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I falchi del deserto

I falchi del deserto copertinatitolo: I falchi del deserto

autore: Sergio Flaccomio

editore: Longanesi & C.

anno di pubblicazione: 1959

ISBN: non disponibile





Come si legge sulla copertina del libro, una edizione Longanesi § C., si tratta dei ricordi di un pilota d’assalto italiano nei cieli infuocati dell’Africa Settentrionale.

Infatti il volumetto contiene una lunga serie di racconti di guerra, ambientati in quel teatro drammatico quale è stato quello libico.

Se dovessi sintetizzare in poche parole l’intero libro direi che, fondamentalmente, si tratta dell’ennesima testimonianza di come, in quegli anni, si siano contrapposti due elementi: l’eroismo degli italiani in guerra (in qualunque corpo e in qualunque luogo), costretti a combattere una guerra che non sentivano come loro, senza equipaggiamenti e senza organizzazione e la diffusa sciatteria e meschinità, inadeguatezza e, a volte, criminale colpevolezza di coloro che stavano ai vertici del potere politico italiano.

i falchi del deserto copertina interna
La copertina interna de; “I falchi del deserto”, volume di memoria storica ma anche di denuncia

Il libro è scritto da un pilota, cioè da un combattente che poteva vedere le cose dall’alto. Un punto di vista elevato, dal quale era più facile avere una visione d’insieme. In particolare, all’autore appariva ben evidente quale fosse il terreno sul quale si combatteva, l’orografia del paesaggio, le distanze, enormi e spesso costituite da solo deserto, le frequenti tempeste di sabbia e la loro grande estensione, la distanza dal mare degli accampamenti di fortuna nei quali i soldati erano precariamente sistemati etc. Gli aeroporti erano semplici strisce di deserto, livellate alla meglio.

Uno dei pochi scatti disponibili in rete che ritrae un CR42 Falco in volo. Lo abbiamo trovato nell’ottimo sito fotografico http://www.wwiiaircraftphotos.com. E dire che il Falco – come tutti i biplani – era a dir poco molto fotogenico

Gli aerei di cui parla il nostro pilota erano i CR 32 e 42. Biplani, superati ormai da anni, ma che il governo di allora manteneva in produzione, probabilmente per non scontentare qualche personaggio dell’industria. Ma intanto gli alleati, gli Inglesi prima e gli americani dopo, avevano aerei molto più performanti, terribilmente meglio armati, veloci, maneggevoli e dotati di maggiore autonomia.

Contro questi aerei i nostri piloti andavano ad ingaggiare combattimento, spesso in numero molto inferiore, magari ad alta quota, con l’handicap delle cabine aperte, senza protezione adeguata dal freddo e spesso senza neanche l’impianto dell’ossigeno.

Sempre proveniente dal sito http://www.wwiiaircraftphotos.com, ecco una singolarissima immagine della cabina di pilotaggio ripresa dal dorso dell’ala superiore. Inutile dire che i piloti amarono molto il CR42 per la sua formidabile maneggevolezza ma che soffrirono il suo scarso armamento, l’autonomia limitata e la velocità non paragonabile con i caccia nemici con i quali si dovettero confrontare. Ormai, a distanza di tanti anni, i loro ricordi, le loro esperienze si possono trovare solo nei libri di storia come quello di Sergio Flaccomio, appunto.

Questo descrive il libro.

Una lettura, ancora una volta, illuminante. L’eroismo è una cosa. La capacità strategica e la dotazione tecnica sono un’altra faccenda.

Si percepisce chiaramente, anche dove non viene detto esplicitamente, quanto fosse sofferta una simile situazione. E si coglie anche una sorta di fatalismo, di rassegnazione, nei confronti di tragici episodi, frequentissimi, dove si moriva, si restava feriti gravemente, ci si salvava per pura casualità.

Lo stesso progettista (l’ing Celestino Rosatelli) considerò il suo Falco un ottimo progetto ma tecnologicamente incapace di tenere testa a macchine più moderne benché minate da quei problemi di messa a punto, difetti progettuali e complicazioni tecniche di cui il Falco era pressoché privo. Quel divario tecnologico provarono comunque a colmarlo i piloti della Regia Aeronautica che, poco e male armati (due mitragliatrici SAFAT da 12,7 mm. montate sulla cappottatura motore, sincronizzate e sparanti attraverso il disco dell’elica con 400 colpi ciascuna) ricorsero spesso all’”acrobazia difensiva” piuttosto che all’esubero di potenza del modesto quanto onesto motore (un FIAT A.74 R.1C.38 con circa 840 cavalli). Così equipaggiati tentarono di tenere testa agli Hurricane, agli Spitfire. E se questo non fu uno scontro impari … (foto fornita da http://www.wwiiaircraftphotos.com)

E non si poteva in alcun modo protestare. La più lieve parvenza di critica sarebbe stata considerata disfattismo.

Due sono gli elementi che descrivono meglio l’inadeguatezza della politica italiana e tedesca in quella disgraziata guerra del Nord Africa.

Il primo riguarda il fatto che tutti i convogli di navi ed anche le squadriglie di aerei che dall’Italia dovevano rifornire, di truppe e materiali, il Nord Africa, erano soggetti agli attacchi, per mare e per aria, dalla vicina Malta, che non si era pensato di dover neutralizzare prima. Ci si era provato, ma con il pressappochismo e l’improvvisazione soliti, per cui Malta era rimasta lì. Risultato: tantissime navi affondate, squadriglie di aerei, da trasporto e non, abbattuti, migliaia di militari e civili morti e preziose merci perdute. Per anni.

Nel corso del II conflitto mondiale, se è vero che la ridotta incisività bellica della Regia Aeronautica – opinione diffusa e condivisa degli storici dell’aviazione – fu minata inesorabilmente anche dal gran numero di velivoli disponibili in termini di modelli e allestimenti – spesso validissimi per il voli da record ma assai meno poco per scopi militari – è altrettanto vero che il FIAT CR42 Falco costituì la panacea a tutti i problemi di impiego operativo cui l’Arma azzurra dovette fare fronte. Ed ecco allora che Il Falco diventò caccia notturno, cacciabombardiere, intercettore, aeroplano d’assolto per l’attacco al suolo e appoggio alle truppe di terra, antiguerriglia, disturbatore notturno, velivolo aviotrasportato, traino alianti, addestratore e – poco mancò – addirittura idrocaccia e aerosilurante. Per farne un caccia notturno o disturbatore notturno si presuppone almeno che fosse dotato di adeguato strumentazione per il volo notturno e invece … Un cacciabombardiere che trasporta due “bombette” da 100 chili ciascuna e che per farlo deve rinunciare ad una delle due mitragliatrici, può davvero continuare a chiamarsi “caccia” e anche “bombardiere”? Di sicuro l’italica capacità di adattarsi agli eventi più improbabili non venne meno quando, dovendo trasferire la bellezza di 52 velivoli fino al fronte dell’Africa Orientale, i CR42 furono disassemblati, infilati nella capiente stiva del SM82 Marsupiale (antesignano del blasonato C5 Galaxie statunitense) e lì aviotrasportati. Dovendo poi sostituire gli ormai vetusti idrovolanti IMAM Ro.43/44 chi pensate che fu proposto? … ma certo! Il CR42 versione idrovolante giusto appunto denominato ICR42. Fortunatamente non se ne fece nulla, salvo un prototipo. E se invece delle bombette da 100 kg piazzassimo un proiettile d’artiglieria navale da 381 mm denominato “bomba 630PD”, (P)erforante e (D)irompente del peso di 630 kg? Avremmo creato un nuovo caccia-aerosilurante. Anche in questo caso, fortunatamente, non se ne fece nulla. E se, al posto dell’ingombrante motore radiale Fiat montassimo il favoloso motore in linea Daimler-Benz DB601? … beh, otterremmo un Falco capace di volare a 500 km/h ma nulla più. No, meglio destinare i preziosissimi motori tedeschi alle cellule dei Macchi Mc.202 e i Reggiane Re.2001. Fortunatamente il Fiat Cr.42DB601 rimase solo allo stadio di prototipo e i famosi motori equipaggiarono effettivamente caccia moderni. (http://www.wwiiaircraftphotos.com)

Un po’ di numeri. Il Fiat CR42 Falco fu l’aeroplano più costruito dall’industria aeronautica italiana durante tutto il periodo bellico: un totale complessivo di circa 1800 esemplari assemblati con una cadenza mensile attorno ai 50 mensili. Se si tiene conto del decennio a cavallo dal ’34 al ’44, questo modello velivolo costituì da solo il 20% della produzione aeronautica nazionale. E dire che ne furono realizzati pure altri a beneficio di alcune alle forze aeree straniere. Il 10 giugno 1940 – momento dell’entrata in guerra dell’Italia – questo fu il velivolo che rappresentò il 40% dei caccia di pronto impiego della Regia Aereonautica. Cesserà di essere utilizzato nel ruolo di addestratore biposto nell’ambito dei Centri Addestramento al Volo delle Z.A.T. (Zone Aeree Territoriali, ossia le attuali regioni aeree chiamate zone aeree) dalla rinata Aeronautica Militare italiana nel ’52. In altri termini, un buon 70% dei piloti della vecchia nonché della nuovissima Aeronautica italiana “metteranno le ali” sul biplano di Celestino Rosatelli. (http://www.wwiiaircraftphotos.com)

L’altra questione riguarda la geografia del teatro di guerra. Il nemico era stato respinto attraverso migliaia di chilometri, dalla Libia verso l’Egitto. Negli anni le vicende di guerra sono state altalenanti, con perdite e riconquiste di posizione continue. Chi vuole si può documentare meglio attraverso tanti libri. Ma in sintesi, alla fine, il nemico si stava ritirando verso l’Egitto. Mancavano davvero poche decine di chilometri dal confine. L’autore descrive l’arrivo di un’altissima personalità del regime, con macchine al seguito e perfino un cavallo bianco. Si era portato anche la spada dell’Islam che gli era stata donata. Era pronto a fare il suo ingresso trionfale ad Alessandria d’Egitto.

Peccato che nel suo genio strategico non abbia fatto caso che, durante la ritirata, il nemico si avvicinava alla sua roccaforte, con maggiore abbondanza e rapidità di rifornimenti, con più possibilità di sostituzione delle truppe stremante con forze fresche. Mentre per Italiani e tedeschi avveniva il contrario. I rari rifornimenti, quando arrivavano, prendevano terra in Libia, poi dovevano percorrere migliaia di chilometri per raggiungere il fronte avanzato, con i rischi che c’erano. Alle porte dell’Egitto l’epilogo è stato quello che tutti conoscono. L’altissimo personaggio dovette tornare indietro senza neppure il cavallo bianco.

Il Fiat CR42 Falco fu la creatura volante meglio riuscita e prodotta in maggior numero di esemplari che partorì la mente geniale dell’ingegnere reatino Celestino Rosatelli. Alla fine degli anni ’30, divenuto capo dello studio di progettazione aeronautica della FIAT di Torino, Rosatelli creò probabilmente il migliore biplano della storia dell’aviazione … peccato che fu anche l’ultimo. Nato come progetto migliorato del suo precedessore CR32 Freccia, il Falco era vetusto già quando compì il suo primo rullaggio sulla pista di Torino Aeritalia nel maggio del ’38 e il confronto con i monoplani avversari fu sempre impari. In questo scatto memorabile quanto inusuale (http://www.wwiiaircraftphotos.com) si può intuire la linea di montaggio del Falco organizzata negli enormi capannoni della FIAT.

Quanto somigliano, le vicende di allora, a quelle di oggi.

Di sicuro, parlando con tante persone, ci potranno essere molti convinti che le cose siano interpretabili in altri modi. E ognuno fornirebbe la propria chiave di lettura.

Ma qui parliamo di un libro. “I falchi del deserto” parla di quelle vicende e il suo autore ci offre la sua pacata e diplomatica (a volte non tanto) chiave di lettura.

I falchi del deserto retrocopertina
La retrocopertina dello splendido libro di Sergio Flaccomio, autore anche del volume: “… Obbedire e combattere … senza credere”, pubblicato sempre dalla casa editrice Longanesi nel 1966.

Sergio Flaccomio è toscano. E anch’io lo sono. Nonostante ciò, spesso ho fatto un po’ di fatica a seguirlo, nei suoi modi prudenti, fatti di frasi idiomatiche, che capisco certamente, ma la sua toscanità è un po’ più antica della mia. Non fa molto uso delle virgole. Tuttavia, anche in questo libro come è stato per altri, ho ritrovato gli stessi fatti, descritti da altri autori. Mi è sembrato di ripercorrere strade e ambienti già conosciuti. Soltanto visti con altri occhi e da un’angolazione leggermente diversa.



Recensione a cura di Evandro Detti (Brutus Flyer)