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Racconti degli autori

Missione Grumento: operativi!! – II parte


– Ehi nonno, c’hai raccontato di tutto: dell’aliante nel bosco, dei traslochi degli alianti, del recupero notturno in autostrada … ma non ci hai ancora parlato di quello che che ti è capitato durante lo stage a Grumento del ‘94, perché qualche altra cosa ti deve essere capitata, non è vero?

– Già, cos’altro ti capitò, eh nonno?

– Ragazzi ma dico! M’avete preso forse per uno jellato o un mena gramo? E poi che curiosi impertinenti! Credete che io sia una di quelle ignobili banche dati che usate voi giovani?

– Tu nonno? Non potresti mai esserlo.

– E’ vero nonno. Tu sei unico, per il modo colorito con cui ci racconti le tue storie.

– Non ti permettere sai! Le mie non sono “storie” come dici tu, sono fatti realmente accaduti, tanto tempo fa, – è vero -, ma non sono inventati.

– Ma dai nonno, non dicevamo per offenderti. E’ che le tue st… fatti, appunto, sono così … “avventurosi” che quasi non ci si può credere. E poi scusa, ma a che cosa servirebbero i nonni?

– Giusto! Se non ci fossero i nonni come farebbero i loro nipoti ad evitare i pericoli, a non ripetere gli stessi errori, a capire il perché di certe situazioni attuali, a …

– Basta, basta, vi perdono! Siete due furfanti perché sapete che ho un debole per voi! La verità è che non posso ricordarmi proprio tutto … così, tutt’assieme, guardando una vecchia fotografia scattata cinquant’anni fa.

– Hai ragione. Noi però ti possiamo aiutare: ad esempio com’è stato il tuo viaggio a Grumento? Com’era il posto? E l’aeroporto? E il clima? I voli? La gente?

– Non dirmi che la sera “andavate a letto alle otto con il brodino”? O che non avete conosciuto neanche qualche graziosa “gentildonna”!?

– Ohe, basta! Ma cos’è? Un terzo grado?

– Ma no, è solo per farti ricordare …

– Grazie, ma rammento tutto! E poi avevo un alibi di ferro!

– Su nonno, lascia stare gli scherzi e raccontaci davvero di quell’estate del ‘94.

– Quell’estate faceva stramaledettamente caldo nella Rieti’s Valley: i tubi di caucciù si scaldavano al sole come serpenti a sonagli. Potevi cuocerti le uova al bacon sul tetto dell’Headquarter mentre i cavalli volanti, schiumavano, allineati in pista. Anche i due maniscalchi, Little Angel e Mancino Chief, si scolavano il sudore come fosse whisky il sabato sera, mentre il loro garzone, Big Mark, srotolava la lingua tipo iguana a caccia di ragni. Sotto i sombreri sudati, i piloteros si guardavano con l’occhio iniettato di sangue: erano pronti a sfoderare dai loro cinturoni l’ultimo modello di GPS. L’ombra era assai preziosa: più di una pepita d’oro. Pochi alberi contorti coprivano infuocati coyote di metallo. La pista era una prateria polverosa e la terra sabbiosa ti entrava negli stivali, bruciando la pelle piagata. Allora, con la gola secca, non rimaneva altro che correre al saloon, nell’hangar grande, e spegnere un po’ di fuoco, mettendo il becco in un paio di bottiglie … di mineral water!

– Dai nonno, sii serio, questa sembra la classica trama di quei vecchissimi film ambientati nell’Ovest del continente americano con quell’attore molto pittoresco che si chiamava … ah sì, John Wayne …

– Niente affatto! E’ sempre la pura realtà di quanto accadeva allora: faceva davvero un gran caldo, insopportabile, di giorno e di notte, tanto che negli uffici della Segreteria e della Direzione di Gara, nonostante i condizionatori d’aria – erano le macchine che allora si usavano per rinfrescare gli ambienti – fossero accesi fin dal primo mattino, non si riusciva a mitigare affatto la gran calura. E la storia dei due maniscalchi, è quella dei due specialisti anziani dell’Officina dell’AeroClub Centrale; che poi i piloti si guardassero in cagnesco … specialmente se c’era di mezzo un posto vagamente all’ombra per l’automobile … beh questo non stupisce; ed è anche vero, che fu allestito un bar all’interno di un hangar, o che la pista, solo grazie all’innaffiamento artificiale, non diventò un deserto polveroso senza un filo d’erba.

– Una curiosità nonno: il garzone chi era?

– Ehm …credo proprio che fossi … io!

– Me lo immaginavo, sai.

– Comunque stai ancora divagando: non ci hai ancora raccontato nulla di Grumento!

– D’accordo. Allora vi racconterò tutto dall’inizio. Per cominciare, dal mio viaggio verso Grumento … altrimenti non capireste lo spirito dell’impresa.

– E va bene.

– Basta che cominci …

– Come già mi sembra di avervi detto, io partii in un secondo tempo, esattamente il 30 di Luglio – me lo ricordo bene, anche questo -.

– Perché? Non fu un giorno come un altro?

– No. Oggi, è un giorno come un altro, ma a quei tempi era la fatidica data in cui tutti andavano o tornavano dalle vacanze estive, vale a dire qualcosa come diciotto milioni di automobili in movimento sulle strade ed autostrade d’Italia!

– E a te come andò?

– Ne incontrai nove milioni! Gli altri nove camminavano dalla parte opposta! Insomma un carnaio del quale facevo parte anch’io … purtroppo.

– Ma scusa, non potevi partire un altro giorno?

– No. Era stato deciso che avrei dato il cambio al mio collega anziano allo scadere del mese. Mi avrebbe lasciato le “consegne”, dopodiché lui sarebbe rientrato il giorno dopo con lo stesso mezzo con cui io ero arrivato.

“Se parti presto non incontrerai traffico e comunque avrai l’aria condizionata in automobile” mi risposero, quando avevo sussurrato, le mie perplessità.

– E allora?

– Allora mi organizzai di conseguenza: sarei partito subito dopo aver dato aiuto all’altro collega a preparare i traini e poi mi sarei involato – si fa per dire – per Grumento: partenza da Rieti alle otto e quaranta, al massimo. L’automobile mi era già stata destinata, si chiamava … SERENA, se non ricordo male. Era una di quelle vetture monovolume molto spaziose – oh, sei persone!- e con tutti i confort come il doppio tettino apribile, sedile a tre regolazioni, aria condizionata – come mi avevano detto – e una tappezzeria davvero lussuosa, insomma il nome, era tutto un programma e poi un po’ di serenità era giusto quella che ci voleva per un viaggio del genere. In dotazione mi venne anche data una delle prime rudimentali carte magnetiche per il pagamento del carburante e del pedaggio autostradale: così non sarei andato in giro con fasci di cartamoneta. Ora, c’erano delle strane voci – probabilmente messe in giro dagli autisti che avevano fatto i primi viaggi – secondo le quali più a sud di Napoli si apriva una specie di “spazio siderale senza nessuna forma di vita”: niente carburante, niente telefoni, niente acqua, niente segnaletica stradale, niente assistenza meccanica, solo apparizioni di gente che parlava lingue sconosciute, vagamente terrestri. Erano solo voci … sapevo che allora il Sud era un po’ “ai confini della realtà”, ma fino a quel punto? Beh …. non credetti più di tanto a queste voci, infatti: primo) feci il pieno di benzina, secondo) controllai i livelli, terzo) comprai una cassetta di acqua minerale, quarto) acquistai l’atlante stradale più dettagliato che c’era in commercio e quinto) mi feci prestare un vocabolario rapido italiano-cinque lingue … tanto erano solo voci!

– Accidenti! Così organizzato poteva crollarti addosso il mondo !

– E infatti mi cadde! Al momento di mettere i bagagli nell’automobile mi dissero che ne potevo usare un altra – quella in effetti era spropositata per me, per dimensioni e per consumi – così me ne indicarono una, altrettanto confortevole – tra l’altro ero desideroso di provarla perché se ne parlava un gran bene – ma esattamente la metà di grandezza: non a caso forse, si chiamava MICRA. Mentre controllavo i livelli, ma già ben dopo aver sistemato le mie cose, arrivò una ragazza che mi disse candida: “Grazie, ma vado solo dal fotografo, in città”. Rimasi un po’ perplesso poi pensai : “Vuoi scommettere che alla fine ci vado a piedi a Grumento?”

– Mica ci sarai andato veramente a piedi?

– Fortunatamente no, ma poco ci mancava: mi diedero una terza automobile, o meglio, un fuoristrada, insomma una jeep mascherata da berlina, un bel mezzo – intendiamoci – peccato che in quel momento fosse bisognosa di olio e di carburante – nel serbatoio forse c’erano dei vapori – sicché una volta recuperate le chiavi – oh, naturalmente non si sapeva dove diavolo si fossero cacciate, le chiavi – una volta spostati tutti i bagagli, e una volta copiosamente rifornita dei liquidi necessari, finalmente, verso le dieci, cominciò il mio viaggio verso Grumento.

– Ed il viaggio come andò?

– Piuttosto noioso, considerate le premesse e il seguito. L’unica nota di rilievo fu che la carta magnetica funzionava solo per il pagamento del pedaggio autostradale. La segretaria anziana però, mi aveva “appioppato” con una lungimiranza provvidenziale, un’anticipo di stipendio, e così la cosa si risolse con una sfilza di ricevute da presentarle al rientro alla base … per il rimborso. E poi cos’altro… ah, sì: l’aria condizionata!

– E ti pareva che non c’era dell’altro?!

– No, non c’era !

– Ma che dici nonno? Cos’è che non c’era?

– Ve l’ho appena detto: l’aria condizionata. Andò così: con il passare delle ore, e quindi con l’aumentare della temperatura, il sistema di condizionamento non dava “l’aria” appunto, di funzionare granché. Quando però l’auto si trasformò in una specie di forno viaggiante con relativo “pollo allo spiedo”, incominciai a pensare di non aver ben manovrato i comandi del condizionatore. Già a quei tempi, ero un maniaco dei manuali, così decisi di fermarmi al primo autogrill per “spulciare” il libretto d’istruzioni della vettura. Recitava serafico: “Se il pulsante indicato non risulta azionabile, disponete di un’automobile non climatizzata. Potete però inserire il ricircolo dell’aria”. Accidenti anche ai manuali! Considerato il ritardo che avevo accumulato, mi venne la geniale idea di mangiare qualcosa in macchina e viaggiare durante le ore più calde – quando tutti si sarebbero fermati per il pranzo -. Peccato che “tutti” pensarono la stessa cosa e così ci ritrovammo “tutti” in colonna, sotto il sole cocente dell’una del pomeriggio. Fortunatamente lassù qualcuno ci amava, oppure si mosse a pietà – fate voi – comunque comparvero all’improvviso un po’ di nuvole in un cielo ardente. Ormai ero vicino alla mèta perché ne incontravo le prime tracce nella segnaletica stradale. Consumai un solo succo di frutta “strategico” e un solo pseudo- rifornimento.

– Perché strategico?

– E perché pseudo?

– Era per avere informazioni dalla gente del posto, no?! Beh … “avrà stato un caso”, ma ad un certo punto “mi ritrovai in una selva oscura e pensavo che la diritta via fosse smarrita” quando, da uno squarcio nel bosco, intravidi le sagome degli alianti e dei traini: SALVO!

– Nonno, ma come parli ?

– Parlo come in quel momento: sragionavo!

– E allora? Prosegui.

– Allora mi accolse festante – in tenuta da mare, con la pelle di un bel rosso cardinale – il mio collega.

– Beh, eri arrivato alla mèta, no?

– No, al contrario, ero appena partito perché non potete immaginare cosa mi aspettasse!!

– Che cosa ?

– Sì, che cosa c’era di così terribile?

– Mah… se escludiamo che gli alianti erano picchettati tipo “Mikado”; che il materiale – paracadute, cuscini, batterie, secchi, cavi da traino e pezzi di ricambio -, era ordinatamente sparso a terra nella palazzina; che l’officina era un hangar con dentro un autogiro, tre deltaplani a motore, un vecchio aereo in disuso, una serie di mobili smontati, cumuli di carte, cartine e cartacce, ed un banco da lavoro ingombro di barattoli, barattolini e barattolacci; che il deposito carburante era un vissuto camion-cisterna; che la palazzina uffici era una vetusta casa colonica dove era stata ricavata una pseudo-Segreteria e una pseudo-aula briefing; che l’unico mezzo di comunicazione a lunga distanza era un telefono … pubblico … a gettoni; che il centro abitato più vicino – intendo bar, alimentari, farmacia, posta e fotografo – era a 2 chilometri dall’aeroporto; ecco, se escludiamo tutto questo, beh … non c’era niente di cui preoccuparsi.

– Insomma una specie di missione suicida!

– No, non necessariamente. In realtà questo era solo l’aspetto negativo della faccenda.

– Sei sicuro?

– Certamente.

In effetti, l’aeroporto era assai spazioso – vi ho già detto della pista? Sì – con un enorme parcheggio asfaltato e un altro ancora più grande in erba – anche se d’erba ce n’era ben poca -. Mi ricordo che accanto alla pista in asfalto ce n’era praticamente un’altra di terra, anche se un po’ ruvida. Non mancavano poi, delle vie di fuga sulle testate pista. La palazzina in effetti, era sì, un’ex casa colonica … ma ristrutturata, fresca, anche in pieno solleone, con bagno padronale attrezzato di tutti i comfort di quei tempi. E’ vero che dovevamo dividerlo con gli allievi spazzini della Forestale – tenevano un corso al secondo piano della palazzina – ma non era necessario l’uso del “numeretto” e nessuno se la fece mai veramente addosso. Inoltre l’aula briefing era dotata addirittura di lavagna, televisore e videoregistratore. E’ vero che questa roba non era comparsa tutta assieme – le prime settimane, mi disse il collega, facevano il briefing in piedi, mancando le sedie – ma anche l’ufficio non era così spoglio: c’erano due scrivanie, un frigorifero, una radio-biga, il meteosat a colori e un pannello che forniva in tempo reale direzione del vento, pressione, temperatura e umidità relativa. E’ vero che le sonde erano montate su un enorme palo con torretta … sottovento al bosco e che quindi i dati dovevano essere presi con le molle, ma da quel palo… si facevano certe foto! E anche il telefono a gettoni, in fin dei conti, impediva inutili telefonate con la “madrepatria” del tipo: “Ci pensate? Ma quanto ci pensate? E vi manchiamo? Ma tanto quanto?” E’ vero che più volte rimanemmo isolati o che poi ci era impossibile chiamare perché si era riempita la cassetta delle monete, ma vuoi mettere l’emozione di farti chiamare dal “Comando Operazioni” e sentirti come un soldato al fronte, in trincea, sotto il fuoco nemico … del sole, e i bombardamenti … d’acqua degli alianti? Per quanto riguardava la cisterna, anche quella era stata rimessa a nuovo da poco, e in fin dei conti, funzionava egregiamente – salvo qualche perdita -. E’ vero che alla fine non quadravano i conti, ma cosa volete, il carburante poteva evaporare o gocciolare nei punti più nascosti! La cittadina più vicina – mi pare che si chiamasse Sarconi – era invece vicinissima perché si percorreva una strada praticamente senza neanche un filo di traffico, ed era così concentrata che potevi trovare tutto quello di cui avevi bisogno lì, nel raggio di cento metri. Inoltre avevi a che fare con persone cordiali e disponibili – e parlavano anche italiano, tieh!-. Certo qualcuno cercò di approfittare di tanta clientela forestiera: propinarono – mi disse sempre il collega – molecole di panino o di pizza, a prezzo da lingotto d’oro, oppure magre cene casarecce ad un costo da pasto luculliano! Ma una volta entrati nel “giro” riuscimmo a farci confezionare pure di domenica “mega panini multistrato station-wagon”. E a un prezzo che, allora, era di un caffè. Tornando alla palazzina, c’era una stanza praticamente libera che poteva essere adibita a magazzino e, grazie ad un enorme tavolo, anche a Sala Traffico, per consultare le incontenibili carte aeronautiche o preparare il piano di battaglia dello “Stormo di Veleggiamento”.

– Va beh, ma come vi siete attrezzati?

– Il primo giorno, fatti i controlli, assistita la linea di volo e spediti tutti in volo, incominciai anzitutto ad occuparmi del mio ufficio – si fa per dire -.

– Hai detto ufficio?

– Sì, la stanza che poi diventò la “caverna dello specialista”. Recuperai parte dei mobili che erano nell’hangar e dopo una sommaria pulita, li montai nella stanza che vi dicevo. Naturalmente, sistemai tutto il materiale con un minimo di criterio, compresa una specie di centrale elettrica pensile per la ricarica delle batterie. Una bella spazzata e via, in linea, per i recuperi degli alianti che – saranno state le sei – già rientravano. Per quella sera, continuò l’incastro Mikado, ma il pomeriggio successivo, armato di mazza e di “occhio teodolitico”, sconvolsi il puzzle, e alla fine del pomeriggio, gli alianti giacevano, non più in promiscuità, ma i monoposti con i monoposti allineati in gruppi di tre con uno spazio libero per il passaggio tra le file – e il biposto con il biposto da parte, mentre l’aliante ammiraglio, davanti alla palazzina, chiudeva maestoso lo schieramento con i suoi venti metri d’ala.

– E per il resto?

– Beh … si organizzò spontaneamente un servizio navetta per andare a comprare il pranzo, oppure qualcuno dei piloti partiva alla volta di Sarconi nel ruolo della vivandiera. Poi … stretta qualche fascetta a vite, la cisterna non perdeva più; il vento si misurava all’occorrenza con un anemometro portatile a coppe – avevano perfino quello a Grumento -; il bagno divenne subito più pulito dopo l’azione provocatoria di un pilota – donna – che propose la pulizia del bagno a patto che i suoi colleghi le avessero pulito l’aliante: proposta accettata!!; nell’hangar-officina furono sistemati meglio gli ultraleggeri e fu data una pulita al banco da lavoro.

– Insomma tutto a posto ?

– Non tutto. Dove non lo era ci pensò comunque la generosità, l’abnegazione, il cameratismo e il vero spirito del volovelista, da parte di tutti: noi, addetti ai lavori – istruttori, trainatori e specialista – e soprattutto dei clienti: i piloti. E non dimenticate anche gli “indigeni”. Oh ragazzi, stavolta, nessuno escluso eravamo veramente tutti: OPERATIVI AL MASSIMO !!


segue:  III parte MISSIONE GRUMENTO: seriamente operativi!!


#proprietà letteraria riservata#



Big Mark

Missione Grumento: operativi! – I parte –


– Ehi nonno!

– Sì?

– Ma questo sei tu, vero?

– Fa’ vedere!

– Ma sì, guarda, sei tu, molto giovane ma sei tu.

– E’ già! Hai ragione, sono proprio io.

– E qui c’è anche la data stampata: 2 settembre del ‘94!

– Ma scusa, dov’eri? E chi sono quelle due persone insieme a te, eh nonno?

– Beh, è una storia vecchia. Non ve l’ho mai raccontata?

– No.

– No, mai.

– Veramente me ne rammento solo ora, vedendo questa foto.

– E allora?

– Beh…, se ricordo bene …

– E forza nonno!

– Dunque mi sembra che quei due si chiamassero uno … Lanza, no … Miralanzi o non so cosa …

– Va beh, nonno, lascia stare.

– Ohe! Mica sono arteriosclerotico eh?

– No, no.

– Vorrei vedere voi dopo 50 anni …

– Dai nonno, non dargli retta, prosegui …

– L’ altro, quello a sinistra sono sicuro che si chiamasse … Kosta, no … Kostantino … di cognome Boskov … no, Nederkov, no … no, Nedialkov, … insomma non mi ricordo bene.

– Va bene ma dove eravate?

– Beh questo lo ricordo bene: eravamo a Grumento, in provincia di Potenza – secondo la vecchia divisione territoriale – In realtà l’aviosuperficie si chiamava “GRUMENTUM” in onore della vicina città romana, o meglio degli scavi della città romana, mentre Grumento Nova era il paesino lì, a meno di un chilometro dalla pista.

– Pista in asfalto o sbaglio?

– No, non sbagli. Una bellissima pista di milleduecento metri di lunghezza e undici di dislivello, con asfalto altamente drenante, asciutta anche dopo forti temporali e anche ben orientata – est/ovest – mi sembra. Pochi aeroporti italiani allora avevano una pista così.

– Va bene ma cosa ci eravate andati a fare a Grumento?

– Eh, beh … fammi ricordare … ah sì, quell’anno a Rieti – era l’estate del ‘94, appunto – fu organizzata una serie di gare, mi sembra addirittura un Campionato Europeo classe F.A.I. ed uno dei primi Campionati Europei di acrobazia in aliante, la mitica Coppa del Mediterraneo e mi pare il Campionato Italiano classe Libera. Insomma una sfilza di gare che non finivano più: da inizio Luglio ad inizio Settembre. Perciò gli stage, vi ricordate, ve ne ho parlato tante volte …

– Sì, sì.

– Sì, continua.

– Beh gli stage non potevano svolgersi a Rieti. Voi capirete: piloti non proprio provetti si potevano trovare all’improvviso in mezzo ad un nugolo di assatanati della gara – non era certo igienico – … e allora l’AeroClub Centrale decise di abbandonare il campo di gara – oh! da Firenze a Matera eh?- e di spostarsi a Grumentum dove, tra l’altro ci aspettavano come la manna dal cielo visto che lì c’era tutto per volare, tutto tranne gli aeroplani: un piccolo dettaglio!

– Sicché vi siete trasferiti armi e bagagli?

– Eh già: molte armi e pochi bagagli – tredici alianti, questo me lo ricordo bene perché li controllavo tutte le mattine tutti e tredici – e due Robin.

– I Robin erano degli aeroplani trainatori vero ?

– Sì.

– I traini va bene, ma gli alianti come li avete portati?

– Gli alianti? Fu un’avventura: tutti con i carrelli, trasportati su strada dalle automobili, un po’ con quella del Centro, un po’ con quelle dei soci e un po’ con quella dello sponsor dei Campionati.

– Perché un’avventura?

– Perché? Perché durante i viaggi di trasferimento ne successero di tutti i colori: mi ricordo che per il gran calore – e non solo per quello – scoppiavano gomme ad ogni curva; che i primi carrelli finirono in una stradina dentro un bosco perché non c’erano cartelli che indicassero la strada per l’aviosuperficie; che gli autisti – partivano da Rieti alle nove e rientravano di sera alle nove, se andava bene – incominciavano a non farcela più … dopo un paio di giorni con questo ritmo e allora c’era chi si fermava dai parenti lungo la strada, chi sostava a vedere la partita all’autogrill o dormiva in macchina per rientrare il giorno dopo.

– Che partite?

– C’era il campionato del mondo di calcio.

– Ah già! Negli Stati Uniti non è vero?

– Sì, proprio lì.

– Ho letto nella banca dati sportiva che fu l’anno di un certo … Baggio, che l’Italia arrivò seconda e che …

– E basta! Lascia perdere il calcio. Continua a raccontare nonno.

– E dunque dicevo … sì, fu rocambolesco! Tutto il trasferimento durò una settimana: mi ricordo che io ed il mio collega anziano a Rieti smontavamo in serie alianti e a Grumento l’altro mio collega anziano, in serie li rimontava appena arrivavano … quando arrivavano.

– Ma non ho capito: tu non eri a Grumento? E poi perché dici: quando arrivavano?

– Fu così: io rimasi a Rieti le prime due settimane di stage a Grumento – non dimenticate che a Rieti c’erano contemporaneamente gli allenamenti dei Campionati Europei. A Grumento andò l’altro collega. Poi gli diedi il cambio e rimasi le altre cinque settimane.

Il primo giorno di stage in assoluto, era domenica – me lo ricorderò sempre tanto fu nera – un aliante lì a Grumento cadde nel bosco …

– Come nel bosco?

– Eh sì, nel bosco: il pilota – era da solo – combinò qualche sciocchezza. Stallò con un biposto sulla sommità piatta di una montagna, lì, vicino all’aeroporto e cadde nel bosco.

Incolume, senza neanche un graffietto ma con le brache bagnate, il pilota rimase infilato con l’aliante tra due alberi, sospeso a mezz’aria a qualche metro da terra.

– E poi come andò?

– La radio, fortunatamente, funzionava ancora, perciò chiamò gli altri alianti che intanto si erano messi alla sua ricerca – non sentendolo più e non vedendolo più in volo -.

Il pilota non vedeva il cielo perché le piante gl’impedivano qualsiasi visuale, sicché ne giudò lì uno che per puro caso si trovava in quella zona. Solo sentendo il fruscio dell’aliante che si allontanava e si avvicinava. Fortuna volle che sull’aliante, diciamo da “soccorso”, il pilota avesse con sé uno di quei primi modelli di G.P.S.

– Una specie di quelli che sono sugli autoplani?

– Una specie di quelli, sì, ma una versione molto più rudimentale … beh, fece il punto del luogo dell’atterraggio e dopo qualche ora recuperarono il pilota “imboscato” con le jeep.

– E l’aliante ?

– Distrutto, ma neanche tanto. Il suo recupero fu un’altra impresa, ma quello che successe esattamente in contemporanea fu altrettanto rocambolesco

– Perché, che successe?

– Sull’autostrada un’altro aliante aveva un incidente.

– Di che genere?

– L’automobile e il carrello con sopra un biposto – me lo ricorderò perché pesava come una stazione orbitante – fecero un randezvous … incominciarono a sbandare dopo un doppio sorpasso e sbandarono così paurosamente fino a che non invertirono il senso di marcia.

Le vecchie autostrade allora erano tutte a due corsie: quella era addirittura a tre, perciò riuscirono a fare un centottanta e finirono contro … sapete quelle divisioni in cemento armato che si vedono nelle vecchie fotografie? Quelle. Si appoggiarono di traverso contro lo spartitraffico mentre le altre automobili continuavano a venire contro …

– Fu una carneficina!

– Eh che sanguinaria! No, fortunatamente c’era un cantiere di lavori stradali a poca distanza. Gli operai e gli uomini della sicurezza intervennero subito, bloccando il traffico giusto in tempo!

– E l’aliante: distrutto!?

– No, anche in questo caso. E qui venne il bello: il carrello, è vero, era ridotto in condizioni pietose perché il gancio di attacco all’automobile era tutto contorto, i supporti dei longheroni dell’aliante erano piegati e pure piegata la prolunga della coda del carrello – sapete i carrelli spesso erano più corti degli alianti che trasportavano e c’era letteralmente parte delle semiali che sporgeva fuori dal pianale.- L’aliante no, mi pare che fosse esplosa solo la cappottina in plexiglas – erano così le cappottine di una volta – un foro nei flap e scorticature da tutte le parti: insomma inservibile ma non proprio irrecuperabile.

– E allora?

– Allora l’autista – mi sa che pure lui non è che fosse proprio asciutto nei pantaloni – … mi pare che sì, fosse un socio pilota, sganciò l’automobile – aveva un “buco nero” nella fiancata, dovuto al carrello. -. Poi, con gli operai ed i poliziotti, spostò l’aliante sul margine dell’autostrada, quindi pensò bene di smontare tutto quello che di valore c’era a bordo – praticamente una di quelle vecchie radio che ora sono solo nei musei, e gli strumenti .- E di riportare tutto a casa. Oh, questo sotto il sole cocente di Luglio, sull’asfalto nero infuocato, all’una del pomeriggio! Così, scampato all’incidente, a un’insolazione e alla Polizia di allora, rientrò a Rieti.

– Ma in tutto questo tu, come ci sei entrato?

– Ci entrai ahimè … naturalmente non potevamo abbandonare l’aliante in autostrada chissà per quanto tempo, così organizzarono il giorno stesso una “squadra di recupero”. Il Direttore venne in Officina – mi ricordo come fosse ieri – dicendomi: “E’ un’emergenza!” Tenete presente che erano circa le sette e mezzo del pomeriggio e che io ero lì dalle otto del mattino – mi sembra che neanche avessi pranzato quel giorno -. Mi guardai intorno: il sottoscritto, il mio collega anziano e il pilota dell’incidente. Lui, da vero gentiluomo, si offrì volontario per il recupero … ma non eravamo così disperati da ricorrere ad uno “zombi”. Possibili e realistiche alternative non c’erano. Gli risposi: “e va bene, tanto sono votato al martirio!” Poi mi ricordai la battuta di un vecchio film e dissi tra me e me: “Continuiamo a farci del male!”

– Che roba!

Naturalmente la squadra era ben assortita con degli esperti in materia ed i mezzi di soccorso erano scintillanti pronti all’uso …

– Davvero?

– Macché! Requisimmo l’automobile personale del pilota dell’incidente – almeno quella – e riuscimmo a sequestrare tre persone che proprio dei volontari non erano, o meglio, lo erano diventati dopo mostruose minacce fisiche e psicologiche. Altri carrelli non ne avevamo per cui riciclammo qualcosa che con molta immaginazione poteva somigliare da lontano ad una specie di carrello stradale: lo teneva insieme l’ossido e qualche bullone ben grippato.

Era il carrello di un socio, in disuso da soli tre, o al massimo quattro anni. E poi era stato ben ricoverato: sì, all’ aperto, all’acqua e al sole, coperto da un tetto di rovi.

– E allora?

– Cercammo alla meglio di renderlo utilizzabile: non lo avessimo mai fatto perché solo a gonfiare i pneumatici, uno scoppiò con un tale botto! Il caso volle che la ruota di scorta fosse ancora tale ma di fatto fummo costretti a “raspare” tutto l’aeroporto alla ricerca di un maledettissimo carrello che avesse le ruote delle stesse dimensioni di quello “d’emergenza” … per prenderle in prestito: solo momentaneamente.

– Ah, così hai fatto pure queste cose, eh nonno?

– Io? Mai … non ne trovammo neanche una! D’altra parte a che cosa poteva servirci una ruota di scorta? Potevamo farne a meno. I bulloni si spezzavano appena si provava a svitarli? Bastava qualche corda, qualche elastico e un po’ di gomma piuma. I documenti non li avevamo? Ammesso che il proprietario li avesse avuti ancora, non aveva importanza: “è un’emergenza!”, avremmo risposto al tutore dell’ordine che ce li avesse chiesti.

– E siete partiti lo stesso?

– Si, certo. Oh, noi eravamo la “squadra di recupero”!

– Ma così attrezzati poteva capitare qualcosa anche a voi?!

– Certo, e allora avrebbero organizzato la “squadra di recupero” per recuperare la “squadra di recupero” che era partita per un recupero d’emergenza.

– E sì, va’ beh, ma come andò?

– Verso le nove partimmo con un’automobile scarica ed una seconda con il carrello di salvataggio, facemmo sosta per rifornire di carburante le auto e di panini i nostri stomachi. Arrivammo sul posto verso mezzanotte. Non senza difficoltà trasferimmo l’aliante incidentato sul carrello e sistemammo l’altro danneggiato in modo da poterlo riportare fino a Rieti. – Filò tutto liscio?

– Quasi. Montare un aliante su un carrello non proprio perfetto, di notte, sul bordo dell’autostrada, alla luce di quelle lampade a batteria che si usavano una volta, con tutti i camion che ti sfrecciavano a 100 chilometri all’ora a meno di un metro, non fu certo cosa facilissima: uno di noi, mi ricordo, si pestò due volte la mano – prima un dito e poi tutta la mano – per sistemare l’aliante che non voleva saperne di starsene “buono” nel nuovo carrello. Poi, i bulloni non stringevano i longheroni delle semi-ali per cui, per fare un po’ di spessore, fummo costretti a raccattare la robaccia lungo il bordo dell’autostrada. Niente!

– Cioè?

– Niente di niente! Non ho mai visto un autostrada linda come quella: non c’era neanche … ma che ti dico? Un fiammifero. Niente.

– E allora?

– Fummo costretti a “sacrificare” il ramo di un alberetto selvatico che cresceva appena fuori il bordo dell’autostrada. E io che ero un verde convinto!

E poi l’ attacco del carrello incidentato non volle smontarsi nonostante tutti i tentativi – pure le parolacce – tanto che lo portai così – con molta strizza – fino a casa. Camminava tutto di traverso ma camminava. D’altra parte anche l’aliante rimaneva sul carrello soprattutto grazie alle corde, agli elastici … e alle nostre preghiere.

– A che ora siete rientrati a Rieti?

– Tardi, molto tardi, anzi no, presto, molto presto.

– Come?

– Verso le cinque e mezzo, me lo ricordo bene perché si fece giorno lungo la strada e quando arrivammo in aeroporto era ormai giorno fatto.

– Hai avuto un giorno di riposo no?

– No. Mi feci la doccia, dormii un’oretta e alle otto tornai in Officina per un’altra “giornata di lotta”.

Oh, ragazzi: ero O P E R A T I V O!!!


segue:  II parte

  MISSIONE GRUMENTO: sempre operativi!!



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Big Mark

Prova d’esame e di fuori campo

 Università degli studi di Perugia ” Accademia degli stranieri “

Prova d’esame: composizione tematica. Traccia: “Le vicissitudini quotidiane dell’uomo comune sono tali e tante da superare talvolta la fantasia del più estroso scrittore del genere fantastico” ( D. Papini ) Il candidato, ricorrendo al modello narrativo epistolare, esponga una vicenda che segua la logica della citazione sopra riportata.

Svolgimento

Caro Paolo, tu sai come è difficile per me scrivere queste parole, ma non per la lingua. Perché tu piacevi a me e penso che anche io piacevo a te. Io stavo bene quando tu eri con me e spero tu anche. Tu sei bello, divertente e simpatico ragazzo, ma hai piccolo problema: tu sei pilota di aliante.

Perciò io devo scrivere questa lettera. Per spiegare perché io non voglio vedere te per il futuro.

Tu non conosci quanto io sofferto, quanta paura e fame e sete e sonno io sentito la ultima domenica che io e te stati insieme. Io pensato molto e a fine io deciso che io non posso stare tua ragazza, ancora. Io spero che tu capisce mia decisione.

Se tu non capito perché io fatto questo … beh, tu capiscerai se legge di seguito!   La scorsa week-end tu hai chiesto a me se volevo venire con te e tuo amico Dante all’airporto. Ok ho detto!

Io non pensavo che airporto era un semplice prato con piccolo camping, piccola piscina, alcuni hangar e molti alianti. L’airporto in United States sono molto diversi da questo. Ma bello lo stesso.

Tu e tuo amico Dante avete comprato una vecchia caravan per campingare in airporto. Quella domenica noi portato caravan in airporto. Il viaggio stato molto lungo e lento: solo sessanta chilometer in ora. Ok, io felice lo stesso!

Dopo parcheggiato caravan in camping.

Dopo noi costruito veranda.

Dopo ancora noi andati in supermarket per comprare qualche cosa per mangiare e per bere.

Dopo noi preparato cena e dopo noi molto stanchi: andare a dormire alle mezzanotte.

Io molto felice perché stare con te. E tuo amico Dante, anche.

Domenica mattina noi alzati molto presto (sette) perché voi volare con aliante. Noi avuta colazione italiana in bar: molto buona!

Poi noi preparati alianti e poi voi briefingato con boss di stage. Lui decise che tu volava con lui su aliante due posto e Dante volava da solo. Tu ricorda vero?

Tu hai detto a me: – Boss è grande pilota, campione tante volte in gare nazionali ed internazionali -. Tu era molto contento di volare con lui. Anche io per tu.

Quando decollati io non preoccupata, io felice!

Veramente io … molto stanca e sonno, perciò andata indietro in caravan a dormire.

Io svegliata a due di pomeriggio: avere un po’ fame. E sete, anche (essere molto caldo). Perciò io andata in piscina per nuotare, poi – io pensavo – avere pranzo. Ma in frigidaire non c’era niente: solo pomidora per spaghetti! Ok, io non preoccupata: io mangiare cena quando voi atterrati. Perciò andata indietro in piscina per nuotare e bronzare pelle.

Cinque pomeriggio … voi ancora non tornare. Ok.

Sei pomeriggio … voi ancora no tornadi. Ok.

Sette di pomeriggio voi ancora non tornadi. Ok, ok, io un piccolo preoccupata!

Alle otto sera tornato solo Dante.

Lui detto a me: – Paolo è fuori campo! Vuoi venire con noi? –

– Ok – ho detto. Ma io non sapevo cosa significa parola “”fuori campo”.

Io pensato che tu era fuori di rete di airporto: noi tirare con automobile e portare dentro di campo, semplice vero?

Con Dante era altro ragazzo, un grosso e largo ragazzo che il suo nome era Marco. Dante mi ha presentato lui e detto che Marco avrebbi dato noi aiuto per portare tuo aliante in airporto.

Io però non capivo. Tu aveva detto a me: – Non devi preoccupare: aliante è molto sicuro. Lui non ha motore, è come byclicletta. Male che essa può andare è bucare ruota! –

Allora … tu aveva bucato ruota?

Ah … tu aveva detto a me anche: – L’aliante può atterrare in campo da tennis -.

Ma allora perché airporto sono così grandi?

Ok, ok, io capirò altra volta.

Perciò io andata in automobile con Dante. Mentre io saliva io visto che a la automobile era attaccato un lungo carrello: a che cosa serve? Io non so’? Loro non detto niente a me!

Poi noi usciti da airporto.

Io pensato di vedere te dopo qualche minuto … mentre noi camminava con macchina … beh, io spettavo altro minuto … ma noi camminava ancora fino a che … airporto finito: tu non era fuori di rete!

Io volevo domandare a Dante: – Dove stare Paolo? – ma lui parlava veloce con Marco.

Quando io capito racconto di aliante dentro la foresta, poi di aliante sulla montagna o in mezzo a pecori oppure in campo di tabacco … beh, io avuto freddo brivido e non aprita lingua. Io non comprendevo tutte le parole però dicevano – io sono sicura- di contadino arrabbiati con fucile e subito dopo di altra storia di cena con fungi porcini in casa di altro contadino, oppure di aliante con incidente in autostrada … Io molto preoccupata, io non felice!

Ma insomma – pensavo – dove noi stavamo per andare? Loro parlato più volte di campo di lago di Piediluco ma io non sapevo niente di dove essere lago. Noi fatto brutta strada con molte curve: io sentito male come quando essere dentro di barca. Ma in mio stomaco non c’era niente!

Era quasi notte quando noi vista macchia bianca di aliante in mezzo al campo.

Io molto felice quando vedere te, e anche tu – spero- quando vedere me. Ma tu dato a me solo piccolo braccio e bacio su fronte, poi andato con boss, Dante e Marco a smontare l’aliante e lasciata me come basilico su spaghetti con pomidora …

L’aliante era vero al centro del campo ma … non era campo da tennis! Era super grande campo con strade piccole intorno ma … a mezzo miglio – io calcolato con occhio –

Noi andato in direzione di aliante, ma molto difficile camminare perché campo arato. E molto profondo, anche.

Voi girato intorno a aliante – non ho mai capito cosa essere interessante in pancia di aliante … che tutti guardare e toccare, mah! – poi parlato quarto di ora. Dopo voi detto a me: – Indy, tu sei nostra luce! – Mah, veramente … ok, mii amici diceno che io sono ragazza brillante … ma non fare luce da sola, ancora!

– Con lampadino, Indy … con lampadino – Ah, ora io capito! … io fare luce con piccola lampadina a batteria e capito da tuo faccia che tu rabbiato con me, anche.

Io volevo chiedere perché rabbiato ma Mario dice: – India, fai luce qui – poi Dante detto: – Indy, fami luce! – poi anche boss:- Lumina, prego – … ehi! Ok, io luce … ma non potere fare luce in tre posti diversi in stesso tempo!

Voi comunquo molto bravi perché fatto aliante in quattro pezzi. E ora?

Voi preso bocca di aria e asciugato acqua su facci e corpo, poi parlato altro quarto di ora – ma italiani fare sempre così? – Finalmente voi deciso di portare ala in direzione di macchina e carrello. Ma molto difficile perché ala pesare molto e zolli molto grandi: voi sembrare come ubriachi a sabato sera.

Io avuta molta preoccupata perché tu presa parte di ala più pesa. Io pensato: se ala cade mio Paolo hamburger! Perciò io venuto vicino a te con piccola lampadina per fare conforto.

Anche tu preoccupato … ma per ala di aliante! Ricordi, vero Paolo?

Ricordi che usato una ora per andare fino a macchina? Ricordi che voi fatto venti tappi, pulito venti volte scarpa da terra, detto venti volte: – Forza che siamo arrivati! – e che voi puzzato come pecori con corna?

Io ricordi pure che era dieci di sera e che aveva tanta fame e sonno!

E voi? Voi parlato altro quarto di ora poi tu non spiegato niente, hai chiesto a me lampadina e partito verso casa di agricolo. Io non capito neanche quando Marco detto a te: – Ce l’hai abbastanza argomenti? – e tu hai risposto: – Ce l’ho, ce l’ho -. Ma che significava questo? Io non capito subito!

Dante e Marco tornati verso di aliante e io rimasta sola con boss vicino a vettura.

Campo tutto buio. Io sentito musica: esso suonava da piccola città davanti a lago. Era bella musica per ballare. Forse c’era festa di paese con grande barbecue, hot dog, popcorn, birra … poi sentito lontano parolaccia: io pensato che Marco caduto su terra. Lui non è leggero. Più orso che scoiattolo. Tu non venivi indietro e io molto stanca, sonno e fame, anche.

Io fino a oggi mai raccontato ma … boss incominciato a parlare, a chiedere a me da dove ero, se ero fidanzati, se io e te litigato spesso. Io risposto a tutte le domande poi però io capito … dove andare! In Italia voi chiama “fratta”, vero? Io so’ italiani grandi amanti ma quello no posto, non ora giusta, boss non piacere a me e poi io amare te: io ragazza con cuore e testa, anche. Io avuto freddo brivido in schiena: stato molta paura. Però io avevo possibile tana: vettura. Perciò io andata in automobile e chiusa dentro. Io salvata da pericolo, grazie a Dio!

Io non saputo cosa successo dopo perché io veramente molto stanca e sonno, perciò a caduta in dormire.

Io fatto brutissimo sogno: io ero sola in grande campo in notte. Io non sapere dove andare perché tutto buio. Io cammino ma metto piede male e cado in buca. Io provo a uscire ma mio piede bloccato. Allora io sentito rumore e vista forte luce. Io pensato: qualcuno aiuterà me. Luce e rumore era più vicina, ora … ma la luce avvicina a me .. rumore è più forte, più vicina, più forte … Oh, Dio! Essa vuole uccidere me! No, nooooo …

Io svegliata tutta bagnata in mio corpo … esso era solo sogno? No, esso non era solo sogno perché adesso io era sveglia ma sentiva ancora rumore e vedeva luce. Io poi vista che voi era vicina di essa: voi in pericolo! Io urlato a voi: – Danger! Pericolo! … scappate!

Voi guardato me e tu detto: – Indya ma che hai? Non hai mai visto un trattore?

Ma sì, certo! Era trattore … poi io capire: il trattore faceva strada con ruote su campo arato. Io però avuta molta paura e bagnata in dosso.

Voi finalmente portati tutti i pezzi di aliante vicino a carrello e vettura. Guardato orologio: era undici di notte. Io pensato: tra poco noi tornati in airporto. Io non pensavo che mettere aliante su carrello essere più difficile che portare aliante da centro di campo fino a strada! Io non capito: aliante non stare bene su sella – così loro nome, vero? – Poi bulloni non blocca sella di fusoliera, poi manca corde per legare aliante e poi … voi dimenticare indietro ultimo pezzo: ala di coda, poi girare carrello con vettura perché non poteva camminare indietro … insomma noi stati in maledetto campo fino a mezzanotti!

E voi chiamare questo fuori campo? Questo essere tragedia. Ma non per pilota, no! … per povera gente che fatto recupero!

Noi tornati dopo viaggio infinito a quaranta chilometer in ora. Io ricordo di essere in aeroporto mezzo dopo mezzanotte. Io dico: è possibile questo? E’ possibile che quando tu anderai a volare io devo essere sempre con paura se tu vivo o morto o chissà dove atterrato? Io dico no! Scusa me ma io non posso vivere con questo terribile paura! Perciò devi capire Paolo: io volio molto bene a te ma non posso vivere altra giornata come domenica scorsa! Io non posso chiedere a te: – Paolo, non volare! – oppure: – Paolo: o io o il volo a vela! – Io ti volio bene ma non posso vivere con pensiero che tu tradisci me con aliante. Io prego te: non telefonare, non cercare me in università. Io decisa e non andare indietro. Addio. Paolo!  

Tua amica India Jonhson

– India Johnson?

– Sì? Buongiorno professore!

– Buongiorno, signorina India. Prego, si accomodi.

– Grazie.

– … per quanto riguarda la sua composizione tematica … ah, eccola qui … beh, le posso comunicare fin d’ora che ha correttamente interpretato il testo della traccia … tuttavia il suo italiano è sin troppo precario! Se ne rende conto, vero?

– Sì, io so.

– … appunto, perciò se intende seguire in modo proficuo questo corso di laurea, deve assolutamente migliorarlo. E anche alla svelta!

– Ok!

– Lo svolgimento è decisamente esauriente … forse anche troppo prolisso, non crede?

– E’ vero ma in United States io telefono spesso a miei amici. Io non scrivo mai …

– E ha fatto sempre male: deve abituarsi a scrivere. E in italiano, anche … comunque va senz’altro premiata l’originalità del testo: sa, la vicenda è davvero molto fantasiosa!

– No, scusi. Non è niente fantasia in storia.

– Su, su, non sia modesta: ha superato brillantemente l’esame – in genere mi scrivete le solite storie alla Stephen King – ed ora non c’è motivo che mi dica bugie.

– Io non dico bugii. E’ tutto vero. E’ stato realmente come io ho scritto.

– Suvvia! … veramente? … ma allora è stato un incubo! Altro che Stephen King!

– Oh, sì. E’ stato incubo … ma molto fortunata perché poi risolto bene.

– Ah! Perché forse mi vuol dare ad intendere che … questa lettera l’ha realmente scritta al suo fidanzato?

– Yea! Scritta e spedita!

– Ma senti! E lui … come ha reagito?

– Ha sposato me.

– No! Veramente? … cioè … rallegramenti signora India!

– Grazia. – E … mi dica … lui, suo marito, ha deciso di lasciar perdere quello strano sport … come si chiama?

– Volo a vela.

– Volo a vela, appunto.

– No, lui non ha fatto. Noi comprato aliante due posti con piccolo motore. Io stare sempre con Paolo e fare mai fuori campo. Così io mai preoccupata: io sempre felice!


A tutti i “Paolo” e le “India”: che il vostro sia un lungo volo!


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Big Mark

La prima volta

– Cinture? … strette! – Altimetro? … azzerato! – Radio? … accesa e in frequenza. – Comandi? … destra, sinistra, avanti, dietro: liberi e a fondo corsa! – Diruttori? … controllati e bloccati! La cappottina si chiuse e mi trovai solo con il K13. Inspirai a pieni polmoni l’odore “sintetizzato” di metallo e di tela verniciata. – Una persona a bordo – precisai alla torre. Ero pronto.

Arrivando alla sezione ologrammi aeronautici, – Bella giornata – mi ero detto malinconico. Cielo azzurro, qualche cumulo, visibilità perfetta, calma di vento: – Come sempre!? – avevo aggiunto sarcastico. Era caldo, questo sì. Ma eravamo pure in pieno agosto! L’ideale per volare in aliante. – Tanto per fare il solito volo cielo campo?! – I miei compagni di corso erano già lì e stavano facendo i controlli giornalieri. In effetti ero arrivato un po’ in ritardo … ma non c’era stato motivo di affrettare il passo: – Anche oggi non farò niente … che non abbia fatto già ieri o due cicli fa – m’ero detto. – La sai la novità? – mi bruciò Matteo. – No. Che novità? – risposi secco. – Il generale?! … se ne è andato! – Ma che dici? – Eh, dico che il generale se n’è andato. Ha dato le dimissioni due giorni fa. Ancora incredulo, pensai a voce alta: – E ora?! – – Semplice! Hanno trovato un altro istruttore – incalzò Matteo. – E … chi sarebbe? – chiesi, ancora più stupito. Non ebbe il tempo di rispondermi: il nuovo istruttore era apparso dietro le mie spalle, quindi si era presentato a noi allievi con un breve discorsetto. Poi mi aveva pregato di prepararmi. Non ricordavo nulla del volo che avevo appena fatto … tranne i suoi “Uhmm”. Era stata la prima volta che volavo con qualcuno che non fosse il generale: il silenzio aveva regnato in cabina dal decollo fino all’atterraggio. Era stato un volo di addestramento breve come al solito. E come al solito avevo rullato fino all’area di parcheggio. Mi stavo preparando a scendere quando l’ennesimo “uhmm”, stavolta interlocutorio, aveva preannunciato la voce del mio nuovo istruttore: – Ora vai da solo. – Ero rimasto pietrificato.

Mentre il traino ancheggiava tirandosi dietro il cavo, ripensai a quello che il generale mi aveva insegnato: “il pilota è un automa”. “Egli svolge le manovre di pilotaggio con inconsapevole meccanicità”. “Non può e non deve sbagliare: il pilota”. “Egli non vola per puro divertimento: egli è aria nell’aria, è perfezione nella perfezione”. Io dovevo far bene: volevo essere un pilota. Mi concentrai allora su ciò che avrei dovuto fare: il rullare ritmato delle manovre cominciò a vibrare nella mia mente. Lo strattone del cavo teso mi riportò alla realtà. Il vecchio K13 cominciò macilento la sua corsa, accennò ad abbassare la semiala sinistra verso terra ma io, che conoscevo il suo umore, lo pregai con decisione affinché livellasse l’ala. Poi lo scorrere sull’erba diventò lo scivolare vibrato nell’aria e … ero in volo! Fu allora che mi sentii scoppiare un urlo. Tutt’assieme esplose fuori la tensione, la preoccupazione di non riuscire, ed ora, ad ogni respiro, entrava solo contentezza. Ero solo in aria: pilotavo! Ero l’aliante e lui era me. C’era voluto molto tempo ma ora ci capivamo. Io rispettavo lui e lui rispettava me. Non gli chiedevo l’impossibile e lui non faceva ciò che non volessi anch’io. Ora sapevo come chiedergli ciò che volevo e lui lo faceva come io pensavo avrebbe fatto. Il traino aereo mi era stato sempre difficile: il generale mi tuonava manovre e contromanovre, eppure riuscivo a malapena a star dietro la coda dell’aereo. Io eseguivo … ma troppo in ritardo o in eccesso: lui tuonava ancora più forte correzioni e controcorrezioni; quando neanche quelle avevano effetto, sentivo pistare sui comandi: la cloche partiva di lato e la pedaliera schizzava a fine corsa. Il K13 eseguiva servile. Da subito il nuovo istruttore aveva capito il mio dramma: con parole pacate mi aveva spiegato e ora … ero appeso a quel filo invisibile che lega il pulcino alla chioccia. Ero la sua ombra. D’improvviso l’aliante sussultò: mi trovai a tirare la leva di sgancio e a guardare l’altimetro – settecento metri -. Anch’io sussultai: ero libero! Libero di volare senza vincoli … finalmente! Il cielo era davanti a me ed io potevo solcarlo all’infinito. Per la prima volta, dopo tanto tempo, riassaporai il gusto del volo: il suonare sordo del vento, i sobbalzi dell’aria, la terra vista dal cielo … Solo all’inizio – da passeggero – avevo gustato quel sapore dolce ma poi – da allievo pilota – era diventato tutto amaro. Quando scendevo dall’aliante – la testa perforata dai tuoni del generale, la schiena fradicia (e non per via del paracadute), i muscoli irrigiditi dalla tensione – sapevo di non aver volato: avevo cercato di domare un masso riottoso di tela, legno e acciaio. E non c’ero riuscito. Io ne ero cosciente, né il generale – con i suoi apprezzamenti – si tratteneva dal ricordarmelo. Ma ora, potevo dire davvero che tutta quella fatica aveva avuto un senso: il momento che stavo vivendo era inimmaginabile. Avevo fantastico su cosa sarebbero stati quegli istanti … ma non avrei potuto mai immaginare i mille sentimenti che provavo. Un sogno impossibile era diventato realtà possibile. Forse perché era stata una liberazione: da una vita sognavo di volare e quando ormai, quasi dubitavo di esserne capace, il generale s’era fatto scappare qualcosa. Poi però, il giorno fatidico del mio volo solista non s’era presentato in aeroporto – per la prima volta da che lo conoscevo – .”Motivi di salute” ci avevan detto in Aeroclub. E poi la notizia delle dimissioni, infine il nuovo istruttore. Già pensavo di buttare in un polverizzatore per rifiuti quelle dieci ore di tormenti a doppio comando, quand’ecco che il momento magico aveva avuto inizio. Un’altro sussulto violento mi scosse: l’aliante aveva sentito qualcosa e mi suggeriva di sfruttarne la spinta. – Non può essere turbolenza – pensai: ero a centro valle – E non può essere neanche una semplice bolla – conclusi: la mattinata era già piuttosto avanzata e quella doveva essere proprio una termica. Per un momento pensai di tentare l’aggancio, poi, toccando il cruscotto, confidai al K13: – Ora pretendi un po’ troppo da me!? -. Lui mi rispose comprensivo accennando una leggera picchiata. Bighellonare in aria non mi era familiare: in me scattò una molla e cominciai a manovrare come avessi avuto un programma di missione da svolgere. Non ricordavo che quello non era un volo addestrativo: a bordo non c’era più l’istruttore che mi avrebbe suggerito la successione delle manovre, eppure nella mia testa echeggiavano cadenzate le manovre da impostare. Virata a destra … virata a sinistra … planata con prua costante … mi veniva tutto naturale. Allora capii che nello stesso attimo in cui decidevo di virare … tutto me stesso virava, nello stesso attimo in cui decidevo di planare veloce … tutto me stesso planava. Se volevo mantenere una direzione, “io aliante” mettevo il muso in quella direzione: non era più una questione di bussola, piede e cloche. L’ala era il prolungamento delle mie braccia e la fusoliera del mio ventre. Non ero più il pilota di una macchina ma l’uno e l’altro contemporaneamente. L’ebbrezza del volo mi aveva preso fino al midollo e speravo che non finisse mai più: – Non ora … – dissi, – Non ora che sono “aria nell’aria” e “perfezione nella perfezione” -. Ma l’altimetro, impietoso segnava duecento metri. Già ero sotto la quota di ingresso in circuito e non potevo indugiare di più. Fortunatamente ero sul cielo campo – questione di inconsapevole meccanicità? Bah, a saperlo! -. Avviai alla svelta la procedura di atterraggio. A mie spese avevo imparato che il decollo e l’atterraggio erano fasi critiche, ma il rullare mentale dei parametri e la vista dei punti di riferimento mi dissero che stavo facendo bene. Al suolo, non c’era praticamente vento: chiesi alla torre se potevo atterrare per la pista uno-sette. – Affermativo: la pista in uso è la uno-sette. Calma di vento. Nessun traffico. – D’accordo … andiamo giù – mi dissi fiducioso. Il gracchiare improvviso della radio interruppe la nenia dei controlli pre-atterraggio: – Atterra per tre-cinque! – ordinò la voce ferma dell’istruttore. Con la coda dell’occhio guardai di nuovo la manica: una bava di vento in coda. – Accidenti! Non c’è motivo di atterrare per la tre-cinque! – urlai inviperito. L’altimetro girava crudele verso lo zero e già avevo percorso un quarto di sottovento. Ma l’ordine era stato perentorio: non lasciava spazio a repliche, né avrei avuto il tempo di farne. Diedi il ricevuto e sconsolato guardai il cruscotto: – Se riusciamo a toccare la pista siamo proprio bravi, eh!? – Gli operatori dell’assistenza al volo, testimoni benevoli, mi accordarono l’uso della pista e confermarono l’assenza di traffico. Il vento al suolo era sempre insignificante. Senza accorgemene diedi loro il ricevuto: ero troppo preso dall’invertire il circuito. Feci una doppia virata stretta: l’aliante era insolitamente rapido nella rimessa, quasi che anche lui avesse capito la gravità del momento e volesse dare il meglio di sé. Non avevo granché riferimenti: sì e no, nel corso di tutte le missioni avevo fatto cinque o sei atterraggi da quel lato e ora scontavo quell’unica leggerezza del generale. Ma dovevamo farcela: dovevamo andare giù! Sentii un brivido lungo la schiena e vidi tremare la mano sulla cloche. Che fosse paura? Forse. “Concentrazione!” echeggiò il generale. Non avevo più quota da spendere per fare il sottovento: dovevo lasciarmene un po’ per la virata in base e la virata finale. Decisi di tagliarlo a metà. – Ora! Virare! – Mi sentii centrifugare stretto come mai m’era capitato prima dall’ora. – Ecco la pista! Non eravamo affatto bassi: estrassi a tre quarti i diruttori. L’aliante tremò tutto … ed io con lui. Sotto la sferza dell’aria scendemmo decisi verso terra. Sapevo che l’asfalto era duro – sarà per il colore grigiastro o per la grattata del pneumatico quando lo tocca? – ma quel primo atterraggio fu particolarmente duro. In tutti i sensi. La pista continuava ad avvicinarsi e a scorrere: ero troppo picchiato, dovevo raccordare. Lo strattone finale ci fece sprofondare ancora di più. Rimanemmo immobili per un istante lunghissimo: scendemmo inesorabili verso terra, sicuri che il contatto sarebbe stato violento. Il tonfo arrivò fortissimo e ci rimbombò nelle ossa … ma non subimmo danni: il K13 mi aveva già perdonato. Rullammo verso l’area di parcheggio e rimasi in cabina con la cappottina chiusa, nonostante il caldo torrido. Ma io non lo sentivo tale il gelo che provavo. – Ce l’abbiamo fatta! – urlammo all’unisono. Avevamo fatto tutto quello che potevamo fare e l’avevamo fatto bene – a parte l’atterraggio, forse -. Ero di nuovo a terra, eppure il cielo non era più lo stesso cielo: ero entrato in un quel nuovo mondo e quello terrestre non mi era più congeniale. – Ti senti bene? – urlarono i miei compagni, paonazzi per la paura. – Sì, sì, tutto bene – risposi loro, aprendo la cappottina. Mi riempirono di complimenti sinceri. La loro opinione era prevedibilmente benigna ma lo sarebbe stata quella dell’istruttore? Così mi avvicinai a lui, seduto accanto alla biga, che compilava un rapporto di volo. Volevo scusarmi … per l’atterraggio duro, per la procedura affrettata. Appena mi vide si alzò, guardò l’aliante riallineato pronto al volo e con distacco sentenziò: – Quello che hai fatto oggi ti servirà per i voli futuri – , poi si allontanò con impassibile noncuranza, seguito da un allievo. Le sue parole mi trapassarono veloci come il raggio di uno smaterializzatore: per un attimo sentii fluttuare nello spazio tutte le mie molecole … e poi riunirsi. Mentre i miei compagni davano inizio ai festeggiamenti, il primo pensiero corse ai miei genitori. Fuori della sezione ologrammi aeronautici, c’era un videotelefono: non potevo tenere solo per me la notizia. E poi ero certo che ne sarebbero stati felici. Certo avrebbero preferito sapere che avevo ottenuto qualche buon risultato negli studi – non ero brillante, dovevo ammetterlo – ma era pur vero che non era da tutti avere un figlio dodicenne, nato e cresciuto in una stazione spaziale da esplorazione, che sapesse pilotare un aliante!? Certo, all’inizio avevano mostrato un po’ di contrarietà – eccome – quando avevo detto loro che mi sarei iscritto al corso di volo a vela: – Non potevi scegliere uno sport un po’ più moderno? – avevano obiettato. – No – , avevo risposto deciso, – Il volo in aliante è modernissimo perché “è stato” ed “è tuttora” la base del volo terrestre.- Poi avevo aggiunto: – Tra dieci cicli saremo nel Sistema Solare e calcolando la quarantena, saremo sulla Terra tra quindici cicli al massimo. Se comincio subito il corso di pilotaggio, potrei fare il volo solista su un “aliante vero” e in un “cielo vero”! Ero riuscito addirittura ad anticipare le previsioni: che volevano di più?! Pronunciando il codice di accesso telefonico guardai attraverso l’oblò accanto al videotelefono: il cielo della Terra là sotto mi aspettava azzurro e sconfinato. Ed io ero pronto per solcarlo.

Rullai fino all’area di parcheggio. Mi preparai a scendere ma il ronzare del traduttore fonetico, dietro di me, preannunciò la voce sintetizzata del mio istruttore: – Ora vai da solo. – Rimasi pietrificato, ancora una volta. Poi, fissandomi con i suoi enormi occhi gialli, affossati tra le squame della testa, aggiunse: – Ricordati che qui siamo sulla Terra: questo non è un simulatore!? – – Giusto! – ripetei, per convincerlo di aver capito, – Questa non è la stanza ologrammi della navetta spaziale: è la Terra … e questo non è un simulatore di volo: è un “aliante vero” in un “cielo vero”! – Okay – rispose. E si allontanò con uno strano ghigno in viso: probabilmente un sorriso di approvazione … se solo avesse avuto una bocca umana per mostrarlo.   – Cinture? … strette! – Altimetro? … azzerato! – Radio? … accesa e in frequenza. – Comandi? … destra, sinistra, avanti, dietro: liberi e a fondo corsa! – Diruttori? … controllati e bloccati! La cappottina si chiuse e mi ritrovai di nuovo solo con il K13. Inspirai a pieni polmoni il “vero” odore di metallo e di tela verniciata. – Una persona a bordo – precisai alla torre. Ero davvero pronto.

A Daniele e a quel pilota che, probabilmente, non sarò mai.


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Big Mark

Piloti!

“Contatto visivo … nemico ad ore due … stringere la formazione!”

I ricognitori a lungo raggio avevano intercettato il nemico e lo stormo al completo era decollato in pochi minuti. Ormai eravamo in preallarme da così tante ore che decollare, anche se fosse stato per l’ultima volta, fu per noi una vera liberazione. Al briefing, il generale ci aveva comunicato che, probabilmente, il nemico avrebbe tentato un’incursione verso mezzogiorno. – Meglio così – esclamò – Il sole sarà alto e lo sfrutterete a vostro favore -. Certo – pensai – attaccare con il sole alle spalle ci avrebbe dato un notevole vantaggio. – Volate alla massima velocità di manovra ed attaccate in formazione compatta. La strategia del Comando non era dunque cambiata. – Non possiamo competere con loro in velocità – aggiunse il generale – perciò, una volta intercettati, impegnate il nemico con una manovra frontale e decisa. Chiaro – mi dissi – la velocità relativa sarebbe stata tale che avremmo avuto appena il tempo di puntare e colpire. – Anche il nemico ha dei punti deboli: colpiteli senza pietà. Ricordai allora le parole del mio istruttore: “Piccoli fori lungo la fusoliera, una lunga antenna alla sommità della deriva e una grossa sonda nel muso: questi sono i punti nevralgici. E’ difficile centrarli, lo so’, ma voi non siete piloti qualunque. Voi siete piloti da combattimento! … e quanto è vero che vi ha addestrato il sottoscritto, voi li centrerete in pieno! Non è vero?!” Bei tempi quelli dell’addestramento. Passavamo le tiepide giornate di primavera facendo voli in formazione con l’istruttore. Imparavamo le tecniche di combattimento passando sopra ai campi puntinati dai primi fiori. Affinavamo le nostre capacità di pilotaggio solcando un cielo che aveva l’odore della terra rinata. Avevamo tutti il volo nel sangue ma non la disciplina dei soldati né l’aggressività dei combattenti. Per questo ci preparavamo alla battaglia, così come avevano già fatto i nostri padri e i nostri nonni prima di noi. Era una lotta eterna la nostra. Da generazioni ci battevamo contro un nemico potente e velocissimo. Nessuno ricordava quando fosse cominciata: eravamo in guerra da sempre. Era un nemico sfuggente il nostro. Si mostrava appena d’inverno, accennava qualche incursione in primavera e ci attaccava in massa in estate. Avevamo tentato di metterci in contatto con loro, per negoziare, per creare un accordo di pace. Ma niente, Sfrecciavano luccicanti ed invadevano prepotenti i nostri cieli.

Alla fine del briefing il generale ci salutò con calore: – Che il cielo sia con voi, piloti – . Le sue parole echeggiarono per qualche secondo, poi si spensero quando, messi in libertà, corremmo indaffarati per gli ultimi preparativi prima della missione.

Solo ora, di fronte all’immensità del nemico davanti a me, capivo che quello era stato un addio. La nostra missione non avrebbe avuto ritorno. Solo il sacrificio della nostra stessa vita avrebbe potuto arrestare quel nemico. Non avevamo arma che potesse distruggerlo … tranne il nostro coraggio e l’amore per il nostro paese. Ora capivo perché interi reparti erano stati annientati: bravi piloti, cari amici, fratelli di sangue si erano sacrificati per la nostra sopravvivenza.

“Il comandante a tutti i piloti: che il cielo sia con voi … ragazzi …” E il nemico mi travolse con mostruosa indifferenza. Vidi il bianco luccicante frantumare il mio corpo e la mia linfa uscirne .

– Allora?! Hai finito? – No, non ancora … andate pure … vi raggiungo più tardi. – Ma perché, scusa … se l’aliante lo lavi domani?! – No, preferisco di no. Vorrei pulirlo subito … altrimenti domani, una volta secchi … – E’ lo so … sarebbe doppio lavoro, hai ragione. Certo che hai fatto una bella strage, eh?! – Proprio. Sembrava quasi che mi aspettassero. Pensa che c’è stato un momento che me ne son trovato davanti una nuvola … ho provato ad evitarli ma … – E va beh, mica ne farai una questione umanitaria!? … in fin dei conti erano solo MOSCERINI.   “Dipende sempre dai punti di vista!?”


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