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Il volo dell’incursore

titolo: Il volo dell’incursore

autore: Stephen Coonts

editore: Sperling paperback

anno di pubblicazione: 1986

ISBN: 88-7824-127-X

 





Mentre cercavo un libro tra le centinaia che si allineano sulle mensole della mia libreria mi è capitato tra le mani questo volume e subito l’ho messo da parte con l’intenzione di rileggerlo.

Lo avevo già letto parecchi anni fa e non una sola volta. Da questo libro è stato tratto un film, uscito nel 1991, che all’epoca avevo visto e mi era piaciuto molto.

Oltre a rileggere il libro vorrei rivedere anche il film.

L’A6 Intruder (letteralmente tradotto: incursore) fu progettato e costruito dalla Grumman per rispondere ad una specifica richiesta di fornitura della US Navy che aveva necessità di un aereo imbarcato per l’attacco al suolo in condizioni ognitempo. La società di Bethpage ( New York) ebbe la meglio sulle altre aziende aeronautiche facendo tesoro di una considerazione alquanto elementare: il piccolo A-4 Skyhawk, recente acquisto della Marina, era incapace di azioni ognitempo. Benché leggero ed economico, agile e di architettura moderna, si prestava ottimamente al suo ruolo ma non poteva dirsi certo un bombardiere. Di contro, il vecchio A-1 Skyrider aveva una configurazione piuttosto datata (per non dire antiquata) con il suo motore stellare, seppure in grado di un notevole carico bellico. Era una sorta di dinosauro dell’aria, giunto troppo tardi per essere utilizzato durante il II conflitto mondiale, tecnologicamente superato rispetto ai jet che ormai avevano conquistato – occorreva ammetterlo – la supremazia dell’aria. Dunque occorreva creare un velivolo robusto, capace di trasportare elevati carichi bellici, propulso da almeno due motori a reazione, bipost e con un’avionica specializzata. La risposta fu appunto l’A-6. Naturalmente, come voleva la tradizione dei velivoli imbarcati, anche l’Intruder aveva le semiali ripiegabili e questa fotografia lo testimonia.

 

Non esito a definire “Il volo dell’incursore” uno dei racconti più avvincenti che mi siano capitati nella vita. E poi, come pilota, lo considero uno dei pochi che non contiene elementi di disturbo, quali, ad esempio, descrizioni approssimative o inesatte. Di solito, vedendo film ambientati nel settore aeronautico, i piloti sono sempre molto critici. Alla più piccola inesattezza, magari motivata dalla necessità di rendere la storia più avvincente, più facile, comprensibile ed accessibile al grande pubblico, il pilota, invece, si indigna. Punta subito il dito, esprimendo ciò che pensa del film con le più efficaci e vivide parole idiomatiche di frequente uso nell’ambiente aeronautico, che non riporto qui per motivi di decenza.

Mentre leggevo il libro, però, con il più acuto spirito critico pronto a rilevare anche la minima inesattezza, non ne ho trovata alcuna. Le pagine scorrevano, le descrizioni erano tutte perfettamente veritiere, la terminologia impeccabile. Sembrava di vivere nel reale mondo aeronautico.

Tutto si svolge su una portaerei che naviga al largo delle coste del Vietnam. Il protagonista è un pilota di jet, guida una squadriglia di cacciabombardieri che partono dalla portaerei e compiono incursioni nell’entroterra vietnamita, su diversi tipi di obiettivi quasi sempre celati nelle foreste.

L’A-6 Intruder non può certo definirsi un aereo bello a vedersi, almeno non tanto bello quanto i più ben blasonati velivoli che lo precedettero o con quelli con cui condivise i ponti di volo delle portaerei. La sua configurazione biposto affiancati (pilota e navigatore facente anche funzione di bombardiere) era assolutamente inconsueta tra i velivoli del parco US NAVY. Inoltre, rispetto al tronco di coda piuttosto smilzo, la fusoliera risultava abbastanza sgraziata a causa del generoso radome capace però di contenere il potente radar posto nel musone. D’altra parte uno dei punti di forza del A-6 fu proprio la potentissima, completissima e avanzatissima avionica che, all’epoca, lo rendeva pressoché infallibile nelle sue missioni a bassa quota e nella gestione dei più disparati munizionamenti. In questa istantanea è ritratto mentre, in fase di atterraggio, mostra completametne estratti i suoi pittoreschi aerofreni

 

Il jet è un A-6 Intruder. Incursore, appunto.

La storia si svolge sia a bordo della nave sia durante le missioni di guerra.

Il modo di scrivere dell’autore è talmente efficace che si resta incollati alle pagine per ore ed ore. La suspense è talmente densa da prendere il lettore e rendergli difficile anche una breve pausa.

Il pilota, anche lui, anzi, soprattutto lui… ne resta ipnotizzato.

Le descrizioni, tutte le descrizioni, per un pilota sono talmente esatte e veritiere da “vedere” attraverso le parole. Sembra di vedere il paesaggio, il ponte di volo, l’interno dell’abitacolo (anche l’illuminazione del cruscotto strumenti durante i voli notturni), le foreste e le pianure buie o illuminate dalla Luna.

Conoscendo la geografia generale del Vietnam, perfino le descrizioni della penetrazione a bassa quota provenendo dal mare e la descrizione delle virate, a destra o a sinistra o verso punti cardinali o specifiche prue per raggiungere gli obiettivi, risultano esatte. E questo un pilota lo nota.

Incredibile.

Quello ritratto è un A6 Intruder “Green Lizard” (letteralmente tradotto: “Lucertola verde”) al suolo, nell’area di parcheggio della base navale statunitense di Miramar (San Diego – California). Il fotogramma è stato scattato nell’agosto 1975 dal sig Jim Leslie che l’ha resa pubblica nell’ambito di Flickr. Egli precisa che il velivolo era in forza presso il reparto denominato “VA-95”, imbarcato sulla portaerei Coral Sea nell’ambito del Carrier Air Wing 15 sciolto nel 1995, anno in cui anche l’A6 Intruder cessò la sua attività operativa per far posto al ben più moderno F/A 18 Hornet. A proposito della Naval Air Station di Miramar siamo certi che questo nome (storpiatura latino-americano di Miramare, il castello di Trieste voluto a fine ‘800 dal sovrano Massimiliano I d’Asburgo) non vi apparirà del tutto sconosciuto. Fu infatti sede del Fighter Weapons School, ossia l’accademia deli piloti della US Navy, che con il suo programma di addestramento avanzato, formava i migliori piloti da caccia specializzati nel combattimento ravvicinato (il cosiddetto dogfight) e nella difesa aerea della flotta. Erano i famosi TOPGUN. In realtà questa base assurse agli onori del grande pubblico del cinema di azione quando divenne lo scenario dell’omonima pellicola degli anni ’80 che consacrò in giovanissimo Tom Cruise e ci fece conoscere un’affascinante attrice come Kelly Mc Gillys . Supportato anche da una fortunata colonna sonora, il film ebbe un successo strepitoso e dunque può essere considerato, senza ombra di dubbio, un vero e proprio “cult movie” del genere guerra-azione-aviazione. In effetti i cieli californiani stavano alquanto stretti all’intensa attività addestrativa dei piloti militari tanto che negli anni ’90 la “Fightertown” (letteralmente: città dei piloti da caccia) fu trasferita a Fallon, nel deserto del Nevada, ben più adatta alle scorribande addestrative dei TOPGUN.

 

Poi c’è la descrizione delle sensazioni, delle emozioni. Di tutte quelle fasi di volo che comportano una reazione da parte del pilota. Perfino quando, nel bel mezzo di un pericolo imminente, il pilota reagisce con azioni immediate e spesso disperate, senza mostrare emozione alcuna. Almeno sul momento.

E le comunicazioni radio?

Non c’è film o storia narrata che non contenga esempi di comunicazioni radio tra pilota e controllore, ma anche tra piloti e piloti, assolutamente inesatte, sbagliate sotto ogni punto di vista, con terminologia improbabile che nessuno userebbe in aviazione.

Qui no. Tutto perfetto.

Anche se, devo dire, il riporto di posizione trasmesso alla portaerei, da parte del caposquadriglia quando dal mare supera la linea di costa e comincia a sorvolare la terraferma, o viceversa, appare alquanto banale. Nell’intento di non farsi capire da eventuali ascoltatori nemici, il caposquadriglia non dice, ad esempio: “costa superata, entriamo sul continente” oppure: “Lasciata la terra, siamo sul mare”. Usa una forma più ermetica, dice: “Aquila nera, qui diavolo cinque zero zero, piedi asciutti”, se dal mare è entrato sulla terra. Oppure: “Aquila nera, qui diavolo cinque zero zero, piedi a mollo”, se dalla terra esce sul mare. Non mi sembra ci voglia molto a capire la situazione, anche descritta così. Però è la realtà, la forma di comunicazione realmente usata dalle squadriglie americane durante le vere missioni.

Prodotto in circa 700 unità, Il Grumman A-6 Intruder entrò in servizio nei primi anni ’60 e fu radiato a metà degli anni ’90. Non fu mai venduto alle forze aeree di altri paesi; il loro costo spropositato (circa 43 milioni di dollari USA), non ne favorì certo le vendite. Ebbe il battesimo del fuoco proprio in occasione della Guerra del Vietman le cui intricate vicende costituiscono lo scenario del libro del nostro Stephen Coonts ma, la storia insegna, l’A6 fu utilizzato ampiamente in tutti quegli scenari in cui entrò in azione l’US NAVY, ossia: Libano, Libia, Golfo Persico e financo in Iraq. Dall’Intruder è stato derivato, ed è tuttora utilizzato, un velivolo che si può considerarsi l’erede: l’EA-6B Prowler (predatore) Purtroppo nel nostro paese esso è assurto tristemente all’attenzione delle cronache a seguito della strage del Cermis: nel febbraio del ‘98 un velivolo di questo tipo, decollato dall’aeroporto NATO di Aviano per un volo addestrativo, impattò contro i cavi della cabinovia provocando a morte dei 19 occupanti e del manovratore. Fu un incidente che poteva essere evitato se solo il pilota non avesse volato premeditatamente troppo basso e troppo veloce. La vicenda incrinò non poco i rapporti tra l’Italia e gli USA sebbene, dopo una prima assoluzione, il pilota e il suo navigatore furono degradati e rimossi dal servizio. In seguito il pilota fu incarcerato per alcuni mesi e congrui risarcimenti furono destinati ai familiari dei defunti.

Del resto, anche i nostri piloti che partono su allarme, vengono autorizzati al livello iniziale, espresso in, ad esempio, ventimila angeli, per significare ventimila piedi.

Certo, così un nemico in ascolto capisce ugualmente a quale quota una squadriglia è stata autorizzata a salire.

Però, come dicevo prima, è tutto reale. Tutto corrisponde alla realtà.

Lascio lo svolgimento delle vicende del libro al lettore, che le scoprirà da solo.

Ma voglio mettere in evidenza un elemento di questo libro che, secondo me, ha una grandissima importanza.

La storia si svolge durante la guerra del Vietnam e le azioni descritte sono azioni di guerra. Quindi sono spesso cruente e anche queste sono descritte in maniera impeccabile.

C’è lo spirito americano in ogni pagina.

La retrocopertina del libro di Stephem Coonts, prolifico autore statunitense che ha all’attivo numerosi filoni del genere war e spy story. “Il volo dell’incursore” è il primo nonchè il suo romanzo di maggior successo giacchè è stato l’unico ad avere goduto di una trasposizione cinematografica. Un attento osservatore non potrà fare a meno di osservare che, nella copertina del libro, nel casco del pilota si riflettono delle forme luminose piuttosto inquietanti. O almeno così apparirono agli occhi di chi vi scrive. Quella copertina mi ha sempre dato l’idea, ingenuamente, che il losco figuro fosse un cyborg, sì insomma … un robot dalle fattezze umane alla stregua del mitico Terminator. E invece, solo oggi, col senno di poi e dovendo analizzare le foto per questa recensione, ammetto che si trattava di un umanissimo pilota letteralmente abbagliato dagli schermi luminosi dei numerosi apparati elettronici di bordo.

 

Tra i piloti protagonisti serpeggia il malcontento. Si critica l’assegnazione delle missioni, spesso condotte verso obiettivi inesistenti, come risaie, file di alberi, depositi di carcasse di camion eccetera. Obiettivi di cui non si capisce l’importanza, strategica o tattica che sia. Nulla che possa essere considerato decisivo per uno scopo qualsiasi. Però in queste missioni gli incursori sono presi di mira da tutte le armi nemiche, come contraerea, caccia avversaria e razzi. E ogni volta qualcuno di loro esplode in volo, o viene abbattuto e comunque non rientra.

I piloti si interrogano sull’opportunità di rischiare la vita in una guerra condotta in questo modo e si domandano se la guerra stessa è giusta. Sono legati da una grande solidarietà, basata sulla loro immensa passione per il volo, che è la vera ragione per cui sono lì a pilotare dei cacciabombardieri.

In quegli anni si diceva che le migliori caratteristiche di un pilota militare fossero due: un grande culo e un piccolo cervello. La prima caratteristica aiutava ad essere un pilota molto abile, un manico, perché si è sempre detto che l’aereo si guida con il culo, primo organo di senso in assoluto. La seconda consente di affrontare ogni missione senza troppo riflettere sul fatto che le proprie azioni portano morte e distruzione su vittime spesso inermi, come la popolazione civile. Oppure ci si lascia la pelle.

Nel corso del suo trentennale utilizzo, l’Intruder venne utilizzato principalmente come bombardiere tattico giacché era in grado di trasportare un carico bellico della bellezza di 15 tonnellate. Questa foto documenta l’enormità di munizionamento che il velivolo poteva trasportare (non tutto assieme, beninteso). Anche se non dotato di una notevole velocità (era solo subsonico), era in grado di volare a bassa quota, supportato da un’avionica che, per l’epoca, era letteralmente strepitosa rendendolo a tutti gli effetti antesignano di quanto sarà poi il Panavia Tornado solo alcuni decenni dopo.

Questi piloti, invece, seppure molto bravi, più di altri, visto che decollano ed atterrano sul ponte di una nave, non hanno certo un piccolo cervello. Hanno sentimenti e opinioni personali. Infatti organizzano una vera missione verso un obiettivo degno: Hanoi.

Ovviamente la loro missione non è autorizzata. Qualcuno passerà certamente dei guai. Ma poi…

Chi leggerà il libro vedrà come va a finire.

Intanto, vorrei aggiungere che nel libro, ad un certo punto si profila il personaggio di una ragazza.

La copertina del libro nella sua edizione originale in lingua inglese

Ce ne sono anche altre, ma questa interagisce quasi subito con il protagonista della storia.

Le loro conversazioni e le loro vicende costituiscono un altro elemento avvincente del libro.

Per concludere, vorrei spiegare perché tutta la storia è narrata con la perfezione che ho menzionato sopra.

L’autore, come ognuno può vedere facendo una breve ricerca su Google, parla come un pilota perché è un pilota. Ed ha volato proprio come pilota della marina degli Stati Uniti. Pilotava un A-6 Intruder e ha partecipato alla guerra del Vietnam. Nonostante sul libro, nelle prime pagine, ci sia scritto che questo romanzo è opera di fantasia, che nomi, personaggi e avvenimenti sono immaginari e qualsiasi riferimento a persone, a fatti e a luoghi realmente esistenti o esistiti è puramente casuale, lui è stato realmente in quei luoghi e ha compiuto quelle azioni.

La locandina del film tratto dal libro “Il volo dell’incursore”. Come tutti gli adattamenti cinematografici di best sellers, la trama del film non riprende perfettamente quella dell libro ma ne adatta i contenuti ai ritmi e alle scene tipiche del cinema. La pellicola, girata ben dopo il grande siccesso di TOP GUN, aveva tutte le carte in regola per riscuotere un buon successo a sua volta. Forse fu per questo motivo che la produzione, per girarlo, investì una cifra davvero notevole (circa 30 milioni di dollari)  … purtroppo ne ricavò poco meno della metà. Sebbene le riprese in volo e le ambientazioni a terra o a bordo della portaerei appaiono di tutto rispetto, assai scadenti (o comunque non proporzionati) risultano gli effetti speciali che, non potendo usufruire dell’elaborazione digitale nata qualche anno dopo, sono a dir poco grossolani. Anche la critica cinematografica statunitense non fu tenera con il film. Diversa fortuna ebbe invece il videogioco che, uscito nel 1990 per piattaforma personal computer, fu reimmesso sul mercato dalla Nintendo in concomitanza con l’uscita del film.

 

Certamente, non esattamente quei luoghi e quelle azioni, ma qualcosa di estremamente simile.

Perciò, pur essendo un romanzo, “Il volo dell’incursore” può essere considerato una eccellente testimonianza storica e come tale vale la pena di cercare il libro sulle bancarelle o in rete, di acquistarlo e leggerlo.

Dopodiché, molti si metteranno alla ricerca anche del film.



Recensione a cura di Evandro Detti (Brutus Flyer)

Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR