Archivi tag: In Evidenza

RACCONTI TRA LE NUVOLE – Conferma PREMIAZIONE XI EDIZIONE

Logo Racconti Tra Le Nuvole

XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 9 del 28 settembre 2023



Nella giornata di oggi l’ufficio preposto dell’Aeronautica Militare Italiana ci ha comunicato ufficialmente che saranno lieti di ospitare la premiazione della XI edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE nel loro rinnovato MUSAM – MUseo Storico Aeronautica Militare

(https://www.aeronautica.difesa.it/home/storia-e-tradizione/museo-storico/).

E’ dunque confermato l’appuntamento di domenica 15 ottobre alle ore 11,30 presso la sala conferenze del MUSAM tuttavia preghiamo gli autori/autrici di raggiungere la biglietteria già a partire dalle ore 10 (ora di apertura ufficiale del museo) affinché sia possibile conoscerci, scambiare qualche pettegolezzo e, non ultimo, procedere con tutta calma alle operazioni di accreditamento.

Come indicato nella sezione ORARI E COSTI del suo sito web, l’ingresso al MUSAM è a pagamento, fatto salvo per alcune categorie speciali di visitatori. Ad ogni modo, grazie al supporto economico dell’azienda VR MEDICAL, l’ingresso per gli autori/autrici del Premio avverrà per loro senza alcun costo previo accreditamento.

Il termine della cerimonia è previsto intorno alle ore 13, massimo le 13,30 dopodiché, per chi vorrà, è previsto un buffet presso la caffetteria del museo in modo di fraternizzare in un clima assolutamente informale e, se possibile, più che amichevole.

Alle 14,30, sempre per chi vorrà, procederemo alla visita guidata del Museo che richiederà non meno di un’ora. L’AMI ci ha assicurato che saremo accompagnati da loro personale altamente qualificato.

Poiché alle 16,30 è prevista la chiusura ufficiale del MUSAM, purtroppo ci saluteremo dandoci appuntamento alla XII edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE.

Alla cerimonia interverranno diversi giurati, un delegato del presidente dell’HAG, il gestore di VOCI DI HANGAR, l’amministratore della VR MEDICAL, la presidente dell’ADA, l’editore Logisma e infine sono in via di conferma la presidente della FISA e il Comandante del MUSAM.

Gli autori/autrici che avessero particolari esigenze logistiche o volessero ulteriori informazioni non esitino a contattarci all’indirizzo di posta elettronica del Premio

(raccontitralenuvole@gmail.com)

… faremo del nostro meglio per supportarli.

Arrivederci dunque al MUSAM.



La Segreteria del Premio




Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it

RACCONTI TRA LE NUVOLE – PREMIAZIONE XI EDIZIONE

Logo Racconti Tra Le Nuvole

XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 8 del 08 settembre 2023



Salvo l’ultimo benestare da parte dell’Autorità militare, la premiazione della XI edizione del Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE – 2023, si terrà presso la sede del MUSAM – Museo Storico dell’Aeronautica Militare

(https://www.aeronautica.difesa.it/home/storia-e-tradizione/museo-storico/)

sito A Vigna di Valle, sulle rive del lago di Bracciano (RM), il giorno 15 ottobre, domenica, con inizio inderogabile alle ore 11 e 30, fuso orario di Roma.

All’interno del museo, recentemente rinnovato e completamente ristrutturato per una migliore fruibilità a beneficio dei visitatori ma anche di eventi culturali in genere, potranno accedere tutti gli autori/autrici nonché i loro accompagnatori non meglio definiti, ossia: mogli e mariti, compagni/e, amanti e concubine, all’occorrenza figli legittimi e non, suocere/i, simpatizzanti varie, vicini/e di casa oltre che sostenitrici o ammiratori a vario titolo.

Considerata l’austerità del luogo non sono ammessi bande di sciamannati con al seguito: bandiere, trombe da stadio, fumogeni e petardi assortiti.

Non è previsto un abbigliamento particolare tuttavia, sebbene siano tendenzialmente apprezzati bikini e bicipiti scolpiti, siamo certi che – neanche a dirlo – le signore faranno sfoggio della loro naturale beltà, viceversa i signori eviteranno rigorosamente di presentarsi con i sandali e calzini bianchi. Saranno apprezzate le cravatte, sì, ma solo se in tema aeronautico.

Procederemo perciò a “fare la festa” al vincitore, Claudio di Blasio, tre volte vincitore del Premio. A scanso di equivoci, annunciamo fin d’ora che non sono in programma atti terroristici o di repressione fisica nei suoi confronti. Invece è previsto un breve seminario di circa 16 ore ininterrotte tenuto da Claudio che spiegherà ai presenti, a mezzo di slide, diagrammi di flusso ed equazioni a 12 incognite, come sia riuscito nell’impresa per ben tre volte, premesso che, al momento della proclamazione della classifica, gli organizzatori hanno seriamente pensato di cambiare la denominazione del Premio: da RACCONTI TRA LE NUVOLE a “Premio Claudio Di Blasio”.

Tutto sommato, l’iniziativa del seminario letterario di Claudio, è ragionevolmente tollerabile giacché, in virtù del titolo del suo racconto, La signora dei cieli, già ci aspettavamo un sermone mariano sull’onda della crisi mistica che lo ha recentemente colpito.

Se poi, nel corso della cerimonia, vi capiterà di incontrare una gentildonna assai affascinante ma vestita completamente di nero, con il collo adornato da una vistosa collana di perle, beh … non vi preoccupate: si tratta solo di Rossana Cilli. No, tranquilli, non è stata colpita da un gravissimo lutto … semplicemente è fedele al titolo del suo racconto: Le perle risaltano sul nero.

Ha già dato la conferma della sua disponibilità a partecipare quel buontempone di Andrea Corsi da Livorno. Il nostro servizio di intelligence ha verificato: non saranno presenti negli hangars del museo visitatori di origine pisana, dunque sono scongiurate scaramucce tra toscani in terra neutrale.

Sarà tollerata invece la presenza del fiorentino Simone Baldecchi al quale però abbiamo dovuto dare la ferale notizia di non portare al seguito il suo kit di volo composto da: cuffie, cosciale, occhialoni da aviatore. Gli aeroplani presenti nel museo – gli abbiamo ricordato – non sono volanti! Dunque non potrà avanzare richieste di mettere in moto il quasi centenario idrocorsa Macchi MC-72 con l’idea di stabilire un nuovo record di velocità.

La sig.ra Nazarena de Angelis, per nulla coerente con il titolo del suo racconto, non prenderà invece l’ A-e-re-o per raggiungere il Museo e dunque, sebbene residente a Roma, impiegherà almeno un paio d’ore in automobile per ritirare il Premio speciale che l’ADA le ha attribuito.

Non avrà problemi la fortunata Sabrina Guerrieri … tanto lei può contare su una risorsa unica nel suo genere: L’angelo bianco. Beata lei!

Al pilota Franco Angelotti, pur essendo il vincitore del Premio Speciale VR MEDICAL, abbiamo dovuto invece proibire qualsivoglia atto di libidine nei confronti degli aeromobili presenti tutto attorno al luogo della premiazione. Inteso, Franco? Inoltre abbiamo appreso che la tua signora Voleva volare da sola ma il Museo è un luogo pubblico … e saremo in tanti a volare. Assieme!

Allo scopo dovrebbe darci una mano il buon Massimo Conti … ma già sappiamo che andrà ad apostrofare tutte le visitatrici dando loro della Mary Ann e aggiungendo: Le ragazze non volano! Indovinate quale è il titolo del suo racconto? Appunto …

Fortunatamente donna Ersilia Torello è una delle poche signore che avrà le idee chiare e ce lo farà comprendere subito dichiarando con fermezza: Voglio il cielo! Ersilia cara … ora ce lo scriviamo e poi ti faremo sapere.

Probabilmente arriverà un po’ affannato il buon Fabio Gerlando Sorrentino giacché – ne siamo certi – arriverà a Vigna di valle in tutta fretta direttamente da Gran Sasso ove, abitualmente consuma il suo caffè mattutino, anche lui rispettoso del titolo del suo racconto Un caffè sul Gran Sasso, appunto.

Apparirà invece di soppiatto e in forma eterea Alessandro Mella che è ancora alla ricerca di Lena tra le nuvole e sarà un sorpresa per tutti i presenti, credeteci.

Chi invece arriverà sicuramente in ritardo sarà Maddalena Schiavi Fano Medas. Perché? Semplice: Madda … è una vita che voli ma ancora non ti sei convinta che si procede più lentamente se si prende a Volare controvento!

Attorniata da uno stormo di farfalle multicolore apparirà invece la fascinosa Stefania Granata scusandosi perché ha dovuto lasciare a malincuore le sue Aquile in cerchio sopra ai boschi antistanti il lago. Ma tanto poi le recuperi, tranquilla! 

Non sapremo fino all’ultimo istante se il Rodolfo Andrei verrà di persona o manderà – in sua vece – un clone, un avatar o un drone meccanico giacché lui è impegnato nel ritiro dei premi di ben sei concorsi letterari contemporaneamente e quindi – capirete – è filino impegnato. Ma ci ha assicurato che, semmai, ci manderà Il volo del gabbiano o un gabbiano in volo, non abbiamo capito bene.

Di sicuro farà un gran baccano e anche un gran polverone il sottufficiale Elisa Prenassi arrivando direttamente dal lavoro con il suo elicottero corazzato e armato di tutto punto. D’accordo che occorre Osare per volare… ma noi non siamo poi così ostili …

Purtroppo ha già manifestato l’impossibilità di essere tra noi Annarosa Ceriani, impegnata in un caffè letterario proprio in contemporanea con la premiazione. Peccato. E se patteggiassimo un rinfresco poetico? Ci farebbe assai piacere conoscere meglio qualcuna delle tue Streghe della notte.

Perché in fatto di streghe sarebbe ferratissimo anche Gianvincenzo Cantàfora anche se quest’anno preferirà venire accompagnato, anziché dalla sua signora, da una donna davvero speciale come La baronne de La Roche. Tutti i gusti son gusti!

A Laura Gallo abbiamo inviato un messaggio direttamente tramite Facebook giacché il social sostiene di conoscere il suo vero domicilio fiscale: Sydney in Australia. Laura spergiura di vivere ancora a Trento e sostiene che ce lo dimostrerà portandosi al seguito una Sugar Bird Lady. Sarà … ma sarà dura convincerci!

Chi invece ci ha già anticipato che non potrà presenziare è Anna Dragone che ci ha confidato di avere zavorre pesanti a terra. Non le abbiamo creduto neanche per un istante perché è risaputo che, una volta atterrata, La casa tra le nuvole – dove è ufficialmente domiciliata – non avrebbe più il posto galleggiante “fronte cascate” come ora.

E purtroppo anche Annarita Pizzo ci ha preannunciato che non potrà raggiungerci. Nel suo caso lo possiamo comprendere giacché non è facile star dietro a una Fiorenza interstellare! A ciascuna le sue pene …

Ovviamente saranno presenti: il titolare dell’azienda VR MEDICAL, Arturo Arveni, che contava di ammarare sul lago con il suo Piper Turbo Arrow ma pare che non farà in tempo a montare i galleggianti che il signor Piper in persona gli ha promesso. Ci raggiungerà con una dozzinale automobile. Povero …

E anche la presidente dellADA, Donatalla Ricci, dovrà rinunciare ad atterrare con il suo autogiro perché altrimenti potrebbero impaurirsi le anguille del lago di Bracciano. Già son poche, poi impaurite …

Al momento non ci è dato sapere quanti giurati/e – ci auguriamo tutti/e – saranno presenti alla premiazione, tuttavia saranno severamente vietate azioni intimidatorie o vendicative nei loro confronti. In via precauzionale forniremo loro un apposito giubbetto antiproiettile impenetrabili pure alle insinuazioni più bieche.

In conclusione, ufficializzata la classifica, e archiviato il piglio istituzionale, ci siamo concessi di prenderci gioco un pochino degli autori/autrici giocherellando con i titoli dei loro racconti … siamo certi che non ce ne vorranno … i racconti!?

Ci auguriamo che tutti gli autori/autrici possano, in un modo o nell’altro, essere presenti alla premiazione. Ad ogni modo, qualora fossero davvero impossibilitati, sappiano che potrebbero inviare un loro delegata/o in loro vece … purché reciti a memoria almeno le prime due righe del racconto per il quale ritirano il premio. Diversamente sappiano che, a titolo rigorosamente gratuito, la copia dell’antologia e il diploma di partecipazione verranno inviati presso il domicilio di coloro che – ahinoi e ahiloro – non potranno raggiungerci a Vigna di Valle né riusciranno a trovare una forma di vita senziente cui delegare l’operazione di ritiro.

Rimandiamo infine al prossimo comunicato, emesso a brevissimo, circa la conferma definitiva nonché ulteriori dettagli operativi circa la premiazione.

A tutti i gli autori/autrici … auguriamo il nostro più sincero “in becco all’aquila”.

La Segreteria del Premio

raccontitralenuvole@gmail.com



La Segreteria del Premio




Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it

raccontitralenuvole@gmail.com

RACCONTI TRA LE NUVOLE – vINCITORI XI EDIZIONE

Logo Racconti Tra Le Nuvole

XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 7 del 01 settembre 2023



Non senza difficoltà, i nostri magnifici 10 membri della giuria della XI edizione del Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE” hanno decretato il racconto vincitore. Ebbene si tratta di:



 LA SIGNORA DEI CIELI

di Claudio Di Blasio



Nonché la classifica degli altri 19 racconti finalisti:

2) AQUILE IN CERCHIO di Stefania Granata

3) MARY ANN, TU SEI MATTA. LE RAGAZZE NON VOLANO! di Massimo Conti



4) A – e – r – e – o di Nazarena De Angelis

5) VOGLIO IL CIELO di Ersilia Torello

6) LE VIE DEL CIELO di Alessandro Corsi

7) VOLEVA VOLARE DA SOLA di Franco Angelotti

8) OSARE PER VOLARE di Elisa Prenassi

9) SUGAR BIRD LADY di Laura Gallo

10) UN ANGELO ACCANTO di Francesca Bezziccheri

11) L’ANGELO BIANCO di Sabrina Guerrieri

11) UN CAFFE’ SUL GRAN SASSO di Fabio Gerlando Sorrentino

12) LA BARONNE DE LAROCHE di Gianvincenzo Cantàfora

13) LE STREGHE DELLA NOTTE di Annarosa Ceriani

14) IL VOLO DEL GABBIANO di Rodolfo Andrei

15) LE PERLE RISALTANO SUL NERO di Rossana Cilli

16) INTIMA COMPLICITA’ di Simone Baldecchi

17) LENA TRA LE NUVOLE di Alessandro Mella

18) VOLARE CONTROVENTO di Maddalena Schiavi Medas

19) FIORENZA INTERSTELLARE di Annarita Pizzo

20) LA CASA TRA LE NUVOLE di Anna Dragone

Si noterà che alla posizione 11) sono elencati due racconti: non si tratta di un errore bensì di due diverse composizioni classificatosi a pari merito.




Inoltre l’amministratore dell’azienda VR MEDICAL ha ritenuto di dover attribuire l’omonimo premio speciale al racconto:



VOLEVA VOLARE DA SOLA

di Franco Angelotti




Infine l’ADA—Associazione Donne dell’ARIA ha stabilito meritevole di consegnare il suo speciale premio al racconto:



A – E – R – E – O

di Nazarena De Angelis



A questo punto, a nome degli organizzatori, permetteteci di ringraziare allo stesso modo tutti coloro che hanno partecipato: finalisti e non, vincitori e non, insomma a tutti coloro che hanno speso il loro tempo ed energie mentali nella stesura di un racconto a prescindere dal piazzamento conseguito. Siamo certi che i finalisti avranno modo di fare di meglio nel corso della prossima edizione mentre esortiamo i non finalisti a non smettere di scrivere … e chissà che l’edizione 2024 non sia loro benigna!?

A tutti gli autori/autrici permetteteci di dire semplicemente: grazie! Grazie per l’impegno e la passione dimostrata nel cimentarsi in una sfida non facile. Grazie per essere stati “dei nostri”, e per aver declinato a modo vostro il cielo, il volo e il mondo aeronautico in tutte le sue sfumature. Grazie davvero.

Naturalmente non possiamo fare a meno di congratularci con i vincitori e i finalisti tutti: bravi! Siamo fieri di voi!

Infine un grazie particolare ai giurati e giurate che si sono cimentate nel difficile ruolo di valutare i 55 racconti pervenuti in questa edizione da record di partecipanti. Siamo certi che diversi partecipanti non accetteranno di buon grado il responso della giuria tuttavia ci permettiamo di far notare loro che, in definitiva, la vera classifica verrà stilata dai lettori dell’antologia e il loro indice di gradimento dei testi farà davvero la differenza.

Rimandiamo infine al prossimo comunicato, emesso a brevissimo, con le indicazioni circa la premiazione che, orientativamente, si terrà la prima o al massimo nella seconda domenica del mese di ottobre 2023 in un luogo ancora da definirsi.

A tutti i gli autori/autrici … auguriamo il nostro più sincero “in becco all’aquila”.



La Segreteria del Premio




Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it

raccontitralenuvole@gmail.com

MA INFATTI IO PIANGO!


E’ da poco terminata la XI edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE e già abbiamo il piacere e l’onore di pubblicare il primo dei racconti che, purtroppo, – e sottolineiamo purtroppo – non sono stati ammessi alla fase finale del Premio malgrado sia manifesta la loro bontà. D’altra parte sono solo 20 i racconti finalisti previsti da regolamento e dunque, in un’edizione particolarmente affollata con ben 55 racconti partecipanti, era inevitabile che alla giuria fosse demandata la difficilissima scelta dei racconti meritevoli della finale, ossia della pubblicazione nell’antologia del Premio e – inevitabilmente  -l’esclusione dei restanti.

Nel corso degli anni, Evandro Detti ha accumulato una notevolissima esperienza aviatoria nell’ambito dell’Aviazione Generale e – senza paura di essere smentiti – ha volato praticamente con tutto quanto potessero offrire gli Aeroclub italiani negli ultimi 40 anni … tuttavia se c’è un rammarico che ancora oggi lo perseguita è quello di non aver mai potuto volare con il T6-Texan, addestratore per antonomasia della rinata Aeronautica Militare. Mai dire mai, caro Evandro, chissà che un giorno tu non possa sanare questa carenza! (foto fornita dall’autore)

A dimostrazione della correttezza dell’operato della giuria che – lo ricordiamo – valuta i racconti in formato assolutamente anonimo, e anche a testimoniare la profonda gratitudine che nutriamo nei confronti di uno dei più prolifici e apprezzati redattori del nostro hangar, il primo racconto che andremo ad ospitare sarà proprio quello del “nostro” Evandro Detti.

Perfettamente in linea con la sua pluriennale linea narrativa, il buon Evandro ci ha regalato un suo sag-conto (un po’ saggio e un po’ racconto) che stavolta ha per protagonisti i veterani di quella che fu la Regia Aeronautica italiana, antesignana dell’odierna AMI – Aeronautica Militare Italiana.

Chi pilotava questo tipo di velivolo – biciclo – godeva automaticamente del rispetto dei veterani della Regia e così, quando il buon Evandro raccontava loro delle le sue esperienze di pilota civile, beh … saliva di un gradino nella scala della considerazione di cui godeva. Questa foto lo ritrae in quella specie di portaerei rocciosa che prende il nome di Giannutri, isola dell’arcipelago toscano che misura 500 metri in larghezza e 5 chilometri in lunghezza in cui, ancora oggi, non sono ammesse automobili né sono presenti strade asfaltate e dunque ci si muove solo a piedi. Fino al 2000 esisteva un’aviosuperficie priva di hangar e carburante lunga solo 500 metri e proprio su quella l’autore posò le ruote per lo scatto incriminato. In verità egli ha ammesso che, per scattare questa fotografia, poiché il velivolo non disponeva di avviamento elettrico, lui e il suo copilota lo frenarono lasciando il motore al minimo, gusto il tempo per ottenere immortalarsi sulla “pista” di Giannutri. (foto fornita dall’autore)

Esprimere questo termine – v e t e r a n o – in presenza di un giovanissimo nato e cresciuto dopo l’anno 2000 provocherà di sicuro in lui un certo stupore perché i drammi, le privazioni e le distruzioni della II Guerra Mondiale appartengono ormai solo alla memoria di coloro che, alla soglia degli 80 o 90 anni di età, li hanno vissuti sulla loro pelle e che all’epoca erano poco più che bambini o al massimo adolescenti. Viceversa, per Evandro – che anagraficamente non è proprio un ventenne sebbene ne abbia la vitalità – l’esperienza di frequentare i veterani lo ha accompagnato spesso nel corso delle sue scorribande aviatorie e inevitabilmente lo ha  in qualche modo maturato. E proprio di loro ci racconterà … ma con quella delicatezza e il pudore che riserveremmo solo a un nostro congiunto benché si tratti quasi sempre di emeriti sconosciuti.

Evandro, da ottimo autore ligio alla veridicità storica ma anche da abile narratore quale è, sa benissimo come toccare le corde della sensibilità del lettore e – ne siamo certi – scorrendo le righe del racconto,  vi salirà letteralmente un groppo alla gola perché si concretizzerà sotto i vostri occhi l’immagine di uomini che sono stati profondamente segnati dal conflitto mondiale e che, nonostante siano trascorsi ormai diversi anni, si trascinano con grande dignità sempre inseguiti dalle ombre dei loro commilitoni defunti e degli indicibili strazi che patirono in prima persona o di cui furono testimoni.

Correva l’anno del signore 1968 quando, a bordo di questo Fairchild C-119 Flying Boxcar l’autore riceveva il battesimo del volo e da quel giorno in poi egli ha praticato molto intensamente la fede del pilota civile … (foto fornita dall’autore)

A distanza di 80 anni e più dal conflitto mondiale,  di veterani ne rimangono in vita pochissimi; un’intera generazione se n’è letteralmente andata e di loro ci rimangano solo le testimonianze o le confidenze come quelle riportate da Evandro Detti che all’epoca le raccolse, non senza difficoltà, superando la feroce riservatezza degli interlocutori.

Il racconto si avvia con il pretesto di una vecchia canzone degli Abba (glorioso gruppo musicale svedese) i cui versi si ritornano qua e là nel corso della composizione a mo’ di pretesto per riportare situazioni e aneddoti vari legati appunto ai veterani; racconto che fila via – come siamo ormai abituati nei migliori a firma di Evandro – fino all’epilogo con la frase che troviamo nel titolo dandone così una spiegazione assolutamente pertinente e creando un impeccabile circolo logico.

Ancora una bella immagine dell’autore giusto appollaiato sull’ala del Morane Saulnier MS 892A dotato di un motore con la ragguardevole potenza di 150 Hp: il sogno negli anni ’80!

Grazie, Evandro perché hai reso vivida la memoria di quelle tante persone alle quali dobbiamo davvero molto e che viceversa, sono ormai cadute nell’oblio, specie da parte delle generazioni più giovani per le quali la bandiera e la patria assumono un qualche significato solo in occasioni di grandi eventi sportivi, specie calcistici.

Grazie ancora, Evandro, e onore ai veterani!



Narrativa / Medio – lungo

Inedito

Ha partecipato alla XI edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2023


Nota della Redazione: nella foto in evidenza sarà possibile individuare l’autore negli anni ’80 a bordo di un aliante Grob Twin Astir in atterraggio per la pista 36 dell’aeroporto di Guidonia.

Ma infatti io piango!

Una canzone degli Abba, uscita nel 1978, è tra le mie preferite. La ascolto volentieri mentre viaggio in macchina e spesso la rimetto daccapo per risentirla, non mi stanca mai. Le parole sono in inglese, ma come spesso accade con questa lingua, sono talmente efficaci da proiettarmi indietro nel passato e farmi rivivere momenti di vita vissuta come in un sogno.

La canzone parla di aquile. Quelle vere, forse, ma io ne ho conosciute altre che potrebbero essere inserite pari pari nella canzone.

They came from far away, now I’m under their spell. I love  earing the stories that they tell. They’ve seen places beyond my land. They’ve found new horizons. They speak strangely, but I understand“.

“Sono venuti da molto lontano, ora sono sotto il loro incantesimo. Mi piace ascoltare le storie che raccontano. Hanno visto luoghi al di là della mia terra. Hanno trovato nuovi orizzonti. Parlano in maniera strana, ma io capisco.”

Le aquile di cui parlo sono venute davvero da molto lontano. Non solo beyond my land – oltre la mia terra, ma anche beyond my time – oltre il mio tempo. Non ero ancora nato quando loro già volavano verso altri orizzonti. E mi piace ascoltare le loro storie, quando sono in vena di raccontarle.

Parlano strano, è vero. Usano termini antichi, parole ormai sostituite da altre più moderne, frasi idiomatiche che sembrano conoscere solo loro. Ma basta poco tempo per apprenderle. E inevitabilmente conquistano l’ascoltatore, che resta incantato ad ascoltare.

Parlano strano. Ma io capisco.

Alla fine degli anni sessanta e nei primi anni settanta ne incontravo molte, di queste aquile, appena entrato in Aeronautica Militare. Ufficiali e sottufficiali, marescialli anziani, tutti riconoscibili nella loro divisa impeccabile, con l’immancabile aquila turrita di pilota militare sul petto, giusto al di sopra di un largo rettangolo di nastrini e onorificenze. Medaglie al valore, guadagnate in azioni di guerra, chissà dove, come e in quali azioni.

Li incontravo ovunque.

Guidonia è sempre stato un luogo molto attraente per tutti noi appassionati di aviazione. La sua storia ha profonde radici nel passato. Non tanto la cittadina quanto il suo aeroporto.

L’aeroporto di Guidonia è stato teatro di infiniti eventi aeronautici che meriterebbero una enciclopedia intera ad essi dedicata.

Oggi esistono ancora molti indizi degli antichi fasti, ma certamente, per vederli, bisogna avere un’adeguata conoscenza della Storia e un occhio ben attento. L’ambiente è profondamente cambiato nei decenni. Tutto si è modernizzato, non solo nelle infrastrutture, che non sono cambiate così tanto dagli anni ruggenti dell’Aviazione italiana, ma anche e soprattutto nell’ambiente umano. Oggi l’aeroporto rispecchia le condizioni generali della forza armata che lo gestisce, l’Aeronautica Militare Italiana. Oggi sono soprattutto giovani quelli che girano per i reparti.

Sui piazzali vediamo parcheggiati velivoli di diverso tipo, alcuni sono jet e altri sono ancora aerei ad elica. Poi ci sono gli alianti, qui ha sede una sezione del volo a vela militare. I monomotori ad elica servono proprio a trainare gli alianti, che sono quasi esattamente uguali ai nostri, ma con le classiche coccarde sulle ali.

Qualche decennio fa l’Aeronautica usava questa sede per ospitare reparti in via di estinzione, di trasformazione o di ricollocazione, aerei e personale. Per alcuni piloti anziani questo aeroporto ha costituito l’ultima pietra miliare del loro percorso operativo. La successiva era la pensione.

Ma qui, per un breve periodo, continuavano a volare sui loro vecchi aerei, che successivamente sarebbero stati pensionati anch’essi, cioè radiati. E’ stato il caso dei C45 bimotori, dei T6 della scuola di Alghero e dei Siai 208 che oggi continuano a volare come aerei di collegamento e di traino alianti.

Non appartenevo a quei reparti, ma spesso andavo a trovare i miei colleghi che invece vi appartenevano. C’ero anch’io tra quei militari e li ho visti. Loro e i loro aerei.

Ero di casa a Guidonia, già dieci anni prima di andarci per cominciare il corso di pilota di aliante, nella sezione di volo a vela dell’Aeroclub di Roma, che in quell’aeroporto aveva sede.

Ho conosciuto quei piloti, anziani e prossimi alla pensione, ma ancora ben validi. Li ho visti salire sui C45, accendere i motori e rullare verso il punto attesa. Li ho visti decollare e atterrare, sempre in maniera impeccabile. Molti avevano sulla divisa il simbolo di ferite di guerra. Avrei voluto domandare loro tante cose, ma non parlavano volentieri di certi argomenti e comunque i loro atteggiamenti e l’espressione di quei visi non mi incoraggiavano certo a fare domande. Sembravano appartenere a un altro mondo.

Devo dire che, in genere, facevano caso all’ aquiletta dorata che portavo sulla divisa, quella di pilota civile di aeroplano. Qualcuno mi chiedeva dove avessi preso il brevetto (allora la licenza di volo si chiamava così). Quando rispondevo di averlo preso all’Aeroclub di Viterbo mostravano subito segni di grande apprezzamento. In genere sembrava che conoscessero molto bene  l’aeroporto di Viterbo, come se fosse stato un loro luogo di predilezione, come se vi avessero operato tanto tempo prima, in un tempo lontano di cui io non sapevo nulla. Come se si fosse trattato di una vita precedente.

Ogni tanto, appena nominavo Viterbo e il suo Aeroclub, mi sentivo dire sempre la stessa frase: “Ah, ottimo Aeroclub. Una vera fucina di piloti. Lì nascono piloti veri …“.

Era come se, all’improvviso, mi avessero collocato su uno scalino più in alto.

Questo era l’atteggiamento generale, del quale, però, non avevo idea di quale fosse il motivo. Nelle discussioni, che immancabilmente seguivano, venivano nominati altri piloti, mi chiedevano se conoscevo questo o quello, personaggi che a Viterbo vivevano o semplicemente frequentavano l’Aeroclub. Non solo piloti, anche specialisti. La loro fama era qualcosa di vago e misterioso, noi giovani eravamo poco consci di quale storia e quali avvenimenti celassero dietro i loro sguardi profondi, a volti persi nel vuoto, a volte duri e intransigenti, a volte però, perfino gentili e indulgenti.

Al di là dell’apprezzamento per essere un pilota, tuttavia, percepivo anche una sorta di sfiducia generalizzata verso i piloti civili come me. All’inizio la attribuivo al fatto di essere tanto giovane, di fronte a persone molto più anziane. Ovviamente, alla mia età, ero all’inizio. Per avere la loro esperienza avrei dovuto volare per tutta la vita. E magari fare anche qualche anno di guerra. Insomma … come biasimarli! Ero un principiante. Poco ma sicuro.

Nel corso delle chiacchierate, dove non mi dicevano nulla delle loro storie, specialmente quelle del periodo bellico, si parlava degli aerei moderni. In particolare emergeva un elemento fra tutti: la differenza fra gli aerei con il carrello cosiddetto triciclo, quello con la terza ruota sotto il muso e quelli che avevano il ruotino sotto la coda, detti bicicli. Sembrava che, nella loro considerazione, i primi fossero troppo facili, i secondi difficili e, manco a dirlo, gli unici che si potessero considerare aerei veri. E giù discussioni su tendenze ad imbardare, coppia dell’elica, quanto piede serviva per contrastare certe forze con il cosiddetto timone di direzione che si comanda, appunto, con la pedaliera. Con gli aerei di oggi, beh! tutto è diventato facile. Troppo facile. Sui tricicli sono tutti piloti, ormai … Ai loro tempi, invece … e frasi di questo genere.

Tra racconti di imbardate ed episodi di uscite di pista, prima o poi riuscivo a dire che conoscevo il problema, perché a Viterbo volavamo su entrambi i tipi di aeroplani. I bicicli erano i PA 19. Li avevamo avuti dall’Esercito Italiano che, pur conservandone un certo numero per sé, alcuni li passavano agli Aeroclub.

Appena venivano a sapere che volavo anche con i bicicli … la mia quotazione saliva istantaneamente. Nonostante fossi un principiante, venivo dall’Aeroclub di Viterbo, volavo con aerei bicicli, quindi … mi sentivo collocato ben due scalini più in alto.

Ogni tanto mi invitavano anche al bar con loro. Meravigliosa sensazione. In quelle occasioni era come se fossi uno di loro. Quasi.

Veterani. Alcuni erano veterani di guerra. Gente che emanava durezza, ma anche una straordinaria gentilezza, nobiltà di modi, inclinazione naturale alla solidarietà e alla disponibilità. Emanavano esperienza e capacità. E si vedeva chiaramente che erano alla fine di una carriera cominciata in un tempo lontanissimo; che arrivavano da un percorso a me oscuro, ma che avevano attraversato l’inferno, una guerra tremenda, vicende dolorose e terribili, tanto da non poterne neppure parlare.

Infatti non se ne parlava. Al primo accenno a quegli avvenimenti si chiudevano, smettevano di parlare o cambiavano discorso. Sembravano trattenere il respiro per evitare di commuoversi, forse erano troppo travolgenti i ricordi. Qualcuno guardava da un’altra parte…

Quei vecchi marescialli sembravano alieni venuti da un’altra galassia.

Qualcuno di loro aveva sulla divisa una striscia dorata che sapevo rappresentare ferite di guerra. E non potevo fare a meno di averne rispetto, ma anche di questo non osavo chiedere notizie di dove e come erano stati feriti.

La canzone degli Abba, ad un certo punto, dice:

As all good friends we talk all night, and we fly wing to wing. I have questions and they know everything

Come tutti i buoni amici parliamo tutta la notte, e voliamo ala contro ala. Ho tante domande e loro sanno tutto

Avrei volato volentieri con loro. Forse avrei potuto provare a ottenere il permesso di farlo, ma non mi ricordo di averlo chiesto. Forse no. Peccato, perché per me sarebbe stato un grande privilegio e un notevole onore.

Ma un giorno accadde una cosa che ricordo ancora molto vividamente.

Tornavo da un volo a Siena, solo a bordo di un Morane Saulnier dell’Aeroclub, e stavo sorvolando Montefiascone, diretto a Viterbo per l’atterraggio. C’erano molte nuvole e mi divertivo a passarci vicino, sfiorandole con l’ala. Addirittura, se ne vedevo qualcuna abbastanza piccola e sfilacciata, ci passavo dentro.

Mentre sbucavo da dietro una nube piuttosto grande, a rispettosa distanza, improvvisamente vidi un aereo al mio stesso livello, quasi in senso opposto. Passò tra me e la nuvola ad una velocità incredibile, ma feci in tempo a vedere la faccia del pilota di sinistra che si girò verso di me. Uno sguardo fuggevole, di sorpresa, come del resto, forse, dovette apparire il mio verso di lui.

Era un C45, bimotore con doppia deriva. Uno di quelli di Guidonia. Di sicuro anche i piloti lo erano.

Avevo rischiato una collisione. C’era mancato poco. Eppure, invece di sentirmi spaventato ero rimasto calmissimo. Ricordo che controllai di essere ad una quota giusta secondo la normativa in vigore che prescriveva di volare rispettando i cosiddetti livelli semicircolari. Quindi non dovevo temere rapporti da parte dell’aereo militare. I due piloti potevano forse aver avuto il tempo di leggere il nominativo del mio aereo, scritto a lettere grandi sulla fusoliera. Ma ero a posto, anche se mi ripugnava dover dire che loro, invece, volavano ad una quota sbagliata. Ero già sulla frequenza della Torre di Controllo di Viterbo, tuttavia non sentii alcuna comunicazione da parte del C-45. Era andata bene. Cominciai la discesa rassicurato.

E poi mi sentivo onorato di essere in volo insieme a quei veterani. Non nello stesso aereo, ma nello stesso cielo.

Non ho mai saputo chi ci fosse sul C-45, dopo quell’incontro, per lungo tempo, non ebbi più occasione di andare a Guidonia.

I veterani di cui sto parlando erano persone veramente affascinanti. Ne ho conosciuti tanti in quegli anni. Ero giovane e loro anziani. Alcuni di loro, come ho detto, sembravano duri e intransigenti. Da noi giovani pretendevano molto e, naturalmente a noi questo atteggiamento urtava non poco. Il ’68 era appena passato e in Aeronautica molte cose stavano cambiando. Lentamente, a dire il vero, ma cambiavano. E lo scontro tra generazioni non poteva essere indolore.

Per i veterani, che venivano dalle tragedie della guerra, finita da poco più di un ventennio, doveva essere duro veder scomparire valori nei quali avevano tanto fermamente creduto e per i quali avevano sofferto immensamente. Del resto, a noi giovani interessava già avere i capelli un po’ più lunghi e magari, mi ricordo bene, i pantaloni della divisa leggermente scampanati, secondo la moda del momento. La convivenza tra le due generazioni, a quel tempo, non era sempre tranquilla.

Ma loro, i veterani, stavano meglio per conto proprio, parlando delle loro cose, che a noi apparivano misteriose.

L’aria di mistero era quella che mi impressionava di più. E il distintivo di ferite di guerra mi faceva più impressione di altro. Mi chiedevo che tipo di ferite avessero riportato, e in che situazione.  Non sembrava opportuno chiederlo, anche se per il resto rispondevano a tante domande e sembravano sapere tutto, specialmente le cose di volo, del pilotaggio e della navigazione.

Erano venuti da oltre il mio tempo, da oltre il mio orizzonte, come dice la canzone, ed emanavano un fortissimo magnetismo, al punto tale che rispettavo quei veterani con tutto il cuore. Accettando perfino i rimbrotti di qualcuno di loro. E quanto avrei voluto conoscere le loro storie!

Un giorno venni a sapere di un brutto episodio accaduto in una caserma dell’Aeronautica, adiacente al luogo dove prestavo servizio. Un anziano maresciallo si era suicidato gettandosi dalla finestra. Non andai a vedere, ma mi dissero che molto probabilmente l’uomo, che soffriva da tempo per i traumi di guerra, aveva minuziosamente progettato il proprio suicidio. Si era lanciato dalla finestra, in modo tale da cadere all’indietro e sbattere la testa sulla sporgenza di un cornicione sottostante, così da arrivare a terra già privo di sensi. Un episodio che mi colpì profondamente.

Era uno di quei veterani.

Voglio raccontare anche un altro episodio che riguarda uno di loro. Un tipo taciturno, abbastanza incline a brutalizzare chiunque, se ne avesse avuto il motivo. Faceva il direttore della linea di volo dell’Aeroclub di Roma. Normalmente stava in piedi, appoggiato alla porta dell’hangar, oppure seduto su una delle sedie disseminate qua e là. Spesso sonnecchiava. Sospetto che bevesse anche un poco, specialmente al circolo o alla mensa militare.

Tutti ne avevamo un sacrosanto rispetto. Sapevamo che aveva fatto la guerra. E si vedeva che ne conservava ancora il ricordo, doloroso e praticamente costante.

Lo avevo visto tante volte prendere a brutte parole qualche pilota, cacciandolo anche via in malo modo. Ma di solito era gentile e disponibile.

Un giorno che era in vena di parlare descrisse una delle sue azioni di guerra. Poche parole, ma furono come i fotogrammi di un film proiettati brevemente sullo schermo. Aveva mitragliato mezzi nemici e truppe in marcia. E si chiedeva come avesse potuto fare certe cose, forse gli avevano messo qualcosa nel rancio … Lui, altrimenti, non avrebbe potuto.

Un flash. Poi il silenzio. E aveva ripreso a camminare per la linea di volo, mani dietro la schiena, solo con sé stesso e con i suoi ricordi.

Un giorno arrivai in linea con un amico per fare un voletto. Era tempo brutto, nubi basse, vento e rischio di pioggia. Tutti stavano davanti all’hangar ad aspettare un improbabile miglioramento. Le porte dell’hangar erano semichiuse e gli aerei erano dentro.

Senza convinzione chiesi se potevo prendere un P66B, aspettandomi un secco no. Ma con mia grande sorpresa l’anziano pilota chiamò lo specialista e gli disse di tirarmi fuori un aereo.

Nel vedere questo, alcuni piloti presenti protestarono, perché si sentirono discriminati. Ma lui, con fermezza, disse che non siamo tutti uguali. Io venivo dall’Aeroclub di Viterbo, una fucina di piloti veri. Perciò …

Che piacere può fare una tale fiducia! Comunque, subito dopo mi si avvicinò e mi disse: “Stia attento, perché con le nuvole basse, il paesaggio, anche quello che conosce bene, appare in maniera diversa. Resti a sinistra del Tevere, se dovesse avere problemi, metta prua est e quando il Tevere le passa sotto, novanta gradi a destra e lo segue fino a tornare al campo“…

Un altro giorno un pilota dell’Aeroclub di Roma volò a Viterbo. All’atterraggio finì in una pozza d’acqua che stagnava al centro della pista di erba. L’aereo sbandò paurosamente, ma ne uscì indenne. Il pilota rullò al piazzale aeroclub, scese tutto spaventato e disse che lui da lì non sarebbe ripartito. Si fece accompagnare alla stazione e tornò a Roma con il treno.

Il giorno dopo ero all’Urbe e il veterano mi chiese di andare a riprendere quell’aereo. Ci andai. A Viterbo mi fecero problemi. Non erano sicuri che davvero mi avesse mandato lui e fecero una telefonata di controllo. Sentii la segretaria dire al telefono: “Accidenti, com’è categorico lei, Comandante“!

Poi la segretaria disse che il veterano aveva detto solo “Dategli l’aereo“. E subito dopo aveva chiuso.

Questi personaggi erano fatti così. Non ho volato ala contro ala con loro, come dice la canzone, ma è quasi come se lo avessi fatto.

L’Aeronautica mi aveva assegnato un alloggio militare in un palazzo, uno di quelli che, all’epoca,  possedeva e utilizzava proprio per alloggiare i sottufficiali e qualche ufficiale. Ad ogni piano gli appartamenti erano divisi in camere, ognuna destinata a due persone. Nella mia dormivo solo io. Il primo piano, però, era tutto allestito come sala convegno e c’era pure un bar molto fornito. Di fianco c’era una sala TV e oltre quella c’era la porta di un appartamento destinato al direttore di tutto il palazzo. Lui risiedeva lì con la famiglia, una moglie e un figlio. Li avevo visti di sfuggita, ma non avevo mai avuto modo di vederli da vicino. Sapevo solo che il direttore era un maresciallo prossimo alla pensione.

Un giorno ero seduto al bar di quegli alloggi e conversavo con un amico. Eravamo in divisa. Il mio amico era un ex allievo ufficiale pilota che era stato appena dimesso da un corso di pilotaggio, se non ricordo male a causa di qualche problema disciplinare ed era di passaggio, in attesa di riassegnazione ad altri incarichi. Il maresciallo entrò nella stanza, ci vide e, dopo aver parlato un po’ con l’aviere del bar, venne a parlare con noi. Fu così che lo conobbi.

Naturalmente parlammo di aeroplani. Volle sapere tutto sul mio amico, dei suoi voli sull’MB 326, perché era stato dimesso e dove sarebbe andato dopo. Poi chiese anche di me.

Solito copione. Viterbo, l’aeroclub, i tipi di aerei etc.

Anche lui sembrava unire un’aria autorevole, tipicamente militare, ad una gran gentilezza di modi. Mostrava interesse per le nostre storie, considerazione mista ad un sincero dispiacere per l’esito del corso di pilotaggio del mio amico.

Nel frattempo lo avevo osservato bene. Impeccabile nella divisa, l’aquila turrita al suo posto, una sfilza di onorificenze allineate al di sotto dell’aquila e… una striscia dorata, simbolo di ferita di guerra, sul lato della manica. Un altro veterano.

Parlammo a lungo. Ci dava del lei, nonostante la differenza di età, come facevano in molti, forse altra abitudine che veniva dal passato. Era prossimo alla pensione, questione di una manciata di mesi. Non ricordo se volasse ancora oppure no. Per tutto il tempo gli parlammo di noi, ma di sé  non ci disse nulla.

Lo incontrammo ancora diverse volte e sempre ci sedevamo da una parte, a parlare di aeroplani.

Un giorno entrai nel bar e trovai il maresciallo seduto con una rivista davanti. Gli chiesi se potevo offrirgli qualcosa e accettò un caffè. Presi due caffè dal banco e andai a sedermi vicino a lui.

Quel giorno decisi di fare qualche domanda discreta.

All’inizio sembrava titubante, rispondeva con poche parole e molte pause. Ma volevo sapere se aveva combattuto con un caccia, se aveva abbattuto altri caccia, insomma cosa aveva fatto durante la guerra.

Pian piano sembrava sciogliersi, come se fosse addirittura lieto che qualcuno gli avesse chiesto di parlare di queste cose. Ogni volta che titubava, smettendo di parlare, con lo sguardo fermo in un punto, come a ricordare i particolari, lo incitavo gentilmente a proseguire. Mi aspettavo di sentirgli raccontare della guerra sul Mediterraneo, forse contro Malta, come avevo sentito altri parlarne. E mi aspettavo di sentirlo parlare dei Macchi 202 o 205, se non addirittura dei CR32 e 42…

No. Niente di tutto questo. Lui pilotava aerei da bombardamento. Ora non ricordo se fossero gli SM 79 o qualche altro tipo. Ma non era sui caccia.

E niente Mediterraneo. Lui aveva fatto la campagna di Russia e volava sul Don.

Così lo pregai di parlarmi di quella guerra. Ormai non avevo più timori reverenziali, ma solo interesse. E lui mi raccontò un sacco di cose. Mi spiegò dei problemi climatici, di come tenevano caldi i motori durante le ore di stazionamento a terra degli aerei, in condizioni di ghiaccio, neve e venti gelati. Di come vivevano la vita di tutti i giorni. Come mangiavano, dormivano, e anche come volavano.

Sapevo tante cose della guerra su quel fronte, ma devo dire che sentirne parlare da parte di chi c’era stato era diverso.

Ad un certo punto mi disse che per i piloti moderni è difficile immaginare cosa era stata l’aviazione negli anni di guerra. Allora mi sembrò il caso di comunicargli l’impressione che avevo sempre avuto di non dover fare domande perché mi sembrava che non sarebbero state gradite. E invece, dissi, sarebbe stato opportuno che loro, i veterani, raccontassero a noi giovani le loro storie, in modo da farci comprendere quei tempi. Lui disse che invece no, non era il caso. Troppo crude sarebbero state le loro vicende e soprattutto sarebbe stato inutile, visto che ormai era tutto passato. Anche i ricordi, a dispetto del tempo ormai trascorso, erano troppo vividi e dolorosi per poterne parlare. E i giovani non li avrebbero compresi, perché impossibili da comprendere. Impensabile addirittura farsene un’idea appena più che vaga.

No, disse, la guerra va solo dimenticata. E lasciata sprofondare nel passato, sperando che non torni mai più. Nel dire questo aveva distolto lo sguardo, girando la testa, come a voler scacciare un’immagine che non avrebbe voluto vedere. Aveva gli occhi lucidi e un po’ arrossati, ma cercai di non dare a vedere che me ne ero accorto.

All’improvviso cambiò discorso e mi disse che con il mio brevetto di pilota ci avrei fatto ben poco. Ne fui sorpreso e chiesi il perché.

Mi disse che volare da privati era troppo costoso. E non permetteva di fare abbastanza esperienza. Non diventi un pilota facendo voletti locali, con il tempo buono, solo per diletto. E non c’è paragone con un pilota che vola per professione, che compie missioni di ogni tipo e soprattutto, che si trova a dover affrontare situazioni improvvise e difficili.

Certo, tutto chiaro, tra un pilota di guerra e un pilotino di aeroclub… neanche a parlarne.

Di colpo, mi fece una domanda a bruciapelo. Mi disse che poco tempo prima era partito da Guidonia pilotando un aereo che aveva solo un’oretta di volo di vita operativa, prima di essere radiato. Si trovava dalle parti dell’aeroporto di Centocelle, che all’epoca aveva ancora la sua pista in buone condizioni, quando vide del fumo venire fuori dal cruscotto. E mi chiese: “Lei che decisione avrebbe preso“?

Colto alla sprovvista, risposi che sarei atterrato subito a Centocelle. Ma replicò che un po’ di fumo, in volo, potrebbe diventare una palla di fuoco in pochi istanti. Atterrare richiede tempo. Troppo.

Suggerii altre soluzioni, ma devo dire che anche a me non sembrarono troppo attuabili. E comunque, per ognuna, lui aveva da ridire. E poi, intanto che ne parlavamo, l’aereo sarebbe stato già in fiamme. Magari esploso.

Alla fine, mi arresi. E chiesi:”Maresciallo, che cosa ha fatto, lei“?

Ho spento la radio“, rispose.

Dannazione. A quella non avevo neanche pensato.

Mi resi conto, in quella conversazione, che il maresciallo era diventato stranamente loquace. Sembrava triste e sospettai che prima del nostro caffè avesse bevuto ben altro.

L’attacco ai brevetti civili, ai pilotini di aeroclub, mi aveva spiazzato. Che ne restava della mia blasonata provenienza dall’aeroclub di Viterbo, della fucina di piloti, dei carrelli bicicli?

Avevo provato a replicare, ma questo lo aveva caricato di più. E parlò. Mi raccontò tante cose, tanto terribili che rimasi ammutolito ad ascoltare.

Aveva una medaglia sul petto e, ad un certo punto, mi sembrò il caso di chiedergli di quella.

Mi disse che l’aveva guadagnata sul Don. Aveva partecipato ad una missione nella quale doveva anche sorvolare un reparto che stazionava in una zona in attesa di ordini. Aveva a bordo un cilindro che doveva essere lanciato a bassa quota su quel reparto. Gli ordini erano nel cilindro. Ma il suo aereo era stato colpito. Aveva a bordo un morto e qualche ferito. Forse anche lui stesso lo era e l’aereo era danneggiato. In quelle condizioni, nonostante tutto, l’aereo era ancora governabile e lui decise di portare a termine la missione, prima di rientrare. Lanciò il contenitore con gli ordini, nonostante tutto.

Ebbe così la sua medaglia.

Con gli occhi un po’ arrossati, continuò a raccontare altri fatti. Non nominò nessuno di coloro che erano andati con lui su quel fronte e che non erano tornati, ma capii che furono tanti. E lui li ricordava tutti. Ricordava tutti i suoi voli, uno per uno. E di ogni volo, i cui dati erano allineati sulle righe del libretto, sapeva cosa era successo, chi si era salvato, chi era stato ferito, chi aveva perduto la vita.

Le ore passavano. Restai ad ascoltarlo, rapito e affascinato, ma anche rattristato e travolto dalla tragicità delle vicende di guerra. E comunque, nonostante tutto, sapevo che ascoltare il racconto era ben diverso dall’essere stato protagonista di certi avvenimenti. Aveva proprio ragione.

Avevano ragione, i veterani, a non voler parlare di quella parte di storia.

Infine, le pause si fecero più frequenti. Gli occhi del maresciallo erano decisamente arrossati. Sembrava un po’ a disagio e forse era sul punto di alzarsi per andarsene, scomparendo nella porta del suo appartamento, come gli avevo visto fare tante volte.

Anch’io ero un po’ provato. E mi sentivo in colpa per averlo fatto parlare.

Gli dissi:” Beh, maresciallo, se io avessi vissuto le vicende che mi ha raccontato, sicuramente prenderei il libretto di volo, scorrerei le righe e piangerei tutte le mie lacrime…”

Lui mi guardò. Fece una breve pausa, girando intorno lo sguardo come ormai faceva di continuo. Poi si piegò decisamente verso di me e, quasi con disperazione, disse:

Ma infatti io piango! Prendo proprio i miei libretti di volo. Ricordo ogni volo che c’è registrato sopra. Scorro le righe. E piango“…

Si alzò, leggermente insicuro nei movimenti, mi diede la mano nel salutarmi, mi sorrise con la solita antica gentilezza, attraversò la stanza, uscì nel corridoio e scomparve oltre la porta della sua casa.

riga_vuota nr=4]


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #



Evandro Detti

Nota della Redazione: nella foto in evidenza è ritratto l’autore negli anni ’80 presso l’aeroporto di Foligno accanto a un L-18 all’epoca in forza presso l’Aeroclub di Viterbo .