Passeggero per forza – I parte –

 (Guida per tutti i fifoni del volo)

A mia moglie Laura che sopporta tutto questo.                              A mio padre, uomo di terra.   A mia madre, donna giramondo.   Al mio amico Paolo, passeggero per forza come me.  

INTRODUZIONE

Da sempre avuto paura di volare, ma la sete di conoscenza, il piacere di viaggiare e scoprire nuove città e mondi diversi, mi ha spinto a “osare”, e qualche volta ho volato. Certo prima di arrendermi le ho tentate tutte: ho raggiunto in auto la Scozia, il Galles, la Norvegia e la Svezia, la Bretagna e la Normandia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca, ma in Cina non ho potuto arrivarci. Negli anni non sono mai riuscito a vincere veramente la paura di volare, ma raccontando ho scoperto di non essere solo; ho trovato amici, parenti, amici degli amici tutti con la stessa incontrollabile nevrosi da volo. Alla fine, confrontando paure e timori, i nostri comportamenti erano così comuni e allo stesso tempo così buffi da risultare irresistibili, e ho deciso che dovevano essere raccontati. In questo modo è nata questa piccola guida che vuol essere divertente e irriverente sia per chi vola, sia per chi non vuol volare, dedicata a tutti noi fifoni dell’aereo che preferiremmo restare a terra, ma ogni tanto chissà perché, ci facciamo convincere e sfidiamo noi stessi.

PARTE PRIMA: I PASSEGGERI

“Pensate che una volta mio zio doveva andare da Chicago a Los Angeles,  ed ha avuto il presentimento che l’aereo sarebbe caduto.  Così ha preso il treno. E pensate un po’! L’aereo è precipitato.  Sul treno.” (telefilm I JEFFERSON)

Prepararsi ad un volo aereo è un’attività decisamente faticosa e molto più complessa di quanto possa sembrare a prima vista. Per prima cosa è necessario capire in quale categoria di passeggeri vi potete riconoscere, ne esistono infatti di tre tipi: i convinti, i terrestri ed i costretti, conosciuti anche come passeggeri per forza. Se ci addentriamo nella categoria dei convinti possiamo fare subito una ulteriore distinzione tra coloro che lo sono (o lo diventano) per obbligo, e coloro che lo sono per scelta; ai primi appartengono un gran numero di lavoratori, manager, dirigenti, responsabili estero di una qualunque azienda di un qualunque posto del mondo, che per raggiungere un cliente o una propria sede, possono “liberamente” scegliere fra due ore di volo e un mese a dorso di cammello attraverso il deserto. Così si abituano, un po’ per forza, un po’ per denaro, e si rassegnano a trascorrere le giornate davanti ai nastri trasportatori dei bagagli, contando i punti accumulati sulle loro tessere di frequent-flyers per ingannare le attese. Il vero passeggero convinto invece è certo che salire su un aereo sia come entrare in cassaforte: nulla è più al sicuro di lui su un aereo.“ Ne muoiono di più sulle strade che in aereo.”Se sentite questa frase avete davanti un convinto del volo. A nulla servirà ricordargli che in auto circolano miliardi di persone ogni ora e che in caso di scontro si possa anche andare dal carrozziere anziché in paradiso. Mia madre è un passeggero convinto. La categoria opposta sono i terrestri. Per loro l’aereo semplicemente non esiste, ne esisterà mai. I terrestri vivono di grandi certezze: non metteranno mai piede su una scaletta, non si faranno mai rinchiudere in una scatola di latta con le ali, e non sapranno mai il significato di parole come terminal, check-in o duty-free. Hanno dalla loro la grande tranquillità che ogni luogo del mondo si può raggiungere per mare, per terra, in auto o a piedi, e che in Nuova Zelanda non è poi così necessario andarci nella vita. Per la verità definire i terrestri come una categoria di passeggeri potrebbe persino sembrare offensivo nei loro confronti, ma sono anch’essi strettamente legati al volo: dalla loro insuperabile fobia. Sono nati sulla terra e non la abbandoneranno mai, e se proprio sarà assolutamente necessario farlo, contano ancora sulle loro due armi segrete: l’invenzione del teletrasporto e l’anestesia totale. Mio padre è un terrestre nato. Ad ogni modo convinti e terrestri sono accomunati dalle loro grandi certezze seppur diametralmente opposte, mentre i passeggeri per forza sono in balia delle loro inimmaginabili nevrosi; basti pensare a tutte quelle persone che preferirebbero andare a piedi, in treno o in auto, ma a volte non possono proprio fare a meno di dover prendere un aereo. Tra l’andare in Cina con una carovana di nomadi per la via della seta, e volare con la miglior compagnia del mondo, scelgono a malincuore quest’ultima, non senza iniziare una serie di riti propiziatori e scaramantici per accaparrarsi i favori dei Santi del Cielo. Io, lo confesso, sono un passeggero per forza, e voi scommetto, ne avete almeno qualcuno in famiglia. Non è che abbiamo paura di volare, è solo che se avessimo un paracadute ci sentiremmo più tranquilli. Quello che spaventa a morte noi “costretti” è la mancanza di una via d’uscita; mi spiego meglio: se viaggi con la tua auto e buchi una gomma, puoi fermarti a cambiarla, chiedere aiuto a un gommista, fermare un’automobile di passaggio, o persino aspettare che si rigonfi miracolosamente da sola. Se sei rinchiuso in un aereo a diecimila metri di altitudine e si rompe qualcosa, sei fregato. Per usare il paracadute sei troppo in alto, per uscire fuori fa troppo freddo, e il meccanico più vicino è San Fiorenzo, protettore dei carrozzieri, ma non esercita più da secoli. Se poi riuscissi miracolosamente a vincere tutte le leggi della pressione atmosferica e della gravità, devi sapere che cadendo anche da soli cento metri, che atterri su un mare di piume o su una lastra di marmo, non fa nessuna differenza. Sapete perché quando ti chiudono il portellone alle spalle e ti allacci la cintura di sicurezza, scende un imbarazzante silenzio? Perché tutti stanno pregando il proprio Dio. Già, perché da quel momento in poi, tutto deve andare o bene o bene. Motori, ali, impianto elettrico, correnti d’aria, missili vaganti, uragani, terroristi di passaggio, tutto si deve fondere in un’unica grande speranza che accomuna i passeggeri di ogni aereo, tutto deve filare liscio come l’olio, perché da quel momento non si scende. Quello che innervosisce tremendamente noi passeggeri per forza, è questa mancanza della possibilità alternativa. Ammettiamo che voglia fermarmi: in auto basta accostare, in treno tirare il freno d’emergenza, in nave puoi persino decidere di nuotare, tutti ti danno sempre una seconda possibilità, ma in aereo no. A dire il vero una chance esiste, o forse si tratta solo di una pia illusione che ci distingue dai terrestri e ci convince a salire su un aereo: la possibilità del superenalotto. Infatti se la fortuna ti concede una probabilità su sei miliardi di indovinare sei numeri, così, se precipita l’aereo, ti può concedere una probabilità su sei miliardi di uscirne miracolosamente intero e soprattutto vivo. Per vincere al superenalotto ci vuole molta fortuna, per sopravvivere ad un incidente aereo ci vuole solo del culo, e anche grande. Però, devo ammettere, può succedere.

segue:  II parte


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Nicola Tanzi

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