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Missione Grumento: operativi!! – IV parte


– Ah, nonno, dimenticavo!

– Che cosa?

– Con il fatto che ti sei messo a raccontare le avventure di Grumento, mi sono scordato di stasera: la videoteca multimediale ci manda uno di quei vecchi film che a te piacciono tanto.

– Ah, davvero?

– Sì. Mi pare che s’intitoli … ah, sì: “IL NIDO DELLE AQUILE”.

– Con Rock Hudson?

– Credo di sì, non lo so, non mi ricordo.

– Veramente?

– Sì, certo.

– Non è possibile!

– Certo ch’è possibile, l’ho chiesto io all’archivio storico multimediale!

– No, ti credo, ma è per il film: non pensavo che ce fossero ancora delle copie in circolazione.

– Ma perché? E’ una vecchia pellicola, ma è stata restaurata e …

– Ma la sai la storia di quel film?

– Beh … sì, ho letto la scheda tematica.

– E lo sai che quel film lo vidi proprio a Grumento?

– No, e allora?

– E allora, questa te la devo raccontare.

– Dai nonno, raccontala anche a me!

– Va bene.

Mi sembra di avervi già detto che io, Konstantino, e tutti i piloti dello stage andavamo a cena verso le nove-nove e mezza e finivamo, dopo mostruose abbuffate, alle undici-undici e mezza?

– Sì, sì, ce l’aveva già raccontato … e allora?

– Beh, quella sera, no. Quella sera particolare, forse perché eravamo sfiniti – spesso ci sparavamo la bomba per tenerci un po’ su – volevamo guadagnare una mezz’oretta di sonno.

– Cos’è ‘sta “bomba”?

– Niente droghe o allucinogeni! No, era solo un gran pillolone al sapore di arancio, un concentrato di vitamine A, B, C, D … insomma tutto l’alfabeto, fino alla Z.

– Va beh, su, non divaghiamo!

– E chi divaga? Allora “ci ritirammo nelle nostre stanze” ed io, pur di guadagnare al più presto il letto, m’infilai di corsa nel bagno per fare toeletta. Già barcollavo verso il sospirato letto quando vidi Konstantino che, per arrivare sveglio al suo turno, s’era acceso la televisione – allora non c’erano ancora gli schermi paretali multimediali -. Ora sullo sfondo, c’era una serie di aeroplani in volo ed in primo piano, a caratteri cubitali, i titoli di testa: “IL NIDO DELLE AQUILE”.

– Ecc’a ‘lla!

– A quel punto tutta la stanchezza era passata – erano le dieci e mezza – e che vuoi … facemmo l’una.

– Ma era … cioè, è cosi bello ‘sto film?

– Eh sì. La storia … tanto tu la sai già, ma lei no … la storia era quella di uno Stormo di bombardamento americano. Allora avevano ancora i B-52, quei vecchi aeroplani lunghi, con la deriva altissima, e con otto motori, accoppiati a due a due sotto le ali. La storia, dicevo, è di questo reparto che viene sottoposto ad ispezione senza nessun preavviso da parte del super cattivissimo “Generale KIRBY”.

– E allora?

– Allora, lo Stormo non è che fosse granché efficiente, per cui il terribile Generale Kirby, fece tagliare la testa al Comandante, quale diretto responsabile.

– Così , in pubblico?

– Ma che hai capito? Non gli fece tagliare veramente la testa, era un modo di dire: lo fece trasferire ad un altro reparto perché non era degno di comandarne quello.

– Ah, ecco!

– Al suo posto, fu nominato un’altro giovane ufficiale, Rock Hudson appunto, il quale prese subito a cuore la sua missione tanto da prendere decisioni anche pesanti: mandò in pensione il suo migliore amico ch’era diventato mezzo alcoolizzato, oppure riorganizzò il servizio manutenzione distruggendo l’aureola di magia dei meccanici anziani. Così facendo, aveva perduto anche l’amore e il rispetto della moglie che lo accusava di aver provocato il tentato suicidio del suo caro amico, di trascurarla troppo – magari per qualche altra donna – e di trovarsi continuamente tra i piedi un telefono rosso perché lui, doveva essere continuamente reperibile.

– E allora?

– Rock Hudson aveva fatto le scelte giuste: il reparto era diventato finalmente “operativo” ed era pronto a qualsiasi nuova ispezione, che poteva avvenire da un momento all’altro.

– E allora?

– Allora, allora. L’ispezione venne … ma proprio nel momento in cui meno se l’aspettavano. Arrivò di nuovo e senza nessun preavviso il viscido Generale Kirby, ma stavolta lo Stormo era più che operativo e Rock Hudson, felicemente superata l’ispezione, rimase al suo comando, recuperando tra l’altro anche l’affetto della moglie.

– Bel film ma … veramente non ho capito cosa c’entra con lo stage di Grumento.

– Ora te lo spiego.

La mattina dopo – immagina che occhi gonfi e quanto potevamo essere riposati – io e Konstantino, andammo come al solito in aeroporto per un’altra “giornata di lotta”: beh … non ti arriva il Generale KIRBY!!

– Quello del film?

– Non proprio lui, ma uno, anzi no, due, che facevano come il Generale Kirby! Ora, non è che arrivarono e ci dissero: “Salve, siamo i Generali Kirby”, ma la sostanza era quella o comunque io e Konstantino, la vedevamo così.

– E arrivarono all’improvviso e vi misero sotto ispezione come nel film?

– E già! Mi ricordo che arrivarono di pomeriggio da Rieti, in volo, con due alianti. Konstantino era a 100 chilometri dall’aeroporto a fare i “soliti” voli sullo Ionio o sul Golfo di Policastro, non ricordo di preciso, mentre io, guarda caso, proprio quel giorno, ero partito con l’automobile e il carrello per recuperare un biposto fuori campo, ad una cinquantina di chilometri da Grumento.

– Veramente?

– Sì. Ed era pure abbastanza presto: a terra c’erano rimasti solo i trainatori che però bivaccavano in qualche angolo dell’aeroporto!

– E come l’avete saputo che arrivavano?

– Li sentimmo chiedere istruzioni per l’atterraggio – io avevo la radio in macchina – e poi chiedere se qualcuno li poteva recuperare. Che figuraccia!

– Tagliarono la testa a tutti e due, a te e a Konstantino?

– No, comunque, avrei avuto già pronta la valigia per andare in esilio a Lampedusa. Figurati che per sbaglio, avevo dato del “Maresciallo” ad un Generale pluridecorato in pensione che era venuto a farci visita.

– E invece?

– Andò tutto bene: non ci furono epurazioni immediate, almeno.

– E poi, se ne tornarono in volo a Rieti?

– Sì, il giorno dopo.

– Cioè, vuoi dire che venivano e tornavano da Rieti fino a Grumento e viceversa?

– Sì, certo. E non solo loro!

– Come: “non solo loro?”

– Sì, vennero anche altri piloti, con altri alianti. Mi ricordo che, dopo gli Europei, ci venne a trovare il socio di Konstantino. Avevano insieme un vecchio ASW-20 molto ben tenuto: beh, all’andata venne con il carrello ma al ritorno … seicento chilometri di volo!

– Accidenti !

– Poi, un altro pilota, un socio romano, fece un volo con punto di virata un paese poco lontano da Grumento. La giornata però non era eccezionale e fu costretto a mettere in moto per rientrare a Rieti. Comunque pure lui, fece più di cinquecento chilometri, andata, e mezzo ritorno.

– Durante le gare poi, siccome noi eravamo l’avanposto più a Sud in assoluto, ci chiedevano la meteo, oppure Konstantino, via radio, quand’era in volo, chiedeva le classifiche aggiornate. Dopo poco, quelli in gara però, c’urlavano scocciati: “Fatela un po’ finita, voi di Grumento!”. In ogni caso, l’evento che fece più colpo, fu l’atterraggio del neo Campione italiano classe Libera che, reduce dalla gara, era venuto a realizzare il suo grande sogno: volare no-stop fino alla Sicilia, naturalmente partendo da Rieti. Purtroppo fu costretto a fermarsi a Grumento, ma dopo aver fatto una bella puntata molto più a sud.

– Perché hai detto l’atterraggio?

– Perché aveva un aliante da ventisette metri ultimo grido – pochi di noi l’avevano visto prima dall’ora -. Ci chiese ancora alto, se poteva fare un passaggio basso: “Fanne due” gli rispondemmo. Se non sbaglio, era di sabato o di domenica, comunque c’era la solita rissa di gente al parcheggio, vicino agli alianti e ai traini o in attesa del volo turistico. Nessuno di noi s’era ricordato che ne portasse così tanta, fatto sta, fece il passaggio scaricando acqua da tutte le parti: ala, fusoliera, coda. L’aliante era tutto una scia e la gente, e pure noi, rimanemmo tutti a bocca aperta! Fu uno spettacolo unico, specialmente a quella latitudine dove pure un passaggio a bassa quota e a tutta birra, era qualcosa di fantascientifico.

– Insomma, qualcosa è rimasto del vostro passaggio lì a Grumento?

– Credo di sì. Ormai ci conoscevano tutti.

Quando andavo alla Posta di Sarconi per comprare i francobolli delle cartoline, l’impiegato – oh, mai visto e conosciuto – mi diceva: “Oggi volate, sì?” Oppure i ferramenta. Ci andavo praticamente quasi tutti i giorni per comprare quello che mi occorreva – praticamente tutto, dalle chiavi al tagliabalza – e non mi chiedevano più: “Lavori ai pozzi petroliferi?” Eh sì, a Grumento c’era pure il petrolio. Quando andavo alla ricerca di pasta abrasiva o di guaina termorestringente, non mi rispondevano più furbetti: “Non la fanno più!”, ma dicevano cortesi e accomodanti: “Ci dispiace, ma non trattiamo articoli aeronautici!” Ormai anche i Carabinieri ci conoscevano. Sapevano che in aeroporto avevamo il radar – era solo la parabola del meteosat – o che c’erano i mo’/no!/posto – invece che monoposto -. Qualche stegista era stato pure schedato perché con una Porche se ne andava in albergo a velocità brillante – diceva lui – senza patente, carta di circolazione ed assicurazione. Gli “appiopparono” solo una multa di cinquantamila lire e la promessa che avrebbe fornito al Maresciallo, un computer a un prezzo stracciato. Un altro pilota – una signora – fu pescata in flagrante a fare non so cosa: il fascino femminile e la disponibilità a offrire un volo turistico – a gratis – non poterono nulla, e così, si prese pure lei una multa … per cinture di sicurezza non indossate: “Ci dispiace, ma dobbiamo rientrare in caserma almeno con dieci multe, e lei oggi, è solo la prima”, le avevano risposto sconsolati. La gente poi, non rimaneva più imbarazzata a guardarci quando passavamo con i carrelli stradali o quando vedevano girare gli alianti sopra le loro teste. I ragazzini avevano scoperto un gioco nuovo, gli adulti un nuovo posto dove portare i loro bimbetti dicendo: “Lo vedi, a papà, l’aeroplano che va col vento?” Forse qualche piccolo beneficio lo trassero anche i ristoratori e gli albergatori della zona, i benzinai, i meccanici – il pilota della Porsche era riuscito quasi a fondere il motore del suo fuoristrada nuovo -. Probabilmente facemmo prendere un brutto spavento al pecoraio che s’era visto “atterrare” una strana cosa lì, sul campo arato a mille metri, vicino alle sue amate pecore. Qualcuno si sarà roso il cervello per capire cosa fosse mai quella roba bianca – un pezzo di semi-ala – lì, nel bel mezzo del bosco, alla sommità della montagna. Qualcun’altro si sarà pure arrabbiato vedendo un po’ di erbetta pseudo-medica calpestata, a due passi dal frutteto – peccato che le pesche fossero già sfatte altrimenti sarebbe stato un fuori campo saporito – . Una cosa è certa: quando partimmo, il “morbo” del Volo a Vela aveva ben attecchito e c’erano già parecchie persone che mostravano in modo inequivocabile i primi “bubboni” perché ci chiedevano: “Ma non la fate la scuola?”, oppure: “Dove possiamo fare il brevetto?”, “Tornate ancora il prossimo anno? Sa vorrei far provare un volo anche a mio figlio”. Non era più nella pelle, invece, quel satanasso del gestore dell’aviosuperficie che s’era messo a proclamare: “Laggiù l’hangar di mille metri quadri, lì le colonnine dell’acqua, in fondo il parcheggio per i mezzi antincendio, l’ambulanza, l’officina mobile e le jeep per i recuperi fuori campo. Saremo il CENTRO NAZIONALE MERIDIONALE!!”.

– E poi cosa se ne fece?

– Mah … di mezzi antincendio ne avevano già tre più altri due in arrivo, l’ambulanza c’era già anche quella e l’hangar da mille metri quadri l’avevano appaltato. Un traino, anche se da rimettere in ordine, l’avevano pure quello, quanto ai piloti … ci avrebbe pensato il “morbo” che noi, avevamo diffuso.

– Insomma, in conclusione: ne valse la pena?

– Io direi di sì. Grumento non portò fondamentali novità nel mondo del Volo a Vela italiano di allora, insomma non scoprimmo il veleggiamento con il vento solare, ma sicuramente fu l’occasione per confermare, ad esempio, che al Sud, la giornata parte effettivamente prima ma che era poco sfruttabile se poi la cosa si limitava solo a quella valle. Dopo gli entusiasmanti voli fatti da Konstantino lungo la costa ionica, adriatica e tirrenica, sicuramente si diede un notevole impulso allo studio del veleggiamento in mare con presenza di cumuli sottocosta, volo che prima d’allora non è che fosse ritenuto poi tanto possibile. Altra cosa che rimase nella storia, fu lo “stage d’alta quota”, cioè tutto uno stage in blocco, con piloti neanche particolarmente esperti, tutti in volo sopra i cinquemila metri. E poi si stabilì il record di quota del Sud con ottomila e spiccioli, con aggancio sul campo a quattrocento metri senza la benché minima turbolenza o presenza di rotori.

– E a te, nonno, cos’è rimasto?

– Uno splendido ricordo di una splendida esperienza, anche se molto singolare.

– Il rientro a Rieti fu rocambolesco come all’andata?

– No, al contrario. Tranquillissimo: io a Grumento, smontavo in serie alianti e i miei colleghi anziani, a Rieti, in serie li rimontavano. E stavolta arrivarono tutti sani e salvi. Ora che ci penso … no, perché una delle automobili ebbe dei problemi meccanici e dovette rimanere ferma per due giorni, sicché io non fui quello che, come si suol dire, “chiuse il cancello”. Comunque a quel punto, non vedevo l’ora di andarmene.

– Non ne potevi più, vero?

– Sì, non ne potevo più. Ma di vedere l’aeroporto spoglio, senza più un aeroplano o un aliante parcheggiato, nessun vociare di piloti, nessun visitatore d’ammorbare. Fortuna che almeno a Rieti, lo stage intanto, era ripreso. Io partii con un carrello e la solita automobile “rimediata” per sostituire quella in panne. Ero compagno di viaggio di uno dei trainatori, pure lui con un rimorchio al traino. Mi sembrò strano che il viaggio fosse filato tutto liscio, a parte la solita carta magnetica che non voleva proprio saperne di pagare il carburante, ma mi sentii più sollevato quando, arrivati a Rieti verso le due e mezza del mattino, andai nel mio alloggio e lo trovai allagato.

– Allagato?

– Sì. Era l’acqua che tracimava a “gocce cinesi” dalla doccia: m’ero dimenticato di chiudere forte il rubinetto.

– Non dirmi che anche quella volta ti facesti la doccia, dopo aver asciugato il lago, e il giorno dopo, alle otto, andasti a lavorare?

– Ebbene … sì, anche quella volta. Lo stage continuava, uno dei colleghi andava in ferie, e finalmente anch’io la settimana successiva, Konstantino era sempre quello, i piloti erano sempre i soliti “cannibali”, ma la magia era finita: non eravamo più operativi.

– E dimmi un’ultima cosa, nonno … le hai più riviste tutte queste persone?

– Sì, che fine hanno fatto, nonno?

– Beh, Konstantino diventò il boss degli stage e negli anni successivi, ne diresse degli altri, i trainatori coronarono il loro sogno di diventare Comandanti nella compagnia di bandiera di allora. Io, invece, rischiai il licenziamento perché mi venne la malsana idea di far pubblicare nella rivista dei volovelisti, una specie di resoconto dell’esperienza di Grumento.

– E ti licenziarono davvero?

– No, per fortuna. Furono solo bonarie minacce ed anzi, proprio grazie a Grumento, diventai meno garzone e più maniscalco ma sempre “terricolo”…

– E gli altri?

– Sì, gli altri?

– Ve lo racconterò un’altra volta, eh?


MISSIONE GRUMENTO: fino alla fine operativi!!



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Missione Grumento: operativi!! – III parte –


– Ehi nonno!

– Sì?

– Non ci crederai mai!

– A cosa?

– A questo! Per caso ti ricorda qualcosa?

– E come se me lo ricorda! E’ il poster che pubblicizzava proprio lo stage a Grumento, quello del ‘94. Ma dove l’hai trovato?

– Mah, mentre raccontavi le avventure di Grumento, veramente io … ho dato un’occhiata alle carte.

– Ma guarda che maleducato! … comunque bravo: non sapevo di averlo ancora.

– E invece hai visto che l’ho ritrovato. Comunque scusami: non lo faccio più.

– Va beh …, stavolta ti perdono.

– Nonno, toglimi una curiosità!

– Avanti, sentiamo.

– Questo nel poster, è Grumento, vero?

– No … non credo: l’aliante non ha le marche e … poi non mi sembra che quel modello l’abbiamo mai avuto. Comunque i piloti – un uomo ed una donna, si vede bene – sono un po’ troppo vestiti per essere in volo sopra a Grumento: sembrano da “settimana bianca”.

– Ma perché faceva veramente così caldo?

– Eh sì, purtroppo. Oddio … non come a Rieti, a Roma o al mare, ma faceva piuttosto caldo. La bellezza però, era che la sera, rinfrescava veramente e la notte si poteva dormire … capirai dopo quelle giornate “campali”!

– Perché a che ora finivate e a che ora iniziavate?

– Mah … la sveglia per noi, dico noi perché io e Kostantino dividevamo la stessa camera, era alle sette, colazione alle sette e trenta e partenza per l’aeroporto alle otto. Con le nostre scorciatoie, in un quarto d’ora eravamo in aeroporto, e alle otto e mezza, tutti operativi: arrivavano i “cannibali”!

– Che significa “cannibali”?

– Ma niente! Era un nomignolo così … per i piloti. Allora i cann … i piloti, asciugavano gli alianti – oh, erano sempre zuppi di condensa – facevano il briefing, mangiavano un panino e andavano in volo verso le undici-mezzogiorno. A volte anche l’una.

– Partivano presto, no?

– Beh, insomma. Se avessero voluto, sarebbero potuti partire anche prima, ma sai … abituati al ritmo “blando” dello stage fatto a Rieti! Comunque sì, si poteva decollare anche alle dieci e a volte anche prima, perché l’aggancio c’era, solo che poi rimanevi lì, e comunque per lo stage la giornata era così lunga … In ogni caso, salvo qualche “bucaiolo”, all’una e mezza erano tutti in volo. Poi, verso le cinque-cinque e mezza incominciavano i rientri, fino alle sette e mezza-otto. Per le otto e mezza, gli alianti erano tutti picchettati e la roba – batterie, paracadute e altri “impicci” – tutto sistemato. Alle otto e tre quarti, le nove al massimo, eravamo in albergo. Avevamo il tempo di farci una doccetta “plutonica” – chi aspettava il turno “stramazzava” sul letto solo a sfiorarlo – e poi, tutti a mangiare: certe abbuffate! E lì fino alle undici-undici e mezza. Ormai “stracotti” di sonno, tutti a dormire fino al giorno dopo. E via, si ricominciava di nuovo.

– Facevate quella che, si dice una vita tranquilla.

– Eh sì, certo.

– E la sera, dopocena?

– Curioso, eh? Beh, a volte, la sera, dopocena … s’usciva. Io e Kostantino eravamo “operativi” ma gli altri, erano in vacanza.

– Va bene, ma che facevate?

– Mah, niente di speciale.

Una sera, ad esempio, s’era sparsa la voce che c’erano tre ragazze in costume che lottavano nel fango, e allora andammo nella discoteca all’aperto per vedere di che si trattava …

– Voi, eravate sempre operativi, no?

– Appunto. Fu un “bidone” micidiale perché di ragazze neanche l’ombra e neanche del fango! Anzi no, da quella volta incominciai a sentire puzza di fango tutte le volte che i trainatori ci dicevano d’andare con loro.

– Cosa c’entrano adesso i trainatori?

– C’entrano, c’entrano: erano loro che “beccavano”: oh, da che è mondo e mondo , il “fascino del pilota” colpisce sempre. Io ero un misero “terricolo”, che potevo sperare? Un’altra sera, mi ricordo, andammo alla “Festa del fagiolo” a Sarconi – Sarconi era la capitale italiana del fagiolo – e fu altro fango perché quando arrivammo, il piatto forte, il gelato al fagiolo, era finito da un bel pezzo. Un’altra sera ancora, andammo alla “Festa della birra” in un altro paesetto vicino: in tutta verità … noi pensavamo d’incontrare chissà quali bionde … beh, ce ne tornammo in albergo contenti di aver visto almeno quelle nel bicchiere, di bionde.

– Ma perché la gente com’era?

– Dici le donne, no?

– Ehm … veramente sì.

– Ma che maiale!

– Ci sei andata vicina: altro fango! Tu, devi tener presente che i vecchi bagnini di Rimini, quelli che una volta sorvegliavano i bagnanti …

– Sì, sì, ho ,capito. Continua!

– Beh, i bagnini di Rimini, belli, muscolosi e affascinanti facevano una particolare gara tra loro. Avevano stabilito una scala di valori. In base a ‘sta scala le donne più abbordabili – allora era così, ora non so – erano le inglesi: due punti in meno!

– Come? Non ho capito.

– Sì, chi abbordava e riusciva a sedurre una donna inglese, perdeva due punti – era così facile! quasi ti cercavano loro – . Chi ce la faceva con una tedesca: mezzo punto – ce n’erano così tante!-. Le spagnole: un punto; le milanesi : un punto e mezzo, e così via. Naturalmente vinceva chi, aveva più punti alla fine della stagione balneare.

– Ma che c’entra con le lucane ?

– Le lucane? Oh, n-o-v-e p-u-n-t-i!! Il massimo. Praticamente inavvicinabili! Un po’, perché cinturate dai mariti se sposate, dai fidanzati se fidanzate, dai genitori se non fidanzate, un po’ perché era difficile che andassero in vacanza fuori dalla loro bellissima regione, insomma era praticamente impossibile adescarle! Mi ricordo che una volta … ancora rido se ci penso … venne in aeroporto una ragazza decisamente graziosa, considerata soprattutto la “fauna” locale. Naturalmente, in compagnia del fidanzato. Naturalmente, io, che ero l’addetto alle pubbliche relazioni – mi ero promosso da solo: visto che nessuno le faceva -, incominciai a “ciceronare”. Saranno stati gli alianti lucenti, il fascino del volo, la bellezza del cielo, il gusto del pilotaggio, beh … s’incuriosì così tanto lei, la ragazza, che – incredibile ma vero – il giorno dopo, tornò in aeroporto praticamente da sola, salvo i due fratelli minori. Allora creai una piccola azione diversiva per i piccoli – li feci salire su un aliante a “smanettare” un po’ – e cominciai a “riciceronare” con lei. Ma sul più bello, non mi ricordo cosa successe in pista o al parcheggio … fui costretto ad abbandonarla. Alle grinfie dei piloti! Ce n’era uno, un istruttore simpaticissimo, che – penso io, eh?! – aveva raggiunto la “pace dei sensi” ma non la “pace della gola”, così le chiese subito a bruciapelo quale fosse lì a Sarconi, il locale dove si mangiasse meglio e – che te lo dico a fare? – si spendesse meno. “Il Fagiolo”, rispose lei, compita. Beh, non ci crederete, ma da quel momento, lei divenne “La Fagiola” ed io, quello che me la facevo con “La Fagiola”.

– Perché, l’hai più rivista?

– Macché! Mica ero un bagnino di Rimini, io!

– No, ma eri “operativo”.

– Sì, forse troppo “operativo”. Così operativo che non potevo far altro che lavorare, lavorare e ancora lavorare.

– Senti nonno, non me la racconti giusta: cosa avrai dovuto mai fare in aeroporto?

– Io? Niente. Facevo finta, di fare qualcosa.

– Facevo finta di fare la manutenzione di tredici alianti e due traini, facevo finta di dare assistenza in linea di volo, facevo finta di fare i recuperi fuori campo, facevo finta di tenere i contatti con i visitatori. Facevo pure finta di stare addirittura lì a Grumento, sotto il sole, da mattina fino a sera, e lo facevo così bene che, tornato a Rieti, qualcuno mi disse con l’aria furbetta – di chi la sa lunga -: “Sei stato al mare, eh?”. “Sì”, rispondevo, “All’Isola d’ Elba. Al confino”.

– Scusa nonno, ma non ho capito la faccenda delle pubbliche relazioni.

– Veramente neanch’io: spiegacela meglio.

– Il poster che hai trovato pubblicizzava l’iniziativa che sì, era nostra, ma anche della Comunità Montana dell’Alto Agri e, soprattutto di quel “satanasso” del gestore dell’aviosuperficie, mi sembra che si chiamasse Bolletta, no … Cavetta, no no, … Cunetta, sì, ecco: dottor Cunetta. Era un tipo davvero molto “pittoresco” che con l’aiuto di altre persone influenti, era riuscito a creare piano piano, quel popò di roba. Senza però coinvolgere gli “indigeni”, che non praticavano l’aeroporto, anche perché, mi ricordo, quei pochi che osavano venire, li tormentava dicendo loro: “V i s i t a t o r i ! N o n s i f u m a !” oppure: “V i s i t a t o r i ! L o n t a n o d a l l a p i s t a!” Quando arrivammo noi, non so come non gli venne un infarto fulminante.

– Perché?

– Con tutti i cartelloni pubblicitari, la confusione dei traini, e gli alianti che giravano continuamente nella zona, una cosa era certa: non passavamo inosservati. E allora, lentamente, incominciarono ad arrivare i primi curiosi: “Ma come fa’ a volare ‘sto coso?”, poi gli scettici: “Ma se guida l’aliante?”, ed infine i catastrofici: “E se ci manca l’aria?” Insomma, alla fine, specialmente il sabato e la domenica, c’erano frotte di persone che venivano, guardavano, chiedevano e toccavano meravigliate. E allora, dagli a spiegare, a redarguire, a raccontare, a minacciare, a convincere. Qualcuno di loro, mi disse che potevo fare benissimo il prete o il politico – non so se fosse proprio un complimento – qualche altro mi raccontò la storia del primo volovelista, pure straniero, che era atterrato in quella zona con uno stranissimo aggeggio di legno – probabilmente in occasione di qualche gara di distanza libera – circa venticinque anni prima e che a loro era sembrato un marziano biondo. Ecco: venticinque anni dopo, avevamo gli “uccelli” di plastica, eravamo i “biondi del nord Italia” ma eravamo sempre marziani. I tempi erano maturi e così, quando la “base” ci autorizzò a fare dei voli turistici – erano pure piuttosto salati – più di qualche “pazzo furioso” volle provare il “suicidio”di volare in aliante: ne facemmo diversi. Mi ricordo che volò addirittura un’intera famiglia composta da padre, madre, figlia, fidanzato della figlia, amica della figlia, fidanzato dell’amica della figlia e così via dicendo. Naturalmente questo successe, perché loro non erano indigeni ma “nordici” – sì, di Castellammare di Stabia, in provincia di Napoli – … e furono così folgorati dal “morbo” del Volo a Vela che poi vennero a trovarci molto spesso. Erano così affabili e disponibili nei nostri confronti che con loro passammo diverse piacevolissime serate. Probabilmente furono le persone più interessate alla novità che avevamo portato, oppure abitavano così vicino all’aeroporto – il circuito si faceva sopra casa loro – che il “morbo” … dagli oggi, dagli domani … e poi, noi eravamo dei bravi “untori”. Comunque, oltre a loro, anche altre persone. Mi ricordo molto bene l’interesse morboso del vigile tuttofare di Sarconi, dei baristi – moglie e marito – del bar dove spesso facevamo tappa per il mezzo litro di … acqua minerale della colazione, e tanti altri. In ogni caso, quelli che si divertirono di più, furono sicuramente certi ragazzini che erano venuti in aeroporto tutti timorosi, un giorno che ci saranno stati … trenta nodi di vento, ma teso in asse con la pista. Era ancora presto e gli alianti erano rimasti legati al parcheggio per precauzione. Allora per farli contenti, mi ricordo, che slegai un biposto, lo misi controvento e li feci salire a due a due. Così, per gioco, dissi loro di mantenere il più possibile le ali livellate. Non vi dico: si fece la fila!

– E chi vinse?

– Mi pare una femminuccia.

– Visto? Noi siamo le più brave!

– E ti pareva?

– Comunque vennero in visita anche altri bambini, quelli contaminati dalle radiazioni nucleari del disastro di Chernobyl – sicuramente la banca dati storica ne parla – Qualche pilota un po’ troppo goliardico, mise in giro una pessima battuta: “gli alianti che hanno toccato, di notte sono fluorescenti”, ma la verità era, che per la prima volta, ci eravamo veramente resi utili agli altri.

– Ma a parte questo, lo stage di Grumento, è servito a qualcosa?

– Beh, sicuramente. Calcola che noi, come stage, avevamo un massimo di una dozzina di piloti a settimana con un minimo di quattro – eh sì, una settimana fummo colpiti dal “terrorismo psicologico” e ci furono solo quattro piloti per quattro istruttori -. Una media, tranne la prima settimana di una dozzina di alianti volanti tutti i giorni, e circa quarantacinque giorni pienamente volativi – praticamente tutti quelli in cui c’ero stato io: oh, quando arrivavo io, arrivava il sole -. Insomma, portammo a casa circa millecinquecento ore di volo, se non ricordo male, intorno ai mille e duecento movimenti sull’aviosuperficie – con grande gioia del gestore- e una ventina di prove valide per le insegne – soprattutto guadagni di quota -.

– Un bel caos, no?

– Eh sì. Oh, quando vi dico che eravamo operativi, significa che eravamo veramente OPERATIVI !!


segue:  IV parte

MISSIONE GRUMENTO: terribilmente operativi!!



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Missione Grumento: operativi!! – II parte


– Ehi nonno, c’hai raccontato di tutto: dell’aliante nel bosco, dei traslochi degli alianti, del recupero notturno in autostrada … ma non ci hai ancora parlato di quello che che ti è capitato durante lo stage a Grumento del ‘94, perché qualche altra cosa ti deve essere capitata, non è vero?

– Già, cos’altro ti capitò, eh nonno?

– Ragazzi ma dico! M’avete preso forse per uno jellato o un mena gramo? E poi che curiosi impertinenti! Credete che io sia una di quelle ignobili banche dati che usate voi giovani?

– Tu nonno? Non potresti mai esserlo.

– E’ vero nonno. Tu sei unico, per il modo colorito con cui ci racconti le tue storie.

– Non ti permettere sai! Le mie non sono “storie” come dici tu, sono fatti realmente accaduti, tanto tempo fa, – è vero -, ma non sono inventati.

– Ma dai nonno, non dicevamo per offenderti. E’ che le tue st… fatti, appunto, sono così … “avventurosi” che quasi non ci si può credere. E poi scusa, ma a che cosa servirebbero i nonni?

– Giusto! Se non ci fossero i nonni come farebbero i loro nipoti ad evitare i pericoli, a non ripetere gli stessi errori, a capire il perché di certe situazioni attuali, a …

– Basta, basta, vi perdono! Siete due furfanti perché sapete che ho un debole per voi! La verità è che non posso ricordarmi proprio tutto … così, tutt’assieme, guardando una vecchia fotografia scattata cinquant’anni fa.

– Hai ragione. Noi però ti possiamo aiutare: ad esempio com’è stato il tuo viaggio a Grumento? Com’era il posto? E l’aeroporto? E il clima? I voli? La gente?

– Non dirmi che la sera “andavate a letto alle otto con il brodino”? O che non avete conosciuto neanche qualche graziosa “gentildonna”!?

– Ohe, basta! Ma cos’è? Un terzo grado?

– Ma no, è solo per farti ricordare …

– Grazie, ma rammento tutto! E poi avevo un alibi di ferro!

– Su nonno, lascia stare gli scherzi e raccontaci davvero di quell’estate del ‘94.

– Quell’estate faceva stramaledettamente caldo nella Rieti’s Valley: i tubi di caucciù si scaldavano al sole come serpenti a sonagli. Potevi cuocerti le uova al bacon sul tetto dell’Headquarter mentre i cavalli volanti, schiumavano, allineati in pista. Anche i due maniscalchi, Little Angel e Mancino Chief, si scolavano il sudore come fosse whisky il sabato sera, mentre il loro garzone, Big Mark, srotolava la lingua tipo iguana a caccia di ragni. Sotto i sombreri sudati, i piloteros si guardavano con l’occhio iniettato di sangue: erano pronti a sfoderare dai loro cinturoni l’ultimo modello di GPS. L’ombra era assai preziosa: più di una pepita d’oro. Pochi alberi contorti coprivano infuocati coyote di metallo. La pista era una prateria polverosa e la terra sabbiosa ti entrava negli stivali, bruciando la pelle piagata. Allora, con la gola secca, non rimaneva altro che correre al saloon, nell’hangar grande, e spegnere un po’ di fuoco, mettendo il becco in un paio di bottiglie … di mineral water!

– Dai nonno, sii serio, questa sembra la classica trama di quei vecchissimi film ambientati nell’Ovest del continente americano con quell’attore molto pittoresco che si chiamava … ah sì, John Wayne …

– Niente affatto! E’ sempre la pura realtà di quanto accadeva allora: faceva davvero un gran caldo, insopportabile, di giorno e di notte, tanto che negli uffici della Segreteria e della Direzione di Gara, nonostante i condizionatori d’aria – erano le macchine che allora si usavano per rinfrescare gli ambienti – fossero accesi fin dal primo mattino, non si riusciva a mitigare affatto la gran calura. E la storia dei due maniscalchi, è quella dei due specialisti anziani dell’Officina dell’AeroClub Centrale; che poi i piloti si guardassero in cagnesco … specialmente se c’era di mezzo un posto vagamente all’ombra per l’automobile … beh questo non stupisce; ed è anche vero, che fu allestito un bar all’interno di un hangar, o che la pista, solo grazie all’innaffiamento artificiale, non diventò un deserto polveroso senza un filo d’erba.

– Una curiosità nonno: il garzone chi era?

– Ehm …credo proprio che fossi … io!

– Me lo immaginavo, sai.

– Comunque stai ancora divagando: non ci hai ancora raccontato nulla di Grumento!

– D’accordo. Allora vi racconterò tutto dall’inizio. Per cominciare, dal mio viaggio verso Grumento … altrimenti non capireste lo spirito dell’impresa.

– E va bene.

– Basta che cominci …

– Come già mi sembra di avervi detto, io partii in un secondo tempo, esattamente il 30 di Luglio – me lo ricordo bene, anche questo -.

– Perché? Non fu un giorno come un altro?

– No. Oggi, è un giorno come un altro, ma a quei tempi era la fatidica data in cui tutti andavano o tornavano dalle vacanze estive, vale a dire qualcosa come diciotto milioni di automobili in movimento sulle strade ed autostrade d’Italia!

– E a te come andò?

– Ne incontrai nove milioni! Gli altri nove camminavano dalla parte opposta! Insomma un carnaio del quale facevo parte anch’io … purtroppo.

– Ma scusa, non potevi partire un altro giorno?

– No. Era stato deciso che avrei dato il cambio al mio collega anziano allo scadere del mese. Mi avrebbe lasciato le “consegne”, dopodiché lui sarebbe rientrato il giorno dopo con lo stesso mezzo con cui io ero arrivato.

“Se parti presto non incontrerai traffico e comunque avrai l’aria condizionata in automobile” mi risposero, quando avevo sussurrato, le mie perplessità.

– E allora?

– Allora mi organizzai di conseguenza: sarei partito subito dopo aver dato aiuto all’altro collega a preparare i traini e poi mi sarei involato – si fa per dire – per Grumento: partenza da Rieti alle otto e quaranta, al massimo. L’automobile mi era già stata destinata, si chiamava … SERENA, se non ricordo male. Era una di quelle vetture monovolume molto spaziose – oh, sei persone!- e con tutti i confort come il doppio tettino apribile, sedile a tre regolazioni, aria condizionata – come mi avevano detto – e una tappezzeria davvero lussuosa, insomma il nome, era tutto un programma e poi un po’ di serenità era giusto quella che ci voleva per un viaggio del genere. In dotazione mi venne anche data una delle prime rudimentali carte magnetiche per il pagamento del carburante e del pedaggio autostradale: così non sarei andato in giro con fasci di cartamoneta. Ora, c’erano delle strane voci – probabilmente messe in giro dagli autisti che avevano fatto i primi viaggi – secondo le quali più a sud di Napoli si apriva una specie di “spazio siderale senza nessuna forma di vita”: niente carburante, niente telefoni, niente acqua, niente segnaletica stradale, niente assistenza meccanica, solo apparizioni di gente che parlava lingue sconosciute, vagamente terrestri. Erano solo voci … sapevo che allora il Sud era un po’ “ai confini della realtà”, ma fino a quel punto? Beh …. non credetti più di tanto a queste voci, infatti: primo) feci il pieno di benzina, secondo) controllai i livelli, terzo) comprai una cassetta di acqua minerale, quarto) acquistai l’atlante stradale più dettagliato che c’era in commercio e quinto) mi feci prestare un vocabolario rapido italiano-cinque lingue … tanto erano solo voci!

– Accidenti! Così organizzato poteva crollarti addosso il mondo !

– E infatti mi cadde! Al momento di mettere i bagagli nell’automobile mi dissero che ne potevo usare un altra – quella in effetti era spropositata per me, per dimensioni e per consumi – così me ne indicarono una, altrettanto confortevole – tra l’altro ero desideroso di provarla perché se ne parlava un gran bene – ma esattamente la metà di grandezza: non a caso forse, si chiamava MICRA. Mentre controllavo i livelli, ma già ben dopo aver sistemato le mie cose, arrivò una ragazza che mi disse candida: “Grazie, ma vado solo dal fotografo, in città”. Rimasi un po’ perplesso poi pensai : “Vuoi scommettere che alla fine ci vado a piedi a Grumento?”

– Mica ci sarai andato veramente a piedi?

– Fortunatamente no, ma poco ci mancava: mi diedero una terza automobile, o meglio, un fuoristrada, insomma una jeep mascherata da berlina, un bel mezzo – intendiamoci – peccato che in quel momento fosse bisognosa di olio e di carburante – nel serbatoio forse c’erano dei vapori – sicché una volta recuperate le chiavi – oh, naturalmente non si sapeva dove diavolo si fossero cacciate, le chiavi – una volta spostati tutti i bagagli, e una volta copiosamente rifornita dei liquidi necessari, finalmente, verso le dieci, cominciò il mio viaggio verso Grumento.

– Ed il viaggio come andò?

– Piuttosto noioso, considerate le premesse e il seguito. L’unica nota di rilievo fu che la carta magnetica funzionava solo per il pagamento del pedaggio autostradale. La segretaria anziana però, mi aveva “appioppato” con una lungimiranza provvidenziale, un’anticipo di stipendio, e così la cosa si risolse con una sfilza di ricevute da presentarle al rientro alla base … per il rimborso. E poi cos’altro… ah, sì: l’aria condizionata!

– E ti pareva che non c’era dell’altro?!

– No, non c’era !

– Ma che dici nonno? Cos’è che non c’era?

– Ve l’ho appena detto: l’aria condizionata. Andò così: con il passare delle ore, e quindi con l’aumentare della temperatura, il sistema di condizionamento non dava “l’aria” appunto, di funzionare granché. Quando però l’auto si trasformò in una specie di forno viaggiante con relativo “pollo allo spiedo”, incominciai a pensare di non aver ben manovrato i comandi del condizionatore. Già a quei tempi, ero un maniaco dei manuali, così decisi di fermarmi al primo autogrill per “spulciare” il libretto d’istruzioni della vettura. Recitava serafico: “Se il pulsante indicato non risulta azionabile, disponete di un’automobile non climatizzata. Potete però inserire il ricircolo dell’aria”. Accidenti anche ai manuali! Considerato il ritardo che avevo accumulato, mi venne la geniale idea di mangiare qualcosa in macchina e viaggiare durante le ore più calde – quando tutti si sarebbero fermati per il pranzo -. Peccato che “tutti” pensarono la stessa cosa e così ci ritrovammo “tutti” in colonna, sotto il sole cocente dell’una del pomeriggio. Fortunatamente lassù qualcuno ci amava, oppure si mosse a pietà – fate voi – comunque comparvero all’improvviso un po’ di nuvole in un cielo ardente. Ormai ero vicino alla mèta perché ne incontravo le prime tracce nella segnaletica stradale. Consumai un solo succo di frutta “strategico” e un solo pseudo- rifornimento.

– Perché strategico?

– E perché pseudo?

– Era per avere informazioni dalla gente del posto, no?! Beh … “avrà stato un caso”, ma ad un certo punto “mi ritrovai in una selva oscura e pensavo che la diritta via fosse smarrita” quando, da uno squarcio nel bosco, intravidi le sagome degli alianti e dei traini: SALVO!

– Nonno, ma come parli ?

– Parlo come in quel momento: sragionavo!

– E allora? Prosegui.

– Allora mi accolse festante – in tenuta da mare, con la pelle di un bel rosso cardinale – il mio collega.

– Beh, eri arrivato alla mèta, no?

– No, al contrario, ero appena partito perché non potete immaginare cosa mi aspettasse!!

– Che cosa ?

– Sì, che cosa c’era di così terribile?

– Mah… se escludiamo che gli alianti erano picchettati tipo “Mikado”; che il materiale – paracadute, cuscini, batterie, secchi, cavi da traino e pezzi di ricambio -, era ordinatamente sparso a terra nella palazzina; che l’officina era un hangar con dentro un autogiro, tre deltaplani a motore, un vecchio aereo in disuso, una serie di mobili smontati, cumuli di carte, cartine e cartacce, ed un banco da lavoro ingombro di barattoli, barattolini e barattolacci; che il deposito carburante era un vissuto camion-cisterna; che la palazzina uffici era una vetusta casa colonica dove era stata ricavata una pseudo-Segreteria e una pseudo-aula briefing; che l’unico mezzo di comunicazione a lunga distanza era un telefono … pubblico … a gettoni; che il centro abitato più vicino – intendo bar, alimentari, farmacia, posta e fotografo – era a 2 chilometri dall’aeroporto; ecco, se escludiamo tutto questo, beh … non c’era niente di cui preoccuparsi.

– Insomma una specie di missione suicida!

– No, non necessariamente. In realtà questo era solo l’aspetto negativo della faccenda.

– Sei sicuro?

– Certamente.

In effetti, l’aeroporto era assai spazioso – vi ho già detto della pista? Sì – con un enorme parcheggio asfaltato e un altro ancora più grande in erba – anche se d’erba ce n’era ben poca -. Mi ricordo che accanto alla pista in asfalto ce n’era praticamente un’altra di terra, anche se un po’ ruvida. Non mancavano poi, delle vie di fuga sulle testate pista. La palazzina in effetti, era sì, un’ex casa colonica … ma ristrutturata, fresca, anche in pieno solleone, con bagno padronale attrezzato di tutti i comfort di quei tempi. E’ vero che dovevamo dividerlo con gli allievi spazzini della Forestale – tenevano un corso al secondo piano della palazzina – ma non era necessario l’uso del “numeretto” e nessuno se la fece mai veramente addosso. Inoltre l’aula briefing era dotata addirittura di lavagna, televisore e videoregistratore. E’ vero che questa roba non era comparsa tutta assieme – le prime settimane, mi disse il collega, facevano il briefing in piedi, mancando le sedie – ma anche l’ufficio non era così spoglio: c’erano due scrivanie, un frigorifero, una radio-biga, il meteosat a colori e un pannello che forniva in tempo reale direzione del vento, pressione, temperatura e umidità relativa. E’ vero che le sonde erano montate su un enorme palo con torretta … sottovento al bosco e che quindi i dati dovevano essere presi con le molle, ma da quel palo… si facevano certe foto! E anche il telefono a gettoni, in fin dei conti, impediva inutili telefonate con la “madrepatria” del tipo: “Ci pensate? Ma quanto ci pensate? E vi manchiamo? Ma tanto quanto?” E’ vero che più volte rimanemmo isolati o che poi ci era impossibile chiamare perché si era riempita la cassetta delle monete, ma vuoi mettere l’emozione di farti chiamare dal “Comando Operazioni” e sentirti come un soldato al fronte, in trincea, sotto il fuoco nemico … del sole, e i bombardamenti … d’acqua degli alianti? Per quanto riguardava la cisterna, anche quella era stata rimessa a nuovo da poco, e in fin dei conti, funzionava egregiamente – salvo qualche perdita -. E’ vero che alla fine non quadravano i conti, ma cosa volete, il carburante poteva evaporare o gocciolare nei punti più nascosti! La cittadina più vicina – mi pare che si chiamasse Sarconi – era invece vicinissima perché si percorreva una strada praticamente senza neanche un filo di traffico, ed era così concentrata che potevi trovare tutto quello di cui avevi bisogno lì, nel raggio di cento metri. Inoltre avevi a che fare con persone cordiali e disponibili – e parlavano anche italiano, tieh!-. Certo qualcuno cercò di approfittare di tanta clientela forestiera: propinarono – mi disse sempre il collega – molecole di panino o di pizza, a prezzo da lingotto d’oro, oppure magre cene casarecce ad un costo da pasto luculliano! Ma una volta entrati nel “giro” riuscimmo a farci confezionare pure di domenica “mega panini multistrato station-wagon”. E a un prezzo che, allora, era di un caffè. Tornando alla palazzina, c’era una stanza praticamente libera che poteva essere adibita a magazzino e, grazie ad un enorme tavolo, anche a Sala Traffico, per consultare le incontenibili carte aeronautiche o preparare il piano di battaglia dello “Stormo di Veleggiamento”.

– Va beh, ma come vi siete attrezzati?

– Il primo giorno, fatti i controlli, assistita la linea di volo e spediti tutti in volo, incominciai anzitutto ad occuparmi del mio ufficio – si fa per dire -.

– Hai detto ufficio?

– Sì, la stanza che poi diventò la “caverna dello specialista”. Recuperai parte dei mobili che erano nell’hangar e dopo una sommaria pulita, li montai nella stanza che vi dicevo. Naturalmente, sistemai tutto il materiale con un minimo di criterio, compresa una specie di centrale elettrica pensile per la ricarica delle batterie. Una bella spazzata e via, in linea, per i recuperi degli alianti che – saranno state le sei – già rientravano. Per quella sera, continuò l’incastro Mikado, ma il pomeriggio successivo, armato di mazza e di “occhio teodolitico”, sconvolsi il puzzle, e alla fine del pomeriggio, gli alianti giacevano, non più in promiscuità, ma i monoposti con i monoposti allineati in gruppi di tre con uno spazio libero per il passaggio tra le file – e il biposto con il biposto da parte, mentre l’aliante ammiraglio, davanti alla palazzina, chiudeva maestoso lo schieramento con i suoi venti metri d’ala.

– E per il resto?

– Beh … si organizzò spontaneamente un servizio navetta per andare a comprare il pranzo, oppure qualcuno dei piloti partiva alla volta di Sarconi nel ruolo della vivandiera. Poi … stretta qualche fascetta a vite, la cisterna non perdeva più; il vento si misurava all’occorrenza con un anemometro portatile a coppe – avevano perfino quello a Grumento -; il bagno divenne subito più pulito dopo l’azione provocatoria di un pilota – donna – che propose la pulizia del bagno a patto che i suoi colleghi le avessero pulito l’aliante: proposta accettata!!; nell’hangar-officina furono sistemati meglio gli ultraleggeri e fu data una pulita al banco da lavoro.

– Insomma tutto a posto ?

– Non tutto. Dove non lo era ci pensò comunque la generosità, l’abnegazione, il cameratismo e il vero spirito del volovelista, da parte di tutti: noi, addetti ai lavori – istruttori, trainatori e specialista – e soprattutto dei clienti: i piloti. E non dimenticate anche gli “indigeni”. Oh ragazzi, stavolta, nessuno escluso eravamo veramente tutti: OPERATIVI AL MASSIMO !!


segue:  III parte MISSIONE GRUMENTO: seriamente operativi!!


#proprietà letteraria riservata#



Big Mark

Missione Grumento: operativi! – I parte –


– Ehi nonno!

– Sì?

– Ma questo sei tu, vero?

– Fa’ vedere!

– Ma sì, guarda, sei tu, molto giovane ma sei tu.

– E’ già! Hai ragione, sono proprio io.

– E qui c’è anche la data stampata: 2 settembre del ‘94!

– Ma scusa, dov’eri? E chi sono quelle due persone insieme a te, eh nonno?

– Beh, è una storia vecchia. Non ve l’ho mai raccontata?

– No.

– No, mai.

– Veramente me ne rammento solo ora, vedendo questa foto.

– E allora?

– Beh…, se ricordo bene …

– E forza nonno!

– Dunque mi sembra che quei due si chiamassero uno … Lanza, no … Miralanzi o non so cosa …

– Va beh, nonno, lascia stare.

– Ohe! Mica sono arteriosclerotico eh?

– No, no.

– Vorrei vedere voi dopo 50 anni …

– Dai nonno, non dargli retta, prosegui …

– L’ altro, quello a sinistra sono sicuro che si chiamasse … Kosta, no … Kostantino … di cognome Boskov … no, Nederkov, no … no, Nedialkov, … insomma non mi ricordo bene.

– Va bene ma dove eravate?

– Beh questo lo ricordo bene: eravamo a Grumento, in provincia di Potenza – secondo la vecchia divisione territoriale – In realtà l’aviosuperficie si chiamava “GRUMENTUM” in onore della vicina città romana, o meglio degli scavi della città romana, mentre Grumento Nova era il paesino lì, a meno di un chilometro dalla pista.

– Pista in asfalto o sbaglio?

– No, non sbagli. Una bellissima pista di milleduecento metri di lunghezza e undici di dislivello, con asfalto altamente drenante, asciutta anche dopo forti temporali e anche ben orientata – est/ovest – mi sembra. Pochi aeroporti italiani allora avevano una pista così.

– Va bene ma cosa ci eravate andati a fare a Grumento?

– Eh, beh … fammi ricordare … ah sì, quell’anno a Rieti – era l’estate del ‘94, appunto – fu organizzata una serie di gare, mi sembra addirittura un Campionato Europeo classe F.A.I. ed uno dei primi Campionati Europei di acrobazia in aliante, la mitica Coppa del Mediterraneo e mi pare il Campionato Italiano classe Libera. Insomma una sfilza di gare che non finivano più: da inizio Luglio ad inizio Settembre. Perciò gli stage, vi ricordate, ve ne ho parlato tante volte …

– Sì, sì.

– Sì, continua.

– Beh gli stage non potevano svolgersi a Rieti. Voi capirete: piloti non proprio provetti si potevano trovare all’improvviso in mezzo ad un nugolo di assatanati della gara – non era certo igienico – … e allora l’AeroClub Centrale decise di abbandonare il campo di gara – oh! da Firenze a Matera eh?- e di spostarsi a Grumentum dove, tra l’altro ci aspettavano come la manna dal cielo visto che lì c’era tutto per volare, tutto tranne gli aeroplani: un piccolo dettaglio!

– Sicché vi siete trasferiti armi e bagagli?

– Eh già: molte armi e pochi bagagli – tredici alianti, questo me lo ricordo bene perché li controllavo tutte le mattine tutti e tredici – e due Robin.

– I Robin erano degli aeroplani trainatori vero ?

– Sì.

– I traini va bene, ma gli alianti come li avete portati?

– Gli alianti? Fu un’avventura: tutti con i carrelli, trasportati su strada dalle automobili, un po’ con quella del Centro, un po’ con quelle dei soci e un po’ con quella dello sponsor dei Campionati.

– Perché un’avventura?

– Perché? Perché durante i viaggi di trasferimento ne successero di tutti i colori: mi ricordo che per il gran calore – e non solo per quello – scoppiavano gomme ad ogni curva; che i primi carrelli finirono in una stradina dentro un bosco perché non c’erano cartelli che indicassero la strada per l’aviosuperficie; che gli autisti – partivano da Rieti alle nove e rientravano di sera alle nove, se andava bene – incominciavano a non farcela più … dopo un paio di giorni con questo ritmo e allora c’era chi si fermava dai parenti lungo la strada, chi sostava a vedere la partita all’autogrill o dormiva in macchina per rientrare il giorno dopo.

– Che partite?

– C’era il campionato del mondo di calcio.

– Ah già! Negli Stati Uniti non è vero?

– Sì, proprio lì.

– Ho letto nella banca dati sportiva che fu l’anno di un certo … Baggio, che l’Italia arrivò seconda e che …

– E basta! Lascia perdere il calcio. Continua a raccontare nonno.

– E dunque dicevo … sì, fu rocambolesco! Tutto il trasferimento durò una settimana: mi ricordo che io ed il mio collega anziano a Rieti smontavamo in serie alianti e a Grumento l’altro mio collega anziano, in serie li rimontava appena arrivavano … quando arrivavano.

– Ma non ho capito: tu non eri a Grumento? E poi perché dici: quando arrivavano?

– Fu così: io rimasi a Rieti le prime due settimane di stage a Grumento – non dimenticate che a Rieti c’erano contemporaneamente gli allenamenti dei Campionati Europei. A Grumento andò l’altro collega. Poi gli diedi il cambio e rimasi le altre cinque settimane.

Il primo giorno di stage in assoluto, era domenica – me lo ricorderò sempre tanto fu nera – un aliante lì a Grumento cadde nel bosco …

– Come nel bosco?

– Eh sì, nel bosco: il pilota – era da solo – combinò qualche sciocchezza. Stallò con un biposto sulla sommità piatta di una montagna, lì, vicino all’aeroporto e cadde nel bosco.

Incolume, senza neanche un graffietto ma con le brache bagnate, il pilota rimase infilato con l’aliante tra due alberi, sospeso a mezz’aria a qualche metro da terra.

– E poi come andò?

– La radio, fortunatamente, funzionava ancora, perciò chiamò gli altri alianti che intanto si erano messi alla sua ricerca – non sentendolo più e non vedendolo più in volo -.

Il pilota non vedeva il cielo perché le piante gl’impedivano qualsiasi visuale, sicché ne giudò lì uno che per puro caso si trovava in quella zona. Solo sentendo il fruscio dell’aliante che si allontanava e si avvicinava. Fortuna volle che sull’aliante, diciamo da “soccorso”, il pilota avesse con sé uno di quei primi modelli di G.P.S.

– Una specie di quelli che sono sugli autoplani?

– Una specie di quelli, sì, ma una versione molto più rudimentale … beh, fece il punto del luogo dell’atterraggio e dopo qualche ora recuperarono il pilota “imboscato” con le jeep.

– E l’aliante ?

– Distrutto, ma neanche tanto. Il suo recupero fu un’altra impresa, ma quello che successe esattamente in contemporanea fu altrettanto rocambolesco

– Perché, che successe?

– Sull’autostrada un’altro aliante aveva un incidente.

– Di che genere?

– L’automobile e il carrello con sopra un biposto – me lo ricorderò perché pesava come una stazione orbitante – fecero un randezvous … incominciarono a sbandare dopo un doppio sorpasso e sbandarono così paurosamente fino a che non invertirono il senso di marcia.

Le vecchie autostrade allora erano tutte a due corsie: quella era addirittura a tre, perciò riuscirono a fare un centottanta e finirono contro … sapete quelle divisioni in cemento armato che si vedono nelle vecchie fotografie? Quelle. Si appoggiarono di traverso contro lo spartitraffico mentre le altre automobili continuavano a venire contro …

– Fu una carneficina!

– Eh che sanguinaria! No, fortunatamente c’era un cantiere di lavori stradali a poca distanza. Gli operai e gli uomini della sicurezza intervennero subito, bloccando il traffico giusto in tempo!

– E l’aliante: distrutto!?

– No, anche in questo caso. E qui venne il bello: il carrello, è vero, era ridotto in condizioni pietose perché il gancio di attacco all’automobile era tutto contorto, i supporti dei longheroni dell’aliante erano piegati e pure piegata la prolunga della coda del carrello – sapete i carrelli spesso erano più corti degli alianti che trasportavano e c’era letteralmente parte delle semiali che sporgeva fuori dal pianale.- L’aliante no, mi pare che fosse esplosa solo la cappottina in plexiglas – erano così le cappottine di una volta – un foro nei flap e scorticature da tutte le parti: insomma inservibile ma non proprio irrecuperabile.

– E allora?

– Allora l’autista – mi sa che pure lui non è che fosse proprio asciutto nei pantaloni – … mi pare che sì, fosse un socio pilota, sganciò l’automobile – aveva un “buco nero” nella fiancata, dovuto al carrello. -. Poi, con gli operai ed i poliziotti, spostò l’aliante sul margine dell’autostrada, quindi pensò bene di smontare tutto quello che di valore c’era a bordo – praticamente una di quelle vecchie radio che ora sono solo nei musei, e gli strumenti .- E di riportare tutto a casa. Oh, questo sotto il sole cocente di Luglio, sull’asfalto nero infuocato, all’una del pomeriggio! Così, scampato all’incidente, a un’insolazione e alla Polizia di allora, rientrò a Rieti.

– Ma in tutto questo tu, come ci sei entrato?

– Ci entrai ahimè … naturalmente non potevamo abbandonare l’aliante in autostrada chissà per quanto tempo, così organizzarono il giorno stesso una “squadra di recupero”. Il Direttore venne in Officina – mi ricordo come fosse ieri – dicendomi: “E’ un’emergenza!” Tenete presente che erano circa le sette e mezzo del pomeriggio e che io ero lì dalle otto del mattino – mi sembra che neanche avessi pranzato quel giorno -. Mi guardai intorno: il sottoscritto, il mio collega anziano e il pilota dell’incidente. Lui, da vero gentiluomo, si offrì volontario per il recupero … ma non eravamo così disperati da ricorrere ad uno “zombi”. Possibili e realistiche alternative non c’erano. Gli risposi: “e va bene, tanto sono votato al martirio!” Poi mi ricordai la battuta di un vecchio film e dissi tra me e me: “Continuiamo a farci del male!”

– Che roba!

Naturalmente la squadra era ben assortita con degli esperti in materia ed i mezzi di soccorso erano scintillanti pronti all’uso …

– Davvero?

– Macché! Requisimmo l’automobile personale del pilota dell’incidente – almeno quella – e riuscimmo a sequestrare tre persone che proprio dei volontari non erano, o meglio, lo erano diventati dopo mostruose minacce fisiche e psicologiche. Altri carrelli non ne avevamo per cui riciclammo qualcosa che con molta immaginazione poteva somigliare da lontano ad una specie di carrello stradale: lo teneva insieme l’ossido e qualche bullone ben grippato.

Era il carrello di un socio, in disuso da soli tre, o al massimo quattro anni. E poi era stato ben ricoverato: sì, all’ aperto, all’acqua e al sole, coperto da un tetto di rovi.

– E allora?

– Cercammo alla meglio di renderlo utilizzabile: non lo avessimo mai fatto perché solo a gonfiare i pneumatici, uno scoppiò con un tale botto! Il caso volle che la ruota di scorta fosse ancora tale ma di fatto fummo costretti a “raspare” tutto l’aeroporto alla ricerca di un maledettissimo carrello che avesse le ruote delle stesse dimensioni di quello “d’emergenza” … per prenderle in prestito: solo momentaneamente.

– Ah, così hai fatto pure queste cose, eh nonno?

– Io? Mai … non ne trovammo neanche una! D’altra parte a che cosa poteva servirci una ruota di scorta? Potevamo farne a meno. I bulloni si spezzavano appena si provava a svitarli? Bastava qualche corda, qualche elastico e un po’ di gomma piuma. I documenti non li avevamo? Ammesso che il proprietario li avesse avuti ancora, non aveva importanza: “è un’emergenza!”, avremmo risposto al tutore dell’ordine che ce li avesse chiesti.

– E siete partiti lo stesso?

– Si, certo. Oh, noi eravamo la “squadra di recupero”!

– Ma così attrezzati poteva capitare qualcosa anche a voi?!

– Certo, e allora avrebbero organizzato la “squadra di recupero” per recuperare la “squadra di recupero” che era partita per un recupero d’emergenza.

– E sì, va’ beh, ma come andò?

– Verso le nove partimmo con un’automobile scarica ed una seconda con il carrello di salvataggio, facemmo sosta per rifornire di carburante le auto e di panini i nostri stomachi. Arrivammo sul posto verso mezzanotte. Non senza difficoltà trasferimmo l’aliante incidentato sul carrello e sistemammo l’altro danneggiato in modo da poterlo riportare fino a Rieti. – Filò tutto liscio?

– Quasi. Montare un aliante su un carrello non proprio perfetto, di notte, sul bordo dell’autostrada, alla luce di quelle lampade a batteria che si usavano una volta, con tutti i camion che ti sfrecciavano a 100 chilometri all’ora a meno di un metro, non fu certo cosa facilissima: uno di noi, mi ricordo, si pestò due volte la mano – prima un dito e poi tutta la mano – per sistemare l’aliante che non voleva saperne di starsene “buono” nel nuovo carrello. Poi, i bulloni non stringevano i longheroni delle semi-ali per cui, per fare un po’ di spessore, fummo costretti a raccattare la robaccia lungo il bordo dell’autostrada. Niente!

– Cioè?

– Niente di niente! Non ho mai visto un autostrada linda come quella: non c’era neanche … ma che ti dico? Un fiammifero. Niente.

– E allora?

– Fummo costretti a “sacrificare” il ramo di un alberetto selvatico che cresceva appena fuori il bordo dell’autostrada. E io che ero un verde convinto!

E poi l’ attacco del carrello incidentato non volle smontarsi nonostante tutti i tentativi – pure le parolacce – tanto che lo portai così – con molta strizza – fino a casa. Camminava tutto di traverso ma camminava. D’altra parte anche l’aliante rimaneva sul carrello soprattutto grazie alle corde, agli elastici … e alle nostre preghiere.

– A che ora siete rientrati a Rieti?

– Tardi, molto tardi, anzi no, presto, molto presto.

– Come?

– Verso le cinque e mezzo, me lo ricordo bene perché si fece giorno lungo la strada e quando arrivammo in aeroporto era ormai giorno fatto.

– Hai avuto un giorno di riposo no?

– No. Mi feci la doccia, dormii un’oretta e alle otto tornai in Officina per un’altra “giornata di lotta”.

Oh, ragazzi: ero O P E R A T I V O!!!


segue:  II parte

  MISSIONE GRUMENTO: sempre operativi!!



#proprietà letteraria riservata#


Big Mark

Missione Grumento: operativi!!

broncoUna vecchia fotografia e un poster sbiadito ritrovati in cantina scateneranno nel nonno una ridda di ricordi, incalzati da due nipoti curiosi. Gli crederanno? Il racconto tragicomico di una metaforica missione di guerra combattuta in tempo di pace ma con la particolarità di essere stata una “vera” missione e una “vera” guerra. Specialmente per chi la visse in prima persona.


Narrativa / Molto lungo (nr 4 parti) Pubblicato: rivista periodica “Volo a Vela”

Note: inserito nella raccolta di racconti inedita “Voci di hangar”