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RACCONTI TRA LE NUVOLE – RINVIO FINALISTI XI EDIZIONE

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XI edizione Premio letterario “RACCONTI TRA LE NUVOLE”



COMUNICATO STAMPA

nr 5 del 01 aprile 2023



A causa del notevole numero di racconti partecipanti (ben 55) e delle  complesse operazioni di raccolta delle schede di valutazione fornite da ben 10 giurati/e,

1’HAG e VOCI DI HANGAR informano gli autori/autrici che la  divulgazione dei 20 racconti finalisti è rimandata al giorno 5 agosto mentre è confermata la diffusione della classifica finale e proclamazione del vincitore per il 1 settembre.

Per qualsiasi informazione:

www.raccontitralenuvole.it

                                                                  




IL VOLO DI INDIANA JONES A GUIDONIA


Supportato da un mirabolante supporto pubblicitario, già da qualche giorno è approdato in tutte le sale cinematografiche del nostro paese il V capitolo (e probabilmente anche l’ultimo)  della saga di Indiana Jones intitolato appunto Indiana Jones e il quadrante del destino.

Il particolarissimo archeologo immaginario, tanto cervello e anche qualche muscolo, è personificato per antonomasia dall’attore statunitense Harrison Ford che, a onor del vero, è uno dei pochi attori hollywooddiani capace di ritagliarsi una carriera chilometrica non ancorata al primo successo mietuto con la sua memorabile partecipazione alla saga di Guerre stellari. Chi non ricorda infatti il mitico Ian Solo, scapestrato filibustiere intergalattico pilota del Millenniun Falcon assieme al pelosissimo amico  Chewbecca? Lui, proprio lui!

Il Ford Trimotor è il velivolo protagonista delle scene pirotecniche del film di Indiana Jones girate a Guidonia. Nella finzione cinematografica, dopo che gli occupanti si saranno lanciati con mezzi di fortuna, si schianterà contro il costone di una montagna innevata (foto proveniente da www.flickr.com)

All’epoca giovanissimo.  Harrison fu scelto da quel buongustaio di Seven Spielberg che – secondo la leggenda – lo notò mentre era indaffarato nel montaggio di una scenografia. Figlio di un attore e a sua volta diplomato in un corso di arte drammatica frequentato durante il college, Harrison si era infatti ritagliato il lavoro di falegname di scena in quanto scontento e sfiduciato a causa delle minuscole parti che era riuscito a strappare fino a quel momento presso di Studios. E invece quell’incontro si tradusse nella sua e la nostra fortuna …

Un altro scorcio originale del Ford Trimotor che, nella finzione del film, è l’ambientazione di un rocambolesco episodio in cui i piloti lo abbandonano lanciandosi con il paracadute mentre gli occupanti, Indiana Jones compreso, sonnecchiano tranquilli. Da notare la peculiare lamiera ondulata Junkers che contraddistingue il rivestimento del velivolo. Una soluzione adottata, per esempio, anche sul Junker JU-52 e che, nonostante l’indubbio aumento della resistenza aerodinamica, consentiva una notevole rigidità, ossia grande resistenza agli impatti localizzati (foto proveniente da www.flickr.com)

Harrison Ford, classe 1942, alla stregua del suo famoso collega John Travolta, nella vita reale è  anche un pilota di aerei ed elicotteri, dunque oltremodo appassionato di aviazione  nonostante nel marzo 2015 sia rimasto coinvolto in un incidente aereo nelle vicinanze di Venice (vicino Santa Monica – Californi) a causa di un guasto tecnico occorso al suo Ryan PT-22, rarissimo velivolo monomotore a elica degli anni ’40.

Ciò premesso si comprende facilmente, come, dovendo giare delle riprese aeree all’interno di un aeroporto in cui all’epoca si praticava il volo a mezzo di alianti, il buon Harrison non abbia saputo fare a meno di provare la fantastica esperienza del volo silenzioso.

Il velivolo qui ritratto fu esattamente quello utilizzato nelle scene del film di Idiana Jones (tranne quella dello schianto, s’intende) . Il “City of Philadelphia” fu inizialmente di proprietà della Trans-Continental Air Transport; ma al momento è basato negli Stati Uniti a Polk City in Florida (foto proveniente da www.flickr.com)

Il racconto stringato (e forse fin troppo asettico) di Giulio Cesare Chiarini si riferisce proprio a questo singolare episodio, uno dei tanti avvenuti all’interno dell’aeroporto di Guidoni di cui furono testimoni i cosiddetti “guidoniani” appunto, ma che – nello specifico – rimasero del tutto ignari di quanto accedeva sopra di loro.

Lo scatto pone in evidenza la configurazione alquanto singolare del Ford Trimotor in cui il motore laterale costituisce un tutt’uno con il carrello anteriore. Niente male per il “The Tin Goose”, cioè Oca di latta, come venne soprannominato e che fu progettato nel lontanissimo 1925 (foto proveniente da www.flickr.com)

Per interposta persona, Giulio ci racconta il retroscena delle funnamboliche immagini che noi – semplici fruitori dell’arte cinematografica – abbiamo potuto ammirare all’inizio del secondo film della saga di Indiana Jones (forse il meno riuscito rispetto agli altri) che reca il titolo: Indiana Jones e il tempio maledetto.

Non ci è dato sapere quanti chilometri di pellicola furono girati per poi vedere solo pochi minuti di film, di certo, grazie al racconto  del nostro autore, siamo in grado di apprendere una chicca che è sfuggita ai rotocalchi cinematografici o ai periodici di pettegolezzi del mondo dello spettacolo.

 



Narrativa / Brevissimo

Inedito

Ha partecipato alla X edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2022

 


 

Il volo di Indiana Jones a Guidonia


Era l’anno 1984 e si giravano a Guidonia alcune scene del film: “Indiana Jones e il tempio maledetto”. Si era costruito in aeroporto, zona hangar militare, un aereo degli anni ’30, al cui interno, nella trama del film, Indiana Jones, mentre precipitava, ormai senza guida e senza piloti, lottava per la sopravvivenza sua e della sua accompagnatrice cantante; la lotta per altro era ben riuscita, perché in maniera rocambolesca, potevano Indiana e compagna separarsi dall’aereo, che invece all’impatto si distruggeva.

Noi piloti guidoniani ignoravamo la presenza in aeroporto, sia degli attori che di tutta la troupe che girava il film…e si giustifica perciò, come in un giorno, in cui si volava normalmente con gli alianti dell’aeroclub di Roma, ci fosse la presenza di Harrison Ford a Guidonia e il suo arrivo improvviso, presso la biga di Antonietta e di tutti noi piloti e istruttori.

Quel giorno l’istruttore di turno era Giovanni Quai.

Harrison Ford amante del volo, come tutti sanno, con il suo “slang americano”, chiese se fosse possibile fare un volo in aliante.

Il bello è che nessuno lo riconobbe un po’ per la faccia un po’gonfia e arrossata, (un po’ diversa da quella perfetta presentata nei film) un po’ perché chi se l’aspettava mai: era un tizio” americano che chiedeva, come spesso accade, un “volo turistico”. Tanto meno Giovanni Quai lo riconobbe ma, primo perché parlava inglese meglio di tutti, poi perché era il pilota più rispondente dei presenti, decise di portare in volo quello strano tizio.

Il volo ebbe luogo, l’americano si divertì, fece i complimenti per la bellezza dell’esperienza e magnificò il volo a vela e gli appassionati piloti, che lo praticavano. Si congedò salutando i presenti alla biga e in linea e non fece nulla, per farsi riconoscere …

Tutto ciò fino a sera, quando apparve alla tv di stato, in un’intervista, proprio quel “tizio americano, dalla faccia ora pulita, rimessa a posto e ben pettinato.

Intervistavano il famoso attore Harrison Ford, che parlava del nuovo film di Indiana Jones, che lo vedeva protagonista e che in quel momento era a Roma, perché giravano all’aeroporto di Guidonia, dove avevano costruito un modello di aereo, anni trenta, per girare delle scene importanti.

Allora Giovanni Quai, ritornato a casa guardando la tv serale, disse alla figlia presente in quel momento: “Io quello oggi l’ho portato in volo”, e di rimando la figlia gli confermò che aveva portato in volo “Indiana Jones” alias Harrison Ford”.

Giovanni raccontava l’evento come una storia curiosa e ricordo in alcuni stages di volo a Rieti a inizio anni 2000, che i guidoniani facevano in “gruppo”, che, quando ciascuno raccontava fatti accaduti in volo e a terra a Guidonia con protagonisti sempre piloti dell’Aeroclub, lui Giovanni ricordava la sua storia con: Indiana Jones …. 



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

## proprietà letteraria riservata ##


Giulio Cesare Chiarini


NOTA: in copertina la cabina di pilotaggio e i comandi di volo originali del Ford Trimotor

 

Good luck, Ugo




Ugo Paolillo ci ha lasciato per sempre a causa di un tragico incidente di volo avvenuto ieri, 11 luglio 2023, nei cieli di Rieti a bordo del suo amato “Papero” – come affettuosamente lo avevamo soprannominato -, il suo Fournier RF-3 ultraleggero.

Ci ha lasciato alla veneranda età di 83 anni, 60 dei quali vissuti volando ovunque e indifferentemente con aeroplani, alianti, motoalianti e ultraleggeri vari, biplani compresi.

Nonostante il suo vigore fisico e intellettuale, letterariamente parlando era assai timido tanto che aveva deciso di celarsi dietro uno pseudonimo, A-hug, e poi dietro il cognome della mamma danese firmandosi con un anonimo Hugo Christensen.

E’ stato autore di alcuni pezzi giornalistici di notevole fattura, peraltro pubblicati nella rivista VOLO A VELA, ma lo ricordiamo con particolare affetto per aver partecipato – dietro minacce neanche troppo velate – alla prima e alla seconda edizione del nostro Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE. Al primo tentativo si era classificato al X posto con uno stralcio del romanzo – allora inedito – intitolato “Dove il tempo non era mai stato” che poi pubblicherà con l’editore Logisma dopo una lunga e faticosa elaborazione cui abbiamo avuto l’onore e il privilegio di collaborare.

E’ con questo racconto, “Good luck, Pesciolino“, inserito nella I antologia del Premio della I edizione del Premio,  che intendiamo ricordare Ugo. Perché da questo testo si evince non solo la sua conoscenza enciclopedica del mondo del volo ma anche e soprattutto quella sottile ironia molto “british” nonché la sua promettente capacità narrativa che aveva solo necessità di maturare accresciuta dall’esercizio.

Proprio  il giorno prima del suo ultimo decollo ci eravamo confrontati sulla riedizione del suo romanzo che Ugo voleva più snello, più cinematografico … 

Non amava parlare di sé ma siamo certi – e non avevamo mancato di comunicarglielo – aveva tutte le carte in regola per diventare un giovane talento letterario alla Camilleri maniera.

Deteneva il record di volo con aliante – ancora oggi imbattuto – di oltre 1000 km con punti di partenza e di volo prefissati svolto interamente in territorio italiano, lungo la dorsale appenninica e in termica. E ha compiuto questa impresa lungamente cercata e poi concretizzata con un aliante neanche di ultimissima generazione (Nimbus 2).

Da questa esperienza ha tratto il racconto: “La prima termica del mattino” che è ospitato nel nostro hangar e che ha firmato con lo pseudonimo A-HUG.

Con il medesimo pseudonimo aveva  firmato invece i racconti : “La Daunia brucia! ” e “Imprese inutili“, ugualmente ospitati nel nostro hangar.

Non ultimo aveva già messo mano a un secondo romanzo del genere thriller-poliziesco ispirato e sostenuto da quell’enorme bagaglio materiale accumulato nel corso della sua lunga carriera di magistrato. Chissà …

Vola alto e lontano, Ugo. E, parafrasando il titolo del tuo racconto di esordio: “Good luck, Ugo”!





Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:


Nel cielo di Cecenia


La Daunia brucia!

Imprese inutili

La prima termica del mattino

Good luck, Pesciolino!




Il decollo del C-5 Galaxy dalla Vandeberg Air Force Base alle 03:00, ora locale della California, si era svolto senza problemi. I vertici del Comando Strategico avevano preferito alleggerire il più possibile di carburante l’aereo anche se, per completare la sua delicata missione, si sarebbero dovuti effettuare almeno due rifornimenti in volo.

Nella capiente stiva del cargo militare erano stati allocati, dopo uno scrupoloso disassemblaggio, i detonatori della bomba e i contenitori del materiale nucleare, separati adeguatamente gli uni dagli altri per evitare pericolose interazioni.

Il trasporto aereo del carico, coperto da codice di segretezza livello 5, era proseguito normalmente secondo il piano di volo. Nel punto stabilito il Galaxy aveva completato il primo rifornimento di carburante portandosi progressivamente poco sotto la coda dell’aereo cisterna, un KC-10 Extender. Il rifornimento era avvenuto tramite la sonda rigida collegata ad un bocchettone ubicato sopra la cabina di pilotaggio del grosso aeromobile. Al termine dell’operazione, quando le segnalazioni luminose avevano confermato al sottufficiale addetto al controllo della sonda che i serbatoi del Galaxy erano pieni, il tubo era stato ritirato e gli aerei si erano separati.

“Certo che ne è passato di tempo da quando, negli anni venti, sono stati realizzati i primi tentativi di rifornimento in volo!” aveva osservato il comandante del Galaxy, capitano Ronald Driver, rivolgendosi al secondo pilota, tenente Frankie Tarantino.

“Eh già” annuì il tenente pensando al Boeing B50, chiamato Lucky Lady II, che trent’anno dopo, avrebbe effettuato il giro del mondo senza scali intermedi, a dimostrazione dell’efficienza del sistema di rifornimento in volo, grazie anche all’affidabilità di macchine ed equipaggi dell’USAF.

Nelle ore successive, la conversazione tra i due piloti si era dilungata sull’utilizzo che sarebbe stato fatto della bomba più potente mai costruita: “A giudicare dalle dimensioni e dalla voci che circolano”, aveva detto il tenente, “lo scoppio di questa bomba sarebbe in grado di mettere in crisi l’intero territorio degli Stati Uniti”

“Sbalorditivo!”aveva esclamato il comandante, poi però aveva aggiunto: “… ma quanto a potenza distruttiva, caro Frankie, le forze naturali non hanno rivali: terremoti, maremoti, tsunami e uragani sono insuperabili … a proposito … vedi anche tu quello che vedo io nel radar meteo?”

“Gesù, comandante, la formazione di cumuli nembi che abbiamo davanti è enorme! Il suo fronte deve estendersi fino ad una cinquantina di miglia (circa centinaio di chilometri, ndA) … per non parlare dell’altitudine … trentamila piedi (circa diecimila metri, ndA) o forse più.”

“Accidenti!”, era stata la replica preoccupata di Driver: “proprio ora che dobbiamo fare un nuovo rifornimento! … a proposito, Frankie, com’è che l’aereo cisterna non si è fatto ancora sentire? Prova a farlo contattare con il nominativo concordato”.

“Ci penso io, se non ha niente in contrario, comandante; il marconista, sergente Cooper è sceso nel ponte di carico per concedersi un caffè.” L’attrazione del sergente verso la corroborante bevanda, che consumava di continuo in tazze proporzionate alla sua stazza, era nota, pertanto al copilota non erano state mosse obiezioni, anche perché il suo hobby per la radiotecnica non era da meno rispetto alla passione di Cooper per le tazzone di caffè bollente. Indossate le cuffie, Frankie aveva impostato la frequenza e il codice di crittografia digitale sul computer delle comunicazioni.

“Pellicano, Pellicano, da Pesciolino, over”

“Avanti, Pesciolino, qui Pellicano, over”

“Pellicano, cominciamo ad essere un po’ a corto di carburante, over”

“Quanto a corto? Over”

“Abbiamo poco più di un’ora di autonomia, over”

“Pesciolino, siamo nel pieno di una tempesta, l’aereo cisterna non ha potuto decollare dalla base Wheeler. Al momento stanno cadendo chicchi di grandine da 4 pollici (circa 10 cm, ndA), un evento eccezionale per la contea di Honolulu! Over”

“Roger, Pellicano. Qui Pesciolino … allora non abbiamo altra scelta: se non ci sono novità ci dirigiamo all’atteraggio per Wheeler, over”

“Ok, Pesciolino, good luck. Out”

Le notizie ricevute da terra, erano state accolte a bordo del C-5 con una buona dose di apprensione. Il cargo stava trasportando una bomba termonucleare ad altissimo potenziale nel quadro di una serie di operazione NATO top secret. Se la missione non fosse stata portata a termine perché la bomba era finita in fondo all’Oceano Pacifico con il Galaxy, era prevedibile che i mass media di tutto il mondo, venuti prima o poi a conoscenza dell’accaduto, si sarebbero scatenati in una campagna denigratoria delle forze militari NATO senza precedenti. Inoltre se si fosse saputo che la causa dell’incidente aereo era da attribuirsi alla mancanza di carburante, l’intera catena di comando sarebbe saltata senza sottilizzare troppo sulle singole responsabilità.

“Certo che il clima sta impazzendo” aveva osservato il tenente, “Chi l’avrebbe mai detto che alle Hawaii, in questo periodo, sarebbe caduta tanta grandine da imbiancare queste favolose isole!?”. Evidentemente il secondo pilota era più preoccupato della situazione meteo nelle isole che delle conseguenze che sarebbero potute derivare dal mancato compimento della missione.

“Frankie?! … ma ci stai di testa?”, era stata la domanda di Driver, accompagnata da un moto di stizza, “siamo a corto di carburante … tra noi e la base dove dovremmo posare questo pachiderma alato, c’è un fronte temporalesco di violenza inaudita … non possiamo permetterci di girare in tondo in attesa che passi, non abbiamo autonomia sufficiente neppure per raggiungere un altro aeroporto fuori della tempesta … ti pare che sia il caso di stupirti perché le Hawaii sono colorate di bianco?”

Il tenente Tarantino, strette le spalle, aveva chiesto contrito: “E allora cosa si fa, comandante?”

“Tu che ne dici, Frankie?”

Il tenente ci aveva pensato un istante, ed aveva risposto con l’aria di chi la sa lunga: “Alla mala parata, sganciamo tutto il carico, bomba compresa e guadagniamo un altro po’ di autonomia”

La replica del comandante non si era fatta attendere: “Frankie, dimmi la verità”

“Dica, comandante”

“Quando parli … sei in contatto costante col cervello, oppure no?”

Il tenente aveva abbozzato delle scuse, ma il comandante implacabile aveva aggiunto: “ Sai dove siamo? … certo che lo sai … converrai con me che siamo in prossimità di Pearl Harbour. Questo nome ti dice niente?”

“Ehmm …” aveva farfugliato, mentre si affollavano in lui immagini di navi alla fonda centrate dalle bombe come birilli, accompagnate da altre con sciami di aeroplani giapponesi rassomiglianti a cavallette fameliche che assaltavano l’isola …“Non è forse il luogo dove i nostri nonni presero una delle più grandi batoste della storia americana?”

“Bravo, Frankie! … e pensa che bello se, grazie alla tua testa bacata, la storia si ripetesse!? … ma questa volta sarebbe un aereo americano a bombardare Pearl Harbour, e per giunta con una bomba progettata da fisici giapponesi. Almeno in parte”.

Frankie aveva deviato il discorso: “Insomma ha deciso di prendere di petto la tempesta? … che Dio ce la mandi buona!”

“Abbiamo altra scelta, Frankie?”

D’improvviso, il possente Galaxy era passato dalla luce del sole al buio pesto dei cumuli nembi, rischiarato a brevi intervalli da lampi accecanti; il comandante e il suo copilota avevano la sensazione di trovarsi sotto il fuoco di una contraerea furibonda. A tratti era sembrato che una mano gigantesca afferrasse la fusoliera del cargo militare scagliandola verso l’alto e verso il basso, come se il più grande aereo da trasporto dell’arsenale USAF fosse un giocattolo.

“Ma oggi che abbiamo fatto a Madre Natura per renderla tanto incazzata con noi, eh comandante?”

“Chiudi quella boccaccia, dannazione, Frankie … rischiamo di perdere il controllo dell’aereo! Riduco potenza, escludo l’autopilota e passo a comandi manuali! … se ci rovesciamo abbiamo chiuso: la bomba potrebbe sganciarsi dai sostegni, sfondare il ponte di carico e uscire dalla fusoliera!”

“E anche se non ci rovesciamo” aveva rincarato il copilota, “questa fottutissima grandine finirà col bucherellarci tanto da ridurre l’aereo ad una sorta di scolapasta volante!”

In effetti, se i piloti avessero potuto osservare la scena dall’esterno, oltre a sentire l’assordante rumore dei proiettili di ghiaccio che colpivano incessantemente l’aereo, avrebbero notato, con orrore, le lamiere del Galaxy infossarsi sotto la pressione della grandine che si scagliava contro il metallo alla velocità relativa di 600 km/h.

“Porca puttana, comandante!” aveva esclamato il tenente, non senza apprensione, “Gli anemometri sono impazziti! Le velocità indicate sono in contrasto con le spie di stallo! Alla velocità con cui stiamo procedendo non dovrebbero essere accese. Ammesso che vogliamo credere alle indicazioni del GPS”

“Una volta tanto ti do ragione, Frankie … il ghiaccio deve aver ostruito i tubi di pitot. Nonostante i riscaldatori. E va bene: freghiamocene dell’anemometro e degli avvisatori di stallo. Cerchiamo di tenere l’assetto con l’orizzonte artificiale e con l’indicatore dell’angolo di attacco”

Ad un certo punto, inspiegabilmente, la fortissima turbolenza si era attenuata, anche la grandine era diminuita. Il sottufficiale armiere ne aveva approfittato per salire nella cabina di pilotaggio ed informare il comandante che “Minnie” – appellativo affibbiato affettuosamente all’ordigno nucleare – era ben assicurata e non aveva subito danni. Il sergente, Bobby per gli amici, era un ragazzone del Texas, rossiccio e muscoloso, cresciuto a bistecche al sangue alte due pollici (circa 5 cm, ndA) che a malapena entrava nella la divisa. Non capitava spesso di avere a bordo uno specialista in armi nucleari.

Stavano ancora parlando quando, preceduto da uno schianto terrificante, uno dei finestrini del parabrezza, dal lato del copilota, era volato via causando l’inarrestabile decompressione con il caratteristico risucchio dell’aria pressurizzata verso la più rarefatta atmosfera esterna.

Il sottufficiale che si trovava in piedi, alle spalle del copilota, era stato letteralmente aspirato in direzione della piccola apertura come un piombino sparato da un fucile ad aria compressa. Fortunatamente era rimasto incastrato con il busto fuori della cabina e il resto del corpo all’interno, con le gambe che scalciavano alla ricerca di un appiglio.

Istintivamente il tenente Tarantino, aveva accennato alla mossa di sganciarsi le cinture di sicurezza che lo tenevano ancorato al posto di pilotaggio, nel nobile intento di soccorrere il sergente.

“Frankie, per Dio!” aveva urlato Driver, “Cerca di trattenere il sergente ma resta legato! Indossa la maschera!”. L’ordine, dovuto alla professionalità del pilota, era stato pronunciato senza pensarci su due volte. Anche nel C-5, come negli aeroplani commerciali, era previsto che, in caso di depressurizzazione, i piloti indossassero immediatamente le maschere ad ossigeno poste sotto ciascun sedile, per scongiurare l’anossia e la conseguente perdita di sensi. Ma il tenente, nel tentativo di sottrarre Bobby dalla difficile situazione in cui si trovava, era troppo occupato per dargli retta.

“Comandante, sto tenendo il sergente per le caviglie, non me lo lascio scappare anche a costo di volare fuori con lui!”

Nel frattempo la turbolenza aveva ripreso a strapazzare il gigante dell’aria provocando balzi e scuotimenti incessanti, mentre l’aereo perdeva velocemente quota. Le caviglie di Bobby erano sfuggite alla presa di Frankie che cominciava a sentirsi in debito d’aria. Ormai solo le gambe del malcapitato si trovavano all’interno della cabina  Ma il tenente non si era dato per vinto e aveva spostato la presa sui pantaloni mimetici del sottufficiale. Lentamente l’indumento aveva iniziato a sfilarsi …

Con una rapida giravolta, dopo essersi liberato dalle cinture di sicurezza, Frankie aveva trovato rifugio nel vano della pedaliera, riuscendo senza capacitarsene, a tirarsi appresso il sottufficiale, in apparenza morto e nudo dalla cintola in giù mentre torrenti di acqua gelida si riversavano nella cabina di pilotaggio. Con la coda dell’occhio, al comandante era parso che la postura assunta dai due evocasse una posizione da Kamasutra. Incredibilmente Bobby si era ripreso, un po’ intontito, mezzo assiderato ma vivo.

Il Galaxy era sceso di diverse migliaia di piedi tanto che l’aria, meno rarefatta, era di nuovo respirabile mentre la pressione in cabina si era riequilibrata con quella esterna. L’effetto risucchio era scemato. Anche la turbolenza e la pioggia si erano attenuate. Il tenente ne aveva approfittato per caricare di peso lo sventurato sergente e condurlo nel sottostante ponte di carico. Alla loro apparizione i commilitoni avevano applaudito a lungo. Comunque le battute sulla perdurante nudità del sottufficiale non si erano lasciate attendere, alcune decisamente oscene.

Rientrando di corsa in cabina, il tenente aveva ammirato l’impegno e l’abilità del comandante nel manovrare il Galaxy. Per tutta risposta, il superiore lo aveva fissato negli occhi con l’aria di uno che deve comunicare una decisione importante, suo malgrado. Poi, con enfasi, aveva sentenziato: “Accidenti, Frankie, ti ho visto sai, e ti farò rapporto …”.

Il tenente, non credendo alle proprie orecchie, aveva ascoltato le parole che avrebbero figurato nel rapporto a suo carico: “Nel mezzo di una tempesta, incurante del pericolo, il tenente pilota Frankie Tarantino afferrava per le gambe il sergente Bobby McKenzy, finito quasi interamente fuori dalla cabina di pilotaggio a seguito della rottura di uno dei finestrini. Nel corso dell’audace manovra, approfittando dello stato d’incoscienza del sottufficiale, rimasto privo di indumenti nella parte inferiore del corpo, si lasciava andare ad atti di indubbia turpitudine sessuale, protetto alla mia vista dal vano della pedaliera. Ma solo in parte”

Frankie era stato al gioco. “Grazie, comandante … ho fatto come si suole dire: di necessità virtù …”

“Frankie … d’ora in poi chiamami Ronald, questa volta una menzione d’onore – e forse una medaglia – non te la toglie nessuno … ma ora cerchiamo di portare a terra questo pachiderma … e se ce la caviamo … giuro che ti proporrò per un avanzamento di grado”.

“Ronald, possibile che la prima volta che ti chiamo per nome mi debba sentire commosso?”

“Risparmia le lacrime Frankie …”, era stata la risposta il comandante, “ci attendono momenti difficili”.

La grandine aveva smesso di flagellare il Galaxy, ma la pioggia era diventata di nuovo fittissima al punto da ridurre quasi totalmente la visibilità. Ad aggravare la situazione c’era l’afflusso continuo di acqua che penetrava con violenza all’interno della cabina di pilotaggio. Frankie, costretto ad abbandonare il suo posto per evitare di passare alla storia come il primo pilota annegato in volo, aveva trovato rifugio sul sedile del marconista, dietro a quello del comandante.

“Per fortuna” aveva confidato Ronald a Frankie, “che al Wheeler sono attrezzati con il GCA (Ground controller Approach, ndA); in mezzo a questo casino, sapere che il nostro avvicinamento avverrà con il controllo del radar e che ci verranno fornite tutte le opportune istruzioni per l’atterraggio mi rende quasi euforico.”

Il tenente aveva fatto un cenno di assenso, ma, al contrario del suo superiore, era tutt’altro che propenso all’euforia.

In quell’istante, era arrivata la comunicazione della torre di controllo di Wheeler che dirottava il Galaxy sull’aeroporto internazionale di Honolulu.

Non ci si poteva credere: un trasporto militare coperto dal massimo livello di sicurezza atterrare in un aeroporto civile! Per giunta con le piste intasate da emergenze e lo spazio aereo zeppo di aeroplani

La risposta del Galaxy non si era fatta attendere  “Roger, qui Pesciolino … non abbiamo alcuna intenzione di buttarci nella mischia di Honolulu in assenza di visibilità e con la strumentazione in avaria! Pesciolino conferma atterraggio di emergenza su Wheeler, over”.

“Negativo, Pesciolino … l’aeroporto Wheeler sarà inservibile per molte ore. Dobbiamo rimuovere un traffico che ha rotto il carrello in atterraggio e ora ingombra la pista!”

Frankie era rimasto esterrefatto: l’aeroporto Wheeler era dell’Army (Esercito, n.d.A.), loro erano dell’AirForce (Aeronautica, n.d.A.), Pesciolino era un nome tipico della Navy (Marina, n.d.A.) e dovevano atterrare in un aeroporto civile: che bella contraddizione!

Come se fosse nei suoi pensieri, il comandante aveva chiesto al copilota: “Frankie, chi cazzo ci ha affibbiato il nominativo Pesciolino?”

“Per quanto ne so, caro Ronald, è stato un pezzo grosso dell’Ammiragliato, noto per il suo strano umorismo”.

“Beh, sarà contento di aver trovato un nome che, in mezzo a tutta quest’acqua, sembra particolarmente appropriato al Galaxy, se non fosse per le dimensioni. Però se finiamo in mare non ci sarà militare che, incontrandolo, non si toccherà le palle! Come gli è venuto in mente di chiamare Pesciolino un gigante come il Galaxy?”

“Ronald, credo che sia un vezzo femminile. Quello di attribuire diminutivi a cose di grosse dimensioni. Ho visto un film porno in cui lei, forse per rincuorarsi, chiamava pesciolino l’attrezzo di lui, benché misurasse a dir poco, trenta centimetri!”

“Vuoi dire che l’Ammiraglio è una donna?” aveva domandato il comandante.

“Perché no?”

“Già, perché no? … cazzo Frankie, portiamo questa balena all’asciutto!”

Infatti, poco dopo il sole, prendendosi la rivincita sulle nubi, riaccendeva i colori del cielo e dei campi nella contea di Honolulu e sull’isola di Ohau.





Narrativa / Medio-Breve

Pubblicato nell’antologia della I edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2012;  classificatosi al X posto, in esclusiva per VOCI DI HANGAR



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