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1933, LA CONQUISTA DI UN RECORD


– RAV

– 709,202

– AS6

–23/10/34

– M.C. 72

– 3000

Vi dicono qualcosa questi numeri e lettere apparentemente casuali? No?

Se aggiungessimo alcune nomi di luoghi o persone e termini tecnici?

– Desenzano del Garda

– rosso corsa

– alberi coassiali

– Lago di Bracciano

– Francesco Agello

– FIAT

– idroscalo

– record

– museo

Ancora non vi sovviene niente?

E allora se vi svelassimo queste altre informazioni?

– Castoldi

– idrocorsa

– Vigna di Valle

– Italo Balbo

– eliche controrotanti

– Mario Bernasconi

– Lago di Garda

– idrovolante

in tandem

– Tranquillo Zerbi

– Coppa Schneider.

Desistete? Buio totale? Beh … allora vi confesseremo che, in questo guazzabuglio di dati che ha le sembianze di un groviglio insignificante piuttosto che di una vera e propria guida sinottica, vi assicuriamo che una logica c’è, eccome.

Lo stesso senso logico che sta alla base del racconto di Roberto Ferri, apparentemente sconclusionato, in alcuni punti misterioso ma in realtà, a ben leggerlo, articolato e addirittura sorprendente per alcune trovate a effetto.

Il vero protagonista diel racconto di Roberto Ferri è questo mitico Macchi Castoldi M.C.72, matricola militare MM181, ritratto in uno scatto del 1999 presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare italiana di Vigna di Valle. In effetti sappiamo che, purtroppo, due esemplari furono perduti in incidenti di volo in cui persero la vita il capitano Giovanni Monti e il tenente Stanislao Bellini, il terzo con matricole militari MM177 fu quello che raggiunse per la prima volta nel 1933 il record di velocità con Agello – proprio quello citato nel racconto – e poi un quinto con matricole MM181 che è il detentore del record assoluto di 709 Km/h sempre conseguito da Agello nel 1934. – Foto proveniente da www.flickr.com

Ma procediamo con ordine nello svelare il mistero dei dati disordinati.

Il 23 ottobre 1934 venne scritta una delle pagine più gloriose della storia della Regia Aeronautica, l’Aeronautica Militare italiana dell’allora Regno d’Italia. Venne stabilito – ed è a tutt’oggi imbattuto – un record di velocità per la categoria di velivoli in grado di decollare e atterrare da superfici marine o lacustri, detti tecnicamente idrovolanti. In effetti si trattava di idrovolanti da competizione, da cui il termine più corretto idrocorsa.

Lungo le rive del Lago di Garda, nello specchio di lago antistante la radiosa cittadina di Desenzano del Garda, per volere di Italo Balbo, allora Sottosegretario della Regia Aeronautica e suo grande promotore in seno al regime fascista, aveva preso sede da alcuni anni un reparto di volo assai particolare. Si trattava del Reparto Alta Velocità – da cui l’acronimo RAV – che utilizzava l’esistente idroscalo di Desenzano per addestrare i suoi piloti in quello che, fondamentalmente, costituiva il tentativo italiano di aggiudicarsi un trofeo internazionale assai prestigioso quale la Coppa Schneider.

Il record è raggiunto: velivolo e pilota meritano lo scatto che, a beneficio dei posteri, ne incorona i meriti e le indubbie capacità. Agello verrà promosso sul campo (anzi sull’idroscalo) al grado di sottotenente e, dopo qualche anno, di tenente. Gli verrà inoltre conferita la MOVA (medaglia d’oro al valore aeronautico) mentre L’M.C.72 verrà posto in naftalina e conservato come una reliquia sacra nel santuario della storia dell’Aeronautica Militare Italiana che prende il nome di Museo Storico di Vigna di Valle. Purtroppo, tenuto conto dell’unicità delle soluzioni ingegneristiche adottate, questo velivolo non ebbe seguito o comunque non ebbe alcuna ricaduta tecnologica sui velivoli di serie, militari e non, e dunque si aggiunge alla lunga lista di velivoli da record che l’industria aeronautica italiana produsse a ridosso della II Guerra Mondiale senza alcun ritorno in termini di impiego bellico. Ma ci pensate ad un caccia (tipo il Macchi 205 Veltro) con un motore sviluppato da un motorone del genere? Altro che Rolls-Royce Merlin, altro che Daimler Benz DB 605! – Foto proveniente da www.flickr.com

Il reparto era affidato all’allora tenente colonnello Mario Bernasconi, un ingegnere-pilota- collaudatore già comandante del Gruppo sperimentale di Montecelio-Guidonia.

Nel tentativo di raggiungere il record di velocità alcuni piloti erano già periti in incidenti di volo sicché la sua scelta cadde quasi inevitabilmente sul talentuoso maresciallo pilota Francesco Agello. Anche perché, in termini antropometrici, egli aveva la taglia ideale per entrare nell’abitacolo assai angusto dell’idrovolante allora disponibile. Si trattava del M.C.72, costruito appositamente dall’industria aeronautica Macchi e progettato con italica genialità dall’ingegner Mario Castoldi.

L’idrocorsa era un portento di ingegneria meccanica e di aerodinamica votata alla velocità. Il suo motore, anzi i suoi motori, erano stati appositamente allestiti dall’ingegnere Tranquillo Zerbi della FIAT che, di fatto, aveva messo in fila due motori (tecnicamente si dice in tandem). Aveva creato così il supermotore denominato AS6. Sviluppava complessivamente 3000 cv di potenza. Un mostro!

Ancora una bella immagine che mette in risalto le linee affilatissime disegnate dall’ing. Castoldi. L’ala assomiglia a una lametta, la fusoliera è sagomata letteralmente attorno al motore AS6 e gli scarponi sono dimensionati quanto basta per assicurare il galleggiamente dell’idrocorsa, niente di più, giacchè costituiscono una fonte notevole di resistenza di avanzamento all’aria (oltre che all’acqua). Sia l’ala che gli scarponi sono coperti da lastre in ottone che recano tubetti delo stesso materiale utilizzati a mò di radiatori per il raffreddamento dell’acqua e dell’olio del calorosissimo motore FIAT. – Foto proveniente da www.flickr.com

Ma l’intuizione più fantasiosa era stata quella di dotare ciascun motore di una propria elica bipala collegata ad esso tramite un proprio albero, uno esterno e l’altro interno – coassiali, appunto – . Le eliche ruotavano una in un senso e una nell’altra; per questo motivo vengono usualmente chiamate controrotanti.

L’idrocorsa era un vero missile verniciato di uno splendido rosso, rosso corsa, appunto.

Qui giunti, dovreste avere un quadro abbastanza chiaro di tutte le informazioni misteriose di cui all’inizio … rimangono solo … ah, ecco … il record fu stabilito e poi migliorato ulteriormente, eccome, fino a raggiungere la spaventevole velocità di 709, 202 km/h!

Questa è una di quelle foto che, quando di parla di record di velocità per idrovolanti, di M.C. 72 e di Francesco Agello non può mancare. Il pilota di Castelpusterlengo, classe 1902, perì nel novembre del ’42 a seguito di una collisione in volo nei cieli dell’aeroporto di Milano-Bresso. Era ai comandi di un Macchi M.C.202 che stava collaudando. Il destino volle che si scontrasse con un velivolo dello stesso tipo pilotato dal colonnello Guido Masiero, ex asso della I Guerra Mondiale, divenuto famoso per aver partecipato nel 1920 al raid aereo Roma-Tokyo assieme ad Arturo Ferrarin. Le malelingue non potranno fare a meno di notare come, rispetto all’idrovolante, Agello risulti piuttosto piccino … e non a causa delle dimensioni immense della macchina volante che immensa non era davvero. In verità, le cronache dell’epoca riportano l’immagine di un pilota minuto, di statura di poco superiore al metro e sessanta, quasi tascabile … giusto appunto a misura perfetta di M.C.72! – Foto proveniente da www.flickr.com

E il velivolo?… dopo quel fatidico giorno fu religiosamente custodito negli anni a venire e oggi fa bella mostra di sé nella sezione degli idrocorsa presenti all’interno del Museo storico dell’Aeronautica Militare italiana che ha sede sulle rive del Lago di Bracciano, presso l’ex idroscalo di Vigna di Valle.

Svelato il mistero, spiegati tutti i dati elencati all’inizio! Sì, d’accordo, ma che c’azzecca il racconto di Roberto Ferri?

E allora ecco delle informazioni utili:

– studenti

– sorriso

– gita scolastica

– amore

– Lago di Bracciano

– esami di maturità

Niente? Ancora buio totale? Alzate le mani?

D’accordo … e allora ve ne anticipiamo i dati salienti.

Un dettaglio delle eliche bipala metalliche che l’ing. Castoldi decise di adottare per il suo idrocorsa. Girando sullo stesso asse ma in senso inverso una rispetto all’altra, le eliche eliminavano completamente la terribile “coppia di reazione” che si innesca quando il velivolo è dotato di elica singola. In effetti, in un aeroplano (con carrello che appoggia sulla pista) l’elica tende a caricare in misura maggiore una gamba rispetto all’altra ma in un idrovolante vuole significare che un galleggiante è talmente caricato da affondare quasi completamente nell’acqua. In queste condizione diventa difficile flottare, difficilissimo prendere velocità e involarsi con una traiettoria diritta. Sul M.C.72 il problema non sussisteva proprio e, almeno in questo, Agello l’ebbe facile. All’impresa di Agello sono dedicati alcuni volumi lodevoli e un testo giornalistico che troviamo illuminante nonchè piacevolissimo da leggere:  “Agello, il fantino del cielo”. Lo potrete apprezzare all’indirizzo:  https://www.squadratlantica.it/si-chiamava-francesco-agello/ – Foto proveniente da www.flickr.com

Alla vigilia degli esami di maturità, un variegato gruppo di studenti fa tappa al Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle con una parte dei ragazzi intenti a godersi i preziosi cimeli della storia dell’aviazione mentre le ragazze, più verosimilmente, sono interessate al bagno nelle fresche acque del lago di Bracciano; tutti assieme nello stesso luogo prima che il passaggio definitivo alla vita adulta li separi inesorabilmente.

L’ideatore dell’insolita gita scolastica è la voce narrante del racconto e sarà proprio lui che, complice un contatto folgorante con l’M.C.72, si troverà catapultato nel luogo, nel momento e nei panni esatti del maresciallo Agello che sta per salire a bordo dell’idrocorsa … e il resto è storia!

L’invenzione del salto spazio-temporale non è certo nuova nell’ambito letterario e/o cinematografico, tuttavia l’autore la spende in modo oculato ed equilibrato in quanto, anzitutto, consente al lettore completamente digiuno di storia aeronautica, di apprendere dell’esistenza di un primato di velocità per idrocorsa; viceversa, al lettore più ferrato di questioni aeronautiche, concede dei dettagli a proposito di quell’impresa, innegabilmente “succosi”.

Lode dunque a Roberto Ferri per aver assurto all’attenzione di noi tutti questa pagina memorabile – quanto dimenticata – della storia del nostro paese. E bravo!

Purtroppo, differentemente da noi, devono aver pensato i giurati di RACCONTI TRA LE NUVOLE che hanno ritenuto questo racconto non meritevole di accedere alla fase finale del premio letterario. Peccato!

Il color rosso corsa dona enormemente a questo purosangue dell’aria (e dell’acqua) che è il Macchi M.C. 72. Lo scatto (recente) lo mostra adorno di cartelloni esplicativi  nonchè di un esemplare di motore FIAT AS6 “nudo”, ossia privo delle cappottature motore, che era a bordo di uno dei cinque esemplari di M.C. 72 costruiti dalla Macchi. – Foto proveniente da www.flickr.com

E dire che l’autore, partecipando per la prima volta alla scorsa edizione e classificandosi in XIXma posizione, lasciava ben sperare con questo racconto … vorrà dire che sarà per la prossima! Intanto siamo lieti di concedergli un angolo “liquido” del nostro hangar … sì, avete letto bene: “liquido”, in quanto il suo racconto non può rimanere all’asciutto come tutti gli altri, ne convenite?

A parte gli scherzi, inutile sottolineare che a noi il racconto è piaciuto sebbene il suo prologo sia un poco lento e occorra aspettare qualche riga per intuirne la componente aeronautica. Ad ogni modo, la trama trova poi il suo sviluppo veloce e sicuro fino all’epilogo finale che suona come un vero e proprio messaggio rivolto alle giovani generazioni anziché del protagonista verso sé stesso.

La prosa è piacevole, ben architettati i dialoghi nonché i profili caratteriali dei personaggi.

Accanto al MC72 è posizionato il cuore pulsante dell’idrocorsa: il motore Fiat AS6, acronimo di: “Aviazione Spinto” nr 6. Nell’impossibilità di un ulteriore sviluppo del suo predecessore AS5, l’ingegner Tranqullo Zerbi del Reparto Progetti Speciali della Fiat Aviazione ebbe un’intuizione folgorante: mettere uno contro l’altro, in tandem due motori AS5. Così facendo avrebbe realizzato un motore a 24 cilindri a V in linea raffreddato a liquido con cilindrata di circa 50 litri e una potenza di 2300 cv aumentabile per brevi periodi a 2800 cv. Niente di più facile, in linea teorica ma assai complicato in termini pratici. La messa a punto dell’AS6 fu infatti lunga e perigliosa: le terribili vibrazioni che puntualmente si innescavano provocarono l’interruzione di diversi tentativi di volo record, la carburazione assai problematica abbinata a difficoltà di fornire un’adeguata alimentazione di carburante fu motivo di grandi preoccupazioni giacchè erano pressochè continui i ritorni di fiamma con conseguente rischio d’incendio della cellula. Non ultimo occorreva smaltire il notevolissimo calore assorbito dal refrigerante e dall’olio motore senza ricorrere a ingombranti radiatori. Infine il motore doveva necessariamente rientrare nelle specifiche di peso e consumi stabiliti dal Ministero dell’Aeronautica giacchè la cellula era proporzionata a un motore di non più 900-950 chili di peso e i serbatoi (collocati negli scarponi di flottaggio) non avrebbero potuto alimentare un motore troppo assetato o comunque per un periodo di tempo superiore a quello necessario a percorrere il circuito di gara.Tutte questi gravi problemi furono superati non senza difficoltà (e lutti) tanto che il motore AS6 conseguì il suo esclusivissimo record a bordo di un idrocosa da record: ancora oggi è il motore a pistoni italiano più potente mai costruito e installato a bordo di un velivolo. – Foto fornite dall’autore del racconto

Da buon ingegnere, l’autore non si lascia andare a descrizioni inutili, a sentimentalismi gratuiti, a una facile retorica. Il testo risulta equilibrato: non succinto, non prolisso. L’episodio di Agello viene narrato senza trionfalismi, senza faziosità. È solo un uomo, un pilota, un militare, non è un esaltato ma neanche un pavido.

Un racconto che innesca la voglia, qualora non l’abbiate mai soddisfatta, di correre al Museo di Vigna di Valle che, per inciso, l’autore conosce bene se è vero – a detta del nostro servizio di intelligence – che ha risieduto per qualche anno presso Anguillara Sabazia, ridente cittadina poco distante dal Museo.

Il racconto, ovviamente, non è uno spot gratuito a favore del Museo – anche perché non ne ha bisogno -, semmai permette di visualizzare degli scorci di un luogo magico in cui taluni amanti dell’aviazione vorrebbero prendere domicilio fisso mentre i più ragionevoli preferirebbero  trascorrere periodicamente una giornata intera – salvo essere allontanati cortesemente dal personale di sorveglianza in occasione dello scadere dell’orario di chiusura – . Facciamo almeno una volta all’anno?!

Leggendo il racconto “1933, la conquista di un primato” troveremo un passo che è il manifesto del Museo Storico di Vigna di Valle. Eccolo: ” Ho visitato almeno cento volte il museo […]. È sempre una novità perché è un luogo in continuo cambiamento. Non ricordo due visite uguali, c’è sempre qualcosa di diverso.” Sottoscriviamo in pieno quanto sostiene la voce narrante/protagonista. – Foto proveniente da www.flickr.com

Che poi i velivoli lì custoditi abbiano qualcosa di magico è innegabile … dunque ammetterete che, in fin dei conti, non avrà nulla di sovrannaturale quanto accadrà al nostro protagonista. Cosicché non vi stupirete se, all’ultima sillaba del racconto esclamerete: “Accidenti! … perché a me non è mai capitato?”

Ovvio, ci viene da rispondere: se a Vigna di Valle non ci siete mai andati …



Narrativa / Medio – Lungo

Inedito

Ha partecipato alla VIII edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2020


1933, la conquista di un record


Sono stanco.

Sarà il caldo torrido di questi giorni, sarà l’ansia per gli esami di dopodomani che inizia a farsi sentire.

Stanotte ho dormito poco e male.

Diciamo la verità, oggi sono venuto solo per vederla.

Se solo sapesse quello che provo per lei. Valeria! Vorrei poterglielo dire ma non ci riesco, anche se traspare lo stesso.

L’universo femminile si accorge di certe cose e lei se n’è già accorta.

Lo sa e le piace giocarci sopra. Senza malizia, perché non è presuntuosa come tante altre, è diversa, per questo mi ha fatto perdere la testa.

Credo che se non fosse per la sua migliore amica che è invaghita di me, magari sarebbe tutto più facile e forse sarebbe già tutto scritto, ma io non sono una ragazza, certe cose non le capisco come fanno loro.

Il dubbio mi sale perché di Ilaria l’ho capito bene e subito. Mentre lei rimane un mistero.

Cosa pensi? Cosa provi? Non riesco a decifrarti, so solo che mi piaci!

Tutti hanno una cotta per te e a volte ne sono geloso. Lo so di non avere nessun diritto di esserlo ma non sopporto vedere qualcuno fare il cascamorto con te. Soprattutto quell’inglese lì, che mi sta proprio sulla bocca dello stomaco e mi brucia quando gli dai spago! Se devo competere con lui so di partire svantaggiato, non ho i suoi soldi e non mi pavoneggio come lui, ma so anche che tu vai oltre l’apparenza e lì la situazione si ribalta.

A parte quell’inglese e il fratello, mi trovo bene con i miei amici.

Ridiamo, scherziamo, insomma, ci divertiamo.

So che non durerà per sempre questa spensieratezza, ma non vorrei che sia giunta al termine così presto con la fine della scuola.

Le nostre strade stanno per dividersi a causa delle nostre scelte.

Eppure non sarebbe difficile mantenere i contatti, siamo un gruppo unito, ma per sentito dire da fratelli e amici più grandi, ci si perde di vista col tempo. A volte le persone con cui abbiamo condiviso quei giorni che ricordi per sempre, diventano soltanto dei volti tra la folla.

C’è Massimo che, come me, non ha ancora deciso cosa fare dopo la scuola. E’ l’ultimo che si è aggiunto al gruppo, ha cambiato liceo due anni fa, da quando i suoi genitori hanno preso in gestione un negozio nel nostro quartiere.

Lo considero il mio migliore amico, siamo come fratelli, basta uno sguardo ed è già intesa per combinare qualche guaio. È l’unico che mi conosce veramente.

Insieme siamo gli scalmanati del gruppo, quelli che sono sempre sulla bocca dei professori. Non per essere elogiati ovviamente.

Siamo uniti dalla stessa passione per le auto, le moto e gli aeroplani. Nei nostri sogni un giorno riusciremo a vivere di questo, a farne una professione.

Poi c’è Roberto, per lui il liceo scientifico è stata la scelta naturale visto che vuole diventare un medico. Vorrei avere la sua stessa determinazione. Non è una cima ma si impegna molto, so che riuscirà nel suo intento;

Maurizio. Il suo passatempo preferito è sperperare il patrimonio di famiglia, oltre a far infuriare il padre a giorni alterni. Totalmente inaffidabile.

È più grande di noi in quanto ripetente incallito;

Leonardo, aspirante avvocato, almeno è quello che si aspetta il padre, un affermato professionista del foro. Vorrebbe che il figlio seguisse le sue orme e divenire un brillante avvocato ma lui di studiare non ne vuole proprio sapere;

Infine ci sono loro, l’inglese e il fratello minore, all’anagrafe Christian e Thomas. Non so chi dei due sia più odioso. Fanatici, montati, prepotenti e presuntuosi.

La loro madre, una soubrette inglese caduta nel dimenticatoio, non voleva rassegnarsi a rinunciare alla bella vita e così sposò un dentista ricco sfondato, da cui nacquero questi due sottoprodotti.

Non mancano le ragazze, oltre a Valeria e Ilaria ci sono:

Lina, la storica fidanzata di Roberto e le inseparabili simpatiche e sbarazzine Martina, Alessandra e Simona, un’unica mente separata in tre corpi diversi.

Oggi, approfittando del sole estivo, abbiamo organizzato una visita al Museo Storico dell’Aeronautica Militare Italiana di Vigna di Valle dopodiché andremo sulla spiaggia del lago di Bracciano a fare il bagno.

Ci vuole un po’ di relax prima di un evento importante come gli esami di maturità, ma sono proprio stanco. Ho studiato fino a tardi e avrei preferito restarmene a dormire.

Ci siamo dati appuntamento al solito posto alle 9 in punto. Tranne per me che vivo in costante fuso orario di 30 minuti in ritardo rispetto al resto del mondo.

Eppure nel mio sistema di riferimento sono sempre in anticipo, vallo a spiegare …

“Francesco non è possibile! Dobbiamo sempre aspettarti. Mai una volta che non sei l’ultimo ad arrivare…” esclama Roberto, arrivato in anticipo.

“Scusate ragazzi, non riuscivo proprio a svegliarmi. Ringraziate mia madre che mi ha tirato giù dal letto altrimenti l’attesa per voi sarebbe stata ancor più lunga…”

“Scherza scherza, tanto prima o poi ti lasceremo a piedi.” mi risponde l’inglese un po’ irritato.

Sorrido per non risultare scortese, in fondo non è giusto che gli altri debbano aspettare i miei comodi, quindi mi unisco al gruppo e siamo pronti a partire.

Dal nostro punto di ritrovo, occorre circa mezz’ora di tragitto per giungere a destinazione.

Come al solito l’inglese si è presentato col macchinone del padre perché lui deve sempre sottolineare il suo status sociale più agiato degli altri.

Infatti, a parte la moto nuova di zecca di Maurizio, per noi comuni mortali c’è una vecchia Fiesta e una manciata di motorini.

Valeria ha il divieto dei genitori di andare su due ruote, quindi non posso portarla con me, fortunatamente tutte le ragazze vanno insieme sull’auto di Simona, perché se lei andasse con gli inglesi mi roderebbe non poco.

E neanche a nominarlo, ecco che subito prima di partire inizia l’esibizione dell’inglese:

“Che faccio vi aspetto lì oppure mi fermo a fare colazione?”

Come ogni volta però, la sua spavalderia dura ben poco:

“Ma dove vai che non sai nemmeno come si mette in moto! La prima è avanti a sinistra …”

Scoppiamo tutti in una grossa risata.

Maurizio ha sempre la battuta pronta in modo tale da ammutolire puntualmente i fratelli britannici o il malcapitato di turno che gli capiti a tiro.

“Dai Christian, non prendertela, te la sei cercata!”

“Brava Marty, vieni con me in moto?” aggiunge Maurizio approfittando subito della situazione per fare delle avances alla graziosa Martina.

“No, perché neanche tu sei capace a mettere in moto la tua carretta!”

E naturalmente Christian prende la palla al balzo per pareggiare il conto.

“E bravo Maurizio, in bianco come sempre!”

Come si dice? Chi di spada ferisce di spada perisce! Del buon sano umorismo da comitiva non guasta mai e le risate accompagnano la nostra partenza.

Naturalmente Maurizio e i ragazzi d’oltremanica continuano la loro battaglia su strada e presto li perdiamo di vista per rivederli solo una volta giunti a destinazione.

Io e i restanti scooter, complice anche la lenta giuda di Simona, arriviamo all’aeroporto Luigi Bourlot con 15 minuti di ritardo.

Appena giunti sul posto, Maurizio si sincera del nostro arrivo: “Ce l’avete fatta ad arrivare, temevo che vi foste persi tra le campagne…”

Pronta la risposta della lenta Simona: “Chi va piano va sano e va lontano”.

E secca arriva la replica: “Si, ma arriva dopo!”

Ho visitato almeno cento volte il museo; è stata mia l’idea di venire oggi tutti in gruppo. È sempre una novità perché è un luogo in continuo cambiamento.

Non ricordo due visite uguali, c’è sempre qualcosa di diverso.

“Speriamo che ne valga la pena” brontola l’inglese sempre scontento di qualcosa, mentre si sposta gli occhiali da sole sulla fronte.

“Ti pareva che non aveva niente da dire il signorino?” gli risponde Valeria.

Mi viene da sorridere ma subito il sorriso mi si spegne alla sua risposta:

“Tesoro, lo sai che sono qui solo per te!”

“Stupido” la pronta replica della sorridente fanciulla.

Resto imbambolato dalla bellezza del suo sorriso e al tempo stesso infastidito per il motivo che lo ha fatto sbocciare.

Ci apprestiamo verso l’ingresso camminando accanto al mio “fratello” Massimo, mentre Ilaria mi prende sottobraccio.

Mi stupisce la naturalezza con la quale si avvicina e cerca un mio contatto continuamente. Le ragazze sono più spigliate di noi maschietti.

Ilaria non fa nulla per mascherare la cotta che ha per me, vorrei riuscire a fare lo stesso con Valeria, un po’ la invidio.

Forse dietro quella naturalezza nasconde anche lei la stessa delusione che ho io nei confronti di Valeria.

Non è che Ilaria sia brutta. Anzi è piuttosto carina…

Potrei averla anche subito, è solo che non sento lo stesso sussulto che provo quando mi si avvicina Valeria e non mi voglio accontentare.

E poi non sarebbe giusto usarla così, non se lo merita.

Mentre camminiamo lungo l’ingresso del museo vediamo i primi aerei parcheggiati all’esterno: il solito (almeno per me) PD-808 e l’Albatros davanti alla gru sulla riva del lago. Un’immagine davvero suggestiva.

Una volta entrati nel primo padiglione, l’hangar Troster, ci aspettano gli aerei della Prima Guerra Mondiale.

Dopo una breve permanenza tra i rudimenti dell’aviazione italiana giungiamo all’hangar Velo, per me il più bello di tutta la mostra.

Mi dirigo subito verso gli idrocorsa, le splendide macchine volanti che hanno lottato per il trofeo Schneider tra l’inizio del secolo fino agli anni Trenta.

La loro livrea rosso fuoco li fa spiccare tra tutti e vengono presto notati dal gruppo.

“E questi cosa sono? Perché sono colorati così? Non ho mai visto aerei con le zattere, rosso fuoco!” i primi commenti incuriositi delle inesperte ragazze.

“Ma quali zattere e zattere!? rispondo inorridito. Poi replico: “Quelle le indossi tu il sabato sera per andare a ballare… Questi si chiamo s-c-a-r-p-o-n-i”

“Per la neve…” si intrufola Leonardo nel discorso.

“Sul serio servono per la neve?” mi chiede Ilaria con l’ingenuità di una neonata.

Sorridendo rispondo:

“Ma cheeeee… Dovete sapere che in passato, agli albori dell’aeronautica l’idrovolante era ritenuto il mezzo del futuro, tanto che fu istituita una competizione, il trofeo Schneider. Ogni nazione partecipante si iscriveva con un certo numero di aerei, creati da diverse case costruttrici rappresentanti il meglio della tecnologia di allora, per gareggiare in velocità”.

Mi guardo attorno. Si è formato una specie di capannello attorno a me. Mi sento un vero storico dell’aviazione. Deglutisco e riprendo a dire: “Inizialmente la gara si teneva ogni anno ma poi, per dare modo ai partecipanti di progettare, costruire e mettere a punto i prototipi sempre più complessi, si tenne ogni due; e a ogni edizione venivano presentati velivoli di nuova concezione, alcuni davvero straordinari come quelli che vedete. Un po’ come la Formula 1 di oggi”.

Leggo lo stupore negli occhi dei miei compagni. Per dare il colpo finale esclamo: “Solo che era l’inizio del ‘900 e l’aviazione muoveva appena i primi passi verso le alte velocità”. Sorrido compiaciuto.

Questa storia mi ha sempre attratto, ho sempre avuto il piacere di leggerla e rileggerla, al punto che ormai la conosco a memoria.

Gli altri ragazzi si radunano intorno a me per ascoltare il resto del racconto:

“Si partiva uno alla volta e si correva contro il tempo su un circuito (chiuso) delimitato da punti di riferimento come boe galleggianti sull’acqua o torrette su terraferma. Chi risultava il più veloce si aggiudicava l’edizione e aveva diritto a trasferire in patria la gara per l’edizione successiva.

Il trofeo veniva aggiudicato alla nazione che avesse vinto tre edizioni consecutive”.

“E chi ha vinto?” Mi domanda Ilaria.

“Beh gli Stati partecipanti erano Italia, Francia, Stati Uniti e Inghilterra…” cerco di sviare la risposta, ma non per molto. La domanda è troppo diretta e ritorna decisa.

“Sì ma chi ha vinto?”

“Gli inglesi, purtroppo” replico infastidito.

A quel punto Christian, che fino a un attimo prima sembrava non ascoltare, esclama con spavalderia e tutto impettito:

“Certo! Noi inglesi vinciamo sempre, quelli come me vincono sempre!”.

Meno male che c’è sempre il buon Maurizio a spodestare il lord inglese dal suo trono di cartapesta con sentenza solenne:

“Senti bello, si fa per dire… Più tardi è l’ora del the! Da quella parte c’è il bar, vai e aspetta le 5 di sera così per un po’ non rompi più!”.

Tutti sbottiamo a ridere naturalmente, mentre Christian accusa il colpo in un silenzio tombale guardando il fratello che, come lui, resta ammutolito.

Smorzati i toni, il gruppo si disperde a girare per l’hangar a curiosare in giro.

Mi isolo un po’ pensando tra me e me, ma sono stanco. Mi spiace dirlo ma preferirei stare già in spiaggia almeno una mezz’ora di sonno forse riuscirei a farla.

Sono giunto quasi in automatico davanti al Macchi Castoldi MC72. Il pezzo più prezioso della collezione.

Sua maestà degli idrocorsa.

È li davanti a me come molte altre volte.

Sembra una belva feroce assetata di sangue, e doveva esserlo! Immagino a fatica cosa doveva provare il pilota in quell’angusto abitacolo aperto a cavalcare il drago.

Sensazioni d’altri tempi.

Con quelle forme ardite e armoniose; il muso lunghissimo per far posto all’immenso motore; l’ala sottile come la lama di una spada e i radiatori a sfioramento per ridurre al minimo le resistenze parassite.

Che spettacolo da guardare!

Figuriamoci l’effetto che doveva fare oltre 85 anni fa, quando i normali velivoli erano poco più di un aquilone…

A fianco poi c’è il mostruoso motore in mostra.

Due unità a dodici cilindri uniti insieme come due gemelli siamesi, collegati a due eliche controrotanti. Una creatura mitologica spinta da oltre 3000 cv.

Come tutte le altre volte, non trattengo il sorriso. Quell’emozione che viene quando l’entusiasmo ti accende il fuoco dentro, ma guardandomi intorno sono costretto a posarmi coi piedi per terra.

Noto che li vicino, è stato messo uno schermo che manda in onda filmati e immagini dell’epoca e delle sedie per guardare il video in comodità, ma non mi basta.

Favorito della momentanea assenza di personale, approfitto per oltrepassare la transenna, che come una barriera spazio-tempo mi separa dal velivolo, e toccare il mito per un istante e sentirlo mio.

Tutto d’un tratto l’atmosfera s’ingiallisce, per un attimo mi gira la testa.

Le cose intorno a me sparisco, l’hangar non c’è più … vedo il lago al suo posto, mi sento spaesato…

Mi guardo addosso e non ho più i miei vestiti ma una tuta di volo!

I miei ricordi si fanno confusi, mi sovvengono ricordi che non m’appartengono.

Che mi sta succedendo!?

Vedo il pontile a pochi centimetri dall’acqua e la belva ferma davanti a me.

Accanto all’aereo c’è una semplice scala.

Ci sono molte persone con vecchie tute da meccanico che mi guardano, come se aspettassero un mio gesto.

Ci sono anche persone vestite in uniforme e qualcuno in abiti civili.

Sembra gente d’altri tempi.

“Maresciallo Agello è giunto il momento!”…“Francesco!”

Ancora non mi capacito della situazione, cosa ci faccio qui?

Quasi spontaneamente mi giro verso la voce che mi sembra quasi familiare.

Lo stupore e il disorientamento lasciano piano posto a ricordi più nitidi.

“Sono pronto anche io, signore.” Replico automaticamente, come fosse un’abitudine ancestrale.

Un attimo di riflessione e riconosco la voce del mio comandante, il Colonnello Bernasconi che, come sempre, segue da vicino ogni attività volativa del RAV.

Ora riconosco anche gli altri avieri del Reparto Alta Velocità, e riconosco le rive del lago di Garda.

Riconosco per ultimo anche l’MC 72 Marche Militari 177 fermo dinanzi a me sul pontile, anzi mi sembra di conoscerlo come le mie tasche.

Ora ricordo bene, oggi è il 10 Aprile 1933.

Ormai, da semplice riserva proveniente dalla ‘poco nobile’ ricognizione, sono rimasto solo io in vita abilitato al pilotaggio di questa splendida macchina volante, la più tecnologica al mondo.

Dopo tanta fatica, adesso sono il protagonista assoluto.

Purtroppo però non posso gioirne. I miei compagni di corso sono morti tutti nel tentativo di addomesticare questi terrificanti apparecchi. L’ultimo in ordine cronologico è stato l’amico Stanislao proprio nel tentativo di domare le bizze del ‘Drago’ e del suo alito di fuoco!

Per non parlare di Giovanni, Giuseppe, Tommaso, Ariosto e tutti gli altri caduti prima.

Il motore FIAT AS6, ha sofferto fin dall’inizio di pericolosi problemi causati da ritorni di fiamma per un difetto nei carburatori.

Per me però è diverso, sono sfuggito alla morte per ben due volte col C29. La macchina creata dall’ing. Rosatelli non ha avuto la meglio su di me.

Se la mia buona sorte non mi abbandonerà proprio oggi, entrerò nella storia.

Non c’è più tempo per tornare indietro, adesso è il mio turno. È il tempo di rendere onore alla superba macchina creata dalla dagli ingegneri Castoldi e Zerbi e alla mia Nazione.

Ho compiuto un volo di perlustrazione col FIAT CR20i e prima di me il Comandante Bernasconi.

Sono tutti al loro posto. Le motovedette sono pronte, i cronometristi sono al loro posto, un S59 pilotato da Cassinelli sta portando il commissario per il controllo delle quote.

Il motore del mio aereo è stato scaldato e le candele sostituite.

Le condizioni meteo sono favorevoli anche se non ideali.

L’aereo è in perfetta efficienza. Dopo tanta fatica il genio di Armando Palanca è riuscito a risolvere il problema di carburazione. Adesso il “Drago” è stato domato.

Devo riuscire a strappare all’inglese S6B il record di velocità. So che posso farcela, sulla carta l’MC 72 è più veloce. Risolti i problemi siamo riusciti a ottenere al banco ben 2600 cv, quanto basta per battere gli avversari e superare anche il muro dei 700 Km/h.

Brucia ancora la sconfitta di Calshot.

Non siamo riusciti a preparare in tempo nessuno dei 4 aerei progettati per l’occasione e non siamo riusciti nemmeno a presentarci alla gara;

Anche se i controlli prevolo sono tutti favorevoli, non so se posso fidarmi a spingere al massimo il mio apparecchio.

Le volte precedenti che si è tentato di avvicinare i limiti delle macchine non sono andate a buon fine…

Il Savoia Marchetti S65 ha ucciso Tommaso, l’MC72 ha ucciso Stanislao e io ho rischiato di morire col FIAT C29.

Il Piaggio Pegna PC7 non ha mietuto vittime perché rimasto alla fase di prototipo e forse è stato un bene…

La nostra puntuale impreparazione ci si rivolge puntualmente contro.

Neanche i francesi sono stati in grado di prepararsi in tempo per fronteggiare i britannici che facilmente si sono aggiudicati sia il trofeo che il record di velocità.

Se non ci avessero annullato la vittoria del ‘19 il trofeo sarebbe adesso in mano nostra! Ma non è andata così.

Ormai l’unica cosa che posso fare è battere il primato assoluto di velocità.

“Maresciallo, abbiamo perso la coppa e non possiamo più farci nulla. Dobbiamo conquistare il record a tutti i costi!” mi dice il comandante al quale rispondo con un semplice “Sì, signore”.

Salgo a bordo dell’angusto abitacolo tramite la scaletta, gli specialisti del RAV mi aiutano a sistemarmi sul sedile.

La sensazione è sempre la stessa. La visibilità anteriore è praticamente nulla, quella laterale poco più che sufficiente.

Accendo il motore posteriore e l’elica numero uno inizia a girare, subito dopo accendo il motore anteriore e anche l’elica numero due inizia a muoversi in senso contrario alla prima.

Vengo spinto in acqua lungo lo scivolo dal personale di manovra e dò manetta.

Mentre prendo il largo due motoscafi mi seguono a distanza.

A poco a poco aumento la potenza per iniziare la manovra di decollo e in breve tempo la manetta è a fondo corsa.

L’aereo si comporta benissimo, la spinta che sento alle mie spalle è possente mentre acquisto velocità, e dopo una lunga corsa sul pelo dell’acqua del Garda sono in aria.

Riduco i giri e prendo quota.

Ho memorizzato il tracciato dopo numerose prove effettuate, le due torrette si trovano una a Moniga e l’altra a Manerba.

Devo fare attenzione perché c’è uno strato di nubi a quota 1000 m quindi posso salire solo fino a 800 per poi picchiare sotto i 150 come previsto dal regolamento.

Ore 11:00.

Adesso o mai più!

Punto verso Manerba e dopo una virata picchio verso la base del tracciato e porto la manetta al massimo dirigendomi a sud verso Moniga.

Durante la picchiata sono tutt’uno con la macchina, posso sentire la benzina che dai serbatoi fluisce nel carburatore, come se fosse il mio stesso sangue che pompa nel motore.

Sento ogni singolo pistone spingere con tutta la loro forza proprio lì davanti a me, mi sembra di vederli uno ad uno tutti e ventiquattro e di riuscire a spingerli con i miei pugni al ritmo del ruotare dell’albero a gomiti.

Odo il possente ruggito motore, vedo le fiammate uscire dai corti collettori di scarico come fosse il fuoco che esce dalle narici del drago.

Mi sento catapultato in avanti come mai prima ad ora, mentre mi abbasso alla quota consentita.

Controllo l’altimetro per mantenermi a 100 m e sfreccio per il primo passaggio.

Sono concentrato al massimo, devo riuscire nell’impresa per riscattare il RAV e tutti i centauri che sono caduti prima di me.

“Aiutatemi amici! Soffiate alle mie spalle, eroi caduti soffiate forte, così da spingere il drago più veloce della propria ombra”.

Compio i 3 Km in meno di 16 secondi, il rombo del motore è assordante e domina tutto il lago.

Riduco i giri e riprendo quota per prepararmi al secondo passaggio.

Devo effettuare 5 tornate e la media sarà fatta con i 4 migliori tempi.

Non c’è tempo da perdere.Per essere il più leggero possibile, nei serbatoi c’è solo la benzina necessaria alla prova e non una goccia in più.

Inverto la rotta e giù di nuovo a tutta manetta. In un lampo, con una manovra ormai automatica, eseguo un altro passaggio mozzafiato e poco dopo, senza rendermene conto, ho terminato tutti i passaggi.

So di essere stato velocissimo, sorvolo l’idroscalo ed eseguo una stretta virata a 90° in segno di saluto alla folla accalcata a fare il tifo per me.

Sento la forza g che mi preme sullo stomaco, raddrizzo le semiali dopodiché ammaro delicatamente e mi fermo a largo.

I serbatoi sono praticamente quasi vuoti e l’aereo è talmente sbilanciato all’indietro da permettereagli scarponi di sprofondare in acqua e far sollevare il muso dell’aereo in aria.

Per evitare che lo splendente velivolo si inabissi, velocemente spengo i motori, ribalto il parabrezza ed esco sul lungo muso del velivolo per sedermi sul rovente cofano proprio dietro l’elica e ristabilire l’equilibrio.

Il calore che avverto sotto le gambe è infernale mentre aspetto che mi vengano a trainare i rimorchiatori.

Subito le motovedette si dirigono verso di me per trainare a riva l’aereo. Su una di esse vedo Bernasconi che sbraccia come un forsennato.

Il responso aveva parlato chiaro. Il precedente record inglese era stato sbriciolato!

682 Km/h, con il miglior passaggio a 692.

In alcuni punti devo aver superato anche i fatidici 700 Km/h ma non c’è modo di saperlo.

Salito a bordo dell’imbarcazione vengo letteralmente lanciato in aria dal mio comandante:

“Maresciallo ce l’hai fatta! Sei l’uomo più veloce del mondo! Il record è di nuovo italiano!”

Tutti mi acclamano mentre vengo sollevato in aria, sono felicissimo.

“Penso di aver pareggiato i conti con gli inglesi” rispondo.

“Puoi dirlo forte, oggi sei entrato nella storia.”

Mentre continuano le strette di mano e gli abbracci, giungiamo all’idroscalo.

Guadagnata la riva vengo accolto da tutti. Ci sono molte persone ad attendermi: ufficiali, meccanici, ingegneri e tutti i membri del RAV.

C’è anche una nutrita folla di persone fuori dai cancelli, giunte dai dintorni per l’occasione.

Vedo tanti volti di persone che non conosco e che mi acclamano come un eroe, li guardo uno ad uno e rispondo ai saluti quando la mia attenzione viene inesorabilmente catturata.

Una fanciulla dal volto angelico che da dietro la rete divisoria si aggiusta i capelli.

Un volto celestiale ma stranamente familiare.

È come se la conoscessi da sempre ma non l’ho mai vista.

Resto fermo immobile imbambolato e quasi in attesa di un riscontro: dai girati! Guardami ti prego… penso tra me e me.

La giovane ragazza resta un attimo immobile come se avesse recepito la mia richiesta.

Resto fermo a guardare mentre ricevo pacche sulle spalle e vengo strattonato dai miei commilitoni ma quasi non me ne accorgo, la mia mente adesso è altrove.

Dopo aver fatto qualche passo a forza trascinato dai militari ecco che accade il miracolo.

Lo sguardo splendente della ragazza incontra il mio per un istante, resto letteralmente ammaliato da cotanta bellezza!

Quasi istantaneamente sboccia il più bel sorriso che abbia mai visto sul suo volto e resto impietrito, già provato dall’emozione dell’impresa appena compiuta.

Resto a guardare e intorno a me sento il vuoto totale. Tutte le persone che mi circondano scompaiono nel buio e resto da solo a guardare la luce di quel sorriso.

Chi sei? Come hai fatto a rapirmi così? E perché ti vedo così familiare?

I pensieri si confondono di nuovo e sono confuso, ora mi importa solo di scoprire chi si cela dietro quella visione!

Ad un tratto l’immagine scompare e ho un violento sussulto!

Cosa mi è successo di nuovo? Dove mi trovo? L’MC 72 è ancora lì affianco a me, ma dove sono finiti tutti? Dov’è il comandante? Dov’è il lago?

Ma soprattutto, dov’è finita quella splendida fanciulla?

Un attimo per riprendermi e vengo avvolto dalle risate ed esclamo ad alta voce: “Comandi signore!”

“Ma quale signore! Aoooo, sveglia, che fai dormi come un salame?”

Mi sento la schiena bagnata e vedo Maurizio con una bottiglietta d’acqua in mano stappata.

Non tardano gli altri commenti:

“Guarda che chi dorme non piglia pesci!” e giù via con gli scherni.

“Siete proprio stupidi!” rispondo imbarazzato.

Ancora non capisco bene cosa mi sia successo, era tutto così reale…

Poi realizzo. Complice la stanchezza, devo essermi accomodato sulle sedute e addormentato. Forse il vero stupido sono io… Che figuraccia!

Mi allontano infastidito e deluso restando in disparte mentre iniziamo a muoverci verso l’hangar Badoni, il terzo della mostra statica del Museo.

Ancora non mi capacito di cosa mi sia successo, nel presente e nel passato…

Ero talmente suggestionato da essermi sognato tutto oppure sono stato veramente catapultato nel passato?

Mi rimane una vaga sensazione di nostalgia, ma adesso sono qui nel presente a camminare.

Focalizzo l’attenzione, davanti a me c’è lei. Adesso che ti ho ritrovata non voglio perderti di nuovo.

Dai girati! Guardami ti prego…

Compi di nuovo quel miracolo compiuto 87 anni fa…

Come per magia, Valeria si gira mi guarda e mi sorride mentre si aggiusta i capelli.

Ho già visto quella scena.

Ho già sentito quella sensazione allo stomaco, ma stavolta non è la forza g.

Resto impietrito mentre mi volta le spalle.

Ore 11:00.

Adesso o mai più!

Affretto il passo tanto da coprire i pochi metri che ci separano e la raggiungo in pochissimo tempo.

Allungo il braccio e le prendo la mano…

Lei si gira verso di me e mi sorride di nuovo.

La resto a guardare senza dire nulla.

Vorrei che il tempo si fermasse.

Ci avviciniamo al possente idrovolante CANT Z-506 e ci fermiamo.

“Christian!” esclama Valeria “ci faresti una foto qui?”

“Come vuoi” risponde l’inglese.

“Brucia di invidia inglese! Brucia tu e il tuo smartphone da 1000 euro!” vorrei rispondere.

Invece resto in silenzio. Voglio godermi il mio momento di gloria.

Restiamo abbracciati per il tempo di uno scatto, troppo poco, e le mie speranze si sbriciolano.

Valeria mi lascia lì davanti come un baccalà, mentre si allontana con gli altri.

Mi rattristisco.

Abbiamo fatto solo una fotografia e pochi passi mano nella mano, cosa mai mi ero messo in testa? Cosa mi aspettavo?

Non so, però sento che non è questo il momento di arrendersi, riprendo le forze e mi dirigo a tutta manetta verso di lei.

Giunto alle sue spalle, tendo la mano verso la sua e la afferro con una presa decisa. La splendida fanciulla si gira verso di me e sorride di nuovo.

Stavolta non ti lascio andare! Sono deciso ad andare fino in fondo.

Ci sono altri record da battere, altri trofei da conquistare…

E voglio farlo con te!



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Roberto Ferri