Volo cieco

Capita di trovarsi in aria un tardo pomeriggio agostano ed aver voglia di giocare con un cielo che alterna zone di sereno a cumuli e temporali, tanto per “vedere” quanto sei allenato a cambiare rotta in situazioni di visibilità ridotta e mantenere i riporti senza Gps tra le colline. Capita di divertirsi molto e rimanere a bocca aperta dinnazi alla maestosità di un temporale che incappuccia l’Argentario, con il cumulo che si sfilaccia sopravvento ma resta imponente e compatto dall’altra parte. Capita di perdersi nello spettacolo dei lampi che squarciano il buco nero, mentre a lato il sole splende basso e brilla sul mare schiacciato dal vento. Poi capita di sentire un qualcosa nell’occhio e, come fatto migliaia di volte prima, strofinare la palpebra con la lente a contatto sotto. Così capita di sentire una stilettata, non vedere più nulla da quell’occhio, cominciare a lacrimare abbondantemente, al punto che la guancia, la barba e la maglietta sono zuppe. Così, dopo oltre un’ora di volo divertente, sereno, entusiasmante per il continuo cambiamento della natura, desideri solo essere a terra, strappare via quella lente maledetta e sostituirla con gli occhiali. Ma non puoi perché, talmente abituato alle lenti a contatto, non hai portato gli occhiali. Nel frattempo, tra dolore, lacrime, malessere generale che ti prende anche lo stomaco, sei arrivato a Tarquinia e decidi di rientrare all’Urbe. Il dolore dall’occhio si propaga alla guancia ed anche dall’altro la visione è fortemente pregiudicata dall’istintiva tendenza a chiudersi, certamente non migliorata da una lacrimazione a fontana ormai diffusa. Dalle parti del Soratte cominci a preparare l’atterraggio. Ti rendi conto di non avere la solita percezione della profondità ma, sopratutto, di non riuscire a sbirciare l’anemometro mentre guardi fuori. Oltretutto il bastardo è proprio a sinistra del pannello, dalla parte dell’occhio balordo. A Passo Corese ti metti per 210°, si fa meno fatica a guardare il direzionale che fuori, ma la gentile operatrice di torre ti informa che hai due traffici davanti. Guardi e riguardi ma, una leggera foschia esterna e la nebbia che si diffonde nel tuo visus, non ti fanno vedere altro che il muso ed il suolo. Avanzi con l’attenzione di chi ha le spille negli occhi ma anche sotto il posteriore. Aneli un diretto liberatore, eppure per una volta il circuito standard ti sembra più logico, o forse è solo la voglia di ritardare al massimo il momento finale. I controlli di sottovento diventano ossessivi. Fortunatamente si atterra con il sole di lato, a destra, quasi alle spalle e almeno questa è una buona notizia, visto che il dolore diventa quasi insopportabile con la luce diretta. Decidi di non procedere ad un atterraggio standard. Non sei in condizione di gestire assetto, quota, velocità, in modo da fare un corto pennellato. Due tacche sole di flap, velocità di avvicinamento + 10 nodi, un po’ piatto, motore a sostenere. Il finale lo conosci, i serbatoi sono a pochi secondi dalla pista che intuisci più che vedere realmente.Tagli il motore solo quando sei all’inizio dell’asfalto, retta un po’ più in alto del solito, che non saresti in grado di valutare correttamente niente di più basso, sfrutti la velocità in più e l’effetto suolo per farlo “accomodare” giù, anche se la pista scorre via, il fatidico “terzo” è arrivato e la tentazione di riattaccare è tanta. Un pelo di ala a destra che c’è un po’ di vento … contatto. Hai paura a toccare i freni perché il malessere è forte e la nebbia davanti agli occhi tanta. Lasci correre lungo la striscia bianca, fregandotene di mostrare quanto sei bravo a liberare sul primo raccordo. Smaltisci e freni in sicurezza. Finalmente esci. Il rullaggio al parcheggio è un calvario contro sole. Non hai tempo per compiacerti, caduta l’adrenalina il dolore ti assale ancor più bastardo. Strappi via la lente ma è troppo tardi. Qualche ora dopo esci dal pronto soccorso oftalmico con un occhio tappato, una diagnosi di profonda abrasione della cornea, una prognosi di otto giorni e la maturata sensazione di essere un cogl…e. Gli occhiali di scorta avrebbero evitato tutto questo.


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Roberto Talpo

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