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La guerra nell’aria

la guerra nell'aria copertina

titolo: La guerra dell’aria

autore: Pierre Clostermann

editore: Longanesi & C.

anno di pubblicazione: 1964

ISBN: non disponibile





Pierre Clostermann ha scritto questo terzo libro per far conoscere alcune delle storie personali degli aviatori che hanno combattuto nei vari teatri operativi della Seconda Guerra Mondiale.

guerra nell'aria spitfire
Raramente accade di non dover commentare le foto presenti all’interno del volume. Stavolta lo ha fatto per noi lo stesso autore

guerra nell'aria me262
All’interno del volume si possono apprezzare dei trittici assolutamente impeccabili dei velivoli che sono protagonisti della narrazione. Questo è un Messerschmitt Me 262, uno dei primi caccia-bombardieri usati dalla Luftwaffe – l’Aviazione militare tedesca – verso la fine del II conflitto mondiale

Le storie sono state scelte “tra le decine di migliaia che resteranno nascoste negli archivi e nei cassetti”. Vi si parla di tutti, dei francesi (lui stesso faceva parte delle Forze Aeree Francesi Libere), degli inglesi, degli americani, dei canadesi, dei tedeschi, dei giapponesi. Ed è questo un elemento di enorme interesse per ogni appassionato di Aviazione, perché permette di scoprire le diverse realtà dell’impiego dell’aviazione in teatri bellici tanto diversi, sia per la mentalità dei popoli che per la posizione geografica dove i fatti si sono svolti. Si va dall’Europa al Pacifico, dai fiordi della Norvegia alle isole Hawaii. Molto interessante.

La traduzione è stata fatta da Corrado Ricci, il quale, almeno nell’edizione da me letta, ha curato anche una presentazione, una sorta di prefazione del libro.

guerra nell'aria copertina interna
La copertina interna del volume di Pierre Clostermann, l’asso degli assi della caccia francese nella II Guerra Mondiale che, tornato alla vite civile, esercitò la professione di ingegnere prima di sedere nel Parlamento francese per diversi mandati. A lui dobbiamo anche la fondazione della società di costruzioni aeronautiche REIMS Aviation che costruì su licenza diversi modelli di velivoli su licenza della CESSNA statunitense

Ed è proprio di questa presentazione che vorrei dire due parole.

clostermann a bordo
Ecco una bella immagine autografata che mostra l’autore del libro a bordo del suo Hawker Tempest soprannominato “Le grand Charles”. Da notare le crocette dipinte sulla fiancata del velivolo che riepilogano il numero di abbattimenti conseguiti da Clostermann. A questi andrebbero aggiunte numerosissime locomotive, cinque carri armati e addirittura due sottomarini

guerra nell'aria zero
Ecco l’inconfonbile sagoma del Mitsubishi ZERO. Scrive Clostermanna a suo prosito del caccia giapponese: “Lo ZERO fu per i giapponesi quel che lo SPITFIRE e il MESSERSCHMITT Me 109 furono per gli inglesi e i tedeschi. Il suo vero nome di famiglia era Mitsubishi A6M5 tipo 0 nell’ambiente della Marina imperiale giapponese; da questo gli derivò il suo primo soprannome ZERO datogli dagli americani che però non voleva avere alcun significato dispregiativo: anzi!”

Sembra che al traduttore abbia dato notevole fastidio che Clostermann (anzi, “il Clostermann”, come lo chiama lui nella prefazione…) nel corso del libro abbia omesso di sviscerarsi in ogni sorta di possibile elogio verso gli aviatori italiani, che hanno combattuto la stessa guerra con equipaggiamenti inadeguati, in numero sempre molto ridotto contro un nemico sempre soverchiante, armati soltanto di coraggio, cuore e spirito di sacrificio. Il che è anche vero. Gli aviatori italiani hanno scritto pagine di puro eroismo, ma questo Clostermann non lo nega, anzi lo lascia chiaramente intendere. Ma non dimentichiamo che Clostermann combatteva dalla parte degli alleati e contro i tedeschi e gli italiani insieme. Non vedo perché avrebbe dovuto dedicare una parte del libro all’eroismo italiano.

Il Ricci (mi prendo la rivincita di chiamarlo così) forse non si rende conto che lo scopo del libro non è quello di lodare un nemico che, ai suoi occhi, non ha proprio un ruolo di assoluto rilievo nelle vicende della guerra. Si potrà anche avere rispetto per un pilota che da solo, con un CR 42 va incontro ad una formazione di Spitfires e viene alla fine abbattuto, magari dopo aver abbattuto a sua volta qualche avversario. Ma sono episodi che rimpiccioliscono rispetto alle grandi battaglie condotte su larga scala. Clostermann giustamente ne parla, ma nella sua narrazione si riferisce soprattutto allo scontro tra alleati e tedeschi.

guerra nell'aria blenheim
Una delle fotografie originali che sono presenti nel libro “La guerra nell’aria”

Dice il Ricci: “Circa gli italiani, dal testo risulta che i piloti italiani combattevano goffamente…”.

OK. Magari la parola non sarà molto opportuna, ma cosa si deve dire di chi si trova a combattere con un velivolo come “la Caprona”, davvero goffo, se paragonato ad uno Spitfire, o anche ad un Hurricane.

Ho letto tutto il libro, con vivo interesse e senza mai provare il disagio o la stizza provata dal traduttore. Anzi, come sempre Clostermann riesce a descrivere gli avvenimenti trascinando il lettore e facendolo sentire come partecipe delle azioni descritte, quasi come se le vivesse egli stesso. Il che non è poco.

guerra nell'aria hurricane
Gli Hawker HURRICANE (letteralmente: uragano) che, assieme ai Supermarine SPITFIRE, costituirono la spina dorsale della caccia britannica. Difesero strenuamente i cieli meridionali dell’isola britannica dagli attacchi dei bombardieri tedeschi nel corso della Battagli ad’Inghilterra

E sinceramente, trovo che ovunque siano descritti gli italiani, a parte la descrizione del loro scarso equipaggiamento, non mi sembra che sia stato loro tolto alcunché.

la guerra nell'aria francese
La copertina del libro di Pierre Clostermann in lingua originale. La copertina della versione italiana, invece, non deve essere costata una grande faticha per chi ne ha curato la grafica: riprende in ordine decrescente di dimensione la vista frontale dei trittici dei velivoli presenti all’interno del volume … se non altro ci consente di comprendere quanto enorme fosse il De Havilland MOSQUITO britannico rispetto allo Yokosuka MXY-7 OHKA, soprannominato dagli statunitensi BAKA

 

Un gran bel libro, che consiglio di leggere. L’edizione in mio possesso è della Longanesi § C Milano. E’ una seconda edizione, non ha sovra-copertina e la copertina, rigida, è in tinta unita di colore verde.

Questo fa parte della collana “Il mondo nuovo” ed è il volume 67. Titolo originale francese: “Feu du ciel” mentre in inglese diventa: “Flames in the sky”.

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Recensione a cura di Evandro Detti (Brutus Flyer)


La grande giostra

Fuoco dal cielo

La guerra nell'aria





Fuoco dal cielo

fuoco dal cielo copertina

titolo: Fuoco dal cielo

autore: Pierre Clostermann

editore: Longanesi & C.

collana: Le edizioni tascabili

anno di pubblicazione: 1971

ISBN: non presente






Ho ripreso dalla libreria un vecchio libro. Un’ antica conoscenza. Avevo cominciato a leggere questo libro qualche decennio fa, ma lo avevo abbandonato quasi subito.

Dopo aver letto “La grande giostra”, dello stesso autore, questo mi era sembrato scialbo, indefinibile, quasi incomprensibile. Inoltre, la guerra di cui vi si narrava era ambientata in Algeria, un paese di cui avevo appena sentito parlare, i nomi dei luoghi e delle città erano troppo strani, il “nemico” non aveva una connotazione inconfondibile come “i tedeschi” o “i giapponesi”. I nemici, qui, erano “i Fellagha”, insorti o ribelli che dovevano essere scovati e poi attaccati con modalità sconosciute. Niente di paragonabile alle tipiche operazioni militari così consolidate durante la Seconda Guerra Mondiale.

hawker tempest
L’Hawker Tempest, il modello di aeroplano pilotato da Clostermann nel corso del II conflitto mondiale. Si noti la tipica architettura di aeroplano da caccia con un possente motore e armamento pesante per attacchi al suolo

Clostermann era un veterano delle F.A.F.L. ovvero le Forze Aeree Francesi Libere, che combattevano a fianco dei piloti della R.A.F (Royal Air Force britannica) e delle Forze Aeree Americane di stanza in Inghilterra. Volava inizialmente con uno Spitfire, mitico caccia inglese che tante vittorie aveva conquistato nei cieli europei e non solo. Poi aveva volato sul Typhoon e infine sul Tempest, uno dei più micidiali aerei della Seconda Guerra Mondiale, sia per potenza del motore che per potenza di fuoco.

Broussard Max Holste MH.1521C
Il Max Holste MH.1521C Broussard dell’Esercito Francese fotografato sull’aeroporto di Toussus-le-Noble nel 1965 (foto di Wikipedia, https://en.wikipedia.org/wiki/Max_Holste_Broussard)

In Algeria l’autore si ritrova a volare su un aereo sconosciuto, piccolo, di scarsa potenza, lento, quasi un aereo da turismo. Una delusione anche il nome: Broussard. Mai sentito prima. Era anche piuttosto bruttino nella forma.

E che cosa faceva con questo aeroplanetto? Volava raso terra per vedere con i propri occhi gli insorti e riconoscerli dai comuni civili, per poi segnalarli ai caccia a reazione che volavano in alto, affinché scendessero ad attaccarli. Lui si doveva occupare di sganciare una bombetta fumogena per segnalare la posizione dei ribelli. Intanto, però, questi “Fellagha”, che stavano ben nascosti, sparavano a lui mentre li sorvolava.

Dalle stelle alle stalle. Che brutta fine aveva fatto! Lui che aveva abbattuto decine di aerei e distrutto treni, navi, ponti, mitragliato aeroporti, truppe, carri armati etc.!

Ma perché un asso come lui si ritrovava in quella parte di mondo a svolgere un lavoro tanto pericoloso e di così basso profilo?

fuoco dal cielo retrocopertina
La retrocopertina del volume “Fuoco dal cielo”di cui è impossibile non notare lo stato di usura, segno evidente che è stato letto e riletto più volte

La risposta è lui stesso a darcela nelle prime pagine del libro. In estrema sintesi, dopo la fine della guerra, dopo aver corso mille pericoli in azione, non poteva smettere subito, di colpo, per tornare ad una vita normale. Così si era cercato e trovato un altro teatro di guerra. La Francia aveva le colonie, dove i fermenti per conquistare l’indipendenza andavano sedati. Dove si combatteva per questo. Molti veterani, nel mondo, si erano cercati un’altra guerra. Ne avevano bisogno perché non potevano smettere di colpo, per motivi psicologici e anche fisici. Avevano forse un estremo bisogno di quelle scariche di adrenalina che erano diventate la loro droga. Una sorta di dipendenza che aveva portato tanti americani ad andare a combattere in Corea, o in Israele, o in Africa.

Clostermann, francese, era andato in Algeria. E lì aveva incontrato altri francesi, anche piloti, che avevano combattuto con lui in Europa.

Il libro non è scritto in prima persona. Ha preferito raccontare le avventure di guerra aerea attraverso un altro personaggio: Dorval. Chi è Dorval? E’ un pilota, ex combattente con le FAFL durante la Seconda Guerra Mondiale etc. etc.

Dice Clostermann:

“[…] non si tratta di un’autobiografia né di un’opera letteraria di fantasia. Sotto forma di racconto storico, è piuttosto un reportage fotografico nel quale le parole tentano di sostituirsi alla pellicola. I principali episodi delle missioni ivi narrati sono autentici e io li ho vissuti. I paesaggi li ho sorvolati e i personaggi, per immaginari che siano, li ho veramente conosciuti: ho incontrato in Algeria diversi Dorval, che pensavano ed agivano come lui […]”.

I francesi leggerebbero un libro come questo con un altro spirito e probabilmente, alla fine, direbbero che è loro molto piaciuto. Noi italiani non sappiamo un granché dell’Algeria e delle sue guerre interne. A noi queste avventure sembrano strane, aliene, perfino incomprensibili. Ma devo dire che, alla fine, dopo aver terminato la lettura, ho scoperto un altro mondo, ampliato la mia conoscenza, scoperto un altro pezzo di storia.

Il libro si trova sulle bancarelle, ma è piuttosto comune. Ancora meglio si può acquistare su Internet.

Queste vecchie edizioni della Longanesi, che risalgono agli anni settanta, sono volumi usati e riusati. E’ bene non attendersi copertine pulite e senza segni di usura. Spesso anche le pagine interne sono ingiallite e le rilegature possono presentare segni di cedimento dovuti al peso del tempo e delle riletture. Ma tutto ciò costituisce semmai un valore aggiunto e nulla toglie alla qualità del contenuto.

Consiglio di comprarlo e di leggerlo. Dopo potrà prendere il suo posto nella libreria in attesa di essere riletto, prima o poi. E anche quegli strani nomi, quelle località, quelle città, pian piano durante la lettura, diventano meno aliene, anzi, quasi familiari. Nella nostra era, volendo, possiamo sempre aprire Google Maps o meglio Earth e andarle a cercare, per vederle a volo di uccello come le ha viste Clostermann, senza neanche il timore che ci sparino addosso.







Recensione a cura di Evandro A. Detti







La grande giostra

La guerra nell'aria

La grande giostra

la grande gostra copertina edizioni tascabilititolo: La grande giostra

autore: Pierre Clostermann

editore: Longanesi & C.

collana: Edizioni tascabili / I libri pocket (nr 8)

anno di pubblicazione: 1965

ISBN: non presente






“[…] and in the narrow cockpit I wept, as I shall never weep again, when I felt the concrete brush agains his wheels and, with a great sweep of the wrist, dropped him on the ground like a cut flower […]”

[…] Ed ho pianto, nella stretta cabina, come non piangerò più in vita mia, quando ho sentito il cemento della piasta sfiorare le sue ruote e con una pressione della mano l’ho costretto al suolo come un fiore reciso […].

Ho deciso di cominciare questa recensione con alcune delle ultime parole del libro di Clostermann, versione inglese, perché … per tanti motivi. Ma uno fra tutti, perché sono la naturale chiusura di un capitolo della vita di una persona, un pilota da caccia, che ha vissuto avvenimenti talmente intensi e concentrati in un periodo relativamente troppo breve per essere realmente assimilati o perfino compresi, da rimanere impressi nella memoria di chi ne è stato protagonista e di chi oggi li legge soltanto, per sempre.

Clostermann ha scritto questo libro riferendosi alle sue registrazioni giornaliere che aveva conservato per suo padre e sua madre. Si era impegnato fermamente ad annotare su un quaderno tutti i fatti importanti della sua vita di pilota da caccia. Alla fine i quaderni erano diventati tre. Pensava che, se non fosse arrivato vivo al termine del conflitto, quei diari avrebbero comunque permesso ai suoi genitori di conoscere come era stata la vita del loro figlio fino all’ultimo giorno. Ma non fu necessario. Poté raccontare lui stesso tutto quanto. Allora decise di scrivere un libro, per condividere con tutti la sua guerra.

la grande gostra copertina longanesi
Una delle copertine delle varie edizioni pubblicate da Longanesi & C. Da notare lo strappo nella parte bassa a dimostrazione che si tratta di un volume veramente vissuto

Le Grande Circle”, questo era il titolo originale in francese, è stato scritto nel 1948, quando la guerra era da poco terminata. Pierre Henry Clostermann era nato a Curitiba, Brasile, il 28 febbraio 1921, ed è morto a Montesquieu-des-Albères, un paesino sui Pirenei, il 22 marzo 2006.

Era figlio di un diplomatico francese. Studiò dapprima a Parigi, ma poi proseguì gli studi negli Stati Uniti, dove si laureò in Ingegneria. A diciassette anni aveva già conseguito il brevetto di pilota di aeroplano.

Nel 1942 rispose all’appello del generale Charles de Gaulle arruolandosi nelle Forces aériennes françaises libres, la componente aerea della Francia libera.

Il libro comincia con il suo arrivo in Inghilterra, dove frequenta la scuola caccia e vola sul famoso Spitfire sin dall’inizio.

Chiunque abbia anche solo un minimo interesse per la storia della guerra aerea nella Seconda Guerra Mondiale non riuscirà a smettere di leggere questo libro. E lo stesso vale per chiunque abbia la passione per il volo.

Dall’inizio alla fine il libro contiene la descrizione magistrale di tutto ciò che riguarda le vicende di un pilota di guerra, compresi i fatti collaterali della vita di tutti i giorni, i criteri con i quali si effettuavano tutte le operazioni militari e non, la radiotelefonia dell’epoca, i rapporti tra i commilitoni, i trasferimenti, gli incidenti, l’esaltazione e la disperazione dovute all’alternarsi delle sorti della guerra etc.

Non c’è neanche una sola frase nella quale l’interesse venga meno un istante.

Questo libro è destinato ad essere, non solo letto, ma riletto diverse volte. E alla fine si ha l’impressione di aver vissuto la guerra insieme a Clostermann.

La descrizione dei combattimenti aerei, degli abbattimenti, degli immancabili incidenti (l’aeroplano ha ucciso più piloti di quanto abbiano fatto gli avversari), della tempesta di emozioni che travolge l’autore ogni istante, è talmente vivida che ci si trova coinvolti come se si fosse lì in quel momento.

Un pilota di oggi difficilmente riesce ad immaginare fino in fondo una simile realtà che però era quella di ogni giorno. Per questo è tanto interessante questo libro. Perché ce la racconta.

Clostermann ha volato dapprima sullo Spitfire, che era un mito già allora. Poi è passato sul Thypoon e infine sul Tempest. Tutti aerei potenti, ben armati e difficili da pilotare.

Di estremo interesse sono anche le impressioni di pilotaggio di questi famosi aerei, che oggi possiamo vedere solo sulle foto dell’epoca oppure nei musei.

la grande gostra copertina super pocket
Quando un libro riscuote successo, le edizioni si sussegguono. Longanesi & C. ebbero il buon senso di non stravolgere la copertina iniziale e anzi la riproposero inserendola in miniatura nelle collane pubblicate successivamente. Da notare il prezzo di vendita

Durante la lettura del libro sono incappato in un punto nel quale Clostermann descrive un combattimento aereo tra le nuvole. Arrivato all’apice di una risalita, in condizioni di visibilità marginali, si attarda un po’ troppo nella rimessa in volo normale. Il Tempest stalla ed accenna ad entrare in vite. Così Clostermann descrive il momento:

Il Tempest risale a tremila metri veloce come un razzo e mi ritrovo, madido per la paura e l’angoscia, rovesciato sul dorso. Il motore dà una scossa violenta, poi pianta e mi arriva in faccia una pioggia di terriccio, di ferraglia, d’olio; l’apparecchio cade in vite. La vite del Tempest è la cosa più pericolosa che vi sia: un giro, due giri e si è come un cencio, sbattuti con forza contro le pareti della cabina nonostante le cinghie che tengono legato al seggiolino”.

Un aereo del genere non dovrebbe entrare in vite accidentale per tanti motivi. Il lettore troverà tutte queste informazioni durante la lettura. Ma un aereo che arriva a sfiorare velocità soniche, dell’ordine dei milleduecento chilometri orari, pesante e con inerzie notevoli, se entra in vite non esce certo dopo mezzo giro e neanche dopo un giro. Se questo avviene a quota troppo bassa è finita.

Personalmente, ma su mezzi moderni, ho eseguito la vite intenzionale con parecchi aerei e alianti e so cosa significa.

Mentre Clostermann descriveva il momento in cui il suo Tempest stallava e cominciava ad avvitarsi ho provato una specie di capogiro, come se avessi già vissuto quel momento, esattamente nello stesso modo, ma in una vita precedente.

Non credo a queste suggestioni, ne ho solo sentite parlare, ma è ciò che ho provato. Probabilmente, sulla mia reazione hanno influito sia l’esperienza personale che la capacità descrittiva dell’autore, insieme alla tragicità di quegli eventi.

Un altro punto interessantissimo del libro riguarda il racconto della morte di un pilota tedesco, quindi un avversario, ma ben conosciuto dagli alleati per il suo indiscutibile valore, onorato anche al di qua delle linee. Si tratta di Walter Novotny del quale, chi vuole, può cercare informazioni su Internet.

Le notizie sulla morte di questo asso sono un po’ contrastanti. Di sicuro si sa che pilotava un bireattore di modernissima concezione che aveva fatto la sua comparsa nei cieli di Normandia in quel periodo finale della guerra. Si tratta del Messerschmitt Me 262. Era talmente veloce che riusciva a colpire e ad allontanarsi sottraendosi così alla caccia avversaria. Gli alleati potevano riuscire a prenderlo soltanto quando rallentava per atterrare. E infatti ne avevano abbattuti alcuni in questo modo. Ma i tedeschi avevano predisposto le loro difese. Avevano piazzato file di affusti di cannone di contraerea lungo il sentiero di avvicinamento all’aeroporto, su entrambi i lati. Un corridoio di fuoco nel quale il Me 262 entrava e rallentava in relativa sicurezza, mentre l’inseguitore doveva rimanere lontano per non essere colpito.

Novotny aveva abbattuto più di una sessantina di aerei nemici. Era veramente un valoroso.

Scrive Clostermann:

Stasera il suo nome ricorre spesso nelle conversazioni alla mensa. Ne parliamo senza rancore e senza odio… Oggi è una rivincita per noi, salutare un nemico appena morto, proclamare che Novotny ci appartiene, ch’egli fa parte del nostro mondo nel quale non ammettiamo né ideologie, né odi, né frontiere.”

hawker tempest
Il modello di velivolo, un Hawker Tempest, che Pierre Clostermann pilotò durante il conflitto mondiale. Da: http://www.world-war-2-planes.com/hawker_tempest.html

Un pilota del gruppo, poco dopo, dirà:

“Il primo che ha osato dipingere una coccarda sull’ala di un velivolo era un porco”.

Dicevo che le notizie sulla morte di Novotny sono incerte. Esistono testimonianze contrastanti e sarebbe davvero interessante sapere la verità.

Clostermann scrive sul suo libro:

“Il quindici marzo scorso, io conducevo una sezione di quattro Tempest in una caccia al topo su Rheine-Hopsten, a duemila e cinquecento metri di quota. Improvvisamente vedemmo apparire a volo radente un Messerschitt 262 senza mimetizzazione, con le ali lucide, brillanti al sole. Era già nel corridoio della contraerea e si apprestava ad atterrare. Lo sbarramento di traccianti si alzava per proteggere il suo avvicinamento. Io avevo deciso, conformandomi alle nuove disposizioni, di non attaccare in quelle condizioni, allorché senza preavvertirmi, il numero quattro della mia pattuglia si lanciò in candela verso il piccolo punto lucente che si avvicinava alla lunga pista in cemento. Bob Clark, lanciato come un bolide, attraversò per miracolo, senza essere colpito, il baluardo di fuoco e sparò una lunga raffica sull’Me 262 argenteo che era nella fase finale del suo atterraggio. Il Me 262 si fracassò in fiamme proprio al limite del campo”.

La notizia che quel Me 262 era di Novotny arrivò dopo due settimane. Un tempo sufficiente a deformarla e renderla imprecisa, specie in giorni tanto difficili.

Dopo che per anni la guerra aveva causato tanta distruzione e innumerevoli vittime, dopo tanti combattimenti aerei molto cruenti, mitragliamenti di aeroporti, treni, truppe, paesi, Clostermann era stanchissimo, come tutti i piloti della sua squadriglia. Il medico della base lo voleva mettere a terra, ma c’era bisogno di tutti e ognuno doveva continuare a volare, aiutato da dosi sempre maggiori di farmaci. I piloti cadevano come mosche, di giorno e di notte, in una palla di fuoco, in cielo come a terra.

Lo sforzo finale della guerra è descritto da Clostermann in una maniera inedita e altamente espressiva. Sono gli ultimi giorni, i peggiori, ma la vittoria arriva inesorabile e improvvisa.

Dice Clostermann:

“Poi venne l’armistizio e fu come una porta che si chiudesse”.

E inevitabilmente, tutto quel volare non è più necessario. Gli aerei, come i piloti, sono a pezzi. Viene il momento di consegnare le armi, che nel caso di un pilota, significa consegnare l’aereo. E qui, Clostermann scrive qualcosa che, a parer mio, è pura poesia. Parla del suo aereo come se fosse un compagno di avventure umano, vivente. Perché tale è, dopo aver combattuto con lui per tante ore, giorni, anni.

“[…] E nel ritorno sono salito con lui molto alto nel cielo d’estate senza nubi, perché solo là potevo dirgli addio. Per l’ultima volta, insieme io e lui, abbiamo puntato dritto incontro al sole. Abbiamo fatto un looping, forse due, alcuni tonneaux molto lenti, accurati, amorevoli, per poter portare via nelle mie dita la vibrazione delle sue ali obbedienti e agili. Ed ho pianto, nella stretta cabina, come non piangerò più in vita mia, quando ho sentito il cemento della pista sfiorare le sue ruote e con una pressione della mano l’ho costretto al suolo come un fiore reciso …

E quando i piloti e i meccanici che mi attendevano mi hanno visto con la testa bassa e le spalle scosse dai singhiozzi, hanno compreso e si sono avviati in silenzio verso il dispersal […]”.

la grande gostra copertina copertina odoya
Dopo tanti anni era utile nonchè doveroso riproporre “La grande giostra” al giovane pubblico del nuovo millennio … e a questo nobile scopo ha provveduto la casa editrice Odoya con un volume dalla nuova copertina, un nuovo sottotitolo e, secondo quanto riporta il catalogo dell’editore, illustrato internamente.

Non è difficile trovare “La Grande Giostra” nei mercatini o su Internet. Compratelo subito, se vi capita. Leggetelo, questo libro. E dopo che lo avrete letto lo collocherete in un posto comodo della vostra libreria, dove lo potrete riprendere con facilità, per leggerlo ancora.







Recensione a cura di Evandro A. Detti




Nota della Redazione

Nel 2014, per iniziativa della casa editrice Odoya, il libro di Pierre Clostermann è stato ripubblicato. In basso le coordinate editoriali:

Titolo: La grande giostra. Nei cieli della seconda guerra mondiale Traduttore: Santarone P. Editore: Odoya Collana: Odoya library Data di Pubblicazione: Aprile 2014 ISBN: 8862882335 ISBN-13: 9788862882330 Pagine: 284 Formato: brossura





Fuoco dal cielo

La guerra nell'aria