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Quant’è bello volare

L’aria tersa e pungente del mattino si insinuava turbinando tra le fronde degli alberi resi multicolori dai primi brividi dell’autunno. Il verde carico e intenso delle foglie più forti si sposava col rossiccio di quelle che iniziavano ad avvizzire, e risaltava sul fondo di quelle marroncine che avevano ormai portato a compimento il loro ciclo di vita. Al di sotto del bosco la montagna digradava con un declivio né dolce né irto, che dopo un po’ si interrompeva bruscamente, offrendo lo spettacolo di una ripida scoscesa su cui gli edelweiss faticosamente si abbarbicavano. Era l’ambiente ideale per gli amanti degli ultraleggeri e dei deltaplani che, infatti, in quella zona avevano installato la loro pista di lancio. Molti erano gli appassionati che si spingevano appena possibile a quella base di partenza che la Natura, nella sua magnanimità, aveva voluto offrire a quanti prediligevano le distese del cielo alle lunghe code in colonna, inscatolati come sardine, per raggiungere i più rinomati ed affollati luoghi di villeggiatura. Del resto, le correnti d’aria che rotolavano a valle rimbalzando nella profonda conca in cui correvano gorgogliando e spumeggiando le acque chiare del fiume, tornavano a risalire potenti, garantendo, a tutto ciò che incontravano nel loro percorso, la possibilità di un duraturo sostentamento che poteva durare anche parecchie ore. Il tempo era dunque ideale. Occorreva aspettare l’attimo giusto. Quand’ecco … un colpo di vento più intenso degli altri si precipitò giù per la china, la strappò dal suo sostegno e la sollevò di colpo. Era libera e librante, sospesa nel cielo azzurro, sostenuta dal vento e dalle correnti che, graziosamente, parevano condurla secondo il suo desiderio. Era felice: il vento la percuoteva, ma con delicatezza, mentre si muoveva ondeggiando secondo le correnti, sorvolando picchi aguzzi e scoscesi, dove erano tornate a nidificare le grandi aquile bianche, dove muschi e licheni a fatica contendevano lo spazio al gelo ed alla neve. Più in basso, sui pascoli alti, il bestiame, impegnato nel suo monotono ruminare, costituiva un insieme di chiazze chiare e biancastre tra il verde del trifoglio; ma si trattava di uno spettacolo che durava solo un breve fiato: le correnti ascensionali la portarono su, molto più su, a quote in cui l’aria stava diventando particolarmente fresca, nella trasparenza assoluta dei cristalli di ghiaccio che iniziavano a condensarsi. Una bianca nuvola, simile a un insieme di batuffoli di cotone, si avvicinava rapidamente. Penetrò in quella nebulosità tenue, in cui lo splendore del Sole si affievolì mostrando il disco di un giallo pallido dell’astro la cui esistenza garantiva la permanenza della vita sul pianeta. L’umidore delle goccioline che si condensavano la appesantì di quel tanto che bastava a provocare un inizio di discesa verso livelli più convenienti. Il velo che si opponeva alla forza del Sole divenne sempre più tenue e, dopo poco, si diradò completamente facendola ripiombare in mezzo ad una luce abbagliante. Il calore e l’aria asciutta aiutarono l’evaporazione del sottile strato liquido che si era formato e il vento tornò ad essere il suo padrone. Lentamente, senza fretta, la gravità tornò a fare sentire la sua influenza e, complice un improvviso calo del vento, perse quota rapidamente. Il pensiero di schiantarsi non increspò neppure per un attimo la sensazione di levità e di gioia che la pervadeva: era libera! Libera di muoversi nel cielo. Libera di vagare dove nessun essere umano avrebbe mai potuto permettersi di andare. Con la stessa subitaneità il vento la riprese e la trasportò ancora in alto. “Lingua mortal non dice …” : ecco, proprio questo era il punto. Lo stato di ineffabilità era stato raggiunto. Non avrebbe saputo assolutamente trovare come esprimere quello stato di completa comunanza ed assonanza con la Natura, con le sue forze e con tutte le manifestazioni che, a volte, ad occhi e cuori offuscati, potrebbero sembrare crudeli ed insensibili: la potenza di un tornado, lo scatenarsi della furia devastatrice di un’eruzione o di un terremoto. Tutto questo e altro ancora “sentiva” entro di sé, mentre svincolata dalle catene del peso si librava senza posa in quello scenario che aveva un che di divino. Ma tutto quello che di più bello proviamo, prima o poi deve terminare. Il vento stava declinando con dolcezza, trasformandosi in una lieve brezza, quasi tiepida. Assecondandone la natura e l’invito, cominciò una lenta discesa, rotta soltanto da qualche subitaneo refolo che la faceva impennare ancora ogni tanto verso l’alto da cui, ondeggiando, tornava verso quote più miti. Lentamente, con calma, cercando di assaporare ancora quello che la Natura benigna poteva offrirle, iniziò la planata finale. In basso gli armenti continuavano il loro lento ruminare. Il vento le permise di compiere una larga virata, mostrandole lo splendore di un paesaggio autunnale dai colori accesi e variegati attraverso un’atmosfera assolutamente cristallina. Là in basso un fiumiciattolo segnava con riflessi argentei una strada percorsa da pesci guizzanti alla ricerca della loro pastura quotidiana. Chiazze marroni e verdi in varie tonalità denotavano i campi seminati con i vari frutti che la terra avrebbe prodotto nella prossima estate. Le colline, coperte di vigneti, facevano bella mostra di sé, con i grappoli di diverso colore che si confondevano col verde intenso del fogliame. La discesa ora si faceva più decisa: sempre in compagnia del vento che, graziosamente, l’accompagnava nell’ultima fase del suo volo, vide la terra avvicinarsi sempre di più. Ormai di lì a poco quel sogno di leggerezza si sarebbe spento definitivamente. Cominciò a girare in volute sempre più strette, diminuendo contemporaneamente di quota. Erano gli ultimi istanti di quella beatitudine. Una pozzanghera si avvicinava sempre di più. Ondeggiando riuscì a superarla per raggiungere un tratto di un sentiero senza erba, dove finì col posarsi delicatamente. Un uomo si avvicinò, calzando pesanti scarponi e, senza neppure degnarla di un’occhiata, schiacciò quella foglia ormai secca che, per una frazione di eternità aveva conosciuto la voluttà del cielo.


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Roderigo di Brankfurten

Quattro amici in volo

“Comincia la festa ragazzi, divertitevi più che potete!”

Oggi non vi parlerò di volo, o meglio, non sarà lui il protagonista, oggi vi parlerò di quattro amici, quattro amici speciali, quattro amici che hanno scelto come luogo di ritrovo un posto inusuale: il monte Vettore!

Spegnete tutto e isolatevi dal mondo: vi poterò tra odori, suoni e colori!

L’avventura di oggi comincia da lontano, comincia da un volo di due ore sul monte Vettore il giorno prima, comincia con l’idea (assurda) di tornare in piana (piana di Castelluccio, ndA) nella speranza di replicare, se non addirittura migliorare un volo già molto bello di suo, comincia con la voglia di tornare lassù perché, per noi, stare “lassù” è qualcosa di speciale.

Siamo al parcheggio del Vettoretto in una stupenda giornata d’estate, oltre ai quattro irriducibili Ubaldo, Lorenzo, Gianni ed io, ci sono il fratello e la mamma di Gianni e Martina, i nostri controllori di volo di giornata! Poco dietro ci sono i prati multicolori della piana, i ghiaioni del monte Vettore, le rocce dello “Scoglio dell’Aquila” e più su la cima del Vettore; tutt’intorno il silenzio rotto solo dal fruscio del vento e dal ronzio di qualche ape. Salutiamo la “torre di controllo” e ci avviamo verso il decollo situato duecento metri sopra la strada. Salire in decollo oggi è una di quelle fatiche che farei mille volte senza mai pentirmene: è un salto nei sensi, tra le tinte dei prati e i profumi dei fiori appena sbocciati, tra il lento e tumultuoso fruscio del vento e il grido di un falco che vola alto sopra di noi, salire in decollo oggi è forse una delle fasi più belle del volo, quella in cui si riesce ad ammirare più da vicino lo spettacolo della natura, toccarlo, accarezzarlo …

Sì, per un attimo ho pensato di non decollare ma quando ho visto lo Scoglio dell’Aquila, alto e maestoso come mai mi era sembrato, mi è tornato in mente una citazione di Leonardo Da Vinci: Quando avrai provato l’emozione del volo, camminerai con lo sguardo rivolto verso il cielo, perché là sei stato e là agogni di ritornare … ho alzato la vela e senza pensarci due volte sono decollato!

Di solito non sono mai il primo a decollare, ma oggi sì, oggi ho qualcosa dentro che mi dice vai, parti, vola più in alto dei tuoi sogni!

Il fruscio del vento lascia spazio al “bip bip” frenetico del variometro che mi fa capire subito che oggi è giornata e subito dopo Ubaldo, Gianni e Lorenzo rompono gli indugi e decollano: “Comincia la festa ragazzi, DIVERTITEVI PIU’ CHE POTETE!”, urlo via radio mentre ho già raggiunto la base dello Scoglio dell’Aquila.

“Manuè che hai bevuto? Dieci minuti e sei già arrivato in cima!”, mi urla Ubaldo. “Sei un disgraziato, avevamo detto che saremmo saliti insieme!”, continua Gianni. “Siete voi che siete delle schiappe”, replico. “Allora quando ti prendiamo ti chiudiamo la vela cosi vediamo quanto sei bravo”, continua Lorenzo … Tiriamo avanti per una mezz’ora abbondante a prenderci in giro, incuranti della quota, delle termiche, dell’avanzamento, oggi proprio non ce ne frega nulla di fare quota, oggi vogliamo solo stare insieme e divertirci, prendendoci in giro come solo degli amici per la pelle sanno fare.

Esco un po’ fuori e mi metto in posizione buona per far foto; becco Lorenzo, metto lo zoom al massimo: “Un po’ più a sinistra, così, bene, ora FERMO, NON TI MUOVERE, FEEEEEEERMO!”

Lorenzo non mi risponde, ma dopo un po’ sento un anonimo insulto via radio … Le nostre traiettorie si incrociano e si allontanano mille volte sopra i prati del Vettore, mentre il sole si staglia alto nel cielo. Continuo imperterrito delle mia triplice attività di fotografo, operatore radio e pilota (vabbé pilota, si fa per dire!) ma sento che manca qualcosa: effettivamente un panino con la porchetta ed una birretta gelata in cima al Vettore ci sarebbero stati bene!

Questi sono i voli che preferisco, quelli poco tecnici ma che permettono di far foto e … di sparar cavolate! Ma sì, oggi non ce ne frega nulla di far quota o di andare da qualche parte, lo scopo di questo volo è quello di stare insieme lassù, tra fiori, prati e nuvole!

Il vento ci gioca un brutto scherzo, aumenta repentinamente quando siamo verso Forca Viola. Ubaldo, Gianni e Lorenzo escono subito senza problemi, io passo un brutto quarto d’ora ma riesco sempre a mantenere l’avanzamento sopra i 5 km/h. Sento la paura nelle loro voci mentre si prodigano nel darmi dei consigli, ma tengo saldi i comandi e scappo fuori. Ci togliamo d’impaccio e torniamo a salire, di nuovo, stavolta un po’ più guardinghi ma sempre determinati a restare sù il più possibile. La radio mi molla, e dire che l’avevo ricaricata la sera prima, ma oggi i miei amici sono particolarmente logorroici e questo è il risultato.

Sono passate due ore da quando siamo decollati, qualcuno inizia a dare segni di cedimento e alza bandiera bianca: “Scendo al Guaidone e atterro”. “Va bene, ti seguiamo” Parte Gianni ma appena trova una termica torna velocemente a salire e riaggancia la vetta: “Ma non dovevamo atterrare?”. “Sì però qui ancora tiene …” “Ho capito, era un tentativo di depistaggio” “Ma no io volevo veramente atterrare però ….” Parte Lorenzo, determinato ad atterrare, punta Forca ovest ma poi vira secco verso il Vettoretto: “Qui si sta su alla grande, venite qua!” “Ahò, ma tu non dovevi atterrare?” “Sì ma qui tiene, sai com’è …” “Torre di controllo a volatori, se non atterrate vi abbattiamo!” “Prima dovete beccarci … ” risponde Ubaldo.

Si va avanti cosi per un’ora abbondante, tra falsi buoni propositi e tangibili tentativi di riagganciare per l’ennesima volta il Vettore. Il sole ci regala uno dei suoi più bei tramonti, mentre noi continuiamo a volare in piena estasi mistica. Il silenzio della piana viene turbato da delle urla, sono urla di gioia, ma hanno un tono diverso dal solito: è il tono di un padre di famiglia che oggi è tornato bambino! La mia vela continua a salire mentre Gianni, dopo mille tentativi di depistaggio, atterra, Lorenzo lo segue a ruota, non prima di essersi disteso completamente sull’imbragatura quasi a volersi addormentare; pochi minuti ed anche io ed Ubaldo atterriamo sulla strada sfruttando le luci delle auto per centrare l’atterraggio.

L’euforia a terra è tangibile, ma per capire di cosa parlo dovreste osservarci, dovreste vedere i nostri occhi, osservare l’espressione del nostro viso, ascoltare la vibrazione profonda della nostra voce appena atterrati. Ci abbracciamo, ci diamo delle pacche sulle spalle, urliamo di contentezza perché questo per noi è un momento irripetibile!

Risaliamo in macchina, Lorenzo afferra la sua Canon per mostrarmi le foto scattate in volo e per prima appare la foto del suo frugoletto Alessio: “E’ inutile che mi state a dire, le emozioni che mi da mio figlio il volo manco tra tremila anni me la darà!”

… [SILENZIO]


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Manè

Quando ero piccolo

Quando ero piccolo volavo basso sul terreno. Sentivo l’odore delle cose, le vedevo e studiavo bene da vicino. Sentivo l’odore della terra planandole a pochi centimetri. Sentivo il profumo della polvere e del vento, col vento mi mescolavo; sentivo i fiori e il muschio, sui fiori mi posavo; gli aghi di pino e le foglie più alte sugli alberi, li potevo raggiungere senza sforzo, e da li guardare il cielo blu sopra; mi potevo infilare nei covoni di fieno tagliato, contare le bestie al pascolo sugli alpeggi, dall’alto.

Calavo dalle colline come un’orda barbarica, ma con il mio fragore dentro; mi alzavo fino alle fronde degli alberi schivandoli e mi sentivo il cuore esplodere di gioia a tre metri dal suolo.

Sorvolavo i campi come una brezza di primavera, l’odore dell’erba era mio: i fiori, la terra, l’acqua, i sassi (oddio l’odore dei sassi!), le foglie d’autunno nei boschi di montagna, tra la nebbia che avvolge i tronchi: con un passaggio basso e veloce le sollevavo e il loro profumo di funghi mi avvolgeva.

Dentro me urlavo di gioia ad ogni volo, ad ogni planata, ad ogni basso passaggio sul mondo profumato.

Ma la gente non vuole volare: molti hanno paura, e si difendono dicendo che bisogna crescere, smettere di giocare. E allora ho deciso: del volare ho fatto la mia vita.

Un giorno me ne stavo a gironzolare per il pendio di una montagna, quando ho deciso di riposare in una radura col muschio. Mi sono steso e ho alzato gli occhi al cielo. Le nuvole correvano instancabili nel blu, formandosi e sfaldandosi di continuo. Lì ho deciso di volare alto, diventare pilota.

Ho scoperto con dolore che per essere pagato dovevo essere utile, dovevo portare gente a spasso, e per questo mi servivano le lunghe ali di metallo.

Ho detto addio alle prodezze e ai virtuosismi, ho detto addio ai cambi repentini di rotta.

Qui siamo monitorati e vettorati , spiati e guidati; qui ci sono strumenti e spie luminose, qui non si cambia rotta: segui la strada che ti dicono, non si sgarra.

Ora sto seduto in poltrona, il mostro alato vola da solo, docile. Ora, a 25000 piedi, la terra non si vede neanche, non sono più basso al suolo. Ora nelle narici ho l’odore di sudicio della cabina, degli strumenti di bordo, del kerosene al rifornimento, il profumo studiato delle hostess. Ora ho con me centocinquanta persone, e a loro non interessa l’odore dell’aria e delle cose, loro vogliono arrivare in fretta a destinazione. Da una città all’altra senza sosta, senza amore.


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India

Quella mattina

Quella mattina ci eravamo incontrate di fronte all’entrata posteriore del Liceo Scientifico “G. Marconi”. Con gli occhi semichiusi, le voci ancora assonnate, incuranti dell’ennesimo ritardo in classe, dopo esserci date un “Buon Giorno” alquanto distratto, indaffarate a legare le nostre biciclette agli ultimi pali rimasti disponibili, ci eravamo interrogate sul nostro futuro: “Allora, ragazze, che facciamo? È ora di decidere , il liceo sta per finire!”. Tutte e tre, vale a dire io, Luisella e Silvia, avevamo accordato che era il caso di continuare a studiare e di non rinunciare a godere dei privilegi della vita da studenti. Il problema era cosa studiare e dove studiare. Così Luisella, la più saggia delle tre, aveva detto: “E chi ce lo fa fare di andare a Cuneo? Una volta che prendiamo il treno arriviamo fino a Torino, no?” E così era stato. Ci eravamo salutate come se avessimo parlato del tempo, inconsapevoli che quella breve conversazione avrebbe fatto intrecciare i nostri destini e irrimediabilmente legate l’una all’altra nei ricordi. L’anno scolastico era continuato tranquillamente finché in occasione dell’esame di maturità, ci era venuto in mente che forse ci saremmo ritrovate a vivere insieme dopo qualche mese. Così, previdenti, avevamo deciso di testare la convivenza e ci eravamo rinchiuse in una graziosa casetta in provincia di Torino, a ridosso delle Alpi, per studiare quello che in seguito si era rivelato il primo di una lunga serie di esami preparati insieme. E fu lì che cominciammo ad apprendere la complicata e geniale personalità di Silvia, fatta di desideri di viaggi in aereo, di desideri di volo in generale (diceva che tutte le notti sognava di essere una farfalla, bianca e gialla), di stimoli a forma di biscotti al cioccolato, di ragionamenti che si concretizzavano in pagine di geroglifici che solo pochi riuscivano a comprendere ma che tutti immaginavano fossero esercizi di matematica, di tensioni che si scaricavano in corse su e giù per le scale e nel boschetto con rovinose cadute e spargimenti di sangue, di paure che la portavano, dopo una notte brava, a studiare alle 8 di mattina Inglese, di dolci gentilezze per cui noi godevamo di cornetti caldi alle 7 di mattina e di pazzie lunghe una notte, dopo una partita a carte, indossando pigiama e occhiali da sole e implorando, sul più bello, un giro in aereo e urlando: “Voglio volareeee!”. A quel punto come non intraprendere l’avventura universitaria insieme? Silvia si era dimostrata una splendida persona fin dall’inizio. Così in una calda giornata di agosto eravamo andate a Torino in cerca di casa. Oltre ad essere calda era pure domenica e non c’era un cane in giro! Ma noi eravamo contente e felici di iniziare questa nuova vita da studentesse universitarie serie ed impegnate. Sotto il sole cocente, con i nostri rispettivi genitori, avevamo cercato e poi trovato il nostro nido di passioni e di studi. E in men che non si dica ci eravamo trasferite in via P. 48, dopo aver fatto una “leggera” pulizia di varie ore con le rispettive mamme. Per Silvia era iniziato il periodo di prova all’Università di Biotecnologia dove la tenevano incarcerata dalla mattina alla sera e noi non potevamo goderci il nostro gioiello. Tornava a casa e si distendeva 5 minuti sul letto, poi non la vedevamo fino al giorno dopo. Così la nostra compagna d’avventura aveva capito che aveva bisogno di molta più libertà, ed aveva fatto il grande passo cambiando facoltà: Chimica Industriale. Era iniziato allora il periodo sano delle carote e del conteggio delle calorie: “Scusa Silvia, quanto hai detto che sono 100 grammi di piselli senza condimento?”, ” Vai tranquilla , sono solo 69 calorie” ci rispondeva mentre sgranocchiava un gambo di sedano crudo. E noi, rassicurate, sapevamo che potevamo mangiarne in quantità industriali perché sono sani, fanno bene e sono leggeri e che, se volevamo fare le sofisticate, li potevamo accompagnare con un po’ di mais e qualche crackers. In questo modo potevamo permetterci di toglierci lo sfizio (ogni tanto eh!) di sbaffarci giganti biscottini al burro spalmandoci solo mezzo dito di Nutella in cima. E la convivenza continuava. Noi due (io e Luisella) vivendo nella nostra piccola e confortevole stanzetta, condivisa con maestria e creatività, invece Silvia vivendo in una stanza tutta sua, inciampando ripetutamente nei libri o nelle cose che spargeva un po’ dappertutto e negli aerei di carta (costruiti con le pagine dei notes fitti dei suoi geroglifici) che in continuazione piegava e faceva volare di qua e di là, dando la preferenza alle nostre teste. Ed i giorni trascorrevano. Io e Luisella che ci svegliavamo sempre all’ultimo momento, correndo in bagno insieme, e mentre una faceva la pipì l’altra si lavava i denti, e poi ci davamo il cambio per far presto, pedalando in bicicletta come pazze lungo le porticate vie di Torino per andare alla lezione della tarda mattinata. Invece Silvia si svegliava circa un’oretta prima di uscire di casa (il che equivaleva circa all’alba) per fare tutto con calma; e non importava a che ora era andata a letto la sera prima o cosa aveva bevuto, o quanto il suo impegno fosse costante e determinato … tutte le mattine era in piedi scattante! Si preparava una deliziosa colazione, si pettinava, si faceva una calda doccia, si metteva le sue cremine, etc etc etc. E noi la incrociavamo che usciva di casa correndo e a braccia aperte per emulare la farfalla che era in lei, oppure ronzando come l’aereo sul quale sognava di volare, un giorno. La vita e l’euforia torinesi ci avevano preso per mano e accompagnato alla scoperta di questa città, delle sue strade, della sua gente, degli studenti, dei locali. Dopo la telefonata quotidiana con papà e mamma, Silvia c’era e c’era sempre: una festa in un locale, una cena a casa di amici, cinema, teatro, un privee nel nostro appartamentino … lei era là, sempre, piena di energia e di casino, pronta a dare il meglio di sé, sempre! L’Amaretto di Saronno, intanto, era nostro compagno e le pastasciutte liofilizzate alle 5 del mattino l’ultimo grande piacere della nostra giornata che si concludeva, così , traballando, sfiorata dalla luce e dai rumori di un mondo che si svegliava. Una sera, finalmente uscita dal bagno e vestita del suo pigiamino rosa irrimediabilmente troppo corto, ci aveva guardato con un viso perlato dall’olio di mandorle che le illuminava le gote rosate e aveva detto, ormai sognando il suo letto e la coperta di pelucchio: “Ragazze, vado a dormire un po’ che domani mi devo alzare presto. Devo iniziare a studiare seriamente, l’esame è tra meno di un mese!”. Aveva alzato la mano in segno di saluto, inclinato dolcemente il capo e sorridendo ci aveva salutato: “Buonanotte ragazze”. Era iniziato così il momento di studio matto e disperatissimo di Silvia! La cucina era stata occupata da lei, da cumuli di libri e appunti mischiati a modellini di aerei di carta e a biscotti e briciole, i cui segni e bontà ancora si possono trovare tra le giunture e nelle macchie conservate dalle pagine dei nostri testi universitari. Proprio adiacente alla cucina si trovava quel locale che sarebbe rimasto impraticabile per tutto il periodo della nostra permanenza: “camera di Silvia!”. Quel piccolo universo a parte che lasciava di stucco gli ospiti quando si apriva quella porta e del quale la nostra Silvia tanto andava fiera. Ma ancora più strabiliati, gli ospiti, rimanevano quando ascoltavano il nostro genio mentre suonava uno di quei pezzi “tranquilli” di musica classica che le impegnavano le mani, i piedi, tutti i muscoli delle braccia, del collo, del ventre … in uno sforzo verso l’estasi dei sensi … suoi e nostri ! “Quando suono mi libero nell’aria e volo … cosa ci può essere di più bello che volare nel sole?”, diceva estasiata. E quando finiva di suonare l’ultima nota che si propagava nei nostri corpi e scorreva nelle nostre vene, iniziavamo ad applaudire, lei alzava la testa fino ad allora piegata verso la tastiera e si sistemava i capelli che nel frattempo si erano anch’essi elettrizzati. Poi, al termine di ogni esibizione usciva sul terrazzino e restava ad osservare il cielo. “Ragà”, diceva, “Non vedo l’ora di fare un viaggio in aereo … voglio volare …”, e poi cantava a squarciagola: “Volareee ooo, volareee ooo, nel blu dipinto di bluuu … felici di stare lassùùùù …” Chiusa in casa era stata in quel periodo la povera ragazza, nei suoi occhi tristi si leggeva una clausura che la faceva penare come un animale in gabbia che cerca l´infinito del cielo nel quale sogna di volare. La staticità non faceva per lei, così trovava sempre l’occasione di fare un po’ di esercizio: dalla sedia al frigorifero e dal frigo alla nostra stanza . “Ragazze, cinque minuti di pausa!” e veniva a sdraiarsi sul lettone comodo e floreale in cui ci si riuniva per fare le nostre quotidiane discussioni sulla vita, sui nostri ideali, sui nostri sogni. Ed era stato allora che avevamo immaginato il nostro uomo ideale: “A me basta che sia intelligente, simpatico, bello, generoso, che sappia suonare, che sia romantico, che mi ami alla follia, che mi faccia sentire una regina, che sia fedele, che sappia capirmi, che sia dolce, sincero, interessante, sportivo, amante della natura e dei viaggi, elegante … se poi pilotasse un aereo, allora beh, me lo sposerei subito … subitissimo!” Silvia aveva le idee chiare. Le soddisfazioni non avevano tardato ad arrivare, e fin dai primi esami Silvia aveva dimostrato la sua eccezionale capacità e predisposizione per i suoi studi che proseguivano nel migliore dei modi. E questi successi erano stati anche la grande occasione per celebrare e festeggiare: notti, giorni, settimane travolte da Silvia e dai suoi sogni, dai suoi aereoplanini di carta che aumentavano a vista d’occhio e si perfezionavano nelle forme. Così erano trascorsi gli anni, tra cene a lume di candela, fragolino bianco e dolci al cioccolato per i nostri indimenticabili Natali, cacce al tesoro per trovare i regali nascosti nei posti più impensati, Tai Box ed arrampicate tra una suonatina al piano e l’altra, i giri in Roller ai giardini del Valentino, le corse mattutine ai Murazzi, le piadine con gli amici, gli esperimenti culinari, il viaggio a Londra (in treno, purtroppo per Silvia che non la smetteva di sognare un viaggio in aereo), i capodanni colorati, le risate senza fine, gli abbracci ed i sogni … Ma i sogni si erano fatti realtà: “Pensavo di andare un anno a studiare all’estero … così finalmente salirò su un aereo, e poi una volta preso l’aereo tanto vale viaggiare no ? Secondo voi, è meglio San Diego o Berkeley?”, aveva chiesto Silvia mentre sfogliava i programmi di studio, le foto, le informazioni. Dovevamo partire. In qualche modo bisognava salutare Torino e chi aveva vissuto con noi quei 3 anni di vita insieme. “Invitiamo tutti al Valentino, al gazebo vicino all’Orto Botanico! Riuniamo là tutti gli amici per un commiato finale alla grande!”. Questa era stata la grande proposta di Silvia. Grandissima idea! Grandissimo sforzo! Queste parole erano state tutto il suo contributo mentre io e Luisella avevamo dovuto organizzare il resto. Quella notte fu unica. Sembrerà strano ma vedere i propri sogni che si realizzano può significare anche tanta tristezza. Ed era stato con gli occhi lacrimanti e il naso rosso (che non era allergia alla polvere anche se di polvere là dentro ce n’era tanta) che avevamo sbaraccato il nostro appartamento: i poster, le foto, i CD, le bici . Silvia aveva trovato oggetti di cui aveva dimenticato l’esistenza da tempo indeterminato dispersi nei meandri della confusione. Fu difficile salutarsi e pensare che non avremmo più visto la nostra cara amica Silvia entrare dalla porta con il fiatone perché “fare le scale a piedi fa bene al culetto! E poi adesso mi posso mangiare un sacchetto di Condorelli senza scrupoli di coscienza!”, Silvia stravaccata nel mezzo del tavolo della cucina con una montagna di libri dai quali allungava la testa per vedere chi stava entrando dalla porta, Silvia alle prese con pentole che bruciano perché “io l´olio ce lo metto dopo, a crudo!”, Silvia chiusa in camera che prende a pugni lo specchio, Silvia chiusa in camera che suona al pianoforte una musica per comunicarci il suo stato d´animo, Silvia chiusa in camera sotto una montagna di coperte, piumini, cuscini ed intorno una montagna di libri, maglioni, calzini, scarpe, magliette, Silvia chiusa in camera a volare con la fantasia, Silvia davanti allo specchio per ore, Silvia dentro al bagno per un´eternità, e poi ancora Silvia in giro per Torino con quel Ciao rosso che sfreccia tra le automobili e i suoi “Dio ci salvi!” E così la nostra eroina aveva cominciato con i preparativi per la partenza. Anch’io e Luisella ci stavamo preparando perché, coincidenza voleva che fossimo tutte e tre a partire per nuovi mondi e nuove avventure. Avevamo deciso di registrare una cassettina per ascoltarla poi durante il viaggio, una per ciascuna. Ed anche in questa occasione Silvia non si era accontentata di registrarci un nastro con le canzoni di qualche cantante più o meno conosciuto. No. Non lei. Così io e Luisella avevamo trovato un piccolo pacchetto nella cassetta della posta. Mittente: Silvia. Dentro quell’involucro di carta (apparentemente normale) avevamo trovato: uno spartito con le note dell’indimenticabile sinfonia che Silvia frequentemente ci dedicava, Waldsteiner, una cassetta in cui aveva registrato una sua memorabile interpretazione di quella stessa melodia e una lettera con cui ci comunicava la sua poesia. Una poesia kandinskiana, scritta con l’anima di una musicista che ascoltava la vita in armonia con le persone che amava e con le quali desiderava creare una sinfonia magica, quella sinfonia eterna ed unica che si può comporre solo in certi momenti di assoluta ispirazione. E poi, dulcis in fundo, come una ciliegina sulla torta, usciva la voce di Modugno con la sua “Nel blu dipinto di blu””. E l’ispirazione portò Silvia fino a San Diego, in quella città dall’estate tutto l’anno, dai surfisti statuari nelle spiagge e tra le onde, dalla vita sana e sportiva, dalla gente no smoke, dall’ Università no stop. Le vie di comunicazione fortunatamente in questo nostro periodo della vita sono molto rapide e dirette, così la nostra apparente lontananza tagliava le distanze con i fili di internet e la meravigliosa posta elettronica … quotidianamente trovavamo il modo per comunicare la nostra situazione psico-fisica : “Ragazze, 8 chili in pochi mesi … non è una cosa normale! Devo iniziare la dieta … È che qui è tutto più grande … lo spazio , le distanza, la mia pancia … e la gente è pazza, non so, sono tutti impazziti qui! E questo tipo? Cosa fa? Sorry? What? Bah…ragà, da domani inizio windsurf e il corso di sub e a correre e a svegliarmi prestissimo alla mattina e a studiare e ad uscire di più con gli amici e a prendere il sole e a camminare per la spiaggia e a guardarmi tutte le sere i tramonti di San Diego e … a proposito: inizio un corso di deltaplano, sarà bellissimo, fantastico! Volerò. Non come quando sono venuta qui: come prendere l’autobus, non volare. Col delta volerò davvero e ancora e ancora e ancora … finalmente!” . Un anno era trascorso in fretta e Silvia aveva visto tutto ciò che una persona è in grado di vedere: Gran Canyon, San Francisco, il Messico … ma la cosa più importante era stato l’incontro con l’uomo della sua vita : Miky. Che era proprio come lo aveva sognato e addirittura faceva il pilota per una compagnia di volo americana. Silvia era rientrata in Italia col suo amore ed era stato così che quel periodo natalizio lo avevamo trascorso con i nostri rispettivi principi azzurri (per la prima volta nella nostra vita) brindando con un bicchiere di ottimo vino rosso in una tipica osteria di Conegliano. Poi Miky era ripartito alla volta di Madrid, dove abitava e dove desiderava sposare la sua Silvia, mentre Silvia, dal canto suo, aveva già deciso di studiare e preparare la tesi a Madrid: “Perchè quando mi sarò laureata sposerò il mio Miky senza perdere tempo prezioso”, ci aveva confidato. “Adoro la Spagna!” Così tra mille peripezie la nostra eroina si era trovata al momento finale di percorso. Era durato un tempo indimenticabile, era stato pieno di emozioni, di novità, ma soprattutto di amici e d’amore. Silvia stava per raggiungere il suo traguardo e noi due eravamo orgogliose e piene d’ammirazione per come la nostra amica aveva costruito il suo percorso, per quello che era, per tutto ciò che avevamo condiviso, per ogni momento vicino e lontano, per ogni parola di conforto e di positività, per una amicizia unica ed autentica, per quegli abbracci di “arrivederci” e di “bentornata”, per ogni nostra preziosa pazzia, per essere cresciute e cambiate insieme, per ogni nota che ci ha accompagnato in quel magico momento della nostra vita.

L’ultima volta che abbiamo visto Silvia, la nostra meravigliosa Silvia, stava partendo alla volta di Madrid, per preparare la sua tesi e per sposare il suo Miky, con il volo Iberia Venezia-Madrid delle 15 e 32. Era il quindici di ottobre, una giornata opaca, velata dalla nebbia. Io e Luisella eravamo tristi per la sua partenza, ma sapere che si sarebbe laureata e poi sposata ci sollevava un po’, anche se l’anima restava gonfia come per un oscuro presagio. L’avevamo salutata nella sala d’aspetto, stretta forte fino a farla esclamare: “Ragà! Mi state soffocando …”, e poi l’avevamo salutata mentre saliva la scaletta dell’aereo. Era così felice che ci era sembrato di vedere il suo sguardo brillare fin da così lontano. Era felice, e noi per lei. Aveva sorriso, Silvia, mentre saliva la scaletta dell’aereo, aveva continuato a salutarci sbracciandosi senza sapere che quel saluto sarebbe stato per noi e per lei l’ultimo dei nostri saluti.

L’aereo della compagnia Iberia, decollato alle 15 e 32 dall’aeroporto Marco Polo di Venezia con destinazione Madrid,  è precipitato poco dopo il decollo. Probabilmente  per un guasto ai motori. Testimoni riportano di aver visto due scie di fumo e di aver udito poco dopo un forte boato. Rottami dell’aereo sono dispersi su una vasta zona di mare. Dalla dinamica dell’incidente e dalle notizie trasmesse dai primi soccorritori sembrerebbe che nessun passeggero si sia salvato. (Agenzia Ansa, ore 15 e 43)


# proprietà letteraria riservata #

Papera volante animata
Alìda Casagande

Quella mattina

elicottero decollo  virataCi sono storie che noi e voi amanti del volo non vorremmo mai leggere sulle pagine dei giornali, ascoltare nei radiogiornali o, peggio ancora, vedere nei telegiorniali. Eppure queste notizie, anche se di rado, le leggeremo, le ascolteremo e le vedremo. Rassegnamoci. Nostro malgrado e malgrado le statistiche sostengano che gli aeroplani sono il mezzo di trasporto più sicuro costruito dall’uomo. Vi siete mai domandati quante storie, quanti “percorsi” sono volati via, in pochi istanti, nelle poche parole asciutte e circostanziate che compongono queste notizie?  … beh, in “Quella mattina” troverete una di quelle storie, uno di quei percorsi che poco si concretizzano in un breve resoconto giornalistico. Un racconto che vi sorprenderà. Per l’energia che vi trasmetterà la protagonista e non solo. Un altro cammeo di elevata caratura letteraria di Alìda Casagrande, un’altro grande regalo concesso a “Voci di hangar”.


Racconto / Medio – breve Pubblicato: in esclusiva per “Voci di hangar” in occasione dell’apertura della nuova sede (www.vocidihangar.it)