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Rise Against EagleS

titolo: Rise Against Eagles – Stories of RAF airmen in the Battle of Britain

autore: Christopher Yeoman & Adrian Cork

Editore: Fonthill (www.fonthillmedia.com – office@fonthillmedia.com)

data di pubblicazione:  2012 (nel  Regno Unito)

ISBN libro cartaceo) : 978-1-78155-085-4

ISBN ebook: 978-1-78155-161-5




Durante oltre mezzo secolo di vita aeronautica che ormai grava sulle mie spalle ho sentito un numero immenso di racconti da parte di un altrettanto immenso numero di persone. Piloti, soprattutto. Molti dei quali avevano fatto la guerra, avevano combattuto, avevano riportato ferite. E avevano visto accadere tante cose tremende, davanti ai loro occhi. O, magari, tante cose bellissime.

Sin da ragazzino ho sempre ascoltato i racconti dei veterani con grande interesse. E sono certo di aver esortato ognuno di loro a scriverle, queste loro avventure. Sin da sempre mi sono sentito fortunato ad aver avuto accesso a tanti eventi che altrimenti non avrei mai neanche sospettato potessero essere avvenuti, ma allo stesso tempo mi convincevo che tutti avrebbero dovuto essere altrettanto fortunati da sentirli. Perciò, chiunque avesse avuto qualcosa da raccontare, avrebbe fatto meglio a scriverla. E subito. Prima di correre il rischio di dimenticare.

Una fantasmagorica immagine che ritrae un Supermarine Spitfire ripreso frontalmente in volo. Il velivolo, assieme all’Hawker Hurricane, costiuì il nerbo del Fighter Command britannico posto a difesa dell’isola nel corso della famosa Battaglia d’Inghilterra (foto proveniente da www.flickr.com)

Neanche a dirlo, ancora oggi non perdo occasione di esortare tutti coloro che incontro e che hanno storie da raccontare, di non raccontarle solamente, ma di scriverle, perché non vadano perdute.

Ben pochi, però, mi hanno dato ascolto.

Tuttavia qualcuno lo ha fatto. E di ciò mi sento piuttosto fiero.

Per fortuna molti personaggi che non conosco, che hanno vissuto lontano da me, in altre realtà e in altri paesi, hanno scritto le vicende della loro vita operativa, senza che a spingerli siano state le mie esortazioni.

Per gli amanti delle statistiche e/o dei numeri sarà utile ricordare che alla Battaglia d’Inghilterra (virtualmente cominciata il 10 luglio e terminata il 31 ottobre 1940) parteciparono circa 2300 piloti di cui ben 574 piloti provenienti da paesi diversi dal Regno Unito, alcuni facenti parte delle nazioni ex colonie britanniche e altri ancora esiliati oppure rifugiati originari dei paesi dell’Europa allora occupata dalle truppe tedesche. Il gruppo più numeroso era costituito dai piloti polacchi con ben 145 unità, a seguire i neozelandesi con 135 piloti, quindi i canadesi con 112 e 88 di cecoslovacchi. Belgi, australiani e sudafricani in ordine decrescente. Potremmo continuare poi con i francesi, gli irlandesi e via discorrendo. In effetti anche i piloti statuntensi parteciparono in ragione di 11 uomini sebbene sotto mentita nazionalità: gli USA erano allora ancora ufficialmente neutrali e, per non compromettere la loro neutralità, il governo statunitense minacciò i suoi connazionali di cancellare loro il passaporto e ventilò addirittura la prigione. Fu allora che i piloti a stelle e strisce si dichiararono di nazionalità canadese … e i reclutatori della RAF non indagarono oltre. Tornando alle statistiche, a testimoniare la bontà dell’operato dei piloti “stranieri” della RAF, occorre precisare che, dopo i primi tre piloti britannici, nell’albo d’oro degli assi della Battaglia d’Inghilterra si annoverano immediatamente dopo il sergente cecoslovacco Josef František con 17 velivolo abbattuti, il neozelandese Brian Carbury con 15 e 1/3 aeroplani accreditati, quindi il polacco Witold Urbanowicz con 15 abbattimenti accertati e un’altro neozelandese Colin Falkland Gray con 14 e 1/2 e così via scorrendo l’elenco… ciò anche a dimostrazione che i britannici non rimasero mai soli a contrastare gli agguerriti piloti della Luftwaffe. Nella stupenda foto anticata (scatto del 2013) possiamo ammirare un pilota con indosso la combinazione di volo dell’epoca utilizzata dai piloti polacchi. Egli è seduto sul bordo d’attacco di uno Spitfire Mk Vb utilizzato dai reparti polacchi appunto. (foto proveniente da www.flickr.com)

Esistono infatti molti libri (non solo le autobiografie o le biografie scritte da storici o studiosi vari) che raccolgono testimonianze, racconti, relazioni ufficiali o personali. Ed esistono perché qualcuno, dalla mente brillante e lungimirante, ha pensato di raccogliere tutti questi pezzi di Storia prime che andassero perduti per sempre.

Il libro di cui mi accingo a parlare è nato così.

La prefazione, scritta dal Flight Lieutenant Charles “Tich” Palliser, pilota pluridecorato che ha combattuto nella Battaglia d’Inghilterra, non è altro che una sorta di ringraziamento agli autori, proprio per aver raccolto tante storie e per averle pubblicate. Molti dei piloti, le cui vicende sono narrate nel libro, erano già ben conosciuti da Palliser, che aveva combattuto con loro. Uno di questi è Tom Neil, autore di altri libri, alcuni dei quali ho recensito per Voci di Hangar. Neil era stato il comandante di Palliser.

Un altro pilota, Terry Crossey, sud africano, è particolarmente caro a Palliser, perché attraverso di lui ha conosciuto una ragazza che poi è divenuta sua moglie.

Ancora una bella immagine di uno Spitfire recante livrea e insegne di un reparto polacco che partecipò attivamente alla Battaglia d’Inghilterra. Mentre Winston Churcill, nel suo celebre aforisma, definì “few” – pochi i piloti che difesero l’isola britannica, lo storico Dennis Richards, sempre a proposito di coloro che combatterono nei cieli britannici nel 1940, espresse questo toccante commento: “La Battaglia d’Inghilterra fu combattuta dalla più allegra brigata di gente che mai dovette sparare le proprie armi con rabbia” e concluse con: “… i piloti di Dowding avevano qualcosa di più che non il solo coraggio”

Qualcun altro gli aveva donato un dipinto, che ancora fa bella mostra di sé su una parete della sua abitazione.

Ma, alla fine della prefazione, Palliser aggiunge qualcosa che mi trova particolarmente d’accordo:

“This work also pays tribute to the pilots from New Zealand, Poland and Czechoslovakia – a wonderful band of men. Of course, there are many wonderful pilots  in this book who I never knew and never met but I very much enjoyed reading about them all. I offer my congratulations to Christopher and Adrian on producing a wonderfully written book”.

“Questo lavoro costituisce anche un tributo ai piloti neozelandesi, polacchi e cecoslovacchi – un gruppo di uomini meravigliosi. Naturalmente, ci sono altri meravigliosi uomini in questo libro, che non ho mai conosciuto né incontrato, ma mi è molto piaciuto leggere di tutti loro. Porgo le mie congratulazioni a Christopher e Adrian per aver prodotto un libro meravigliosamente ben scritto”.

Il velivolo qui ritratto è uno Spitfire Mk LF Mk XVI gelosamente conservato nel Muzeum Lotnictwa Polskiego (Museo dell’Aviazione polacco) situato a Krakòw (Cracovia) a testimonianza fisica e indelebile del contributo enorme – e forse determinante – che i piloti polacchi prestarono nel corso della II Guerra Mondiale nella difesa della Gran Bretagna durante la  Battle of Britain (come la chiamano gli anglosassoni) o Battaglia d’Inghilterra. Sottolineiamo “gelosamente conservato” perché questo esemplare costruito nel 1944 ed ex RCAF (abbreviazione della Royal Canadian Air Force – Reale Forza Aerea canadese) fu acquisito, dopo diverse peregrinazioni – non ultimo la partecipazione a un film intitolato “Battle of Britain” – dal Museo polacco di Cracovia solo nel 1977. In effetti già in passato il Museo dell’Esercito polacco di Varsavia aveva ricevuto in dono ben due esemplari di LF Mk XVI E ma con delle vicissitudini dal risvolto distruttivo. Andò cosi: al termine della guerra la RAF organizzò una manifestazione aerea internazionale proprio a Varsavia e, ovviamente si esibirono i due spitfire. In seguito i due velivoli rimasero in Polonia (non era certo il caso di riportarseli in Gran Bretagna) tuttavia, a causa dell’ostracismo e dell’atteggiamento manifestatamente ostile nei confronti di qualunque simbolo capitalista da parte delle autorità comuniste polacche, i due esemplari finirono letteralmente rottamati. L‘esemplare oggi musealizzato mostra la livrea e le sigle che furono di un velivolo realmente appartenente al 308° Fighter Squadron “Città di Cracovia”, reparto soprannominato in polacco “Zefiry” (zefiro) che faceva parte del 131° Polskim Skrzydłem Myśliwskim (Stormo Caccia polacco). Il velivolo originale prestò servizio in combattimenti aerei, attacchi al suolo, alle vie d’acqua e alle basi di lancio delle V1 e V2 tedesche. Vi invitiamo perciò a visitare fisicamente lo splendido Museo di Cracovia e, se proprio impossibilitati, il sito web del Museo all’indirizzo: http://muzeumlotnictwa.pl/muzeum/en/

Ecco, due sono i contenuti salienti di questo libro: una raccolta di racconti fatti da personaggi diversi, piloti attivi nel periodo della battaglia d’Inghilterra e, sempre attraverso racconti, un contributo al giusto proposito di portare a conoscenza del mondo l’esistenza di altre squadriglie di volo della RAF che erano però costituite da piloti stranieri. E, posso aggiungere in accordo alla dichiarazione di Palliser, un tributo al valore di questi equipaggi non inglesi che non hanno trovato, finora, un posto adeguato nella luce della Storia.

Eppure, il loro valore non era stato secondo a nessuno. Anzi. Il numero totale degli abbattimenti di aerei nemici da parte delle squadriglie di non inglesi è, molto verosimilmente, addirittura superiore a quello del resto della RAF.

Allora perché non sono mai usciti alla ribalta delle cronache dell’epoca e ancora oggi la Storia tiene le loro gesta in una certa oscurità?

Forse per una serie di motivi, non ultimo proprio il fatto che non si sia voluto mettere in ombra il prestigio nazionale. Conoscendo il carattere degli inglesi, mi pare poco probabile che potessero essere lieti di dichiarare al mondo che degli stranieri avessero avuto il merito di aver fatto meglio di loro. Gente che non parlava neanche bene l’inglese! Un buon motivo per considerare una persona come se fosse di un lignaggio inferiore.

Oggi come allora la messa in moto di uno Spitfire produce … fiamme! (foto proveniente da www.flickr.com)

E’ mia opinione personale che proprio la scarsa conoscenza della lingua abbia operato una sorta di separazione inesorabile. Una lingua difficile da imparare subito, almeno al punto da evitare che un inglese possa capire senza storcere il naso. Senza che gli venisse subito sul volto la classica espressione semi disgustata e rispondesse, con il labbro tirato (Stiff upper lip, per il quale gli inglesi sono famosi), in maniera classica ed inevitabile:

“I can’t understand you. Speak english, please”!

I piloti di lingua slava restarono in disparte. Nonostante la loro bravura e il loro valore. Erano parte dello stesso mondo, stavano dalla stessa parte, combattevano contro lo stesso nemico, ma erano divisi da un muro di difficile comunicazione. Perciò restarono inevitabilmente ai margini della RAF.

Inoltre, dopo la guerra questi stranieri se ne sono andati. Sono tornati ai loro paesi di origine, nelle loro aviazioni. E sono scomparsi dalla scena.

Alcuni di loro si sono impegnati in altre professioni. Altri hanno continuato a volare.

Qualcuno ha scelto di continuare la carriera militare, mentre altri hanno preferito entrare nelle compagnie aeree civili, che stavano nascendo ovunque in quegli anni e hanno dato un contributo notevole al loro sviluppo.

Comunque sono pressoché svaniti. E la storia ha appena accennato alla loro esistenza.

Vorrei anche ricordare un fenomeno ricorrente che si è verificato dopo la fine delle tragedie belliche. Si è sviluppato un certo rifiuto a ricordare. E’ intervenuta una forte ritrosia a raccontare episodi tanto dolorosi. Spesso le mogli, i figli, gli amici non sapevano quasi nulla di ciò che erano state le vicende attraverso le quali erano passati i loro cari, prima di fare ritorno.

Non capita spesso di vedere uno Spitfire biposto al tramonto (o all’alba?). L’occhio sintetico del fotografo ha invece immortalato questo istante magico regalandoci in chiave moderna quello che molti piloti vissero realmente prima e durante la Battaglia d’Inghilterra. A proposito della lunga cappottina trasparente di questo raro velivolo biposto ci viene in mente quanto disse lord Hugh Caswell Tremenheere Dowding, capo supremo della Difesa Aerea britannica durante la II Guerra Mondiale a proposito della necessità di dotare i “suoi” caccia di vetrature in blindo-vetro. Ebbene, di fronte ai burocrati ottusi dello Stato Maggiore che ridacchiavano sotto i baffi (lasciando intendere che la richiesta era grottescamente impraticabile), Dowding disse loro con fermezza: “Se i gangster di Chicago possono disporre di vetri a prova di pallottole per le loro vetture non riesco a vedere per quale ragione anche i miei piloti non debbano esserne provvisti”. I piloti ringraziarono a posteriori per le tante vite salvate da Dowding e i suoi gangster. (foto proveniente da www.flickr.com)

Infatti non ne sappiamo granché neanche noi, oggi. Difficile capire, con la nostra mentalità moderna. Arduo rappresentarci una realtà tanto diversa, che era la vita quotidiana negli anni di guerra.

“From a modern perspective it is difficult to appreciate what Second World War pilots went through when they saw their collegues’ aircraft fall from the sky in combat, when they witnessed friends collide with other aircraft and when parachutes failed to open. Such sights occurred on a daily basis as young men from all over the world fought for their respective countries”.

“Da una prospettiva moderna è difficile apprezzare cosa hanno dovuto attraversare i piloti della Seconda Guerra Mondiale quando vedevano gli aerei dei loro colleghi cadere dal cielo durante i combattimenti, quando vedevano gli amici scontrarsi con altri aerei e quando i paracadute non si aprivano. Questi fatti accadevano giornalmente mentre uomini giovani provenienti da ogni parte del mondo combattevano per i loro rispettivi paesi”.

Sì. Molti hanno preferito tacere. Dimenticare e andare avanti.

E invece avrebbero dovuto fare proprio il contrario. Raccontare. Condividere, come diciamo oggi. La parola “condivisione” dilaga ormai in tutti i cosiddetti “social“.

Rise Against Eagles è importante proprio per questo motivo.

I vari racconti, di autori diversi, vanno a riempire le quattro sezioni dell’opera e si leggono, come sempre, con estremo interesse.

Uno di questi autori, tanto per fare un esempio, parla di Tom Neil.

Il velivolo qu ritratto reca le insegne che furono del sergente pilota cecoslovacco Josef Frantisek appartenente al 303° Polish Squadron basata a Northholt. Josef Frantisek è ricordato come l’asso che abbattè il maggior numero di velivoli tedeschi durante la Battaglia d’Inghilterra e per questo gli fu attribuita la DFC, la Distinguished Flying Medal, con una Bar. Ghirlande e omaggi floreali continuano a essere deposti ogni anno nel giorno del suo compleanno al monumento fuori dalla casa di famiglia a Otaslavice nell’attuale Repubblica Ceca.  La foto è stata scattata nell’ottobre del 2020 nel corso del Duxford Showcase Airshow. Così si espresse lord Dowding a proposito dei piloti polacchi che presero parte alla battaglia: “Se non fosse stato per il magnifico materiale (umano) fornito dagli Squadron polacchi e la loro insuperabile galanteria, esito a dire che l’esito della battaglia (d’Inghilterra) sarebbe stato lo stesso”. (foto proveniente da www.flickr.com)

Ed è straordinario, dopo aver letto i suoi libri e visto il mondo dal suo punto di vista, vedere ora lui con gli occhi di un altro.

Il nome di Tom Neil appare in vari racconti. Così come le descrizioni delle battaglie aeree e delle vicende quotidiane nelle quali i protagonisti si muovevano, anche i protagonisti stessi finiscono per riapparire qua e là nei racconti che costituiscono le quattro sezioni del libro.

Ma vorrei soffermare l’attenzione soprattutto su alcuni capitoli.

Il capitolo cinque, il sei, il sette e il dieci parlano proprio dei piloti polacchi e di altri paesi, come ad esempio l’Ucraina, ma qualcuno viveva in Cecoslovacchia prima dell’inizio della guerra. Tutti sono accomunati dal fatto che parlano, sì, lingue diverse, ma sono tutte lingue slave e tra loro si capiscono benissimo.

La loro storia è di grandissimo interesse.

Tutti, alle prime avvisaglie di aggressione da parte della Germania, decidono di partire. E di raggiungere l’a gran Bretagna per combattere contro i tedeschi invasori.

Qualcuno fugge in aereo, altri con mezzi terrestri, ma il loro percorso conduce infine alla Gran Bretagna, sebbene con tappe intermedie di diverso tipo.

Un Supermarine Spitfire, pietra angolare del Comando Caccia britannico. Qui mostra le bande d’invasione applicate ala vigilia del D-Day, ossia l’operazione con la quale gli Alleati lanciarono l’invasione della Normandia e dunque la riconquista dell’Europa. La strategia di sir Dowding, artefice della vittoria della Battaglia d’Inghilterra, era chiara e lineare. La spiegò con queste poche parole: “I tedeschi dovevano cercare di facilitare il trasferimento delle loro forze di terra attraverso la Manica per invaderci il paese e così porre termine alla guerra. Io, invece, non stavo cercando di vincere la guerra per mezzo del mio Comando caccia; dovevo soltanto cercare disperatamente d’impedire ai tedeschi di raggiungere il successo nella loro preparazione per un’invasione. Il mio era un ruolo puramente difensivo per cercare di fermare la possibilità dell’occupazione e dare così alla nazione un periodo di respiro perché, dopo averlo ottenuto, avremmo potuto vincere o perdere la guerra o avremmo potuto accordarci per una sospensione delle ostilità: nel futuro tutto sarebbe potuto accadere. […] Dovevo farlo impedendo loro di prendere il controllo del cielo”. Ma la scelta più lungimirante di Dowding fu di divulgare fin da subito questa sua semplice strategia a tutti i suoi uomini lasciando ai suoi diretti subalterni la necessaria autonomia nelle scelte tattiche o nelle tecniche di combattimento più appropriate (foto proveniente da www.flickr.com)

Le tappe possono essere, ad esempio, Praga – Francia – Gibilterra – Scozia – Inghilterra.

Oppure Praga – Polonia – Francia – Algeria – Gibilterra – Scozia – Inghilterra.

Il percorso scelto dipendeva dal particolare momento e dagli avvenimenti che caratterizzarono gli spostamenti tedeschi nella loro opera di aggressione alle varie nazioni europee.

Era una fuga, non una gita di piacere.

Dall’Algeria, ad esempio, molti andarono via mare verso Gibilterra perché la Spagna e il Portogallo erano neutrali. Tuttavia, specialmente dopo Gibilterra, il resto del viaggio li esponeva all’attacco dei sottomarini tedeschi che infestavano l’Atlantico. Appena i tedeschi cominciarono ad invadere gli stati limitrofi il pericolo rappresentato dai sottomarini era già presente.

Come ho detto, nella RAF combatterono piloti di ogni nazione. C’erano gruppi di neozelandesi, di australiani, di francesi, di polacchi, di cecoslovacchi e di altri stati. La Francia, al comando del generale De Gaulle era presente in Inghilterra con una sigla divenuta abbastanza famosa: FAFL, Forse Armate Francesi Libere. Di queste faceva parte Pierre Clostermann, che combatté nella RAF pilotando uno Spitfire e poi un Tempest. Ho recensito il suo libro “La grande Giostra” qui su Voci di Hangar.

Allora, perché mi voglio soffermare proprio sui piloti che venivano da Polonia e Cecoslovacchia?

Perché nel leggere il libro ho notato una certa somiglianza con le vicende di un film.

Si tratta di “Dark blue World“. Un film uscito alcuni anni fa, che mi era piaciuto moltissimo.

Si trova facilmente in DVD, ma è possibile vederne alcune parti anche su You Tube.

La famosa frase di Winston Churchill adorna gli altorilievi dedicati ai “few” – “i pochi” del memoriale dedicato alla Battaglia d’Inghilterra. Il monumento riporta infatti i nomi dei 2.936 aviatori e personale di terra di 14 paesi che presero parte alla battaglia  (foto proveniente da www.flickr.com).

Nel cuore di Londra, sulle rive del Tamigi, nei pressi Westminster ha trovato collocazione il memoriale inaugurato nel 2005. A noi piace pensare che fossero semplicemente “piloti” coloro che si trovavano a bordo degli Spitfire oppure dei Bf-109, degli Hurricane come pure degli Heinkel He-111 e così via. Tutti indistintamente equipaggi di velivoli che svolsero il loro dovere di soldati a prescindere dalla livrea, le insegne e la bandiera disegnata sulla loro ala e sulle fiancate delle fusoliere. (foto proveniente da www.flickr.com)

Nel libro si parla di un istruttore che insegna a volare ai suoi allievi. Il vento di guerra comincia a spirare. L’istruttore decide di partire, seguito da alcuni allievi.

Anche nel film viene rappresentata questa scena.

Chissà che gli autori del film non abbiano tratto spunto da qualche racconto di questi?

Lascio la lettura del libro a chi lo vorrà leggere. Ma invito tutti anche a vedere il film che ho appena menzionato.

Una scena che si può  cercare su YouTube e che ricalca quanto ho detto sopra, mostra un gruppo di piloti cecoslovacchi della RAF che partono su allarme. Salgono sui loro Spitfire e decollano.

Dopo il decollo salgono nel cielo, ad intercettare i bombardieri e i caccia nemici.

In altre parole, salgono contro le Aquile, come venivano chiamati gli aerei del terzo Reich.

Questo è appunto il titolo del libro: Rise Against Eagles.

Basta digitare “dark blue world – Spitfire and Bf 109 Scene“, ma anche solo “dark blue world“, nella stringa di You Tube. E’ il primo video che appare.

E’ una scena bellissima. Mostra i giovanissimi piloti che corrono verso gli aerei e mettono subito in moto. Una volta in volo si sente la voce del controllore radar che li guida verso le formazioni nemiche.

La locandina del film dedicato ai piloti polacchi che contribuirono al successo nella Battaglia d’Inghilterra

La locandina del film che racconta la storia del famosissimo 303° Squadron polacco

Si sentono le loro risposte rapide. Ed è subito evidente la loro diversa pronuncia delle parole inglesi.

Segue qualche frase concitata in lingua slava.

Immancabilmente, la voce del controllore, tra il seccato e il severo, interviene subito:

“I don’t understand. Speak English, please”!




Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer),

Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR