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Missione Grumento: operativi!! – III parte –


– Ehi nonno!

– Sì?

– Non ci crederai mai!

– A cosa?

– A questo! Per caso ti ricorda qualcosa?

– E come se me lo ricorda! E’ il poster che pubblicizzava proprio lo stage a Grumento, quello del ‘94. Ma dove l’hai trovato?

– Mah, mentre raccontavi le avventure di Grumento, veramente io … ho dato un’occhiata alle carte.

– Ma guarda che maleducato! … comunque bravo: non sapevo di averlo ancora.

– E invece hai visto che l’ho ritrovato. Comunque scusami: non lo faccio più.

– Va beh …, stavolta ti perdono.

– Nonno, toglimi una curiosità!

– Avanti, sentiamo.

– Questo nel poster, è Grumento, vero?

– No … non credo: l’aliante non ha le marche e … poi non mi sembra che quel modello l’abbiamo mai avuto. Comunque i piloti – un uomo ed una donna, si vede bene – sono un po’ troppo vestiti per essere in volo sopra a Grumento: sembrano da “settimana bianca”.

– Ma perché faceva veramente così caldo?

– Eh sì, purtroppo. Oddio … non come a Rieti, a Roma o al mare, ma faceva piuttosto caldo. La bellezza però, era che la sera, rinfrescava veramente e la notte si poteva dormire … capirai dopo quelle giornate “campali”!

– Perché a che ora finivate e a che ora iniziavate?

– Mah … la sveglia per noi, dico noi perché io e Kostantino dividevamo la stessa camera, era alle sette, colazione alle sette e trenta e partenza per l’aeroporto alle otto. Con le nostre scorciatoie, in un quarto d’ora eravamo in aeroporto, e alle otto e mezza, tutti operativi: arrivavano i “cannibali”!

– Che significa “cannibali”?

– Ma niente! Era un nomignolo così … per i piloti. Allora i cann … i piloti, asciugavano gli alianti – oh, erano sempre zuppi di condensa – facevano il briefing, mangiavano un panino e andavano in volo verso le undici-mezzogiorno. A volte anche l’una.

– Partivano presto, no?

– Beh, insomma. Se avessero voluto, sarebbero potuti partire anche prima, ma sai … abituati al ritmo “blando” dello stage fatto a Rieti! Comunque sì, si poteva decollare anche alle dieci e a volte anche prima, perché l’aggancio c’era, solo che poi rimanevi lì, e comunque per lo stage la giornata era così lunga … In ogni caso, salvo qualche “bucaiolo”, all’una e mezza erano tutti in volo. Poi, verso le cinque-cinque e mezza incominciavano i rientri, fino alle sette e mezza-otto. Per le otto e mezza, gli alianti erano tutti picchettati e la roba – batterie, paracadute e altri “impicci” – tutto sistemato. Alle otto e tre quarti, le nove al massimo, eravamo in albergo. Avevamo il tempo di farci una doccetta “plutonica” – chi aspettava il turno “stramazzava” sul letto solo a sfiorarlo – e poi, tutti a mangiare: certe abbuffate! E lì fino alle undici-undici e mezza. Ormai “stracotti” di sonno, tutti a dormire fino al giorno dopo. E via, si ricominciava di nuovo.

– Facevate quella che, si dice una vita tranquilla.

– Eh sì, certo.

– E la sera, dopocena?

– Curioso, eh? Beh, a volte, la sera, dopocena … s’usciva. Io e Kostantino eravamo “operativi” ma gli altri, erano in vacanza.

– Va bene, ma che facevate?

– Mah, niente di speciale.

Una sera, ad esempio, s’era sparsa la voce che c’erano tre ragazze in costume che lottavano nel fango, e allora andammo nella discoteca all’aperto per vedere di che si trattava …

– Voi, eravate sempre operativi, no?

– Appunto. Fu un “bidone” micidiale perché di ragazze neanche l’ombra e neanche del fango! Anzi no, da quella volta incominciai a sentire puzza di fango tutte le volte che i trainatori ci dicevano d’andare con loro.

– Cosa c’entrano adesso i trainatori?

– C’entrano, c’entrano: erano loro che “beccavano”: oh, da che è mondo e mondo , il “fascino del pilota” colpisce sempre. Io ero un misero “terricolo”, che potevo sperare? Un’altra sera, mi ricordo, andammo alla “Festa del fagiolo” a Sarconi – Sarconi era la capitale italiana del fagiolo – e fu altro fango perché quando arrivammo, il piatto forte, il gelato al fagiolo, era finito da un bel pezzo. Un’altra sera ancora, andammo alla “Festa della birra” in un altro paesetto vicino: in tutta verità … noi pensavamo d’incontrare chissà quali bionde … beh, ce ne tornammo in albergo contenti di aver visto almeno quelle nel bicchiere, di bionde.

– Ma perché la gente com’era?

– Dici le donne, no?

– Ehm … veramente sì.

– Ma che maiale!

– Ci sei andata vicina: altro fango! Tu, devi tener presente che i vecchi bagnini di Rimini, quelli che una volta sorvegliavano i bagnanti …

– Sì, sì, ho ,capito. Continua!

– Beh, i bagnini di Rimini, belli, muscolosi e affascinanti facevano una particolare gara tra loro. Avevano stabilito una scala di valori. In base a ‘sta scala le donne più abbordabili – allora era così, ora non so – erano le inglesi: due punti in meno!

– Come? Non ho capito.

– Sì, chi abbordava e riusciva a sedurre una donna inglese, perdeva due punti – era così facile! quasi ti cercavano loro – . Chi ce la faceva con una tedesca: mezzo punto – ce n’erano così tante!-. Le spagnole: un punto; le milanesi : un punto e mezzo, e così via. Naturalmente vinceva chi, aveva più punti alla fine della stagione balneare.

– Ma che c’entra con le lucane ?

– Le lucane? Oh, n-o-v-e p-u-n-t-i!! Il massimo. Praticamente inavvicinabili! Un po’, perché cinturate dai mariti se sposate, dai fidanzati se fidanzate, dai genitori se non fidanzate, un po’ perché era difficile che andassero in vacanza fuori dalla loro bellissima regione, insomma era praticamente impossibile adescarle! Mi ricordo che una volta … ancora rido se ci penso … venne in aeroporto una ragazza decisamente graziosa, considerata soprattutto la “fauna” locale. Naturalmente, in compagnia del fidanzato. Naturalmente, io, che ero l’addetto alle pubbliche relazioni – mi ero promosso da solo: visto che nessuno le faceva -, incominciai a “ciceronare”. Saranno stati gli alianti lucenti, il fascino del volo, la bellezza del cielo, il gusto del pilotaggio, beh … s’incuriosì così tanto lei, la ragazza, che – incredibile ma vero – il giorno dopo, tornò in aeroporto praticamente da sola, salvo i due fratelli minori. Allora creai una piccola azione diversiva per i piccoli – li feci salire su un aliante a “smanettare” un po’ – e cominciai a “riciceronare” con lei. Ma sul più bello, non mi ricordo cosa successe in pista o al parcheggio … fui costretto ad abbandonarla. Alle grinfie dei piloti! Ce n’era uno, un istruttore simpaticissimo, che – penso io, eh?! – aveva raggiunto la “pace dei sensi” ma non la “pace della gola”, così le chiese subito a bruciapelo quale fosse lì a Sarconi, il locale dove si mangiasse meglio e – che te lo dico a fare? – si spendesse meno. “Il Fagiolo”, rispose lei, compita. Beh, non ci crederete, ma da quel momento, lei divenne “La Fagiola” ed io, quello che me la facevo con “La Fagiola”.

– Perché, l’hai più rivista?

– Macché! Mica ero un bagnino di Rimini, io!

– No, ma eri “operativo”.

– Sì, forse troppo “operativo”. Così operativo che non potevo far altro che lavorare, lavorare e ancora lavorare.

– Senti nonno, non me la racconti giusta: cosa avrai dovuto mai fare in aeroporto?

– Io? Niente. Facevo finta, di fare qualcosa.

– Facevo finta di fare la manutenzione di tredici alianti e due traini, facevo finta di dare assistenza in linea di volo, facevo finta di fare i recuperi fuori campo, facevo finta di tenere i contatti con i visitatori. Facevo pure finta di stare addirittura lì a Grumento, sotto il sole, da mattina fino a sera, e lo facevo così bene che, tornato a Rieti, qualcuno mi disse con l’aria furbetta – di chi la sa lunga -: “Sei stato al mare, eh?”. “Sì”, rispondevo, “All’Isola d’ Elba. Al confino”.

– Scusa nonno, ma non ho capito la faccenda delle pubbliche relazioni.

– Veramente neanch’io: spiegacela meglio.

– Il poster che hai trovato pubblicizzava l’iniziativa che sì, era nostra, ma anche della Comunità Montana dell’Alto Agri e, soprattutto di quel “satanasso” del gestore dell’aviosuperficie, mi sembra che si chiamasse Bolletta, no … Cavetta, no no, … Cunetta, sì, ecco: dottor Cunetta. Era un tipo davvero molto “pittoresco” che con l’aiuto di altre persone influenti, era riuscito a creare piano piano, quel popò di roba. Senza però coinvolgere gli “indigeni”, che non praticavano l’aeroporto, anche perché, mi ricordo, quei pochi che osavano venire, li tormentava dicendo loro: “V i s i t a t o r i ! N o n s i f u m a !” oppure: “V i s i t a t o r i ! L o n t a n o d a l l a p i s t a!” Quando arrivammo noi, non so come non gli venne un infarto fulminante.

– Perché?

– Con tutti i cartelloni pubblicitari, la confusione dei traini, e gli alianti che giravano continuamente nella zona, una cosa era certa: non passavamo inosservati. E allora, lentamente, incominciarono ad arrivare i primi curiosi: “Ma come fa’ a volare ‘sto coso?”, poi gli scettici: “Ma se guida l’aliante?”, ed infine i catastrofici: “E se ci manca l’aria?” Insomma, alla fine, specialmente il sabato e la domenica, c’erano frotte di persone che venivano, guardavano, chiedevano e toccavano meravigliate. E allora, dagli a spiegare, a redarguire, a raccontare, a minacciare, a convincere. Qualcuno di loro, mi disse che potevo fare benissimo il prete o il politico – non so se fosse proprio un complimento – qualche altro mi raccontò la storia del primo volovelista, pure straniero, che era atterrato in quella zona con uno stranissimo aggeggio di legno – probabilmente in occasione di qualche gara di distanza libera – circa venticinque anni prima e che a loro era sembrato un marziano biondo. Ecco: venticinque anni dopo, avevamo gli “uccelli” di plastica, eravamo i “biondi del nord Italia” ma eravamo sempre marziani. I tempi erano maturi e così, quando la “base” ci autorizzò a fare dei voli turistici – erano pure piuttosto salati – più di qualche “pazzo furioso” volle provare il “suicidio”di volare in aliante: ne facemmo diversi. Mi ricordo che volò addirittura un’intera famiglia composta da padre, madre, figlia, fidanzato della figlia, amica della figlia, fidanzato dell’amica della figlia e così via dicendo. Naturalmente questo successe, perché loro non erano indigeni ma “nordici” – sì, di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli – … e furono così folgorati dal “morbo” del Volo a Vela che poi vennero a trovarci molto spesso. Erano così affabili e disponibili nei nostri confronti che con loro passammo diverse piacevolissime serate. Probabilmente furono le persone più interessate alla novità che avevamo portato, oppure abitavano così vicino all’aeroporto – il circuito si faceva sopra casa loro – che il “morbo” … dagli oggi, dagli domani … e poi, noi eravamo dei bravi “untori”. Comunque, oltre a loro, anche altre persone. Mi ricordo molto bene l’interesse morboso del vigile tuttofare di Sarconi, dei baristi – moglie e marito – del bar dove spesso facevamo tappa per il mezzo litro di … acqua minerale della colazione, e tanti altri. In ogni caso, quelli che si divertirono di più, furono sicuramente certi ragazzini che erano venuti in aeroporto tutti timorosi, un giorno che ci saranno stati … trenta nodi di vento, ma teso in asse con la pista. Era ancora presto e gli alianti erano rimasti legati al parcheggio per precauzione. Allora per farli contenti, mi ricordo, che slegai un biposto, lo misi controvento e li feci salire a due a due. Così, per gioco, dissi loro di mantenere il più possibile le ali livellate. Non vi dico: si fece la fila!

– E chi vinse?

– Mi pare una femminuccia.

– Visto? Noi siamo le più brave!

– E ti pareva?

– Comunque vennero in visita anche altri bambini, quelli contaminati dalle radiazioni nucleari del disastro di Chernobyl – sicuramente la banca dati storica ne parla – Qualche pilota un po’ troppo goliardico, mise in giro una pessima battuta: “gli alianti che hanno toccato, di notte sono fluorescenti”, ma la verità era, che per la prima volta, ci eravamo veramente resi utili agli altri.

– Ma a parte questo, lo stage di Grumento, è servito a qualcosa?

– Beh, sicuramente. Calcola che noi, come stage, avevamo un massimo di una dozzina di piloti a settimana con un minimo di quattro – eh sì, una settimana fummo colpiti dal “terrorismo psicologico” e ci furono solo quattro piloti per quattro istruttori -. Una media, tranne la prima settimana di una dozzina di alianti volanti tutti i giorni, e circa quarantacinque giorni pienamente volativi – praticamente tutti quelli in cui c’ero stato io: oh, quando arrivavo io, arrivava il sole -. Insomma, portammo a casa circa millecinquecento ore di volo, se non ricordo male, intorno ai mille e duecento movimenti sull’aviosuperficie – con grande gioia del gestore- e una ventina di prove valide per le insegne – soprattutto guadagni di quota -.

– Un bel caos, no?

– Eh sì. Oh, quando vi dico che eravamo operativi, significa che eravamo veramente OPERATIVI !!


segue:  IV parte

MISSIONE GRUMENTO: terribilmente operativi!!



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