giusto il tempo per riprendere fiato emi dice “Devo scendere alla diga, mi aspetta il mio collega … se non fai troppo tardi, fermati nella nostra casetta che ti preparo un piatto di spaghetti” Inforca gli sci e con una serie di eleganti curve, scompare alla mia vista. Sono solo e dolcemente sprofondo in uno stato di contemplazione dell’immenso che mi circonda … quante vette … ne riconosco molte e, per ognuna affiora il ricordo del viso di un amico, o di un momento di felicità o di una terribile bufera … Mi abbandono al riposo accarezzato dal tepore del sole Il silenzio è perfetto ma … ma sì … mi sembra di percepire, molto lontano, il rombo di un motore che si avvicina … ma strano … non mi sembra il solito rombo di un aereo dell’aviazione generale. Trattengo il respiro per sentire meglio … sì, quel rombo che si avvicina non lo riconosco … poi avverto, confusamente dentro di me,ricordi di tempi lontani. Aguzzo lo sguardo e vedo un puntolino d’argento che si avvicina più o meno all’altezza della vetta … ma quel rombo non lo riconosco, non riesco a collegarlo a nessun aereo … e sì che sono pilota anch’io, da sempre mi interesso d’aerei, della loro progettazione e costruzione, della loro storia, vivo tra gli aerei. Seguo con sempre più ansia l’avvicinarsi di quel puntolino e poi … sì, riconosco quel rombo, è da decenni che non lo sento ma non ho mai potuto scordarlo, è il rombo di un grosso motore stellare! Ora l’aereo è sufficientemente vicino, è un bimotore … E nel cuore mi esplode la felicità … è un Dakota … un Dakota tutto per me in questa immensità assoluta! Sono sempre più incredulo, il sogno di un incontro che aspetto da molti decenni è qui ora, in pieno cielo, a 3400 metri di quota, lui nell’aria, io sul ghiaccio. Bello, grande, accompagnato dal rombo possente dei suoi stellari, si avvicina alla mia stessa quota, spostato poche centinaia di metri dalla vetta! Balzo in piedi, col cuore in gola,ed agito in alto le braccia in segno di saluto … mi sembra, o forse sogno, che mi risponda battendo dolcemente le ali. Il mio animo è in subbuglio, infiniti ricordi si accavallano da quella visione, da quel rombo che poi si allontana e si trasforma in un brontolio, poi in silenzio. Solo sulla vetta,tutto il mio essere è travolto dai ricordi … Piccolissimo, rimanevo incantato da puntolini argentei che riempivano il cielo con il loro possente rombo che faceva tremare i vetri e tintinnare le stoviglie nella credenza. La nonna mi metteva al sicuro sotto il tavolo spinto contro l’angolo tra due pareti, ma io volevo vedere e sentire quel possente rombo che non mi spaventava ma mi faceva desiderare di essere là, in alto, tra le grandi nuvole bianche. Poi, all’improvviso, il cielo diventò deserto e silenzioso, la guerra era finita. E negli anni successivi, quando contemplavo un bel cielo estivo con le sue grandi nuvole bianche, speravo, ma invano, di rivedere un puntolino argenteo e sentirne il suo rombo. Ora è silenzio sulla vetta inondata di sole e l’anima si acquieta dall’emozione e dallo stupore di quell’incontro. La memoria, liberata dai veli del tempo mi riporta a quei primi ricordi o, forse meglio, a quei sogni che hanno segnato lo scorrere della mia vita. I cieli erano ridiventati deserti ma li riempivo con i miei sogni. Crescevo e arrivavano le prime riviste aeronautiche che non leggevo, bevevo. Il tempo passava e dalle mie mani uscivano i primi aeromodelli. A scuola ero studente di costruzioni aeronautiche. Ti ricordi, Mario, quando, giovani studenti, passeggiavamo negli immensi piazzali invasi dall’erba della grande fabbrica di aeroplani ormai chiusa da anni. Cercavamo qualche bulloncino, qualche lamierino, qualche segno che ricordasse un aeroplano. Ma un immenso silenzio ci schiacciava, un silenzio che sapeva di cose ormai morte. Crescevo, l’amore, la famiglia, ed il cielo ha ricominciato a vivere. Non più possenti rombi di stellari, ma sibili e boati dei rettori. Costruire i primi ultraleggeri tubi e tela e saltellare nei prati Il brevetto, costruirsi un aeroplano e poi voli bellissimi con un Falco F8L perfettamente restaurato. Quante amicizie, quanti cari volti di noi che voliamo inseguendo il sogno. Icaro è nostro fratello. Tutto questo il mio cuore sente, nel silenzio, sulla vetta ghiacciata. Grazie, lontano puntolino d’argento venuto a trovarmi nell’immenso. Mi stiro le membra, fisso bene al sacco i ramponi e la piccozza, calzo gli sci e scendo a valle. La neve è buona, mi lancio felice in curve ampie e morbide, le braccia allargate a fare l’aeroplanino.

 


 

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Antonio Biraghi

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