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Settimo cielo

Soltanto dopo il centesimo viaggio Corrado aveva imparato ad addormentarsi in aeroplano. Adesso succedeva automaticamente, non appena la spinta ascensionale del decollo si era esaurita: gli bastava reclinare il capo sulla spalliera del sedile, chiudere gli occhi e abbandonarsi al rollio accattivante del volo. A questo punto, quasi istantaneamente i dialoghi degli altri passeggeri si amalgamavano in un ronzio di fondo fatto di parole spezzate, frammenti di conversazioni amabili e inutili, che pilotavano delicatamente i suoi pensieri attraverso la valle di penombre che conduce alla dolce incoscienza del sonno. Fu un tintinnio metallico, a trascinarlo fuori dalle placide brume tra le quali già cominciava a levitare. – Gradisce qualcosa, signore? – Era una voce di donna, quella che gli stava parlando, calda e gentile. Corrado percepì discrete ma persistenti tracce di Chanel allacciate all’aroma del caffè, in una miscela inusitata ma gradevole all’olfatto. Sollevare le palpebre si risolse in uno sforzo ancora più gravoso di quello necessario per tirare su la tapparella della cucina di casa (l’ultimo in ordine di tempo degli innumerevoli alloggi che lo avevano accolto nei più recenti segmenti della sua vita) che aveva subito almeno dieci riparazioni negli ultimi tre mesi, ma che continuava inesorabilmente a incepparsi a metà strada ogni volta che se ne tirava la cinghia. Era una delle hostess, ad avergli parlato, una graziosa, giovane donna, minuta ma ben proporzionata, la cui origine mediterranea era inequivocabilmente rivelata dalla pigmentazione gradevolmente bruna della pelle e dalla folta chioma corvina. Senza aspettare che Corrado le rispondesse, sganciato di propria iniziativa il ripiano di plastica collegato allo schienale del sedile davanti al suo, la ragazza vi aveva deposto una tazza di plastica bianca colma a metà di caffè caldo, le posate avvolte in un tovagliolo di carta, la bustina dello zucchero e un minuscolo bicchierino sigillato di panna. Ma ciò che immediatamente catturò l’attenzione di Corrado fu il dolce. Torta di Ricotta con salsa di Fragole annunciava il biglietto di benvenuto. Siete nel settimo cielo e il sole splende sopra le nuvole ! Corrado si voltò verso l’oblò alla sua sinistra, incredulo. Avvertiva ancora nei vestiti e nelle ossa l’umidità che aveva intriso gli uni e le altre nel corso dell’intera giornata. Quando si era svegliato, ai primi chiarori del giorno, la pioggia cadeva già da qualche ora, e aveva continuato a farlo incessantemente fino alle tre del pomeriggio, allorché Corrado aveva avviato il motore della sua Lybra per partire alla volta di Elmas. Proprio in quel momento Giove Pluvio doveva aver deciso di prendersi una pausa di riposo, dopo tanta fatica: ma si era trattato appena di una manciata di minuti, giusto il tempo strettamente necessario per riprendere fiato, evidentemente. Infatti, non appena imboccata la superstrada per Cagliari, all’uscita di Iglesias, si era scatenata una delle più violente bufere in cui, nella sua vita vagabonda, a Corrado fosse capitato di imbattersi: torrenti d’acqua avevano preso a rovesciarsi senza soluzione di continuità sul parabrezza, vanificando e irridendo la frenetica spola dei tergicristalli, mentre raffiche taglienti di maestrale con mani invisibili spingevano l’automobile verso la corsia opposta. … il sole splende sopra le nuvole! Quale bufala piramidale, Corrado non poteva certo crederci, neanche … Invece, contro ogni aspettativa, era assolutamente vero. Incendiata nel precoce tramonto di metà novembre, la sfera solare, dilatata e sanguigna come un cuore malato, sembrava essersi adagiata su un immenso tappeto di batuffoli di lana color antracite, cirri temporaleschi che a Corrado ricordarono gli impalpabili riccioli di polvere che trovava sul pavimento da bambino, nel corso delle incursioni fantastiche sotto il lettone dei genitori. Corrado rimase a contemplarla, cercando di archiviare immagine e sensazioni nell’almanacco dei ricordi, con lo sguardo fisso, finché una ragnatela di luce bianca non si sovrappose ai vasi indeboliti che irroravano le sue retine da miope. L’ATR volava veloce, in direzione nord, verso la Costa Smeralda, ma per un po’ il tempo e lo spazio si cristallizzarono nella mente di Corrado. “ E’ una mirabile sintesi del mio stato attuale. “ pensò, assaporando il primo sorso della bevanda calda. “ Sospeso tra cielo e terra, tra l’isola e il continente, tra passato e futuro. “ Massaggiandosi con le dita gli occhi gonfi di stanchezza. “ Sempre che ci sia un futuro, per me. “ Tra la vita e la morte, ecco la verità. “ Perché questo non è uno dei miei soliti viaggi. “ Da Iglesias, sede della nuova filiale di cui da poco più di un anno gli era stata affidata la responsabilità, a Cagliari, a Milano, a Genova … Su e giù, in continuo movimento da una filiale all’altra. Un meeting, la definizione dei budgets per il nuovo anno, il “road show” della Direzione Centrale, la presentazione di prodotti finanziari e assicurativi sempre più innovativi e sofisticati. Una vita da nomade di lusso, con l’angoscia di svegliarsi, in piena notte, domandandosi, ancora nella confusione del sonno interrotto, se fosse meglio scendere da una parte o dall’altra del letto, perché all’Hotel Metropoli la porta della stanza era a destra, al Regina Margherita invece a sinistra, mentre all’Hotel des Etrangers … “No, domani non ci saranno incontri di lavoro, e, invece del solito tavolo della sala-riunioni, ci sarà ad aspettarmi il lettino di un’asettica camera operatoria.” Una tosse secca e fastidiosa, un malanno stagionale da niente, almeno finché non erano rimaste nel fazzoletto inconfondibili striature vermiglie. Una due, cinque, dieci volte. – Cancro ai polmoni. – Gli aveva annunciato in un soffio Guido, l’amico medico, riponendo la lastra nella busta gialla del laboratorio radiologico, studiando con esagerata attenzione uno dei poster appesi alle pareti del suo studio, perché è sempre spiacevole specchiarsi negli occhi di un condannato a morte, specialmente se è uno a cui vuoi così bene. Un paesaggio esotico, vegetazione lussureggiante e mare, uccelli in volo in un cielo turchese, Corrado lo ricordava bene. – Proprio a me, che ho sempre detestato fumo e fumatori! – aveva reagito bruscamente, al momento più stizzito che spaventato. – Purtroppo capita anche questo, Corrado. Mi dispiace. – e da come si era incrinata la voce del medico, mentre così gli rispondeva, lui non aveva avuto nessuna difficoltà a credergli. Già dal mattino successivo era cominciata la vorticosa serie di visite specialistiche, prelievi e analisi di ogni tipo. – Forse siamo ancora in tempo. Forse. Ma bisogna intervenire subito. Diciamo domani. – Era stata la risposta di Guido, quando Corrado gliene aveva chiesto l’esito. E intanto gli metteva in mano un biglietto del volo diretto Air Dolomiti. – Sistema le tue cose e vai. A Genova già ti stanno aspettando col bisturi in mano. – Oh, Guido era fatto così, e quello era il suo modo di relazionarsi e di comunicare: un po’ brutale, certo, ma schietto. Prendere o lasciare, insomma, e Corrado aveva già deciso da tempo che non lo avrebbe mai cambiato con un altro diverso. Né come amico, né come medico, s’intende. Ricotta cheese cake with Strawberry sauce Che fosse scritta in italiano o in inglese, era proprio deliziosa. Corrado raccolse con il cucchiaino un bel mucchietto di briciole, e lo passò nel goloso sciroppo di fragole. “Fortuna che a nessun dottore finora sia venuto in mente di vietarmi di mangiare dolci.” si rallegrò, mentre masticava adagio, per poter meglio assaporare il gusto raffinato. Sospeso. Tra cielo e terra. Tra passato e presente. “Massì, lasciamolo stare, il futuro.” Stava deglutendo l’ultimo boccone, quando Rosaria lo chiamò. Direttamente al centro della testa, come era solita fare. Istintivamente Corrado consultò l’orologio: le diciassette e venticinque. – Sei in ritardo, questo pomeriggio. – la rimproverò pacatamente. – Ed è da stamattina, che non mi vieni a trovare. – Rosaria non rispose. Non lo faceva mai. Se ne stava lì in silenzio, nascosta nell’ombra, anche se qualche volta a lui sembrava persino di sentirne il respiro. Corrado però intuì che lei gli aveva appena regalato un sorriso, o perlomeno l’equivalente mentale di quella smorfietta speciale che tanto lo aveva aiutato a innamorarsi di lei. Era sempre più difficile, però. Perché l’immagine di Rosaria, affissa alle pareti intime della sua anima con il più doloroso dei chiodi, era un po’ come uno di quei dipinti dei quali erano sono affrescati i templi e i sepolcri antichi: quando, scavando nella sabbia e nel tempo, un archeologo arriva alla fine a poterli ammirare, riesce appena a intuirne le sublimi bellezze classiche, prima che l’ingiuria dell’aria li dissolva sotto lo sguardo attonito dei suoi occhi impotenti. Ma per quanto concerne Rosaria il processo era molto più lungo, una interminabile sequenza rallentata che rendeva ancora più struggente la perdita. Era stata la linea del naso, la prima a scomparire, seguita subito dopo da gran parte delle morbide curve del corpo, dalle gambe, dalle labbra. Ora, che anche i begli occhi scuri che tante volte si erano specchiati nei suoi nel sublime culmine dell’orgasmo amoroso, stavano evaporando come minuscole pozzanghere al sole di mezzo agosto, Corrado riusciva a richiamare sullo schermo nero della memoria soltanto i riccioli capricciosi tra i quali tante e tante volte si erano smarrite carezze tenere e appassionate. Anzi, no, qualcos’altro era rimasto. Le mani. In particolare i pollici tozzi, unici nella sagoma singolarmente rotonda, in ridicolo contrasto con le altre dita, lunghe e sottili. Rosaria, che se n’era sempre vergognata, al punto di avere sviluppato l’abitudine inconscia di nasconderli in presenza di estranei negli incavi dei pugni serrati, non riusciva a comprendere come ciò che lei aveva sempre considerato (“i miei salsicciotti”) un’imbarazzante bizzarria anatomica, potesse rappresentare un così potente catalizzatore delle attenzioni di un uomo. Col tempo, però, con sottile piacere, e femminile malizia, aveva saputo trasformare il gioco di sottrarli ai baci di Corrado in una schermaglia intrigante che speziava i loro incontri più intimi …

Fuori, a tremila metri di quota, oltre l’oblò, il viola scuro dell’ultimo scampolo di quel fantasmagorico tramonto virava rapidamente nel buio gelido della notte. E Rosaria si era di nuovo ritirata nella dimensione malinconica e misteriosa delle rimembranze. Prima di poter provare a richiamarla indietro, Corrado si accorse che stava per succedere, e che, come al solito, non avrebbe potuto fare niente per impedirlo. Ormai, con l’inesorabile progredire del male, gli accadeva sempre più spesso: all’inizio era come se un sorso d’acqua fosse sceso giù per il canale sbagliato. Una breve interruzione del respiro che, se in quel momento lui stava parlando, gli rendeva incomprensibili le parole, trasformandole in una specie di anomalo sorriso strozzato. Poi la sensazione di soffocamento si faceva rapidamente più forte, e Corrado avvertiva l’espandersi nella parte superiore del torace, tra i bronchi e la trachea, di un grumo compatto di catarro e chissà cos’altro, un corpo estraneo che l’organismo cercava invano di espellere con colpi di tosse sempre più violenti. Squassanti, inutili, irritanti. Ecco, era al culmine della crisi. Corrado si chiese quanti degli altri passeggeri stessero guardando, preoccupati, nella sua direzione. – Posso esserle utile? – Un’altra hostess. Carina quanto la prima, ma del tutto diversa: alta, slanciata, i lunghi capelli biondi raccolti in un raffinato chignon. Con il petto in fiamme, ma con la consapevolezza che un filo d’aria aveva ripreso a transitare, alimentando in qualche modo il respiro, Corrado le rispose con un cenno di diniego del capo. – Grazie, signorina. Un momento di difficoltà, ma ora è tutto a posto. Davvero. – riuscì finalmente a sillabare. La ragazza indugiò ancora qualche secondo, scrutandolo attentamente, indecisa sul da farsi. “Con un viso paonazzo come il mio, e la gola che fischia come una caffettiera dimenticata sul fornello acceso, in effetti non le deve riuscire facile credermi sulla fiducia.” – La prego, sia cortese, mi porti un bicchiere d’acqua. – le chiese. Più per toglierla d’imbarazzo che perché ne avesse davvero voglia e bisogno. – Sì, credo che potrà farLe farà bene. Torno subito. – sorridendogli ancora, prima di allontanarsi.

“Dimmi, Rosaria, dove sei ?” la evocò ancora, “E cosa stai facendo, in questo stesso momento?” proseguì, cercando di rilassarsi, lo schienale abbassato di un paio di scatti. “Magari sei in casa, seduta al tavolo della cucina o della camera da pranzo, accanto a tua figlia, e l’aiuti a risolvere il problema di matematica per domani.” Facendosi del male, con piena consapevolezza, come puntualmente gli accadeva almeno due volte al giorno. Da quindici anni ormai. Soprattutto da quando era venuto a sapere della nascita di Chiara. Che avrebbe potuto essere la loro bambina. Se solo avessero avuto più fortuna. Se fossero stati appena un po’ più coraggiosi. Se Rosaria l’avesse amato quanto lui l’amava. Come dire: se la terra potesse girare al contrario. Se. Comunque le cose non erano andate affatto così. “Perché la vita non è la trama di un romanzo, o di un film, che puoi riscrivere da capo, e cambiare il finale, se non ti piace. O magari è proprio così, ma la notizia cattiva è che poi, nei titoli di coda, non compare mai il tuo nome, tra quelli degli autori.“ L’assistente di volo bionda era di nuovo al suo fianco, in piedi nel corridoio, con un bicchiere di carta in ciascuna della mani. Efficiente ai limiti del credibile. Corrado optò per l’acqua naturale, lasciando che lei riportasse indietro quella gasata.

– Allora, lo accetta questo incarico di direttore di agenzia a Milano? Non stia a pensarci troppo, però: se ha deciso di salire la scala, un minimo di sforzo per arrampicarsi sul primo gradino dovrà pur farlo, non crede? – Mentre gli parlava sorrideva, il Capo del Personale, nel suo bell’ufficio di Roma, e intanto sfogliava distrattamente l’ultimo numero di Capital. “E io non seppi dire di no.” ricordò Corrado “D’altronde è sempre stata la filosofia della mia vita, quella di lasciarmi condurre dagli avvenimenti, senza opporre resistenza, come un cadavere che scende lungo il corso del fiume: non importa se urtando contro qualche scoglio ti ammacchi la fronte, o ti spezzi un arto, non è grave se una striscia di pelle rimane impigliata in un rovo sporgente. Tu abbandonati alla corrente, e prima o dopo ti troverai a galleggiare in un’ansa tranquilla. “ Ma davvero è sempre così, che vanno le cose? – Devo trasferirmi, Rosaria. E’ troppo importante, per me. – la mise al corrente quella sera stessa. – Se mi ami davvero, rinuncia al tuo incarico di assistente universitaria, abbandona la tua famiglia, dimentica i tuoi amici e i tuoi interessi, insomma lascia tutto, e vieni via con me. – Convinto che lei non potesse che rispondergli sì. – Ma tu, Corrado, sei davvero sicuro di amarmi quanto dici?- Erano state invece le ultime parole che lei gli aveva rivolto. Dopo di che gli aveva girato le spalle, e se n’era andata via, soffocando con grande dignità un accenno di pianto. “Da un giorno all’altro, dopo tanti giuramenti, dopo tanta frenetica passione, fu come se io non fossi mai esistito. Chiusa nella sua robusta corazza di rancore, a quei tempi per me incomprensibile, lei respinse uno dopo l’altro i miei confusi tentativi di ricucire la nostra storia. ” Perché, probabilmente,  “Quando una donna dice basta, è per sempre.“ non è soltanto un modo di dire. Corrado aveva passato molti dei mesi seguenti in profonda depressione, cercando invano di comprendere come una catena di equivoci, intrecciata con incroci impossibili di ambizioni e sentimenti, potesse averli portati a dissipare, con tale ingiustificabile leggerezza, il loro tesoro sublime. In poche parole, a somministrare ai porci la manna generosamente dispensata dal cielo. Nel corso delle interminabili elucubrazioni seguite al devastante distacco, attribuire puntualmente alla sola Rosaria la colpa della dolorosa separazione, era stato al tempo stesso un blandissimo analgesico e un potentissimo veleno. Fino al momento che, dopo avere scartato ogni altra ipotesi, non s’era fatta strada nella mente e nell’anima di Corrado l’ipotesi (se possibile ancora più devastante) che l’irritante disinvoltura, con cui Rosaria era riuscita a tagliarlo fuori dalla propria vita, avesse affondato le proprie radici in tutt’altro humus. “ Forse sono stato io a non amare abbastanza. E lei l’ha capito per prima“ era stato il pensiero che duro e doloroso quanto può esserlo un pugno in pieno viso, aveva fatto da brusco e prematuro risveglio all’ennesima notte insonne. “ Faticai molto ad accettare questa ipotesi, e soprattutto a convincermi che Rosaria aveva assolutamente ragione: perché ero io ad avere avuto la possibilità di scegliere tra la mia donna e la carriera, e a lei avevo riservato soltanto la medaglia d’argento. Fu soltanto dopo, quando ormai l’avevo irrimediabilmente perduta, che cominciai davvero a capire quanto lei fosse importante per me, e quanto tutto il resto, al confronto, contasse poco, o niente. E dopo quella scoperta fu orribile, giorno dopo giorno, sentirmi crescere dentro al petto questo sentimento, che più diventava grande, e importante, più diventava inutile. “ Non era stato facile, ma, nonostante tutto, dopo il suo trasferimento a Milano, Corrado era riuscito a rispettare la scelta di Rosaria, e non l’aveva più cercata. Questo certo non voleva dire che l’avesse persa di vista, anzi: da lontano aveva continuato, mese dopo mese, a raccogliere notizie da conoscenti comuni, a informarsi in ogni modo possibile delle sue vicende personali e professionali, riuscendo persino a procurarsi alcune delle sue prime pubblicazioni. Addirittura, una volta che aveva saputo della presenza di Rosaria in città in occasione di un congresso, di cui ora non ricordava neppure lontanamente l’argomento, Corrado non aveva esitato ad andarne a seguire un intervento, all’Università Cattolica, seduto in ultima fila, nascosto come un agente segreto da operetta dietro un paio di improbabili occhiali da sole. Soffrendo come un cane, quando un giorno aveva saputo che lei aveva lasciato il suo incarico di assistente, e che si era sposata. Odiandola violentemente per questo, con tutto se stesso. Almeno per un po’. Ma non riuscendo minimamente a scalfire, neppure per un solo secondo, la convinzione di aver perso con lei l’incastro mancante della propria vita. “Accanto a me, invece, non c’è stata più nessuna donna.“ pensò Corrado, con amarezza, ma senza nessun rimpianto. Forse aveva avuto ragione Guido, quando, dandogli un’affettuosa pacca sulla spalla, lo aveva consolato.  – Non avertene a male: è scientificamente dimostrato che alla fine gli eroi e gli stronzi restano sempre da soli. – Poi, più serio: – Ma se per caso credi che adesso Rosaria stia meglio di te, vuol dire che delle donne non hai mai capito un’acca. – E questa, probabilmente, era un’inconfutabile verità.

– … stiamo sorvolando la Corsica, poi l’aereo si dirigerà verso Genova, dove atterreremo in orario recuperando i minuti persi al decollo per motivi di traffico … – informò dall’altoparlante la voce del comandante, calda e convincente in tutte e tre le lingue in cui ripeté l’annuncio. “ Forse alla scuola piloti insegnano anche dizione.” pensò Corrado, e intanto, senza neppure accorgersene, aveva preso a mangiucchiarsi le unghie della mano destra, ritrovando il gusto rassicurante di un gesto che non ripeteva dai tempi della seconda media. “Ho tentato di soffocarne persino la memoria, all’inizio, Dio solo sa quanto sia vero. Ma quell’amore straziato e dolente è stato più forte di me: mi si è accoccolato addosso, come un cucciolo di gatto, ha dormito e vegliato, di notte, sotto le mie stesse lenzuola. Ha diviso con me l’aria, l’acqua e il pane, ha partecipato imparzialmente ai successi e agli insuccessi di ciò che restava della mia vita. E alla fine ha avuto il suo trionfo.“ C’era un gradevole calore, nella carlinga, il sedile era morbido e accogliente, e Corrado non godeva di un sonno ininterrotto da almeno tre anni. Di nuovo avvertì l’incoerenza progressiva che distaccava la mente dai pensieri. Era piacevole, potersi finalmente lasciare andare. “ … anche se ha dovuto uccidermi, prima di farlo. “

Qualcuno gli aveva allacciato la cintura, e, sempre senza svegliarlo, aveva riportato adagio lo schienale del suo sedile in posizione verticale. “Sarà stata la bambolina bruna, oppure l’angelo dai capelli d’oro?“ Corrado si svegliò appena in tempo per avvertire lo scatto metallico del carrello, che gli comunicava che l’atterraggio sul “Cristoforo Colombo” era già cominciato. L’impatto morbido delle ruote sull’asfalto della pista. “Atterraggio perfetto, Comandante, quasi quanto la sua pronuncia inglese!“ Cosa aveva detto, Guido? – A Genova c’è un chirurgo che ti aspetta con il bisturi in mano. – Già. Un campanello elettronico annunciò lo spegnimento della lampadina col logo della cintura di sicurezza, e tutti scattarono in piedi quasi contemporaneamente, in una agitazione chiassosa quanto disordinata. Corrado aspettò, seduto al suo posto, e l’aereo era già vuoto a metà, quando si decise a estrarre il borsone da viaggio dallo scompartimento sopra al sedile. “ Solo bagaglio a mano. Non avrò bisogno di un gran guardaroba: per quanto possano andare bene le cose, non credo che sarà il massimo della vita, lì in ospedale.“ – Arrivederci al prossimo viaggio. – Lo salutò lo stewart, mentre lui già metteva il piede sul primo gradino della scaletta. – Chissà. – gli rispose Corrado, guadagnandosi di ritorno un’occhiata perplessa. La patina umida spalmata sull’asfalto, in cui navigavano i tremuli riflessi delle luci bianche dell’aeroporto, lo informò che la tempesta era passata anche di lì. Ma non pioveva più, ed era pur sempre qualcosa. “ Stai attento, dottore!, visto che dovrai lavorarmi proprio nei dintorni del cuore. Dacci pure dentro, coi tuoi ferri, e togli via tutto il marcio, se puoi. “ Forse, dopotutto, qualche goccia cadeva ancora, visto come gli si stavano inumidendo gli occhi. “ Ma non azzardarti a sfiorare Rosaria. “


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Patrizio Pacioni

Settimo cielo

aeroplano stilizzatoUn distinto signore è a bordo di un ATR42, in volo per Genova. E’ un manager di successo, un viaggiatore abituale che salta regolarmente da una città all’altra con consumata naturalezza. Forse è per questo che porta con sé solo una piccola valigia. O forse perché ciò che reca con se non può entrare in una valigia. Tutto appare perfetto: il volo è piacevole, il menù gustosissimo, le hostess sono splendide, sembra davvero di essere al settimo cielo eppure … il dolore e il marciume si nasconde nelle pieghe della sua anima e del suo corpo. L’ennesimo acuto del bravissimo Patrizio Pacioni. Semplicemente magistrale.


Racconto / Medio-lungo Pubblicato nel sito: personale www.patriziopacioni.it .