Quant’è bello volare

L’aria tersa e pungente del mattino si insinuava turbinando tra le fronde degli alberi resi multicolori dai primi brividi dell’autunno. Il verde carico e intenso delle foglie più forti si sposava col rossiccio di quelle che iniziavano ad avvizzire, e risaltava sul fondo di quelle marroncine che avevano ormai portato a compimento il loro ciclo di vita. Al di sotto del bosco la montagna digradava con un declivio né dolce né irto, che dopo un po’ si interrompeva bruscamente, offrendo lo spettacolo di una ripida scoscesa su cui gli edelweiss faticosamente si abbarbicavano. Era l’ambiente ideale per gli amanti degli ultraleggeri e dei deltaplani che, infatti, in quella zona avevano installato la loro pista di lancio. Molti erano gli appassionati che si spingevano appena possibile a quella base di partenza che la Natura, nella sua magnanimità, aveva voluto offrire a quanti prediligevano le distese del cielo alle lunghe code in colonna, inscatolati come sardine, per raggiungere i più rinomati ed affollati luoghi di villeggiatura. Del resto, le correnti d’aria che rotolavano a valle rimbalzando nella profonda conca in cui correvano gorgogliando e spumeggiando le acque chiare del fiume, tornavano a risalire potenti, garantendo, a tutto ciò che incontravano nel loro percorso, la possibilità di un duraturo sostentamento che poteva durare anche parecchie ore. Il tempo era dunque ideale. Occorreva aspettare l’attimo giusto. Quand’ecco … un colpo di vento più intenso degli altri si precipitò giù per la china, la strappò dal suo sostegno e la sollevò di colpo. Era libera e librante, sospesa nel cielo azzurro, sostenuta dal vento e dalle correnti che, graziosamente, parevano condurla secondo il suo desiderio. Era felice: il vento la percuoteva, ma con delicatezza, mentre si muoveva ondeggiando secondo le correnti, sorvolando picchi aguzzi e scoscesi, dove erano tornate a nidificare le grandi aquile bianche, dove muschi e licheni a fatica contendevano lo spazio al gelo ed alla neve. Più in basso, sui pascoli alti, il bestiame, impegnato nel suo monotono ruminare, costituiva un insieme di chiazze chiare e biancastre tra il verde del trifoglio; ma si trattava di uno spettacolo che durava solo un breve fiato: le correnti ascensionali la portarono su, molto più su, a quote in cui l’aria stava diventando particolarmente fresca, nella trasparenza assoluta dei cristalli di ghiaccio che iniziavano a condensarsi. Una bianca nuvola, simile a un insieme di batuffoli di cotone, si avvicinava rapidamente. Penetrò in quella nebulosità tenue, in cui lo splendore del Sole si affievolì mostrando il disco di un giallo pallido dell’astro la cui esistenza garantiva la permanenza della vita sul pianeta. L’umidore delle goccioline che si condensavano la appesantì di quel tanto che bastava a provocare un inizio di discesa verso livelli più convenienti. Il velo che si opponeva alla forza del Sole divenne sempre più tenue e, dopo poco, si diradò completamente facendola ripiombare in mezzo ad una luce abbagliante. Il calore e l’aria asciutta aiutarono l’evaporazione del sottile strato liquido che si era formato e il vento tornò ad essere il suo padrone. Lentamente, senza fretta, la gravità tornò a fare sentire la sua influenza e, complice un improvviso calo del vento, perse quota rapidamente. Il pensiero di schiantarsi non increspò neppure per un attimo la sensazione di levità e di gioia che la pervadeva: era libera! Libera di muoversi nel cielo. Libera di vagare dove nessun essere umano avrebbe mai potuto permettersi di andare. Con la stessa subitaneità il vento la riprese e la trasportò ancora in alto. “Lingua mortal non dice …” : ecco, proprio questo era il punto. Lo stato di ineffabilità era stato raggiunto. Non avrebbe saputo assolutamente trovare come esprimere quello stato di completa comunanza ed assonanza con la Natura, con le sue forze e con tutte le manifestazioni che, a volte, ad occhi e cuori offuscati, potrebbero sembrare crudeli ed insensibili: la potenza di un tornado, lo scatenarsi della furia devastatrice di un’eruzione o di un terremoto. Tutto questo e altro ancora “sentiva” entro di sé, mentre svincolata dalle catene del peso si librava senza posa in quello scenario che aveva un che di divino. Ma tutto quello che di più bello proviamo, prima o poi deve terminare. Il vento stava declinando con dolcezza, trasformandosi in una lieve brezza, quasi tiepida. Assecondandone la natura e l’invito, cominciò una lenta discesa, rotta soltanto da qualche subitaneo refolo che la faceva impennare ancora ogni tanto verso l’alto da cui, ondeggiando, tornava verso quote più miti. Lentamente, con calma, cercando di assaporare ancora quello che la Natura benigna poteva offrirle, iniziò la planata finale. In basso gli armenti continuavano il loro lento ruminare. Il vento le permise di compiere una larga virata, mostrandole lo splendore di un paesaggio autunnale dai colori accesi e variegati attraverso un’atmosfera assolutamente cristallina. Là in basso un fiumiciattolo segnava con riflessi argentei una strada percorsa da pesci guizzanti alla ricerca della loro pastura quotidiana. Chiazze marroni e verdi in varie tonalità denotavano i campi seminati con i vari frutti che la terra avrebbe prodotto nella prossima estate. Le colline, coperte di vigneti, facevano bella mostra di sé, con i grappoli di diverso colore che si confondevano col verde intenso del fogliame. La discesa ora si faceva più decisa: sempre in compagnia del vento che, graziosamente, l’accompagnava nell’ultima fase del suo volo, vide la terra avvicinarsi sempre di più. Ormai di lì a poco quel sogno di leggerezza si sarebbe spento definitivamente. Cominciò a girare in volute sempre più strette, diminuendo contemporaneamente di quota. Erano gli ultimi istanti di quella beatitudine. Una pozzanghera si avvicinava sempre di più. Ondeggiando riuscì a superarla per raggiungere un tratto di un sentiero senza erba, dove finì col posarsi delicatamente. Un uomo si avvicinò, calzando pesanti scarponi e, senza neppure degnarla di un’occhiata, schiacciò quella foglia ormai secca che, per una frazione di eternità aveva conosciuto la voluttà del cielo.


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Roderigo di Brankfurten

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