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Nella cabina di pilotaggio

Arrivo all’aeroporto con largo anticipo per scoprire che il genio delle prenotazioni mi ha prenotato sul volo Londra-Roma invece che il Roma-Londra (nonostante la mezz’ora di telefonata, i dati del biglietto e la mia richiesta di ricontrollare la prenotazione quarantacinque volte perché non mi quadrava l’orario d’arrivo). A quel punto (nelle migliori tradizioni) i voli sono strapieni. Vado a protestare e mi consigliano di spedire una lettera. Mando il tipo della direzione a quel paese. Al check-in sono più gentili. Mi dicono di aspettare la chiusura del volo. Poi alle cinque e un quarto mi comunicano che il volo è chiuso e non sono rientrata (ero la sesta in lista, sono saliti i primi cinque…), ma visto che non ho bagaglio, posso provare ad implorare direttamente all’imbarco (mi consigliano vie crucis e autoflagellazioni che in epoca di Giubileo fanno la loro parte). Mi precipito in volata all’uscita C2 ma niente da fare. Attendo attendo. Mi mettono in lista d’attesa per il volo successivo. Sono la undicesima. Trasferimento all’uscita C11 con sosta ai cessi per fumarmi una sigaretta. Sono in formato omino Michelen, e bagaglio con il peso d’una tonnellata di parmigiano, caffè e libri, un caldo da paura. Mi destratifico mentre corro. All’uscita C11 ritrovo gli stessi di prima che ormai hanno preso a cuore il mio caso (ai limiti del patologico). Speranze pochissime ma mi dicono di non disperare.

Assisto ad un’inglese isterica che ricopre di vituperi un’addetta all’imbarco a causa dei disguidi che ha subito per i voli cancellati, prenotazioni a scatafascio, biglietti a rimpiattino. Lei ascolta con una pazienza certosina. Poi arriva un tassista che ha rincorso per mezzo aeroporto una coppia di anziani inglesi che si sono oooops … dimenticati di pagarlo. Mi offro da interprete, cambio le sterline in lire ai due smemoranti, liquido il tassinaro che si è fatto straripagare della dimenticanza al limite della rapina a mano armata. I due pagano quello che lui chiede tra l’imbarazzo generale. Intanto il volo è imbarcato. Per me posti Nix.

Arrivano altre tre persone a cercare di risolvermi l’incresciosa situazione. Infatti se non salgo su quest’aereo, sul successivo è da escludersi che ce la faccia. Ma come si fa? Manco un posto libero. Alla fine a qualcuno viene l’idea dello strapuntino. Il capitano dice occhei. Voilà. Vai, corri. Infilo il corridoio in volata e mentre corro mando un messaggio al coniuge “arrivo”. Poi chiamo di corsa mia madre “stopartendotispiegoquandoarrivo”. Entrata, si chiudono le porte. Saluto e ringrazio il comandante e mi accomodo nella cabina di pilotaggio…

La cabina di pilotaggio è un gioco pirotecnico di lucine, lucette, pulsantini, levette, manovelle, rotelle, numerini, numeretti, sigle, siglette, voci confuse dagli speakers. L’armamentario mi circonda mi aggira: sopra, sotto, davanti, di dietro. Ho paura di muovermi previo toccare qualcosa di vitale importanza, onde deriverebbe sfrittellamento del velivolo con tragedia inumana non riportata dai tempi di Ustica. Titoloni di giornale: Aereo precipita sulle Alpi. Qualcuno ha mandato in tilt i due motori. Non si conoscono le cause del disastro. E’ accertato che il pilota non beveva. Forse ad un passeggero è andato di volta il cervello. La scatola nera non è stata ritrovata.

– Senti, mi fa un piacere – mi fa il comandante, come se si trattasse di un incarico di vitale importanza – mi chiudi la porta così mi fumo una bella sigarettina. Eseguo all’istante. Lui s’accende la sua sigarettina tranquillo e beato, apre il finestrino laterale e si sbraga alla grande: Ahhhhhhhh!!!!!!! Mi vengono in mente tante cose, ma dico solo: – Fantastico! Il comandante per me è già un mito. Osservo attentamente il finestrino aperto a manovella e mi rendo conto che in fondo ‘sta cabina di pilotaggio più che fantascientifica mi sembra una 500 coreografata a mo’ di alberello di Natale.

– Tutto ok? Tutto ok. Vabbé. Chiudiamo ‘sto finestrino e partiamo.- Lancio di sigaretta all’esterno. Leggo i titoli: aereo esplode in rifornimento. Non se ne conoscono le ragioni. Tric e tracche, spintarella, cazzottino, tiratina, rumore di ferraglia. – Eh maccheccazzo ‘ste guarnizioni! Ce l’hai i dati. Sì sì, c’ho tutto. Facciamo 235? sì sì va be’. 564, 675, 98 62. VHF, RIFF RAFF e Patrac. Voce dallo speaker incomprensibile. Movimenti frenetici. Gira deqquà, manovra dellà, tira un leva su, due leve giù, spingi questo, alza quell’altro. – A Londra c’è un tempo schifo. All’arrivo faremo il balletto. Vabbé intanto partiamo.

Ci siamo. La pista è davanti gloriosa e trionfante. Lunga lunga una quaresima, ed io sto là, occhi spiaccicati in avanti che me la gusto tutta in allungata, impennata e virata. Ciao Roma. Intanto proseguono le manovre i pigiatasti, contanumeri, fogliettini, manuali, inserimento dati, l’altimetro che ci porta in un battibaleno sui trentamila piedi. Dopo quindici minuti, il dado è tratto. Ai due non resta più niente da fare. Il comandante si dedica alla lettura del giornale. Io faccio salotto con il secondo pilota. Sorvoliamo le Alpi, passiamo Ginevra. Un bambino chiede di vedere la cabina. Mi tolgo dai piedi e m’intrattengo con la capo hostess che ha un raffreddore di quelli schiantacervello. All’altezza della Manica mi riaccomodo. Si comincia la discesa. Ricominciano le voci e il pigia deqquà e pigia dellà. – Accidenti che mestiere che fate! – Ehm sì. E’ un po’ difficilino. Per lo più è automatico ma ci sono situazioni in cui è… non vorrei sembrare immodesto… quasi eroico.

Il tempo è infausto. Si comincia a ballare. Comincio a capire come funziona la questione. Riconosco ormai i vari tasti e a che cosa servono. Mi sento come ad un corso accelerato di pilotaggio. – Sì, i dati va bene – dico – ma scusate la domanda da ignorante… ma come fate a non sbagliare strada? Scoppio di risa. – Ehm, in effetti non è poi così insolito. C’è chi ogni tanto sbaglia rotta di due o trecento chilometri… L’aereo balla che è una meraviglia. Il vento (me lo comunica il comandante) tira a centocinquanta all’ora. Porca puttana piove! – Eh lo vedo. – No. No. Piove dentro. – Ahi, cazzo, piove pure di qua. Aspetta. Mettiamoci un fazzolettino. Le falle ai finestrini vengono arginate a furor di kleenex.

– Altro giro, altro regalo. Ma ‘ndo cazzo ci stanno mandando questi di Stansted? in Cornovaglia? – Giro giro tondo. E pensare che eravamo in anticipo. Addio cenetta. Ci tocca ripartire subito. Vita infame. Scopro che a causa del maltempo l’aereo che ci sta davanti è stato dirottato su un altro aeroporto. Sembra di stare sulle montagne russe. Anzi, mi corregge il secondo pilota: è un rodeo. Io sobbalzo sul seggiolino. Yahooo!!!

Veniamo agganciati da Gatwick. Il controllore di volo comincia a dare ordini e portare l’aereo giù: 10000 piedi, 8000, 5000, 3000. A 1500 usciamo dalla coltre di nubi e la pista compare in tutto il suo clamore. – Che facciamo comandante? Cerchiamo di centrare la pista? – Vabbé. Proviamoci almeno.

La pista si avvicina in modo preoccupante sulla destra. L’aereo è spinto verso sinistra dal vento che ha raggiunto i centottanta chilometri orari. – Cazzo come siamo storti. Che facciamo? atterriamo di lato? Silenzio di tomba. I due sono un concentrato di succo di spremuta di concentrazione. 1000, 800, 500. A 300 stiamo per toccare. Siamo nel pieno d’una tromba d’aria. Maronna qua se schiantamo. Il comandante cerca di buttare l’aereo a destra, il vento ci ributta a sinistra. PING PONG PING PONG PING PONG. Tre, due uno… virata all’ultimo secondo. L’aereo si raddrizza e atterra dolcemente, senza uno sbandamento, una sbavatura. Sei milioni di nervi mi si distendono contemporaneamente.

Il comandante si volta e mi fa: – Ti ricordi quando ho detto che a volte il nostro mestiere è automatico e a volte invece…

Segue lettura della mappa dell’aeroporto. – Gira qua. – No, no aspetta è di là. – Sì ma dove sta? Ah sì sì è di qua. – Vabbé, vai di là.

L’operatore inglese del tunnel sbaglia l’attracco. Sbadabang! – Che è successo? – Niente comanda’ l’inglese c’ha sfasciato il portello. Niente Venezia. Restiamo qua. Conosce qualche ristorantino a Londra? – Aspetta che mo’ ce riprova. Questa volta il tunnellista fa centro. – Peccato. Non l’ha sfasciato del tutto. Solo qualche graffio. Ci tocca ripartire. Conosce qualche ristorantino a Venezia?

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Viaggio in aereo

Il primo giorno di autunno aveva fatto capolino quella mattina con una temperatura troppo fresca dopo un’estate incerta e tempestata da piogge torrenziali. Quella mattina Marta aveva un incontro importante con il direttore dell’azienda di software che da anni prestava la sua opera nel circuito informatico. Se in quell’occasione fosse riuscita a portare a casa un buon risultato, sicuramente questo per lei avrebbe potuto significare una promozione e quanto meno un riconoscimento di immagine a livelli piuttosto alti all’interno dell’azienda. Sentiva la tensione scorrere nelle vene, ma la sua sicurezza e la sua risolutezza nel portare avanti questo progetto riuscivano a infonderle fiducia e serenità necessari per raggiungere il suo obiettivo. Doveva andare a Parigi. L’aereo sarebbe decollato da Caselle alle 10,40 e lei doveva passare dall’ufficio a ritirare le ultime pratiche che la segretaria le avrebbe fatto trovare pronte sulla sua scrivania. La notte era trascorsa in modo inquieto e la sveglia aveva squillato quando Marta ormai aveva letto quasi tutto il tredicesimo capitolo del libro che qualche giorno prima aveva acquistato da Petrini, in via Pietro Micca. La trama non le era risultata per nulla convincente, ma la speranza che si potesse riscattare nel corso della lettura ancora non l’aveva abbandonata. In ogni caso leggere l’aiutava a tenere la mente lontana dal lavoro e dal pensiero per l’incontro della mattina successiva. Spenta la sveglia e riposto il libro sul comodino, si era alzata per preparare la colazione. Una tazza di caffelatte caldo, due fette biscottate e qualche biscotto, le sarebbero bastati per affrontare la giornata con sufficiente energia in attesa di un pranzo frugale. Aveva deciso di non essere eccessiva nel vestirsi e nemmeno di sembrare troppo rigorosa nel taglio dell’abito. Forse un abbigliamento molto casual e giovanile avrebbe aiutato il direttore dell’azienda di software a prestarle maggior fiducia riguardo alle nuove idee che lei gli avrebbe proposto. Apparire frizzante e sbarazzina in dose giusta poteva rappresentare la nota di colore e di inventiva ideale perché l’accordo andasse in porto. Così scelse un jeans chiaro da indossare con una maglietta a manica lunga di colore nero. Gli stivaletti scuri con i tacchi,per dare un tocco sufficientemente elegante; la temperatura già molto bassa per fine settembre poteva permetterle di indossare un giacchino di pelle nera; borsa a tracolla e valigetta del computer. I capelli corvini sciolti sulle spalle contornavano un viso reso luminoso da un trucco leggero e ben curato. Gli orecchini e il girocollo d’argento davano un tocco di lucentezza. Ad ornare le mani affusolate un semplice anello al dito anulare sinistro, un rubino incastonato sull’intreccio di due fedine d’oro, un regalo della zia a cui Marta era molto affezionata. Pronta ad uscire, Marta aveva controllato che le finestre fossero chiuse e oltrepassato l’uscio aveva infilato la chiave nella toppa e dato le quattro mandate. Non aveva avuto pazienza di aspettare l’ascensore che risultava occupato. Così aveva sceso i tre piani di scale con agilità e flessuosità, come un gatto che corre sicuro verso l’uscita. Avrebbe preso la sua auto per arrivare all’ufficio e da lì avrebbe detto alla segretaria di chiamare un taxi. A quell’ora il traffico non era molto, sarebbe sicuramente aumentato di lì a poco. Arrivata in ufficio, ritirate le carte e avuta una breve conversazione con la segretaria per gli appuntamenti del giorno seguente, Marta salì sul taxi che l’attendeva in strada. Destinazione: aeroporto. Il check-in era già stato annunciato quando Marta arrivò all’aeroporto. Velocemente caricò sul rullo il bagaglio a mano mentre si apprestava a spegnere il cellulare. Si avviò con passo veloce e sicuro verso la postazione per l’imbarco. Una ventina di persone erano davanti a lei: chi in piedi vicino alle vetrate, chi a chiacchierare seduto sulle poltroncine, chi a leggere distrattamente le pubblicità vicino alle vetrine che esponevano borsette e portafogli in vera pelle. Una sola persona leggeva il giornale seduta su di una poltroncina tra una donna che pensierosa si scrutava le mani ed un uomo di mezza età che era intento a giocherellare con la pipa spenta che teneva in bocca. Un uomo dall’aspetto curato, vestito con un abito scuro, di ottima fattura, distinto e casual al tempo stesso, con occhiali fumè, le mani prive di anelli, appena distratto dalla nuova presenza, guardò Marta mentre si avvicinava.Una scorsa veloce quasi disinteressata alla figura di Marta e aveva ripreso a leggere. Marta fu una dei primi passeggeri ad incamminarsi nel tunnel per arrivare al bus che li avrebbe portati fino all’aereo. L’uomo che leggeva il giornale era dietro di lei, in mezzo alle altre persone. Non lo aveva più visto sul bus e nemmeno lo aveva cercato con lo sguardo. Arrivata alla scaletta dell’aereo l’aveva salita con tranquillità e si era avviata verso il posto a lei riservato: fila g, posto 3 lato corridoio. Aveva sistemato il bagaglio a mano nell’apposito scomparto sopra al suo seggiolino e si era seduta nella speranza che nessuno si fosse accomodato accanto a lei. Gradiva rimanere da sola, assorta nei pensieri, ripassando mentalmente tutti i punti della proposta che si accingeva a presentare al suo interlocutore di Parigi. Tutti i passeggeri si erano accomodati e lei era rimasta la sola della sua fila. Dall’altra parte del corridoio un’altra persona era seduta nel seggiolino più vicino al suo. Era l’uomo che all’aeroporto leggeva il giornale. Lo guardò per un istante e lui sembrò non accorgersene. Presto il comandante annunciò il decollo e i passeggeri allacciarono le cinture pronti a sentire rollare le ruote sulla pista. Quando il decollo fu terminato e le cinture slacciate, Marta prese a sfogliare le sue scartoffie. Si senti sfiorare il braccio e sentì una voce calda e avvolgente chiederle cortesemente se potesse dare qualche spiegazione sul prodotto che aveva utilizzato per compilare le tabelle che aveva in mano. Si voltò e incontrò lo sguardo profondo di un uomo dai lineamenti fini, dalla dolcezza disarmante e dalle labbra magnetiche. Presa da un fremito improvviso si scosse subitamente cercando di far mente locale. Cercò di spiegare in modo semplice, stringato ma dettagliato di cosa si trattasse e di quale metodo fosse stato applicato. La conversazione proseguì poi su toni meno professionali ma senza dubbio non meno discinti. Marta sentiva dentro di sé un fremito sempre più forte e quell’uomo stava usando tutto il suo fascino per riuscire a destare il suo interesse. Fu dopo circa un’ora che Marta ormai sopraffatta dall’emozione, chiese alla hostess di utilizzare la toilette. Si guardò allo specchio e si scoprì rossa in volto, con gli occhi palesemente lucidi e limpidi e con una sensazione inconfondibile lungo tutto il corpo. Provava un senso di eccitazione fisica pazzesco che mai aveva provato prima di allora. Quell’uomo l’aveva coinvolta a tal punto da farle provare il desiderio di fare del sesso con lui, immediatamente. Si vergognò di ciò che sentiva, ma il calore che sentiva tra le cosce, i capezzoli turgidi dal desiderio, il fremito lungo il corpo e il senso si morsa allo stomaco non cessavano e lei non riusciva a darsi pace. Sobbalzò nel sentire bussare alla porta della toilette. Fu quasi spaventata nel sentire la voce di quell’uomo chiederle se si sentisse bene e se avesse bisogno di aiuto. Lei aprì la porta e lo fece entrare. Lui disse che aveva spiegato alla hostess che la sua fidanzata, e quindi Marta, non si sentiva molto bene e che credeva fosse necessario chiederle se tutto fosse a posto. Quando furono uno di fronte all’altra, il desiderio si fece insopportabile. Lui le infilò le mani sotto la maglia a cercare i suoi seni che palpò e strinse con forza mentre con le labbra cercava la bocca di lei. Marta completamente sopraffatta si abbandonò ai sensi. Lasciò che lui la baciasse profondamente, e che le alzasse la maglia per baciarle i seni, mordicchiarne i capezzoli, leccandone la forma tonda e soda. Le slacciò i jeans insinuando le mani nella parti più intime alla ricerca del suo piacere e del suo calore. Percorse lentamente ogni lembo della pelle di Marta, dai seni fino al pube, per affondare la sua lingua tra le grandi labbra del sesso ormai rigonfio per assaporarne il succo. E poi la sollevò delicatamente sulla piccola sporgenza del lavabo e fece scendere i jeans fino a che potesse penetrarla con il suo sesso grosso e duro. Si amarono con violenta passione, godendone fino all’ultima goccia in un’estasi fantastica. Raggiunto l’orgasmo lui la rivestì dolcemente, la baciò sulle labbra e presa per mano l’accompagnò fino al seggiolino dove passò a contemplarla per tutto il viaggio con un accentuato rigonfiamento dei calzoni.

25 settembre 2002


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Lessico

Ali d’angelo

Circa due anni fa mi trovai il giorno prima dell’inizio della scuola, seduto al bar con degli amici. Mentre chiacchieravamo felicemente pensando all’estate passata, un uomo ci avvicinò chiedendoci di farci qualche domanda, dicendo di essere stato incaricato di fare una statistica fra i giovani. Per nulla imbarazzati rispondemmo di sì. Ad un paio di domande molto semplici ne segui una …  “Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?” I miei amici, poco seriamente risposero dicendo tutte quelle stupidate che si dicono a 16 … Un motorino nuovo, una modella … Io però non riuscii a rispondergli e dissi che non ne avevo idea. Poi, durante un pomeriggio piovoso, in mente mi tornò quella domanda, “Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?”… Ci ripensai fortemente e alla fine senza sapere perché dissi un paio di ali d’angelo candide come la neve … Il campanello alla porta suonò, ed io solo in casa andai ad aprire … Avvolto da una luce bianca l’uomo dell’intervista mi comparve davanti e mi disse: “Ecco le tue ali provale per una settimana poi verrò io a prendermi qualcosa …”, “quando le vorrai usare basterà che le desideri intensamente ed esse usciranno dalla tua schiena, e per quanto alto volerai non avrai bisogno di ossigeno per respirare le sole ali basteranno …” detto questo scomparve davanti ai miei occhi in un lampo bianco … Credendomi pazzo, corsi preoccupato nel bagno a sciacquarmi la faccia e a guardarmi allo specchio … Poi ad un certo punto pensai  alle ali, e in quel preciso istante qualcosa, dolorosamente inizio a premere contro la maglietta fino a strapparla … un paio di lunghe ali bianche erano uscite dalla mia schiena e da esse una lunga serie di piume cadeva copiosa, svanendo toccando il terreno Pensai di non volere le ali ed esse si richiusero … Passò un giorno e un po’ preoccupato di essere preso per pazzo non dissi a nessuno di questo. Poi una notte tardi … decisi di provarle, le feci aprire, e in mezzo alla strada deserta spiccai un salto verso i cielo … Come fosse stato un movimento naturale le ali cominciarono a sbattere e a planare, a me bastava senza fatica pensare dove dirigermi, e quanto velocemente volevo farlo. Scoprii che in un attimo (Bastava pensarlo!!) potevo arrivare da Taranto a Roma … Lo pensai e così mi trovai a sorvolare la capitale. Mi diressi in una zona conosciuta vicino la stazione, sbirciai in ogni finestra del palazzo che avevo scelto, tutte aperte per il gran caldo di quell’estate. Quando stavo per perdere la speranza, la trovai finalmente, che dormiva profondamente nel suo letto … Era proprio bella … ed era cresciuta nonostante non la vedessi da un anno. Ad un tratto di colpo si alzò, ancora assonnata vide il mio viso dalla finestra … Non credendo ai suoi occhi corse verso la finestra, e vide le grandi e candide ali che sbattendo lentamente mi sostenevano … mentre stava per aprire bocca e dire qualcosa, le feci cenno di non parlare e sorridendo le diedi un bacio sulla guancia e volai via …Tornai a casa e mi misi a letto … Pensai alla mia piccola avventura. Il giorno dopo lei mi chiamò e mi chiese se per caso non ero stato a Roma in quei giorni. Le dissi di no, mentendo. Con un po’ di vergogna mi raccontò tutto e io  le risposi che forse aveva sognato tutto. Mi disse che probabilmente era stato così. Chiudemmo la telefonata con la promessa di sentirci presto. Quella notte stessa tornai da lei, ma la trovai sveglia ad aspettare alla finestra … invece di farmi sostenere dalle ali mi appoggiai dolcemente sul davanzale della finestra … Non rimasi per molto, giusto il tempo di spiegarle tutto ma in maniera molto vaga … Tornai a casa, ero ormai a metà settimana, fra un po’ lui sarebbe tornato e avrebbe voluto qualcosa di mio … Scacciai quel pensiero, ed ogni sera tornai a quella finestra, ma senza fermarmi mai  per molto tempo. Lei una di quelle sere mi confessò di essersi innamorata di me, ne ero felicissimo, ma subito mi prese il sospetto che fosse solo per via delle mie ali di angelo … Le dissi che se avessi perso le ali non sarei potuto più tornare da lei ogni sera, ma lei disse che non le importava. Le concessi comunque il beneficio del dubbio e continuai fino a domenica … Poi proprio domenica sera, quell’uomo tornò … Mi chiese se volevo tenere le ali … io gli chiesi quale fosse il prezzo da pagare, per avere la cosa che “di più avevo desiderato nella mia vita”. Mi portò con lui in volo, e atterrammo sul davanzale che avevo frequentato in queste notti … Mi disse: “Voglio lei … se accetterai la porterò con me e tu avrai ciò che desideri”… In quel momento stesso gli dissi di riportarmi a casa … e gli dissi avvolto in un turbinio di piume e lacrime di rabbia di riprendersi le ali … Mentre usciva dalla porta mi disse “Sapevo che avresti scelto bene… in fondo non hai già la cosa che più si possa desiderare nella vita?” Detto questo sparì … Ripensai a lei e capii ciò che voleva dire…..

 


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KoRn

Nuvole

Esseri fantastici, enti un po’ alati vanno in corsa per l’orizzonte. Prendono corpo e mutano forma, dileguano in nero, grigi, marroni. Spingono dietro i maestrali con grande vigore, in una regia leggera che scherza e scompiglia. Nell’inseguirsi ancora vuoto d’ansia, in coda gonfia un bel cavolfiore con le foglie che si aprono a gran colletto e presto si sfaldano in un lunghissimo naso. Pinocchio annusa la gran signora che corre avanti, la chioma a cupola e due seni pieni, in trionfo, rosa e violetti. Tutti i suoi menti ballano, molli e rotondi, intorno al sorriso, mentre le gonne volano in turbine sopra le cosce. Com’è veloce la gran signora che ha paura del temporale. Le sue scarpine gialle e turchesi lasciano scie futuriste che poi s’arrotolano in lumachine dal ritmo lento. E dopo vengono uccelli, insetti e pesci: nuotano e volano in un prodigio di aria e di acqua. Occhi rotondi, zampini, piume, creste con scaglie, antenne, pinne e ali di bianchi brillanti e neri oscuri si mutano in pioggia. Si scioglie tutto. Restano lampi che zigzagano il cielo e l’eccitazione della tempesta. “Prego, allacciare le cinture”. Lufthansa. Volo 720 Francoforte-Pechino.


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Kiki Pi

Appunti di volo

Eccomi qui in aereo come tante altre volte. Ma stavolta è uno strano effetto. A me piace volare, viaggiare, vedere, conoscere, capire. E’ nella mia natura. Ma vi volevo parlare di altro. Di un emozione … Perché vedete volare, passare dall’alto su terre, mari, da’ un’altra prospettiva. E’ come se una telecamera fissa su un soggetto a poco a poco allargasse l’inquadratura. E’ cosi. Cioè, tu hai l’inquadratura fissa sulla tua vita, sulla tua normalità … normalità, si, no non mediocrità … vabbé, comunque tu sei li, fisso, e poi ad un certo punto tutto si allarga e si restringe e la tua prospettiva cambia. In volo. E’ bellissimo. Se gli psicoterapeuti fossero gente onesta dovrebbero consigliare questa esperienza a chi ha la vita inchiodata ad un muro. Così come le farfalle. In modo da riprendere il volo. Invece di impazzire. Ed io infatti ora mi libro. Ma vi volevo parlare di un’altra cosa. Vi volevo parlare di morte. No, non è un pezzo triste. Aspettate. E’ che oggi ci ho pensato. Ancora. Forse perché non sto bene? Forse, ma non so. Soprattutto perché ho capito. Ho capito che alla fine non deve essere male morire. E come quando parti in aereo. La sensazione meravigliosa del carrello che stacca è l’anima che sale verso l’alto. E’ certo che anche in quel caso bisogna che il corpo sia ben fermo. Con le cinture allacciate, ma proprio forte. Ed è cosi che poi lei, l’anima, si stacca e finalmente … vola. Libera. Allargando finalmente la prospettiva su tutto il mondo, sulla vita. Finalmente capace di non essere inchiodata in mille piccolezze, particolarità. Si. Che altro dire? … Il tempo è magnifico ed il panorama pure … Ah, ma mi raccomando cercate di volare lato finestrino. Altrimenti correte il rischio di cambiare la prospettiva della vita con quella dello schienale magari reclinato della poltrona davanti a voi. Alitalia docet … si, grazie del buon succo di frutta a farmi compagnia in questo volo. Un altro, di prova generale.


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space shuttle
Serena Iossa