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Lei … Lui in Aeroclub

aereo sanci acquaDichiara l’autore a proposito del suo racconto: “Anche questo è un fatto vero. Il racconto è stato “sceneggiato” per essere il più vicino alla realtà.”

Un ex pugile, privo di una mano, pretende di conseguire il brevetto di pilota; vorrebbe usare l’aeroplano per bombardare la casa di chi non gli ha più consentito (ovviamente) di combattere sul ring. Ci rinuncia perché gli aerei sono “piccolini” e non sono in grado di trasportare una bomba. Si offende facilmente se gli danno del Lei (essendo maschio gli si deve dare del “Lui”). Così, incazzato nero, finisce col “cazzottare” la segretaria del club. E’ vero, nel testo c’è il “doppio senso”, ma l’autore non considera il racconto “pornografico”! Deve solo poter suscitare il sorriso del lettore.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

La prima missione di volo

Quel pomeriggio del luglio 1964 mi sembrava di vedere l’aeroporto di Boccadifalco per la prima volta. Come cambiano le cose quando si osservano da protagonisti anziché spettatori! Mi sentivo impacciato ma, al tempo stesso, non mi sfuggiva alcun particolare. L’hangar m’appariva immenso, gli aeroplani belve in agguato, e Gianni, l’istruttore, nella sua tuta sporca d’olio (o era sangue?), un feroce domatore! E il grande Icaro ad ali spiegate un’aquila pronta a ghermire i pinguini come me! Avevo l’impressione che tutti in Aero Club mi squadrassero e soppesassero. Ed ecco il mio aeroplano! Il Piper Cub J3 con motore da 65 cavalli: quanti, per la miseria! Gasparino, il meccanico, mi spiega sommariamente com’è fatto: “Quattro cilindri contrapposti, due candele per cilindro, due magneti, i posti sono in tandem, l’istruttore siede avanti e l’allievo dietro, se uno va in volo da solo deve sedersi in quello dietro, ma certo, per non spostare il baricentro, i comandi sono doppi, la barra fa muovere alettoni e timone di profondità, la pedaliera, laggiù, ruotino e timone di direzione, quella è la manovella del trim, la mano destra tiene sempre la barra e la sinistra la manetta del gas, sì questa, l’acceleratore a mano”. E, poi, l’interruttore dei magneti, la pompa del cicchetto, la manovella del trim (“ah, già, te l’ho fatta vedere!”), gli strumenti dai nomi conosciuti (bussola, contagiri) e strani (anemometro, variometro) e chissà quante altre diavolerie! Ascolto ma non ricevo. Sono confuso e spaventato. L’unica cosa che capisco è che fra poco andrò in volo e dovrò manovrare ed osservare tutta quella roba! Al diavolo, altri ci sono riusciti prima di me, gli aeroplani non sono che macchine e Icaro è solo una statua di gesso! Tu, Piper, sei cattivo? T’assicuro che saprò domarti e difendermi, con le unghie e con i denti, vedrai! In hangar c’è una stanza dove l’istruttore con due dita batte qualcosa a macchina (una vecchissima macchina da scrivere nera). Sul muro sovrastante la porta, un cartello specifica: SALA BRIEFING Finalmente qualcuno (un allievo, presumo) mi spiega che il briefing lo fa l’istruttore prima della missione; che in sala briefing si carteggia, si consulta l’AIP e si pianificano i voli. Bah, forse è meglio non fare domande! Ricordai quella volta in cui dovetti sorbirmi le lunghe dissertazioni di un marinaio che usava, con naturalezza, termini come babordo, bottazzo, boma, pozzetto, scuffia … io sono ignorante, me le dovete spiegare le cose! In effetti Gianni, l’istruttore, aveva la buona abitudine di scrivere le MIX – missioni – (da 1 a 10) che spiegavano sommariamente le missioni di volo, tratte probabilmente da un vecchio basico militare. La spiegazione che mi consegna è la MIX 1 – GEOGRAFIA DELL’AEROPORTO, scritta su un foglio di carta velina: ne stampava a macchina diverse copie, con la carta carbone, non avendo a disposizione una fotocopiatrice; quando si esaurivano, pazientemente le riscriveva. Nell’ultima guerra aveva pilotato, volando a pelo d’acqua per sfuggire ai radar inglesi, grossi velivoli da trasporto, fra la Sicilia e l’Africa; qui poi s’era fermato per fare lavoro agricolo con l’aeroplano. Volo radente, tanto per cambiare, per spargere insetticidi, diserbanti e concimi! Infine, col brevetto di istruttore e collaudatore era sbarcato a Palermo. Capace di atterrare indenne su qualunque terreno, l’aveva fatto con naturalezza ogni qualvolta il motore s’era perso un colpo. Era sceso anche a Floresta, il comune più alto della Sicilia, e ne era ripartito … Non ho più notizie di lui, da tanti anni è rientrato nella sua Trieste … chissà..! Discute con me e mi spiega, voce per voce, tutto quello che faremo in quel primo volo di circa venti minuti (eureka, è il briefing!). Ci accostiamo all’aeroplano, nel frattempo spinto fuori dall’hangar e rifornito di benzina da Totuccio, un meccanico della mia età, che è il vero artefice di tutto, mentre Gasparino, più anziano, è praticamente il capo, quello che dà gli ordini. Non c’era una CHECKLIST, la lista dei controlli da effettuarsi all’aeroplano prima del volo. In verità, mi accorgerò più tardi che di scritto non c’era nulla, a parte le MIX di Gianni ed un vecchio sgualcito AIP (Pubblicazione Informazioni Aeronautiche) che contiene, adesso lo so, le regole dell’aria, le mappe degli aeroporti, e via discorrendo. I libri di testo arriveranno più tardi. Mi sento quasi un pioniere! Facciamo un giro attorno all’aeroplano, per controllare che non ci siano rotture nell’elica di legno, che non si siano perse le coppiglie dei bulloni, che le gomme delle ruote (pardon, carrello) siano gonfie, che i tiranti di coda risuonino come le corde di un contrabbasso! Finalmente a bordo. Mi calo con difficoltà nel posto di dietro. Ci sto maledettamente scomodo. Spalliera e cuscino di crine sono duri. Non posso allungare le gambe, che mi ritrovo piegate quasi a novanta gradi. Piedi sulla pedaliera, con l’aggravante che i freni, indipendenti sulle due ruote del carrello, si devono azionare pigiando coi tacchi delle scarpe (provate, e vi accorgerete che da subito cominceranno a farvi male i polpacci!). Cicchetto, tutto escluso, e Totuccio dà qualche giro all’elica, nei due sensi. Pronto? Contatto! Gianni alza la mano sinistra per azionare l’interruttore dei magneti. Manetta al minimo. Totuccio spinge in giù, con forza, una pala dell’elica, ed il motore parte rombando. L’elica scompare e si forma come d’incanto una circonferenza di luce, un riflesso lieve dove prima stavano le estremità delle pale. Ma sono frastornato dal rumore e vibro all’unisono con tutto quanto; dal mio posto, poi, non vedo il terreno avanti al muso dell’aeroplano che sta seduto sul ruotino di coda; anche le spalle dell’istruttore mi coprono la visuale. Gianni, tuttavia, le sposta il più possibile di lato e, girando la testa verso di me, m’invita a rullare. Mi aveva già spiegato che per vedere bisogna zigzagare, andare a destra e guardare a sinistra, andare a sinistra e guardare a destra, pigiando sulla pedaliera collegata al ruotino posteriore oltre che al timone di direzione, ovviamente inefficace a bassa velocità. Unica accortezza, anticipare il movimento dei piedi per evitare che il lungo muso continui a ruotare per inerzia superando la direzione voluta. “Facile”, gli avevo detto, e Gianni sornione aveva scommesso mille lire che non ne sarei stato capace. Figuriamoci! Non si trattava di pilotare un aeroplano ma di fare muovere sul terreno una specie di triciclo con ruota sterzante posteriore! E proprio qui stava l’inghippo, in quel ruotino piccolo e saltellante, agganciato con due molle al timone di direzione. Un po’ di manetta, aumentano i giri dell’elica e i battiti del mio cuore; ci muoviamo e … cribbio (chissà se dissi cribbio!?), la coda ballonzola … spingo il piede destro e, invece che a destra, l’apparecchio va a sinistra sull’erba, contro ogni legittima aspettativa. Più m’innervosisco e più s’incasinano le cose. Mi sento perso (voglio scendereeeeeee..!), ma Gianni interviene sui comandi sostenendo che “non è tempo di andare per funghi!”. Si muove con grazia, adesso, a passo d’uomo come prescritto, va a destra (“guarda a sinistra”), va a sinistra (“guarda a destra”), e finalmente si ferma in posizione attesa. Qui, prima di entrare in pista, facciamo il controllo dei magneti: ruotiamo il selettore sul sinistro (e c’è un leggero calo di giri, perché in ciascuna camera di scoppio funziona solo una delle due candele), poi sul destro (come prima) e infine, riportato su entrambi, i giri si ristabiliscono al valore iniziale. Dimenticavo: niente radio, a quel tempo non era obbligatoria e naturalmente l’Aero Club, per risparmiare, non ne aveva. Venivamo autorizzati coi segnali luminosi di un faretto orientabile; occhio alla Torre, dunque: VERDE, possiamo andare. Allineati in pista, manetta dolcemente avanti (fa tutto naturalmente l’istruttore, io seguo, o meglio, tento di seguire la manovra), il motore mi spacca le orecchie, l’aeroplano si muove, adesso corre, barra avanti, il muso si abbassa (oh, cribbio, invece di alzarsi …), ma un momento dopo, meraviglia delle meraviglie, siamo per aria. Il terreno si allontana, i monti vicini si colorano d’azzurro, poi vedo i tetti delle case, la città (ma è Palermo? Giuro, non la riconosco!), puntiamo verso il cielo … siamo sempre più in alto, in cima al mondo. Gianni indica l’altimetro: mille piedi! Ho qualche difficoltà a convertire la misura in metri, “dividendo più o meno per tre” come da approssimative spiegazioni di Gasparino (dividendo, più, meno, per … con un solo confuso ragionamento applico le quattro operazioni insieme), per realizzare infine che siamo appena a trecento metri di quota! Mica tanti! Dove sono i diecimila del Mustang e dello Spitfire?! Provo un miscuglio di euforia e paura. Ma piano piano il rombo regolare del motore mi rassicura, non mi disturba più, ora mi fa compagnia. Sto all’erta, è vero, ma comincio a rilassarmi. Ho la sensazione di stare fermo, mentre il panorama scorre lentamente intorno a me … PATAPUMFETE … PUMFETE … RIPATAPUMFETE! Mi gira tutto, mi sento sbattuto e pesante! Che succede? Gianni, quel figlio di buona donna, ha combinato qualcosa per saggiare le mie reazioni. Fingo indifferenza e gli urlo che mi è piaciuto, anzi … mi è piaciuto assai (lo ucciderei!). “A ore 12, sotto Monte Cuccio, l’aeroporto; a ore 3 Monte Pellegrino …” e parla, parla: che vuole costui? Poi affiorano i ricordi di vecchie letture (Attento! Caccia ad ore 9!) e capisco che si sta riferendo alle lancette dell’orologio per darmi la prima lezione di orientamento (in seguito passeremo alla bussola). Rientriamo. Discesa e avvicinamento, luce VERDE, possiamo atterrare, fa tutto lui, viriamo, scendiamo ancora, sfioriamo le terrazze delle case e … plomft, tocchiamo dolcemente, all’inizio della pista, da fermi o quasi. Mi lascia i comandi per rullare fino al parcheggio e, stavolta, va meglio. Via i magneti … e mi gusto (anche Gianni, credo) qualche momento di silenzio. Bello, bello, bello! VOGLIO FARE IL PILOTA.


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Michele Gagliani

La prima missione di volo

cessna gialloQui l’autore è alle prese col suo primo volo da allievo pilota per il conseguimento del 1° brevetto di pilota civile, timoroso d’affrontare il Piper Cub J3, aereo scuola sì, ma in realtà … residuato bellico.

In seguito l’autore lo poté acquistare dal proprio Aeroclub, il quale ormai ne possedeva di più moderni.

 


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

 

La mia AeroNatica

Tutto cominciò con la visita di leva. Ero stato dichiarato “Idoneo 1^ Categoria” e inquadrato nei “Granatieri di Sardegna”, anche se avevo chiesto di entrare nell’Aviazione Leggera dell’Esercito o, se impossibile, in qualche reparto dell’Antiaerea: comunque, non fui arruolato perché studente universitario. In quell’occasione lessi l’avviso di un concorso per AUPC (Allievi Ufficiali Piloti di Complemento dell’Aeronautica Militare) e, allora, considerato il mio fisico atletico avendo fatto molto nuoto e scalato montagne in bicicletta, decisi di parteciparvi pur essendo convinto di non farcela poiché ritenevo i piloti militari dei Super Men! Ed io, con il mio metro e ottantatre di altezza, mi sentivo piccolo piccolo! Da ragazzino avevo fatto un volo in Aeroclub, seduto sullo strapuntino laterale di un minuscolo aereo di legno e tela, gigantesco per me, ed era nata la malattia, la sola della mia vita. A scuola raccontavo di voli fantastici, di lanci col paracadute e, insomma, raccontando balle ci credevo anch’io! Così, dopo essere stato sottoposto ad una complessa visita psicofisica presso l’IML di Napoli (l’Istituto Medico Legale dell’AM) nonché ad accurate indagini (io per fortuna non ero fascista né comunista), avvenne la mia incredibile ammissione al 34° Corso! Abitavo in Sicilia, in un paese della costa tirrenica. Mio padre mi aveva assecondato (convinto anche lui che non ce l’avrei fatta). Ma, pur se contrario a questa mia pericolosa avventura, che peraltro avrebbe interrotto gli studi universitari, vedendomi felice e raggiante mi consentì di partire, non prima di avermi fatto le raccomandazioni di rito! E dopo interminabili tragitti in treno, scesi finalmente a Lecce con la valigia piena di sogni! Giunsi (non ricordo come) all’aeroporto di Galatina, cercai con gli occhi gli aeroplani, li vidi in cielo volteggiare nella finta caccia e già mi sentivo uno di quei fortunati piloti, libero di muovermi nelle tre dimensioni! Intanto mi vestirono, mi diedero un mucchio di libri, una tuta, un casco, un letto a castello ed un armadio tutto mio! La prima notte entrarono in camerata gli allievi del 32° Corso (il 33° era riservato agli allievi piloti sottufficiali); quei simpaticoni, già piloti, erano prossimi alla partenza per altre Scuole o Reparti, dove avrebbero volato con aviogetti e plurimotori. Gli intrusi ci fecero il “culo nero” con spazzola e lucido da scarpa, in quanto eravamo Pinguini con le alucce corte che ancora non ci consentivano di volare! Io mi ero sottoposto sorridendo a quel rito, pensando che fosse propiziatorio come il cosiddetto papello ottenuto dagli Anziani al primo ingresso da matricola nell’atrio universitario. Poi, sull’attenti ma con una mano sul fondo schiena, avevo solennemente dichiarato: “E questa è la mia AeroNatica”, suscitando un coro di risate! Chi di noi si ribellò, venne immobilizzato e debitamente spazzolato più volte nelle notti successive. Il secondo giorno, mentre eravamo in sala mensa (seduti a tavoli per sei con menù) ci furono sottratti i berretti nuovi appesi in anticamera, gentilmente sostituiti dai soliti noti con altri unti e bisunti. Li ripulimmo con acqua e sapone, facendoli tornare quasi nuovi. Quando piovigginava, ci portavano a mensa in pullman. Mi sentivo in paradiso! Iniziammo con le esercitazioni in aula. Ricordo un bellissimo filmato delle nubi, realizzato da un aeroplano che ci volava accanto e sopra! Fuori si marciava. Col sergente istruttore avanti, qualche spiritoso dietro si metteva a fischiettare una marcetta (quella del film “Il Ponte sul Fiume Kwai”: fifu… fufifu… fiffi… fu…) e altri attaccavano con lui! Il sergente rallentava e, quando era dietro, si metteva a fischiare la prima fila! Non era indisciplina ma esuberanza giovanile e felicità di essere in quel posto. “Hai cominciato tu?” Nossignore, rispondevo sull’attenti. “Dimmi chi è stato”. Non lo so, Signore. “Un giro campo di corsa”! Ma … tentavo di replicare … “Due giri campo”! Perciò ubbidivo (prima che diventassero quattro) e me li facevo, anche se non ero colpevole (?), canticchiando allegramente. I guai cominciarono quando ci misero in circolo attorno ad un graduato che, marciando, dovevamo salutare giunti a tre passi da lui: le nostre teste scattavano di lato e alcuni di noi salutavamo all’americana alzando poco il braccio e ponendo la mano aperta, con inclinazione di 45°, alla visiera del berretto. Niente da fare, si doveva sollevare il gomito all’altezza della spalla ed eseguire il saluto con la mano orizzontale, allineata all’avambraccio e con le dita chiuse! Mi esercitavo davanti allo specchio e mi riusciva, tornavo in “circuito” e sbagliavo di nuovo! Un’altra difficoltà era riconoscere i gradi. Alla stazione ferroviaria di Taranto, tempo dopo, ignorai un ammiraglio e salutai solennemente un vigile urbano, che si sentì sfottuto! Finalmente quella manfrinata finì e, in libera uscita, passavo alla larga da ogni persona in divisa diversa dalla mia. C’erano anche gli allievi ufficiali dell’esercito, ma ci snobbavamo a vicenda. E però insieme frequentavamo un bar che faceva affari d’oro perché al bancone c’era Lilly, una bella ragazza, davvero in gamba, che dava corda a tutti … ma non la mollava mai! Col pullman ci portarono in un campo per sparare ai bersagli con la mitragliatrice che aveva un treppiedi bassissimo: stando seduto a gambe aperte non mi riusciva di azzeccare un colpo; così decisi, là per là, di mettermi sdraiato a pancia in giù per mirare sulla canna e, alla prima raffica, per poco non persi l’occhio destro … essendomi scordato del rinculo! Mi aveva certamente salvato la mia AeroNatica! Finalmente cessò la quarantena e ci preparammo, con ansie, paure represse, felicità e pruriti sulla pelle (composite insalate di sentimenti), a volare con quei magnifici Texan T6. All’alba i meccanici li mettevano in moto: li sentivamo dalla camerata lontana ed era musica dolcissima! Il cuore mi diceva che ce l’avrei fatta. Ma prima, a gruppi di cinque, dovemmo recarci in infermeria per essere vaccinati contro il tetano e altri malanni, credo. Ci andai di corsa (stupido!) e, appena arrivato, il medico appoggiò sul mio petto lo stetoscopio e sentì che il cuore pulsava forte, guardò le mie tonsille arrossate (all’epoca fumavo ancora, ma avevo deciso di smettere al primo volo) e sentenziò: “Tu non puoi volare, hai un’endocardite provocata da una tonsillite cronica”. Violenta pugnalata assolutamente inattesa! Mai avuto un raffreddore, un’influenza o una febbre in vita mia, a parte quella che certe mattine mi procuravo strofinando il bulbo del termometro per non andare a scuola. Così avvilito, prostrato, distrutto, affrontai (non sapendo che potevo fare ricorso ad una certa Commissione di Roma) varie assurde peripezie che qui eviterò di narrare. Per dirla in breve, tuttavia, ero sano ma non avevano bisogno di me perché (disse qualcuno) non ero raccomandato! Fra le raccomandazioni del babbo … questa non c’era! Il Comandante di Gruppo, consapevole forse di quella ingiusta condanna, guardandomi negli occhi colmi di lacrime, decise di regalarmi un volo col T6. Mi affidò ad un maresciallo istruttore (che non sapeva nulla di quella mia brutta vicenda) e, dopo il decollo, mi disse nell’interfono di prendere i comandi. Dimenticato il dolore che mi schiacciava il petto, con i piedi poggiati sulla pedaliera presi delicatamente con la mano destra la cloche e mi accorsi che era elastica: per cui non feci nulla, poiché l’aeroplano andava diritto per la sua strada! Giunti sul mare, il pilota istruttore fece lui un paio di virate strette ed io, ritrovata la rabbia nascosta in corpo, di rimando parlai nel microfono: “Tutta qua la sua acrobazia?” Piccato da quella mia insulsa dichiarazione, sparò subito un looping, poi un tonneau, ancora un looping, infine la vite: e mentre l’aeroplano girava vorticosamente in discesa, si disegnò sul parabrezza un bellissimo arcobaleno con più colori di quanto si possa immaginare. Dovemmo, con disappunto, rientrare. A terra, dopo avermi fatto mettere su un solo piede per vedere se vacillavo (ma io rimasi immobile sull’attenti), gli raccontai la triste verità. Rimase di stucco e, scusandosi (ma di che?!), si allontanò a testa bassa. Fui mandato via e tornai a casa in treno. Un viaggio allucinante. Come in trance intravidi un Monaco che mi tirava per il braccio mentre dallo sportello aperto stavo per buttarmi di sotto. Frutto della mia immaginazione? Chissà! Ero stato posto in licenza illimitata e, trascorso il periodo di ferma, m’arrivò a casa, per posta, il congedo militare! Il racconto è vero, non ho esagerato e posso dimostrarlo. Poco dopo, infatti, superai una nuova visita psicofisica allo stesso IML di Napoli e frequentai, negli anni, diverse scuole di pilotaggio conseguendo a mie spese, con sacrifici, tutti i brevetti civili fino al 3°/IFR (pilota commerciale) nonché molte abilitazioni compresa quella di pilota istruttore AG (Aviazione Generale). Ho insegnato fino al compimento dei 65 anni d’età, limite fissato dalla legge e in seguito abolito (sempre fortunato, io!). Alcuni miei ex allievi, figli di Ufficiali, da tempo sono piloti militari; mentre altri, figli di muratori e falegnami, sono piloti di linea o a loro volta istruttori. L’AG mi rimane nel cuore! L’Aeronautica Militare italiana (AMI) … proprio no! Aggiungo che fin dalla nascita del Volo da Diporto o Sportivo (VDS), faccio l’istruttore con soddisfazione in questa specialità, addestrando ancora, a ben 76 anni d’età, tanti giovani appassionati e squattrinati. E così, senza la divisa azzurra che adoravo e che l’AMI non ha voluto lasciarmi, volo ugualmente da quasi 50 anni avendo trovato nel sovrastante cielo nuvoloso squarci di più limpido azzurro … col solo aiuto della mia AeroNatica!


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Michele Gagliani

La mia AeroNatica

aeroplano corsairRivive la grande avventura e disavventura dell’autore, felice d’essere vincitore del concorso per allievo ufficiale pilota in Aeronautica Militare, un sogno poi infranto prima ancora di volare da una inesistente malattia, diagnosticatagli in infermeria.

Prima d’essere rimandato a casa (dove, trascorso il periodo di “ferma”, gli fu recapitato per posta il congedo militare) ottenne dal Comandante di Gruppo il magnifico regalo di un volo col favoloso Texan T6. Riuscì poi a diventare pilota civile a spese sue!

Il titolo non è errato: si riferisce al primo episodio in cui gli allievi anziani entrarono di notte in camerata e accettò, sorridendo, la vecchia tradizione d’avere il “sedere” spazzolato con lucido da scarpe. Chi si rifiutò fu debitamente spazzolato tante altre volte ancora!


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”