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Un volo indimenticabile

Viene fatta risalire al celeberrimo trasvolatore statunitense Charles Lindenbergh una frase quanto mai pertinente a questo breve racconto. Recita così:

L’avventura giace in ogni soffio di vento.

 

Chissà se l’autore di “Un volo indimenticabile”, l’affabile Sandro Rosati, sottoscriverebbe con doppia firma quanto sintetizzò il mitico Lindy quasi cent’anni fa!?

Di sicuro il nostro buon Rosati ha così sintetizzato la sua fatica letteraria: 

“Il breve racconto di una piacevole gita di fine settimana con un aereo da turismo ci fa comprendere che, nonostante la buona preparazione del volo e le ottime caratteristiche del monomotore impiegato, l’imprevisto è sempre in agguato e che la prudenza non è mai troppa.”

Il vero protagonista di questo racconto: il Pracaer F15E Picchio costruito dalla General Avia. Benchè il velivolo avesse ottime doti di volo (semi acrobatico e con capiente bagagliaio, sedili comodi per quattro persone) non fu costruito in grandi numeri tanto che, nato  alla fine degli anni ’50 come ulteriore sviluppo del Falco e Nibbio, non ebbe il successo che meritava. L’ Aeronautica Militare Italiana, in particolare, dovendo trovare un velivolo ad elica per uso collegamento e traino alianti, gli preferì il SIAI 208 e dunque affossò di fatto la produzione della serie “E” di cui fa parte I-PROD (qui ritratto) e I-PROM che fu invece presentato al Salone Aeronautico di Le Bourget nel maggio del ’73

Parole sante, aggiungiamo noi! Peccato che, dal punto di vista squisitamente letterario, le parole dell’autore non abbiano convinto granchè la giuria della V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” organizzato dal nostro sito e dall’HAG (Historical Aircraft Group). La giuria – dicevamo – non ha ritenuto questa breve cronaca di volo meritevole  di accedere alla fase finale del Premio e dunque l’ha relegata alla sola pubblicazione nel nostro sito. Ci spiace per il caro Sandro ma per noi si è trattata di una vera manna dal cielo!

Il racconto nasce da un’esperienza realmente vissuta dall’autore e da suoi tre amici/che, che loro malgrado, si sono trovati nella classica situazione imprevedibile e dunque indimenticabile. Anche se in senso negativo, purtroppo per loro.

Gli interni assai conforevoli del Picchio in cui si è consumata la vicenda narrata dall’autore nonchè protagonista, suo malgrado. Non stentiamo a credere che, a seguito di quanto accadde, le tappezzerie siano state completamente rinnovate.

Dunque non un’opera di fantasia ma di cronaca verace che piacerà agli amanti dei testi con taglio giornalistico.

In effetti la prosa è molto abbottonata, asciutta, priva di qualunque artificio narrativo, usando un’espressione calzante: “vola via che è una bellezza”!

In verità appare più vicina a un resoconto tecnico che ad un racconto di volo, volo peraltro tutt’altro che tranquillo.

Con il senno di poi siamo lieti che non sia divenuta una relazione d’incidente aereo o un rapporto assicurativo – per carità – ma i toni, effettivamente, non sono poi così dissimili.

Probabilmente, nel bilancio complessivo del testo, pesa un ruolo determinante l’assenza di personaggi parlanti e dunque la completa mancanza di discorso diretto. Tutta la vicenda è raccontata in terza persona con eccessivo distacco, quasi con asetticità. In questo genere di eventi, non siamo abituati ad una dose così ridotta di pathos; da lettori, vorremmo essere più compartecipi all’azione e invece tutto si sviluppa con freddezza. Peccato.

Ancora una bella immagine a terra dello splendido velivolo uscito dalla matita del grande progettista italiano Stelio Frati. Non si potrà fare a meno di notare una certa affinità con il più ben famoso SF260 con il quale il Picchio F15E condivide la struttura metallica e numerosi soluzioni aerodinamiche/strutturali.

E dire che, avendo avuto la fortuna di conoscere l’autore di persona, posso affermare – senza ombra di esitazione – che trattasi di persona alquanto loquace, dal colloquiare piacevole, prodigo di particolari e battute sagaci. Ma forse  – e sottolineiamo “forse” – la sua naturale timidezza nel rivelare episodi relativi a fatti e persone lo ha molto inibito oppure il cimetarsi per la prima volta con un racconto in prima persona lo ha un poco impaurito … certo è che il suo testo è scorrevolissimo e si legge in un battibaleno. Non ha spigoli vivi, non ci sono periodi superflui: tutto è cesellato alla perfezione, senza alcuna sbavatura.

La splendia immagine  del Picchio scattata dal bravissimo fotografo Giorgio Varisco, peraltro partecipante e vincitore di alcune edizioni della sezione fotografica del  nostro Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”. Il suo occhio meccanico-digitale si trovava giusto appunto a bordo pista dell’aviosurficie di Montagnana (Padova) il 30 giugno del 2013, in occasione del  FlyParty, grande festa dei soci dell’HAG (Historical aircraft Group) aperta al pubblico e divenuta quindi appuntamento annuale degli appassionati di velivoli storici. Lo scatto mostra il Picchio in tutta la sua bellezza e la pulizie delle forme, tipica in verità di tutti i progetti dell’ing Frati.

In definitiva, tenuto conto che di esperienze – piacevoli e non – un pilota di navigata frequentazione aeronautica come il nostro Sandro ne avrà pur vissute (o comunque ne sarà stato testimone diretto o indiretto), siamo fiduciosi che in un prossimissimo futuro ci regali qualche altra confidenza dai connotati letterari. Anche perchè, con questo racconto, ci ha dato prova di avere dimestichezza con la grammatica e con la narrativa; magari dovrà aggiungere quel pizzico di “romanzato” che non gli è così congeniale … ma piace molto al lettore medio, noi compresi. E per questo motivo glielo suggeriamo caldissimamente.

L’unico rammarico sarà di non poterlo pubblicare giacchè, in quell’occasione, potremo leggerlo solo nell’antologia della prossima edizione del nostro Premio letterario. Noi ce ne faremo una ragione ma speriamo che il Rosati si metta già all’opera. Intesi?


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla V edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2017;

in esclusiva per “Voci di hangar”

 

Un volo indimenticabile

Dopo un lungo e noioso inverno era grande la voglia di sgranchirsi le ali ed i 300 cavalli racchiusi nel cofano motore del mio F15E “Picchio” scalpitavano, ansiosi di galoppare.

Per quel weekend di fine maggio 2003 mettemmo a punto un programma turistico, addestrativo e culinario molto interessante: partenza dall’aeroporto di Viterbo e, dopo un veloce scalo a Perugia per espletare le allora previste formalità di dogana e polizia, di nuovo in volo diretti a Pola con piano di volo IFR per mantenere “current” la mia arrugginita abilitazione al volo strumentale. Una volta arrivati in Croazia la giornata sarebbe proseguita con la visita della città ed allietata da una buona cena a base di pesce.

Il programma prevedeva di tornare a casa il giorno seguente dopo aver riempito fino all’orlo i quattro serbatoi dell’aereo con dell’ottima benzina avio pagata la metà di quanto costava in Italia.

In questa occasione i quattro posti disponibili erano tutti occupati. L’equipaggio, infatti, era composto oltre che da Alessia, che abitualmente riveste il ruolo di navigatore durante i nostri viaggi, e da Iulia, il fedelissimo cane corso che ci seguiva in ogni spostamento, da mio figlio Giulio che, allenato pilota militare ed istruttore di volo, svolgeva la funzione di pilota di sicurezza.

Decollammo da Viterbo alle 10.15 ed alle 11.40 eravamo pronti a partire di nuovo da Perugia per atterrare a Pola alle 13.00. Tutto si svolse come programmato e la mattina del giorno seguente, abbandonati i panni del turista, andammo all’ufficio meteo dove ci confermarono che il tempo lungo la rotta era buono. Presentato nuovamente un piano di volo strumentale, rifornito l’aereo e fatti i controlli prevolo, staccammo le ruote da terra alle 11.50.

Il Controllo ci autorizzò a salire e mantenere il livello di volo 90 come da me richiesto; era la quota più bassa prevista per quell’aerovia e 3.000 metri erano più che sufficienti per scavalcare l’Appennino. Ormai sembrava di assistere ad un film già visto; il Picchio con i suoi 320 litri di carburante ed il suo carico prezioso in cabina correva veloce verso il VOR di Ancona per poi accostare a destra puntando il VOR di Bolsena con destinazione finale, questa volta, l’aeroporto di Roma-Urbe.

Lasciata la costa, le montagne erano nascoste da una densa coltre lattiginosa apparentemente innocua ma con il passare dei minuti il suo chiarore quasi abbagliante cominciò ad attenuarsi. Il Picchio sobbalzava come un’auto che corre su una strada sconnessa, all’improvviso il parabrezza ci apparve come una lastra di piombo ed in cabina si riusciva a stento a leggere le carte. Da lì a poco iniziò a piovere con violenza e mantenere la quota divenne molto impegnativo.

Niente di grave se la situazione fosse rimasta tale ma il peggio doveva ancora venire: le condizioni meteo continuarono a deteriorarsi e a noi non rimase altro da fare che accendere il riscaldamento al tubo di pitot, per evitare che il ghiaccio lo ostruisse, e ridurre la velocità per attenuare le sollecitazioni all’aereo, non avendo l’F15E altri sistemi antighiaccio né un radar meteo. Nel frattempo la grandine aveva preso il posto della pioggia investendoci a 140 nodi, smerigliando il bordo d’attacco delle ali e ammaccando le alette di raffreddamento del radiatore dell’olio. All’interno il rumore era assordante e, nonostante avessimo le cuffie, per me e Giulio era impossibile comunicare. La turbolenza rendeva il Picchio quasi ingovernabile mentre alcuni fulmini, ignorandoci, ci sfioravano per proseguire verso terra.

Speravo ardentemente che il plexiglass del parabrezza spesso 5 millimetri non si rompesse quando mi voltai per un attimo verso il sedile posteriore. Nella penombra vidi quattro occhi sbarrati che mi puntavano desiderosi di una immediata conferma che tutto andava bene e che saremo subito usciti da quella tempesta; poi vidi che Iulia, nonostante i suoi 40 chili, si era fatta piccola piccola e si era attaccata ad Alessia la quale a sua volta la stringeva tra le braccia. Entrambe tremavano…  non si saprà mai chi delle due trasmettesse il tremore all’altra né se la causa del tremore fosse il freddo, dovuto al brusco abbassamento della temperatura nell’abitacolo, o  qualcos’altro! In quella situazione nessuno aveva pensato di aprire le bocchette dell’aria calda per riscaldare la cabina.

Non sono in grado di dire quanto durò quell’inferno: il tempo si era dilato ed i minuti erano lunghissimi, interminabili. Ricordo soltanto che, attraversata la cellula temporalesca, ci fu un miglioramento repentino ed il cielo tornò sereno.

Alle 13.40 atterrammo all’Urbe dove splendeva lo stesso sole che avevamo lasciato due ore prima a Pola.

A terra, un ultimo sguardo pieno di amore e riconoscenza all’F15E, inconfondibilmente elegante, ed il pensiero corse veloce all’insuperabile genio italiano suo ideatore: grazie Ingegner Frati!


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Sandro Rosati