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Passeggero per forza – V parte

(Guida per tutti i fifoni del volo)

 

IL BATTESIMO DELL’ARIA

“Uccelli in cielo, pesci in mare, uomini in terra.” (ERMANNO TANZI)

Al primo volo ti senti come uno che si presenta in bermuda e ciabatte alla prima della Scala. Però non te ne accorgi subito. Si tratta di un processo lento e inesorabile che mette impietosamente a nudo la tua inesperienza di neofita, e ti fa sentire prima ridicolo, poi imbranato e sempre fuori posto. Dopo essere arrivato in aeroporto con quattro ore d’anticipo il neopasseggero si riconosce dal fatto che non usa il carrello per i bagagli, perché o non ne conosce l’esistenza, o non si fida della novità, così soccombe sotto il peso delle proprie borse ansimando come un maniaco mentre se le trascina per l’aeroporto; le valige sono sicuramente troppe e troppo morbide, cosicché finiranno pressate nella stiva fra i bauli corazzati ultimo modello dei passeggeri esperti, e, al ritorno, quando verrete accusati di contrabbando di diamanti, sarà imbarazzante spiegare che si trattava di un vaso di cristallo boemo intero comprato a Praga. Se vedete la coda alla cassa del duty-free, noterete subito il neofita che, rosso in viso ed impacciato, fruga nel marsupio che tiene sotto la camicia, che è sotto la felpa, che è sotto la giacca a vento, alla ricerca del biglietto aereo che aveva prudentemente nascosto, e che la cassiera gli ha appena chiesto. Il fatto è che non conosciamo le regole e diventiamo facilmente riconoscibili: già alla partenza abbiamo borse di plastica ricolme di articoli comprati al duty-free dove ci siamo fatti travolgere dal miraggio del falso risparmio. Oppure stiamo sarcasticamente ridendo di “quell’idiota” in fondo al corridoio che ha comprato borse di oggetti e sarà costretto a portarseli per tutto il viaggio, mentre noi “furbi” faremo acquisti al ritorno. Tutti noi, la prima volta, abbiamo scoperto che il duty-free c’è solo all’aeroporto di partenza. Al mio primo volo ho commesso i tre errori di ogni debuttante: bar, edicola e bagaglio a mano; in aeroporto: caffè, brioche, pizzetta, ventimila. In aereo ti rimpinzano gratis come un maiale all’ingrasso, ma tu sei già pieno e il portafoglio già vuoto. A terra ti compri ogni sorta di giornale per passare il tempo e poi scopri che a bordo li distribuiscono gratuitamente, e ti senti un coglione. Poi c’è il bagaglio a mano: il neofita non ne ha, perché scopre a cosa serve solo quando a New York lo informano che la sua valigia è finita in mano a una tribù di aborigeni dell’Australia orientale. Questo è lo scotto da pagare al battesimo del volo, ma ci sono anche piacevoli scoperte cui il passeggero va incontro come il bimbo che scopre il mondo per la prima volta. Chi di voi, arrampicandosi sulla scaletta dell’aereo con quella velata angoscia nel cuore di chi sta per sfidare le leggi della gravità, non ha pensato fra sé e sé “Quant’è grosso sto coso! Ma come cazzo fa a volare?” E proprio mentre cominci ad essere assalito dai grandi dubbi della vita e ti sta balenando l’idea di girarti, scendere e prendere il treno, ecco che d’incanto ti appare il paese dei balocchi: hostess sorridenti in minigonne dagli spacchi improbabili, steward alti e biondi dai denti perfetti, ti accolgono salutandoti nella tua lingua. E così ti distrai ed entri, attratto come Ulisse dal canto delle sirene. Solo più tardi capisci che il personale delle compagnie aeree è diviso in tre categorie: quelli belli che ti accolgono sulla porta, quelli brutti che stanno all’interno, e quelli intelligenti che lavorano a terra. Ma ormai il portellone è chiuso e tu sei a bordo. La durata del volo è scandita da tre o quattro occupazioni abbastanza ripetitive e scontate: i primi venti minuti ti lasciano in pace, perché tutti sistemino i bagagli e trovino il loro posto, così puoi osservare l’umanità che ti circonda e sospettare che l’arabo con occhiali scuri e valigetta sia un dirottatore palestinese. L’altro fattore di preoccupazione è la poltrona vuota al tuo fianco e così speri che l’obesa signora sudata e ansimante che sta lentamente avanzando nel corridoio non tocchi proprio a te. Scherzi a parte, l’importante è che il vicino non sia invadente e chiacchierone; se comincia a fare domande dategli una botta in testa subito, tanto vi verrebbe lo stesso la voglia di farlo dopo un’ora, almeno guadagnate tempo. Personalmente, quando sono su un aereo, dal momento in cui mi siedo fino all’atterraggio, soffro come un cane, mi pietrifico, smetto di muovermi, di parlare, di respirare, e non c’è cosa peggiore di avere al fianco un rompiballe che non conosci, che non vuoi ascoltare e che ti informa che secondo lui manca un bullone sull’ala che vede dal finestrino. Una volta esaurito il rituale della consegna dei posti, le mosse delle Compagnie aeree per distrarti si susseguono in studiata sequenza: prima lasciano agire l’istinto fanciullesco insito in ognuno di noi, così a loro basta riempire di balocchi il tascone del sedile davanti a noi per farci sentire come da piccoli la mattina di Santa Lucia davanti ai regali da aprire. In quelle condizioni siamo innocui. Ciascuno di noi abbandona ogni pensiero attirato da gadgets, riviste, oggetti, che escono senza fine dal magico tascone modello Eta Beta, ed estrae coperte, giornali, profumi e balocchi, ed annusa, assaggia, legge e soprattutto imbosca. Sparisce il bimbo emozionato dai regali ed appare il ladro consumato. Tutti vogliamo un ricordino, così vedi insospettabili distinti signori nascondere mascherine da notte che non useranno mai. Se c’è qualcuno di voi che non ha rubato qualcuno degli oggettini da tascone è solo perché in preda all’euforia da atterraggio e alla smania di scendere si è dimenticato la refurtiva sul sedile. Inebriato dai balocchi che ti circondano non ti accorgi del decollo e per continuare a distrarti dal fatto che il tuo sedere viaggia a diecimila metri dal suolo, le sorprese proseguono con l’arrivo del carrello dei giornali, che il neofita prima rifiuta, poi rincorre disperatamente una volta scoperto che è gratis. Dopo aver cercato affannosamente la Gazzetta dello Sport (che non c’è mai), il Corriere (finito), la Repubblica (in sciopero), si accontenta di una copia del Frankfurter Allemander pur di poter arraffare qualcosa; non sa una parola di tedesco, ma è soddisfatto del bottino. Sui voli a lunga percorrenza non potrebbe mancare l’emozione del cinema e dopo un’oretta di viaggio cominciano a proiettare film con audio selezionabile in tutte le lingue, dal cinese mandarino all’antico indù, dall’esperanto al geroglifico egizio, tutte tranne la nostra. Per distrarre noi italiani ci sono le hostess e il cibo, il problema è che abbocchiamo all’amo facilmente: fra tutte le teste che fissano lo schermo del cinema, siamo gli unici che allungano il collo a giraffa per vedere lo spacco della hostess che è appena passata nel corridoio. Quando transita il carrello delle bevande, facciamo incetta come profughi, nascondendo le lattine nello zaino, senza aprirle, per avere la scorta e soprattutto perché è gratis. Svuotato il tascone dei giochi, sbirciate le figure del giornale germanico, visto ma non sentito il film in prima visione, è ora di pranzo. Mangiare sull’aereo è come fare bricolage: o ci sei portato o t’incazzi dopo un minuto. I problemi sono tanti e tutti insieme: lo spazio è quello che avresti con una camicia di forza chiusa bene, il gusto del cibo varia tra il sapone aromatico e il plastica fredda tanto che spesso ci mangiamo le posate senza accorgercene. Il passeggero affamato si trasforma in un equilibrista senza speranza, solo il campione mondiale di puzzle riesce a coordinare perfettamente la vaschetta del pollo con il bicchiere dell’acqua, il panino con la porzione di dolce, e riuscire a incastrare tutto in precario equilibrio sul tavolino di plastica lillipuziano. Da qui in avanti ci vuole solo fortuna, perché basta un colpo di tosse tre file più indietro perché la macedonia travolga il ragù di carne e il panino cada a terra rotolando fino alla cabina di pilotaggio. Solo dopo aver provato l’esperienza del pranzo a bordo si comprende esattamente perché è tutto gratuito: se vi facessero pagare il conto morsichereste la prima hostess a tiro. Un capitolo a parte meritano i bagni degli aerei. Tutti noi siamo un po’ restii alle novità, un po’ per paura, un po’ per pigrizia, e speriamo di non averne mai bisogno, ma sarà l’emozione del volo o le troppe bevute, ecco che ti capita la necessità impellente di andare in bagno, e sei costretto ad affrontare il nemico. La parte più difficile è entrare, primo perché non sai se la porta non si apre perché sei imbranato o perché è occupato; secondo perché la vescica ti scoppia e i minuti passano inesorabili. La toilette di un aereo è un mondo a parte. Non vi svelerò i suoi segreti. Dirò solo che se siete così bravi da non pisciarvi sui pantaloni è perché ve la siete fatta sulle scarpe, e aggiungerò che ci sono persone convinte che quello che lasciano nel water, esca dall’aereo e cada, diecimila metri più sotto, in testa a qualcuno. Una breve parentesi anche per i cellulari: le strumentazioni degli aerei meno moderni possono essere gravemente disturbate da questi apparecchi; se vedete qualcuno che sta telefonando alla mamma, assalitelo, bastonatelo e fategli cadere il telefonino. Meglio quello dell’aereo. Così facendo, fra regalini, abbuffate, film in prima visione e bagni spaziali, veniamo distratti dalle nostre paure e portati a destinazione. Ma anche atterrati noi neofiti ci facciamo notare, perchè fra tante facce stanche dal viaggio, sfoderiamo un sorriso smagliante, felici di essere di nuovo a terra, ma ignari del rito del ritiro del bagaglio. Appena scesi vorremmo correre di gioia, ma ci attende l’ultima prova: il nastro delle valigie. Una segnaletica contorta ci dovrebbe condurre alla sala del supplizio finale, ma un po’ incerti e un po’ pecoroni seguiamo in gruppo il passeggero che con decisione prende il comando puntando senza esitare fra i meandri dell’aeroporto; solo dopo quindici minuti di marcia, quattro scale mobili, due terminal e cinque corridoi, stremato il capobranco si arrende e si ferma sconsolato, provocando il tamponamento della mandria al suo seguito. Una volta raggiunta la sala ritiro bagagli tutti i passeggeri si dispongono in religioso silenzio pieni di speranza, una speranza che si affievolisce con il passare dei minuti e dei bagagli degli altri, perché se tutti ce l’hanno fatta a scendere dall’aereo, non tutti ce la faranno a riavere le loro valigie. Non si può volere tutto dalla vita. Ma che importa davanti alla sensazione di essere di nuovo a terra, padroni di se stessi, sani e salvi, in preda ad un felice rilassamento da scampato pericolo? Ora potete di nuovo lasciare agli altri la convinzione che l’aereo sia sicuro e soprattutto veloce, non prima di aver ricordato che le ferrovie ci garantiscono Milano-Roma in tre ore, le autostrade in quattro, l’aereo in quarantacinque minuti, escludendo l’ora da casa all’aeroporto, l’ora per l’imbarco, l’ora per il ritiro dei bagagli, e il tragitto aeroporto-città nel caos della capitale. Lasciamoci prendere in giro ! Ormai abbiamo di nuovo i piedi a terra e sopporteremmo qualunque cosa, certi che l’aeroporto più bello del mondo per noi è sempre quello di arrivo.

Battute a parte, ognuno ha le proprie paure, le proprie sicurezze, il proprio modo di viaggiare. Ciascuno merita rispetto, e, intendiamoci, ammiro chi riesce a rilassarsi su un bus, chi si gode il panorama dal treno, chi ama la vita di crociera, chi non salirebbe mai su un aereo e chi salirebbe solo su un aereo. Io, lo ripeto, ho paura di volare, ma lo faccio per vedere nuove città, paesi lontani, sono un passeggero per forza. Da sempre però una domanda mi tortura. Perché tutti noi passeggeri, fifoni o convinti che siamo, applaudiamo fragorosamente il pilota all’atterraggio? Avete mai applaudito il macchinista che vi porta in stazione, l’autista alla fermata del bus, o il capitano della nave? E allora, amici, forse è perché dentro di noi, non siamo poi così tanto sicuri di arrivare.

 


 

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Nicola Tanzi

Passeggero per forza – IV parte

(Guida per tutti i fifoni del volo)

LE ULTIME VENTIQUATTRO ORE

Come riesce a volare un aereo? E’ semplice: i motori spingono il velivolo in avanti e creano una corrente che colpisce il terreno, i motori vanno più veloci, e quando c’è sufficiente corrente e si è creato un vuoto d’aria, l’aereo si solleva in cielo. Da qui in poi è un miracolo. Non ho mai capito cosa cazzo li tenga su. (MEL BROOKS)

 

L’ultimo passo prima di avventurarvi in aeroporto certi di aver fatto tutto quanto nelle vostre possibilità è la preghiera della sera prima: visto che l’indomani dovrete andare in cielo tanto vale metterci una buona parola, non si sa mai, capitasse di doverci restare … Ma più che scomodare il buon Dio per voi, sarebbe il caso di pregare per il pilota; è molto meglio che sia lui a dormire bene stanotte anziché voi, e soprattutto sperate che non abbia appena scoperto la moglie a letto con l’amante. Avere un pilota incazzato non è proprio quello che si intende con cominciare bene. L’ultima occasione di rendere meno insicuro il proprio viaggio è il check-in: lì si decide l’ultima variabile, il posto sull’aereo. Presentarsi presto al banco della compagnia aerea non serve ad avere più tempo per lo shopping al duty-free, ma a impedire che il destino scelga per noi. Il vero passeggero per forza studia da anni in tv le immagini dei disastri e conosce alla perfezione i punti deboli degli aerei, sa quali parti sono più robuste, così evita accuratamente le ultime sette file e la zona delle ali. Pare che la parte migliore sia a metà fra la cabina di pilotaggio e le ali, non so dirvi se sia meglio il posto corridoio o quello finestrino, l’unica cosa certa è che se scegliete il finestrino sarete travolti dal vicino che vuol vedere fuori, e se scegliete il corridoio sarete calpestati dallo stesso vicino che vuole andare in bagno. Eseguite le formalità del check-in, consegnati i bagagli e superato il controllo passaporti, siete nelle loro mani.

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Nicola Tanzi

Passeggero per forza – III parte

(Guida per tutti i fifoni del volo)

LA LEGGE DELLA PROBABILITA’

“Volare è utile, atterrare è necessario.” (EROS DRUSIANI)

 

Man mano che passano i giorni e si avvicina il momento del volo, a noi passeggeri nevrotici sale la tensione, siamo coscienti di avvicinarci all’istante in cui ci troveremo completamente nelle mani di qualcun’altro, rinchiusi in un aereo pronto al decollo. Quindi non ci rimane che giocarci al meglio le ultime carte che possediamo. Nei giorni precedenti alla partenza entra in gioco la legge delle probabilità. Il principio al quale si appellano tutti i viaggiatori per scacciare la paura consiste nell’affidarsi a questa teoria: “Se cadono uno o più aerei pochi giorni prima di partire, per la legge della probabilità, dovrei essere salvo.” Non fidatevi assolutamente della legge della probabilità perché: 1) se riuscite a sentirvi tranquilli su un aereo dopo averne visto cadere uno poche ore prima, siete pazzi. 2) se sono appena caduti due aerei, ricordate che c’è un proverbio che recita “Non c’è due senza …” 3) se è appena precipitato un volo della vostra stessa compagnia siete proprio sicuri di sentirvi rilassati e al sicuro? 4) se sono appena precipitati due aerei ricordate che anche i passeggeri del secondo volo credevano nella suddetta legge. La legge della probabilità è una grandissima minchiata. Se cade un aereo pochi giorni prima, sarete accerchiati da parenti ed amici avvoltoi che ve lo ricorderanno sadicamente ogni cinque minuti, ostenterete una finta tranquillità con loro, e passerete il resto delle ore sulla tazza del water tra scongiuri e preghiere.

 

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Nicola Tanzi

Passeggero per forza – II parte

(Guida per tutti i fifoni del volo)

LA SCELTA DEL VOLO

Se Dio avesse voluto che l’uomo volasse                                                                      l’avrebbe fatto nascere con un biglietto. (MEL BROOKS)

In qualità di passeggero forzato in preda alle sue nevrosi da volo ritengo che la preparazione ad un viaggio aereo cominci molto prima del decollo, infatti molti tendono a pensare che la fase più importante del volo sia l’atterraggio. Sbagliato. L’atterraggio è il momento del sollievo, dei sorrisi, la fine dell’incubo, è il premio al lavoro di preparazione che hai svolto prima, ma non è il più importante. Quattro, cinque mesi prima, quando distrattamente sei entrato in un’agenzia viaggi e hai sfogliato quintali di cataloghi colorati, lì doveva cominciare il tuo lavoro. Ricordati che tra il decollo e l’atterraggio sei nelle mani del pilota, ma tra l’agenzia viaggi e il decollo sei solo nelle tue mani. Un buon passeggero per forza che sa di dover prendere un aereo è conscio di aver davanti una serie di variabili casuali e incontrollabili a cui dovrà inevitabilmente affidarsi confidando nella buona sorte, e questo lo rende nervoso. Ma sa anche di avere qualche carta importante da giocare con lucidità per cercare di evitare i pericoli più banali, e questo lo fa sentire attivo e lo distrae fino alla partenza. Una volta scelta la meta del viaggio ed appurato di non avere alternative al volo per raggiungerla, ecco che diventa necessario e fondamentale scegliere la compagnia aerea cui affidarsi. Gli aerei non sono tutti uguali, non hanno tutti lo stesso prezzo, ed una compagnia non vale l’altra. Tutte possono decollare, ma voi dovete scegliere quelle che sanno atterrare. Ecco quindi la scelta; la ricetta è semplice: lasciando ai temerari i voli charter, è chiaro che la nostra cernita avverrà rigorosamente tra compagnie di bandiera di stati moderni ed industrializzati, la manutenzione, infatti, è una delle prime voci di bilanci soggette a tagli in periodi di crisi e il parco aerei potrebbe già essere un po’ vecchiotto. Così è meglio scartare tutti i paesi africani, il Sud America e gran parte dell’Asia. Ricordatevi di tutte le compagnie aeree viste in tv (dato che fanno notizia solo gli incidenti) ed accantonatele insieme a quelle il cui personale ha scioperato di recente (sabotaggi e disservizi). Togliete dalla lista l’Aeroflot (Russia) che produce ed utilizza tuttora il modello di aereo più scalcinato ed incidentato del mondo: il Tupolev, e non fidatevi nemmeno di suo cugino, l’Antonov, in dotazione a tutti gli stati dell’Europa orientale e del blocco ex-sovietico (Cuba ad esempio). Dopo questa grande scrematura prendete le compagnie aeree rimanenti e considerate le implicazioni politiche: scartate perciò tutte quelle appartenenti a paesi che sembrano affidabili a livello tecnico, ma potrebbero essere nel mirino di un qualsiasi terrorista o dirottatore. Cancelliamo dalla lista i paesi caldi dell’area araba, eliminiamo Israele, e mai, dico mai, prendete un volo di bandiera statunitense, perché non c’è paese al mondo cui gli americani non abbiano rotto le scatole. Per trovare un terrorista kamikaze disposto a dirottare un aereo americano basta cercare sulle pagine gialle. Vi rimangono ancora alcuni fattori da considerare: la rotta non vi è dato di conoscerla, ma se in un viaggio precedente avete rubacchiato uno di quei mensili che si trovano nella tasca davanti al vostro sedile, sbirciate nelle pagine, a volte le Compagnie si tradiscono pubblicando enormi mappamondi con tutti i percorsi. Guardate subito, e se per caso dovete volare su ex Jugoslavia, Iraq, MediOriente, o nella probabile traiettoria di qualcuno dal grilletto facile, cambiate aereo. Diffidate dei voli che fanno scalo, ricordando che i momenti più pericolosi sono decollo e atterraggio, due bastano e avanzano, inutile correre ulteriori rischi. Infine informatevi accuratamente sull’aeroporto di destinazione, vi basti sapere che architetti avveniristici costruiscono aeroporti su isole e isolette, dove alla fine della pista c’è il mare, oppure fra i grattacieli, dove anche per i piloti è necessario un brevetto supplementare per poter atterrare. Per concludere direi di fidarsi solo dei paesi piccoli, neutrali ed operosi. Considerando che la Swissair ha avuto i suoi bei problemi di recente, e che il Liechtestein non ha compagnia di bandiera, e se dopo tutte queste valutazioni vi rimane ancora fiducia in qualcuno, allora prendete quel volo.

 

NOTA DELL’AUTORE Al 01/10/2001 quattro compagnie al mondo non hanno mai avuto incidenti di alcun tipo: Qantas (Australia), Sabena (Belgio), Austrian Airlines (Austria), Icelandair (Islanda).

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Nicola Tanzi

Passeggero per forza – I parte –

 (Guida per tutti i fifoni del volo)

A mia moglie Laura che sopporta tutto questo.                              A mio padre, uomo di terra.   A mia madre, donna giramondo.   Al mio amico Paolo, passeggero per forza come me.  

INTRODUZIONE

Da sempre avuto paura di volare, ma la sete di conoscenza, il piacere di viaggiare e scoprire nuove città e mondi diversi, mi ha spinto a “osare”, e qualche volta ho volato. Certo prima di arrendermi le ho tentate tutte: ho raggiunto in auto la Scozia, il Galles, la Norvegia e la Svezia, la Bretagna e la Normandia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca, ma in Cina non ho potuto arrivarci. Negli anni non sono mai riuscito a vincere veramente la paura di volare, ma raccontando ho scoperto di non essere solo; ho trovato amici, parenti, amici degli amici tutti con la stessa incontrollabile nevrosi da volo. Alla fine, confrontando paure e timori, i nostri comportamenti erano così comuni e allo stesso tempo così buffi da risultare irresistibili, e ho deciso che dovevano essere raccontati. In questo modo è nata questa piccola guida che vuol essere divertente e irriverente sia per chi vola, sia per chi non vuol volare, dedicata a tutti noi fifoni dell’aereo che preferiremmo restare a terra, ma ogni tanto chissà perché, ci facciamo convincere e sfidiamo noi stessi.

PARTE PRIMA: I PASSEGGERI

“Pensate che una volta mio zio doveva andare da Chicago a Los Angeles,  ed ha avuto il presentimento che l’aereo sarebbe caduto.  Così ha preso il treno. E pensate un po’! L’aereo è precipitato.  Sul treno.” (telefilm I JEFFERSON)

Prepararsi ad un volo aereo è un’attività decisamente faticosa e molto più complessa di quanto possa sembrare a prima vista. Per prima cosa è necessario capire in quale categoria di passeggeri vi potete riconoscere, ne esistono infatti di tre tipi: i convinti, i terrestri ed i costretti, conosciuti anche come passeggeri per forza. Se ci addentriamo nella categoria dei convinti possiamo fare subito una ulteriore distinzione tra coloro che lo sono (o lo diventano) per obbligo, e coloro che lo sono per scelta; ai primi appartengono un gran numero di lavoratori, manager, dirigenti, responsabili estero di una qualunque azienda di un qualunque posto del mondo, che per raggiungere un cliente o una propria sede, possono “liberamente” scegliere fra due ore di volo e un mese a dorso di cammello attraverso il deserto. Così si abituano, un po’ per forza, un po’ per denaro, e si rassegnano a trascorrere le giornate davanti ai nastri trasportatori dei bagagli, contando i punti accumulati sulle loro tessere di frequent-flyers per ingannare le attese. Il vero passeggero convinto invece è certo che salire su un aereo sia come entrare in cassaforte: nulla è più al sicuro di lui su un aereo.“ Ne muoiono di più sulle strade che in aereo.”Se sentite questa frase avete davanti un convinto del volo. A nulla servirà ricordargli che in auto circolano miliardi di persone ogni ora e che in caso di scontro si possa anche andare dal carrozziere anziché in paradiso. Mia madre è un passeggero convinto. La categoria opposta sono i terrestri. Per loro l’aereo semplicemente non esiste, ne esisterà mai. I terrestri vivono di grandi certezze: non metteranno mai piede su una scaletta, non si faranno mai rinchiudere in una scatola di latta con le ali, e non sapranno mai il significato di parole come terminal, check-in o duty-free. Hanno dalla loro la grande tranquillità che ogni luogo del mondo si può raggiungere per mare, per terra, in auto o a piedi, e che in Nuova Zelanda non è poi così necessario andarci nella vita. Per la verità definire i terrestri come una categoria di passeggeri potrebbe persino sembrare offensivo nei loro confronti, ma sono anch’essi strettamente legati al volo: dalla loro insuperabile fobia. Sono nati sulla terra e non la abbandoneranno mai, e se proprio sarà assolutamente necessario farlo, contano ancora sulle loro due armi segrete: l’invenzione del teletrasporto e l’anestesia totale. Mio padre è un terrestre nato. Ad ogni modo convinti e terrestri sono accomunati dalle loro grandi certezze seppur diametralmente opposte, mentre i passeggeri per forza sono in balia delle loro inimmaginabili nevrosi; basti pensare a tutte quelle persone che preferirebbero andare a piedi, in treno o in auto, ma a volte non possono proprio fare a meno di dover prendere un aereo. Tra l’andare in Cina con una carovana di nomadi per la via della seta, e volare con la miglior compagnia del mondo, scelgono a malincuore quest’ultima, non senza iniziare una serie di riti propiziatori e scaramantici per accaparrarsi i favori dei Santi del Cielo. Io, lo confesso, sono un passeggero per forza, e voi scommetto, ne avete almeno qualcuno in famiglia. Non è che abbiamo paura di volare, è solo che se avessimo un paracadute ci sentiremmo più tranquilli. Quello che spaventa a morte noi “costretti” è la mancanza di una via d’uscita; mi spiego meglio: se viaggi con la tua auto e buchi una gomma, puoi fermarti a cambiarla, chiedere aiuto a un gommista, fermare un’automobile di passaggio, o persino aspettare che si rigonfi miracolosamente da sola. Se sei rinchiuso in un aereo a diecimila metri di altitudine e si rompe qualcosa, sei fregato. Per usare il paracadute sei troppo in alto, per uscire fuori fa troppo freddo, e il meccanico più vicino è San Fiorenzo, protettore dei carrozzieri, ma non esercita più da secoli. Se poi riuscissi miracolosamente a vincere tutte le leggi della pressione atmosferica e della gravità, devi sapere che cadendo anche da soli cento metri, che atterri su un mare di piume o su una lastra di marmo, non fa nessuna differenza. Sapete perché quando ti chiudono il portellone alle spalle e ti allacci la cintura di sicurezza, scende un imbarazzante silenzio? Perché tutti stanno pregando il proprio Dio. Già, perché da quel momento in poi, tutto deve andare o bene o bene. Motori, ali, impianto elettrico, correnti d’aria, missili vaganti, uragani, terroristi di passaggio, tutto si deve fondere in un’unica grande speranza che accomuna i passeggeri di ogni aereo, tutto deve filare liscio come l’olio, perché da quel momento non si scende. Quello che innervosisce tremendamente noi passeggeri per forza, è questa mancanza della possibilità alternativa. Ammettiamo che voglia fermarmi: in auto basta accostare, in treno tirare il freno d’emergenza, in nave puoi persino decidere di nuotare, tutti ti danno sempre una seconda possibilità, ma in aereo no. A dire il vero una chance esiste, o forse si tratta solo di una pia illusione che ci distingue dai terrestri e ci convince a salire su un aereo: la possibilità del superenalotto. Infatti se la fortuna ti concede una probabilità su sei miliardi di indovinare sei numeri, così, se precipita l’aereo, ti può concedere una probabilità su sei miliardi di uscirne miracolosamente intero e soprattutto vivo. Per vincere al superenalotto ci vuole molta fortuna, per sopravvivere ad un incidente aereo ci vuole solo del culo, e anche grande. Però, devo ammettere, può succedere.

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