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Il volo

Se ne stava immobile da ore. La natura pareva avesse colto la sua necessità di immobilità e di solitudine: la brezza che spirava quando era andato a sedersi su quella scogliera a strapiombo sul mare si acquietò, persino i chiassosi gabbiani parvero intuire questo suo intimo bisogno e si allontanarono in stormo verso il mare aperto dove un piccolo peschereccio issava le reti arrivando a nasconderlo completamente allo sguardo dell’uomo. Ma “lui” non stava guardando il peschereccio col suo scudo animato, non stava guardando l’azzurro del mare sottostante, ad una distanza vertiginosa; e non ne ascoltava la voce sommessa, il sussurro del frangente sullo scoglio simile ad una dolce ninna nanna. Se la madre lo avesse visto appollaiato lassù, in bilico fra la fragile roccia ed il nulla … lei non sapeva di quelle sue uscite. Quando usciva di casa per una qualche necessità e nessuna delle sue tre figlie poteva andare a badare al fratello lei sprangava le porte in maniera che lui non potesse uscire, in modo da proteggerlo da se stesso e dalla sua incoscienza del mondo e dei suoi rischi. Qualche ben pensante potrebbe obiettare che si trattava di una barbarie, ma provi pure ad andare a dirglielo a quella donna che quel figlio “demente” lo aveva tirato su da sola con tutto l’amore che una madre può dare, con tutte le attenzioni e le cure che il suo stato richiedeva, con sacrificio anche (ma mai se ne era lagnata). Quelli dei servizi sociali avevano provato ad aiutarla ma lei niente, non aveva mai accettato l’aiuto di nessuno al di fuori della sua famiglia. Da che era rimasta vedova, maledetto quel mare che aveva inghiottito il suo uomo!, aveva tirato avanti con la misera pensione che arrotondava vendendo al mercato i prodotti del suo orto e prestando alcune ore della sua giornata a servizio in casa del prevosto, un sant’uomo che avrebbe potuto anche risparmiarli quei soldi … ma aveva compassione di lei e di quel figlio innocente!! Aveva imparato, GiuseppeDiCrisquo (sputava il suo nome tutto d’un fiato per non inciampare nella sua balbuzie), “Peppino o’ tardo” come lo chiamavano gli altri quando nessuno della famiglia o il prevosto erano nei dintorni, a vivere in un mondo tutto suo che non aveva porte o finestre chiuse che potevano contenerlo: lui comunque viaggiava, correva, volava nel cielo, libero e senza barriere. Gli bastava chiudere gli occhi … Poi, casualmente, aveva scoperto un passaggio verso l’esterno: verso la cantina, alla quale si accedeva, tramite una stretta scaletta malamente illuminata, da una botola ricavata nel pavimento, quasi sotto il lavello della cucina, si apriva dall’esterno una finestrella, seminascosta dai cespugli di odoroso rosmarino. Si apriva proprio sopra un banco da lavoro, uno di quei vecchi banconi con le morse in legno, sul quale il padre eseguiva i piccoli lavori di manutenzione, ormai mezzo fradicio, sul quale era così facile salire per scavalcare la finestrella ed uscire all’aperto. Così, ogni volta che sentiva dare le mandate alle porte dopo che sua madre gli aveva rinnovato tutte le sue raccomandazioni e lo aveva salutato, GiuseppeDiCrisquo sollevava la botola, scendeva le scalette, saliva sul bancone da lavoro e scivolava fuori, nell’orto, dietro alla casa dove la madre, anche se si fosse voltata non avrebbe potuto vederlo. Faceva a corsa i pochi metri che lo introducevano nella macchia mediterranea dietro all’orto, quasi volando, eppoi via verso la scogliera. Da lì poteva volare anche senza chiudere gli occhi, semplicemente spingendo lo sguardo sul mare, oltre la linea dell’orizzonte, oltre le nuvole che spesso vi si addensavano, non prestando alcuna attenzione ai pescherecci ed ai loro scudi animati, né alla voce del mare ora rombante e cattiva, come quella sera che il mare s’era ingoiato ‘Ntonio, ora dolce e sussurrante come la voce di una mamma che canta fra i denti la sua ninnananna. Restava per delle ore lassù, appollaiato su quella scogliera dove nessuno aveva il coraggio di arrivare, tanto alto e scosceso era lo strapiombo. Ma lui osava perché conosceva il cielo e l’arte del volo, lui falco e gabbiano, lui albatro migratore … lui GiuseppeDiCrisquo volava … volava, esplorando il cielo, esplorando il mare col suo volo radente, si spingeva oltre i confini del mondo e del cielo … ad incontrare gli angeli ed oltre, forse fino al cospetto di Dio. Gli parlava di Dio, il prevosto, ogni volta che andava a trovarlo e tutte le domeniche in chiesa quando lui se ne stava a testa bassa per non incrociare gli sguardi degli altri fedeli (negli occhi della gente non era mai riuscito a vedere Dio e nemmeno uno spicchio di cielo), non parlava che di Lui Don Carmelo e ne parlava con affetto, con devozione e con convinzione, come uno che lo avesse visto molto da vicino. Ma Peppino o’ tardo sapeva che non era così, che anche Don Carmelo ne parlava per “sentito dire” e quello che descriveva non era Dio, perché non aveva mai descritto l’azzurro del cielo come lui lo vedeva, mai la rabbia o la quiete del mare sopra il quale planava … perché il prete non sapeva volare e non era falco o gabbiano, né l’albatro migrante. Se ne stava immobile da ore. D’intorno era quiete quando “lui” si alzò in piedi; scrutò nuovamente oltre l’orizzonte ascoltando la voce sommessa del frangente sullo scoglio ove gli parve di udire il richiamo degli angeli amici, forse di ‘Ntonio che lo stava chiamando dal mare come faceva al rientro dalle sue uscite prima che il mare famelico lo inghiottisse in un boccone,… chissà quale voce sentì raggiungergli il cuore. S’incurvò in avanti, GiuseppeDiCrisquo, la testa protesa, allargò le sue ali immense come d’albatro gigante e spiccò il volo dall’alta scogliera verso l’orizzonte ed oltre … volava … volava verso quel richiamo che nessuno mai saprà udire di nuovo. Scomparve, Peppino o’ tardo, ingoiato dal mare, che mai restituì il suo corpo tanto che la povera madre si creò l’illusione che gli angeli lo avessero prelevato direttamente dalla sua stanza per portarlo fino al cospetto di Dio. Ed il prevosto Don Carmelo iniziò a sognare il cielo d’un azzurro che mai aveva immaginato sovrastare un mare che sapeva cantar ninne nanne come mai nessuna madre aveva saputo fare. E nel cielo volteggiava uno strano uccello, fra il falco e il gabbiano … o un albatro gigante. Capì Don Carmelo, … finalmente capì i colori di Dio.


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Walt

Il volo

aereo monomotoreLa scogliera picco, i gabbiani che stridono, un peschereccio che ritira le reti da pesca, la risacca. Potrebbe essere la classica cartolina di un paesino di mare del profondo sud d’Italia se non fosse per quel ragazzo che se ne sta appollaiato sullo sperone roccioso. I paesani lo chiamano “Peppino o’ tardo” per la demenza che fin dall’infanzia lo ha colpito. Ma Giuseppe di Crisquo – questo è il suo vero nome – non è malato … è solo uno spirito alato imprigionato in un corpo umano. Ecco perché egli, di nascosto dalla povera madre, spende ogni momento di libertà per raggiungere quel luogo e volare, con la mente, laddove il corpo non lo condurrebbe, laddove l’occhio non arriverebbe… fino ad incontrare gli angeli e lo stesso Creatore. Un racconto struggente che nell’epilogo, tragico e nel contempo liberatorio, vi travolgerà emotivamente come solo i veri capolavori della letteratura riescono  a fare. Una prosa semplice e diretta, senza artifici stilistici che arriva diretta al cuore prim’ancora che alla mente.


Racconto / Medio-breve Pubblicato nel sito: “Ali di carta”