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Astronaut Oral Histories

titolo: Astronaut Oral Histories, Group 1 and 2 (Apollo and America’s Moon Landing Program)

autore: National Aeronautics and Space Administration (NASA), World Spaceflight News, Johnson Space Center

editore: Smashwords Edition

anno di pubblicazione: 2013

ISBN: 978-1521152140





L’opera editoriale è composta da due volumi. Il primo include le interviste agli astronauti:

  • Anders,
  • Armstrong,
  • Bean,
  • Borman,
  • Cernan,
  • Collins,
  • Cunningham,
  • Evans,
  • Gordon,
  • Haise.

Il secondo include le interviste a: 

  • Lovell,
  • McDivitt,
  • Mitchell,
  • Schirra,
  • Schmitt,
  • Schweickart,
  • Shepard,
  • Stafford,
  • Worden.

Queste interviste furono raccolte a beneficio del Johnson Space Center Oral History Project della NASA.

Nel corso degli anni successivi al periodo delle missioni Apollo, da subito dopo fino a qualche anno fa, diversi intervistatori hanno incontrato i protagonisti di quelle missioni. Le registrazioni sono state trascritte ed oggi finalmente possiamo trovarle online, scaricarle e leggerle.

La fotografia della Luna vista dalla Terra è quanto di più banale si possa scattare, tuttavia se consideriamo che la Luna è stato l’oggetto del desiderio di una moltitudine di uomini, astronauti del programma Apollo in testa, beh …assume un fascino particolare che va al di là del semplice satellite del nostro pianeta.

Si tratta di colloqui piuttosto informali, il linguaggio è quello parlato, che fa uso di espressioni idiomatiche tipiche della regione di provenienza degli intervistati. E per scelta ben precisa le trascrizioni sono state lasciate in forma integrale, senza “abbellirle” con opportune correzioni.

La lingua è l’anglese, anzi, diciamo meglio, l’americano. E questo comporta una certa difficoltà in più per il lettore che non sia di madre lingua. Ma, allo stesso tempo, rende la lettura ancor più interessante e, se vogliamo, più formativa.

Ho letto tanti libri scritti dagli astronauti e continuo a leggerne di nuovi, man mano che si rendono disponibili. Non tutti gli astronauti si sono cimentati nell’impresa di immortalare le loro esperienze in un libro, certo, ma coloro che lo hanno fatto, hanno parlato anche degli altri colleghi, di tutti i componenti degli equipaggi. Alla fine si finisce per conoscerli tutti. Si conosce la loro vita, la carriera, la storia che è seguita al loro ritorno.

Ora questa raccolta di interviste non fa altro che ribadire gli stessi eventi. Chi aveva letto i loro libri si trova a fare quasi un ripasso della stessa storia, che già conosce. Ma per chi legge solo queste interviste è un’occasione per conoscere qualcosa di cui, probabilmente, ha solo sentito parlare di sfuggita. Specialmente i giovanissimi.

Se c’è una copertina emblematica che riguarda le missioni destinate a raggiungere il suolo della Luna beh … sicuramente ricordiamo quella della rivista scientifica National Geographic e di Life. Ritrae Buzz Aldrin. E’ il nr 5, vol 136 del dicembre 1969.

A parte questo, cosa si ricava dalla lettura di queste trascrizioni?

Beh, dipende da chi legge e da quanto conosce di tutta la storia della conquista dello spazio.

Per quanto mi riguarda, ci sono alcuni elementi, alcune sensazioni e diverse considerazioni che vorrei mettere in evidenza.

Prima di tutto, dalle interviste, avvenute, come ho detto in anni successivi e a volte anche parecchi anni dopo, viene fuori un fatto straordinario: spesso gli astronauti dichiarano di non ricordare con chiarezza molti particolari. E questo sorprende, perché non stiamo parlando di qualcosa di banale, ripetitivo, comune. Ci si aspetterebbe, da chi ha vissuto esperienze così straordinarie, eccezionali e al limite, quasi, delle possibilità umane e tecnologiche, che ricordi tutto, ma proprio tutto, senza dimenticare neanche un singolo particolare.

Invece no. A fronte di alcune parti che ricordano molto vividamente, ci sono pezzi della Storia che non sanno dire con precisione come si sono svolti.

Anche se parzialmente nascosto all’interno della sua tuta spaziale, è possibile riconoscere i lineamenti del viso dell’astronauta Buzz Aldrin, classe 1930, che è ricordato negli annali dell’astronautica per essere stato il secondo uomo a mettere piede sulla Luna, appena dopo il comandante della missione Apollo 11, Neil Armstrong. Inoltre, dopo una carriera costellata da alcoolismo e da una profonda depressione, ci ha regalato diversi volumi che testimoniano la sua esperienza di vita nonchè di astronata proiettato al futuro oltre che al passato. Li abbiamo recensiti:  Return to Earth, (1973),  Magnificent Desolation (2009), “Mission to Mars” del 2013 , e l’ultimissimo “No dream is too high” del 2016. Buzz non ha mai smesso di sostenere le missioni spaziali statunitensi e, non a caso, è il più fervente promotore dell’esplorazione su Marte. A questo scopo non si è risparmiato nel partecipare a convegni, scrivere altri libri divulgativi e a prestare la sua immagine per le future missioni marziane. Chissà che un vecchio “lunatico” non riesca nell’ultima sua impresa “marziana”!?

Strano fatto davvero.

Altro elemento di rilievo, che avevo già scoperto leggendo i libri, ma che qui è ribadito ovunque, è l’immenso senso di competizione che riguardava tutti, ma specialmente gli astronauti.

Aldrin, ad esempio, si è rovinato l’esistenza per non essere stato il primo a scendere dal Modulo Lunare e posare il piede sulla superficie polverosa del nostro satellite. Nella sequenza di fotogrammi della videocamera che lo riprende mentre scende la scaletta del LM (Lunar Module – modulo lunare), quando già Armstrong lo aspettava sul suolo lunare, si vede che sull’ultimo piolo si arresta e rimane fermo per un certo tempo. A chi gli chiede il motivo risponde che si era fermato per… fare pipì! Si, esatto, proprio per fare pipì. Aveva un sistema studiato appositamente per permettere agli astronauti di svolgere questa funzione attraverso un tubicino che portava la pipì in una sacca fissata più in basso. La gravità della Luna, un sesto di quella della Terra, faceva sì che il sistema funzionasse bene. Ma non era per questo che aveva scelto quel momento. Piuttosto voleva essere il primo, se non a mettere piede sulla Luna, a farci la pipì.

Sebbene Eugene Cernan abbia partecipato a ben tre missioni spaziali per conto della NASA (Gemini 9 nel1966, Apollo 10 nel 1969 e il famoso Apollo 17 del 1972), viene ricordato principalmente come l’ultimo uomo ad aver lasciato la superficie lunare il 14 dicembre 1972, il dodicesmo membro del genere umano ad averlo fatto. Anche lui ci ha regalato uno splendido libro in cui racconta la sua esperienza di astronauta che abbiamo recensito in questa pagina: “The Last Man on the Moon” e nella sua versione in ligua italiana “L’ultimo uomo sulla Luna”. Ci ha lasciato all’età di 82 anni nel 2017. E’ qui ritratto nella foto di rito che veniva scattata dalla NASA a beneficio della stampa

E Cernan, l’ultimo a togliere il piede dal suolo lunare nel corso della missione Apollo 17, ha portato per tutta la vita l’etichetta di ultimo… anche se non credo che a lui, questo, abbia dato particolarmente fastidio.

Ma Cernan aveva aperto la strada all’Apollo 11. Con la missione precedente, l’Apollo 10, Cernan era sceso a bordo del modulo lunare fino ad una quindicina di chilometri dalla superficie. La sua poteva essere la missione destinata ad atterrare, ma il modello di Lunar Module che stava utilizzando era ancora troppo pesante. Perciò, meglio non rischiare. Una catastrofe avrebbe fermato tutta la corsa alla conquista della Luna, che doveva avvenire prima della fine del decennio, come Kennedy aveva promesso.

Anche l’URSS era interessata ad essere la prima a scendere sul suolo lunare e l’URSS andava assolutamente battuta. Non si poteva rischiare.

Antesisgnana delle moderne auto elettrice terrestri, il Lunar Rover Vehicle (Rover Lunare) fu utilizzato durante le missioni lunari per consentire agli astronuati di spostarsi anche a notevole distanza rispetto al punto di allunaggio del Modulo Lunare. Aveva un motore elettrico alimentato da batterie chimiche (36-volt argento-zinco non ricaricabili) con autonomia di cento chilometri percorsi a piena potenza ma, in realtà, causa la ridotta attrazione della Luna, marciò sempre a 1/3 della sua velocità massima terreste di circa 15 km/h. Chissà se per guidare sulla Luna gli astronauti conseguirono una speciale patente “lunare”, appunto.

Cernan dovette arrestare l’avvicinamento a quella quota, circa quindici, sedici chilometri. Infatti comandò l’abort e tornò al rendez-vous con il Modulo di Comando (e il Modulo di Servizio, uniti) che intanto stava orbitando intorno alla Luna. Poi tornarono indietro.

E questo, credo, deve avergli dato veramente fastidio, perché poteva essere stato lui il primo.

La retrocopertina del libro alquanto originale redatto dalla NASA contenente i racconti di tutti i sui astronauti delle missioni Apollo

Nell’intervista a Cernan, alla seconda pagina, traspare questo fastidio:

But we only came close. We came within about 47.000 feet but did not land. That’s the way it was planned, although originally one time early on in the program the fourth Apollo flight was going to be the first attempt at landing. That would have been Apollo 10”.

(Ci siamo andati vicino. Siamo arrivati intorno ai 47.000 piedi ma non siamo atterrati. Così era stato pianificato, sebbene originariamente nel programma il quarto volo Apollo avrebbe dovuto essere quello del primo tentativo di atterraggio. Avrebbe dovuto essere l’Apollo 10).

E quello che dice dopo è ancora più illuminante:

“But anyway, I keep telling Neil Armstrong that we painted that white line in the sky all the way to the Moon down to 47.000 feet so he wouldn’t get lost, and all he had to do was land”.

(Ma comunque, io continuo a dire a Neil Armstrong che noi abbiamo disegnato quella linea bianca nel cielo fino alla Luna e giù fino a 47.000 piedi così che lui non si perdesse, e tutto quello che gli rimanesse da fare fosse l’atterraggio).

Come dire: non sarò stato il primo, ma se non fosse stato per me… ti ho tracciato la strada fin quasi al suolo lunare…

Ecco, grande senso di competizione. Ma anche grandissimo senso di collaborazione.

Tornando ai due libri, ogni intervista rivela la linea degli avvenimenti che sono quelli noti, ma dal punto di vista del personaggio di turno. Ogni personaggio ci regala la sua personale visione dei fatti.

L’equipaggio della missione Apollo 17 è quello cui apparteneva l’astronauta Eugene Cernan (qui ritratto seduto a bordo del Rover utilizzato per scorrazzare sul suolo lunare). La foto risale al dicembre 1972 e ha come sfondo il glorioso razzo ettore Saturno V che fu lanciato da Cape Canaveral, l’attuale Space Center intitolato a John F. Kennedy, durante l’unico decollo in notturna di tutto il programma Apollo. Questo è l’ultimo equipaggio che ha effetuato un volo nello spazio extraterreste in quanto tutte le successive missioni spaziali si sono limitate a raggiungere orbite basse prossime alla Terra.

Ma c’è un altro elemento che tutti hanno, in qualche modo, menzionato, o lasciato intendere: il rammarico per l’improvviso arresto delle successive missioni Apollo già pianificate. Dopo l’Apollo 17 tutto si è fermato, molti sono stati licenziati e il budget è stato dirottato nelle missioni di un nuovo veicolo spaziale che stava prendendo forma in quegli anni: lo Shuttle. E la costruzione di quella che oggi è la Stazione Spaziale Internazionale.

Con questo è finita l’era dell’esplorazione dello Spazio profondo e ci si è, per così dire, ritirati in un guscetto che gira intorno alla Terra, appena fuori dalla porta di casa.

C’è molto altro in queste interviste. Si trovano online e chiunque le può scaricare.

Consiglio tutti di leggerle. Qualcuna è più difficile da comprendere, per via delle troppe frasi idiomatiche e parole strane che, a volte, neanche il vocabolario insito nell’applicazione Kobo conosce. Ma si rimedia facilmente con lo smartphone, che trova quasi tutto con facilità.

E in questo modo, ripeto, si impara.

Con questi due libri possiamo conoscere i fatti che hanno riguardato il passato.

Quest’anno, 2019, ricorre il cinquantesimo anniversario del primo sbarco sulla Luna.

L’astronauta Young, tra le altre, passeggiò sulla superficie lunare. Questa è la foto che lo immortala accanto alla omnipresente bandiera statunitense e al Modulo Lunare della missione Apollo 16 e che – giustamente – fu utilizzata per la copertina della sua ottima autobiografia “Forever Young” che abbiamo recensito.

Ma proprio in questo periodo riprende con forza l’interesse per l’esplorazione spaziale. Non solo è previsto il ritorno sulla Luna, ormai lo sguardo umano è rivolto verso Marte e le sue lune e verso altri asteroidi lontani.

Si ritorna nello spazio profondo, con tutto ciò che comporta.

E questa è l’alba di una nuova era che potrebbe portare l’Umanità ad essere una razza multi planetaria. Come forse era già stata. Uno degli intervistati, Al Worden, lo sostiene.

Questa, però, è Storia futura.





Recensione a cura di Evandro Detti (Brutus Flyer).

Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR