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Viola

mustang fumettoRino Celante è un uomo come tanti altri che vive in maniera semplice, quasi anonima, seguendo regole che lui stesso ha scelto d’imporsi. Una mattina, leggendo un quotidiano apprende, della cruenta morte di Antoine de Saint-Exupéry, il famoso scrittore e aviatore francese, del quale lui è da sempre un profondo estimatore. Rino è sconvolto e per la prima volta in tutta la sua vita, perde il controllo e decide di onorare la memoria del suo mito compiendo un gesto folle e apparentemente privo di senso. Il turbamento emotivo di Rino e le connessioni che emergono tra lui e il compianto scrittore elevano l’aspetto romantico-sentimetale del racconto al ruolo di vero protagonista.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

 

Viola


Ore ventitré e ventitré del 19 marzo 2010.

Il Sig. Celante Rino è chiuso nella sala interrogatori del Comando dei Carabinieri di Conegliano Veneto. Solo un’ora prima, si era alzato dalla sua poltronissima numero 4, fila B, del Teatro Accademia e, raggiunte le quinte, si era avventato sul Maestro Salvatore Accardo, uno dei più famosi violinisti italiani, nel tentativo, sventato, di rubargli il “Firebird”, preziosissimo stradivari del 1718.

In molti devono aver pensato all’insano gesto di uno squilibrato; tutti hanno creduto al furto come movente, ma nessuno ha capito il senso delle parole urlate da Rino, durante l’aggressione: “L’essenziale è invisibile agli occhi”.

Per capirle, forse, bisognava fare un salto indietro di due anni, al 16 marzo 2008. Quel giorno Rino scese al bar per fare colazione, ordinò cornetto, cappuccino, e, come ogni mattina, si mise a sfogliare il giornale sul frigorifero dei gelati. Improvvisamente chinò il capo in avanti come se avesse ricevuto un colpo alla nuca e si lasciò cadere con tutto il peso del corpo, puntando le braccia, tese e tremanti ai lati del quotidiano. Il titolo in grassetto diceva: “Smettete di cercare la verità su Saint-Exupéry. Sono io che l’ho abbattuto”.

Con queste parole, l’88enne Horst Rippert, ex-pilota della Luftwaffe, conosciuto ai più per la sua carriera da giornalista sportivo nel dopoguerra, confessava al mondo intero che, la notte del 31 luglio 1944, aveva abbattuto l’aereo pilotato dall’aviatore e scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry.

Dall’articolo emergevano chiaramente le due diverse ragioni che l’avevano indotto a custodire gelosamente, per oltre sessant’anni, questo triste segreto.

La prima era il sincero dispiacere provato nello scoprire l’identità della sua vittima; Antoine de Sainte-Exupéry era conosciuto e stimato, già all’epoca dei fatti, da tutti i piloti per i suoi diversi scritti sul mondo dell’aviazione ed era anche l’autore che più di chiunque altro aveva saputo rappresentare il cielo e i sentimenti di chi sfidava gli elementi a bordo degli apparecchi, tanto che lo stesso Rippert lo riteneva un vero e proprio idolo. La seconda motivazione, alimentatasi negli anni, era il timore di rimanere indelebilmente immortalato nell’immaginario collettivo come colui che aveva ucciso l’autore della fiaba intitolata: “Il piccolo principe” che, tradotta in oltre 250 lingue, sarebbe diventata con il tempo una delle più apprezzate in tutto il mondo.

Ora, dopo più di mezzo secolo, era giunta l’ora di liberarsi da un peso portato per troppo tempo da chi in fin dei conti aveva solamente fatto il proprio dovere di militare.

Rippert racconta in un passaggio dell’intervista che quella lontana notte, mentre sorvolava il Mediterraneo nei pressi di Tolone sul suo Messerschmitt, avvistò un Lightning P-38, un “Mosquito” come veniva simpaticamente soprannominato dai piloti delle forze alleate. Il caccia bimotore, in missione da ricognizione, portava sulla carlinga i colori della bandiera francese e questo bastò a Rippert per decidere di aggiungere un’altra tacca sulla fiancata del suo aereo.

Rino che, come tanti altri, aveva sperato che le leggende sulla misteriosa scomparsa del pilota fossero vere, si era sempre voluto illudere che il suo mito fosse ancora vivo in chissà quale sperduta parte del globo ma ora quella notizia, appresa così amaramente, gli aveva annebbiato la vista e i pensieri. In pochi istanti tutto nella sua testa sembrò tingersi di un viola livido, come la desolazione e lo smarrimento per una perdita inattesa.

Viola, il cui significato etimologico è appunto “intrecciare”, era anche il colore che più volte gli era capitato di associare ad Antoine de Saint-Exupéry e alla sua vita. Una vita nella quale, all’anima romantica e sognatrice dello scrittore, s’era spesso intrecciata quella tecnologica e moderna dell’aviatore.

Come in pittura, per ottenere il viola, si devono mescolare due colori primari, il rosso e il blu; così nella realtà, il rosso della sua passionalità artistica si mescolava con il blu della sua razionalità di pilota. Il viola era un colore che lo rappresentava alla perfezione ma che, proprio per lui, in quella notte del 1944, cambiò essenza e ingredienti, così che, alla riposante accoglienza dell’azzurro, si sostituirono le blu e gelide acque del mare, mentre alla vitalità del rosso, purtroppo, si sostituì il caldo e purpureo sangue dello scrittore.

Tutti quegli assurdi pensieri iniziarono a intrecciarsi in un delirio di disperazione, era come se quella notizia, non annunciasse la morte di un essere umano, bensì quella di un’idea.

Rino aveva amato “Il piccolo principe” fin dalla prima volta in cui lo aveva letto, a soli dieci anni. Col tempo si era impegnato a vivere la sua vita, nel rispetto di semplici regole e così, come nella fiaba, si era spesso fermato a riflettere sul reale significato delle cose e sull’importanza di “creare dei legami”. Il più forte di quei legami, paradossalmente, lo aveva stretto proprio con l’autore di quel racconto che, molte volte nel corso degli anni, si era trovato a rileggere. Era come se un perfetto estraneo avesse saputo mettere, nero su bianco, le istruzioni per la sua vita.

Rino si sentiva molto vicino ad Antoine e la sua complicità con l’autore si arricchiva, grazie ad un’altra passione in comune: quella per la musica classica e per il violino, in particolare. Quello strumento, era stata una vera ossessione per Antoine de Saint-Exupéry; tale da indurlo a far culminare il suo amore per l’arte e la buona musica nell’acquisto di uno degli strumenti più pregiati e costosi al mondo; un vero e proprio pezzo di storia: uno Stradivari del 1718, il “Firebird”.

Non serve essere degli esperti per capire il valore di un tale oggetto. Antonio Stradivari è stato il più grande liutaio di tutti i tempi. Degli oltre mille strumenti che presero vita dalle sue sapienti mani, se ne possono ammirare oggi poco più della metà e solo alcune decine di questi esemplari sono ancora in grado di produrre il mirabile suono che li ha resi un simbolo universale della buona musica. Alcuni si trovano nella collezione privata del re di Spagna, altri in Russia, grazie all’editto con il quale Lenin li confiscò alla nobiltà francese fuggita in seguito alla rivoluzione del 1789. La storia è ricca di accadimenti che hanno come protagonisti questi straordinari oggetti di culto per tutti gli amanti della musica, e non solo, e Rino era davvero fiero che uno di questi pregiatissimi strumenti fosse appartenuto al suo idolo. Soprattutto amava sapere che il “Firebird” suonasse ancora. Gli piaceva pensare che, ogni volta che quelle corde producevano il loro canto, lui potesse sentirlo. Non pensava, agli oltre cento anni che avrebbe dovuto avere perché, Antoine era una “leggenda”, e le leggende non hanno età, così come le idee.

Quella mattina del 2008 però, la leggenda era stata cancellata dalle parole di un vecchio aviatore nazista. Era come se il braccio armato di uno dei più crudeli ideali mai partoriti dalla mente umana avesse annientato per sempre il mito del romanticismo sentimentale. Era come essere rimasti imprigionati, per sempre, nell’atavica paura della solitudine che, nelle pagine de “Il piccolo principe”, era magistralmente descritta.

Nemmeno la musica del “Firebird” poteva ridare vita alla magia di quell’idea. Con la morte di Antoine de Saint-Exupéry, quell’oggetto non era più degno di ricordarla. Per quel motivo Rino provò a farlo tacere per sempre. Perché ormai, solo con il cuore si poteva godere di quell’idea, poiché: “l’essenziale è invisibile agli occhi … e non udibile alle orecchie”.



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Emiliano Baroni