Catrame

“Un volo bruscamente, tragicamente interrotto dall’incuria dell’uomo. Una creatura senza nome, nata libera fra il cielo e il mare, che viene fermata da una massa nera che le inchioda le ali. Prima di chiudere definitivamente gli occhi, il volatile ripensa alla propria vita, e al cielo che accoglieva il suo volo.”

E’ con questa brevissima sinossi che Cristina Giuntini sintetizza il contenuto del suo racconto “Catrame” con il quale ha partecipato alla VI edizione del premio fotografico/letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE.

Una sinossi assai breve che anticipa, senza rendergli particolare onore, un racconto mediamente lungo di circa 24’500 battute dal contenuto amaro, triste e, in alcuni punti, addirittura drammatico.

Lo scenario è quello di una spiaggia qualsiasi, in un angolo qualsiasi del nostro pianeta; il protagonista è un gabbiano senza nome perché, come scrive l’autrice toscana:

“[…] come tutti gli animali liberi, non sono stato battezzato con un nome proprio. Un nome lo hanno solo quelli che popolano le favole per i bambini, oppure i protagonisti dei best sellers. […]”

Non sappiamo dire se è questa o altre simili a questa che hanno ispirato l’autrice a scrivere il racconto “Catrame”, certo è che questa è l’immagine che si è materializzata nella nostra mente non appena abbiamo letto le sue prime righe. Trovarla in uno dei tanti articoli giornalistici che riportava l’ennesimo disastro ecologico è stato facilissimo. Quello ritratto, nello specifico, è il pellicano simbolo della marea di greggio che ha colpito la costa della Louisiana (USA) nel 2010 a seguito dell’incidente occorso alla piattaforma petrolifera off-shore Deep Water Horizon della compagnia petrolifera BP.

E’ allo stremo delle forze, sente la vita scorrergli via come le onde che lo lambiscono, gli manca l’aria. Tutto il suo corpo è coperto da una pesante coltre di petrolio addensato, catrame appunto, che gli impedisce di alzarsi, figurarsi camminare, impensabile volare.

Ed è in questa condizione in cui l’essenza vitale lo sta abbandonando per sempre che egli ripercorre la sua esistenza. Di gabbiano, certo, ma pur sempre una vita intera fatta di lunghi voli, di libertà assoluta, di lotta per la sopravvivenza.

Ecco allora che, a partire dallo schiudersi dell’uovo, dalla prima luce del sole, dal primo volo in poi è tutto un dipanarsi di ricordi e di suggestioni che l’autrice tratteggia con invidiabile delicatezza, con la sensibilità che solo una donna – noi uomini dobbiamo ammetterlo, volenti o nolenti – può dimostrare. E Cristina è una di quelle donne, capace inoltre di trasmettercela attraverso le parole e le immagini che quelle parole evocano.

Ancora un’immagine simbolica che testimonia gli effetti devastanti della marea nera sulla fauna volatile. Ogni commento ci appare superfluo. Aggiungiamo solamente che la foto ritrae lo stesso pellicano bruno della fotografia sovrastante: l’animale non si rende conto che il greggio lo ricopre interamente e continua a muoversie ad assumere le posture di un un volatile “normale” , come se nulla fosse.

Il suo narrare è delicato, fragile, venato da un dolore sommesso che attraversa tutto il racconto, frase dopo frase, riga dopo riga, perché il destino del gabbiano senza nome è già segnato eppure … l’epilogo sarà imprevedibile e sarà lasciato alla vostra interpretazione, al vostro essere ottimisti o alla convinzione pragmatica che non c’è speranza alcuna. Comunque.

Un racconto che vi strapperà qualche lacrima, ne siamo certi o, quantomeno, lascerà un magone dentro l’animo anche del più coriaceo dei lettori.

Un racconto che di aeronautico ha poco – è vero – ma che pone l’accento su un fenomeno che periodicamente (fin troppo spesso) si verifica e che reca molti nomi: catastrofe ambientale, sversamento di idrocarburi, disastro ecologico, marea nera … ma che comunque porta inevitabilmente alla morte di tutta la fauna contaminata, compresa quella aerea. Salvo miracolosi interventi umani ma che poco sono e poco fanno rispetto all’immane calamità.

Nella ricerca del commento fotografico di questa recensione del racconto “Catrame”, ci siamo imbattuti in questo scatto ad opera di Andrea Ferrante su Flickr.com. Nell’immaginario di chi ha colto questo attimo di vita, il gabbiano si stava annoiando e dunque si è lasciato andare ad un possente sbadiglio … ed è così che voremmo immaginare i protagonsta del racconto di Cristina Giuntini: al sole, con il piumaggio pulito e l’aria annoiata di chi si gode la splendida vista del litorale e la brezza marina, in attesa che i pescherecchi gli regalino un lauto pasto. ma questa è un’altra storia che precede il racconto di Cristina.

Non sappiamo dire perché la giuria del Premio non abbia preferito questo racconto agli altri 20 finalisti, anzi 22 (considerati gli ex equo) … ma una cosa è certa: a noi il racconto di Cristina Giuntini è piaciuto e molto. E questo sebbene il tema da lei scelto sia più vicino agli ambienti ecologisti o ai movimenti che si adoperano per la protezione dell’ecosistema che al mondo aeronautico.

Durante la premiazione di questa edizione 2018, l’editore dell’antologia, Gherardo Lazzeri, a fronte della bontà dei racconti inseriti nel volume, ha proclamato agli autori finalisti presenti: “Sentitevi tutti primi!” … beh, senza nulla togliere al terribile compito portato a termine dalla giuria, noi vorremmo estendere questa esortazione anche a Cristina Giuntini che, se ce ne fosse necessità, costituisce ormai una certezza di questo Premio.

Grazie Cristina!

Un racconto che piacerebbe a Richard Bach (autore de: “Il gabbiano Jonathan Livingstone”) e al nostro Evandro Detti (con il suo “Avventure in punta di ali”) che ai  gabbiani hanno dedicato due incommensurabili romanzi.


Narrativa / Medio – Lungo Inedito;

Ha partecipato alla VI edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2018;

 

In esclusiva per “Voci di hangar”

 


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