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Amore per l’aria

titolo: Amore per l’aria

autore: Achille Cesarano

editore: Logisma

anno di pubblicazione: 2011

ISBN: 978-88-87621-884





 

Nella prefazione del suo libro, datata gennaio 2011, Achille Cesarano scrive:

“Non so spiegare come nasca un sogno in un bambino, né come questo sogno diventi desiderio nel ragazzo e infine talento nell’uomo”.

Avrei potuto scrivere le stesse parole, neanch’io mi so spiegare questo percorso. Eppure ho seguito la stessa strada da quando, ad appena due o tre anni, ho visto passare un aereo ad elica, bassissimo sopra il tetto della casa dei miei genitori, nella campagna maremmana. Un sogno, che è poi diventato ardente desiderio negli anni dell’adolescenza ed infine talento una manciata di anni più tardi, quando ho conseguito la licenza di volo. E da allora non ho mai smesso di volare. L’amore per l’aria è divenuta una sorta di “malattia” incurabile.

Dice ancora Achille nella sua prefazione:

“Il misterioso amore per l’aria mi ha portato a realizzare negli ultimi anni alcuni progetti speciali, come volare in parapendio con un gabbiano per insegnargli a tornare libero in natura, il viaggio in deltaplano a Capo Nord e sul deserto del Sahara fino a Dakar, i record di quota italiani, la migrazione guidata di una coppia di cicogne lungo l’Italia…”.

Ecco. Il contenuto del libro è questo.

Il primo capitolo si intitola “Il gabbiano”. E’ la storia del rocambolesco salvataggio di un pulcino di gabbiano caduto dal nido (che in realtà non esiste, è solo un piccolo avvallamento nel terreno o una esigua porzione di parete rocciosa) e finito su uno scoglio sottostante dal quale rischiava di precipitare in mare, tra la furia delle onde.

Achille, insieme ad un amico, porta in salvo il pulcino.

Segue un certo periodo di laborioso lavoro per nutrirlo e farlo crescere. Infine arriva il momento di insegnargli a volare.

Il racconto, corredato di magnifiche fotografie, è piuttosto toccante, anche se lo stile della narrazione è sobria, senza enfasi, assolutamente priva di retorica. Eppure arriva ugualmente a toccare certe corde profonde nell’anima di chi legge. Quando giunge il momento in cui Achille, volando sul Monte Conero con il suo parapendio, vede il gabbiano (al quale ha dato il nome di Jonathan, Johnny per gli amici, come il famoso Jonathan Livingstone di Richard Bach) volare insieme a lui, è letteralmente un sogno che si realizza. E questo sogno si ripete molte volte per un certo periodo di tempo. Un paio di mesi.

La natura però segue sempre il suo corso. I gabbiani sono uccelli veleggiatori che si spostano per migliaia di chilometri. E’ impensabile che uno di loro possa rimanere troppo a lungo in un luogo qualsiasi.

Scrive Achille:

“A volte, mentre sono in volo, vedo Johnny girarmi intorno e poi allontanarsi, distratto dal passaggio dei suoi simili. Il mio primo istinto è di richiamarlo; lui ascolta ancora la mia voce e virando torna indietro verso di me. Ma sento che il  giorno dell’addio si avvicina”.

La retrocopertina del bel volume di Achille Cesarano. Nel sito web dell’editore questo è il “lancio” che troverete a sottolineare la bontà e i contenuti del libro: “Achille Cesarano si racconta, aprendo il suo diario personale pieno di ricordi e di imprese memorabili. Un pilota fuori dal comune, che fra le sue imprese annovera il primo raid fino a Capo Nord con un deltaplano a motore, e poi ancora il raid Ancona-Dakar, e ancora il record italiano di altezza, sempre in deltaplano a motore, omologato dalla FAI, sui cieli marchigiani. Queste e altre avventure in un libro maginficamente illustrato da originali fotografie a colori di Achille Cesarano e di Marta Morico. Con allegato DvD del Record Italiano di altezza (Riprese Simone D’Ascenzi, Enrico Colantoni. Regia Simone D’Ascenzi)”. Occorre aggiungiere altro?

Infatti, una domenica, mentre Achille vola insieme ad altri amici e a Johnny, passa uno stormo di gabbiani diretti a sud verso il monte Conero. Johnny fa un largo giro intorno ai suoi amici umani, poi aumenta la velocità per raggiungere lo stormo. Si unisce ai suoi simili e se ne va.

Da quel giorno non l’ho più rivisto”, dice Achille.

Poche righe più sotto dice anche: “sono contento che Jonathan sia tornato libero”. Ma  si percepisce una certo amarezza, che continua nelle frasi seguenti.

Una sensazione che conosco molto bene. Ci sono passato parecchie volte.

Come ho scritto nel mio libro “Zingari del cielo”, ogni cornacchia che allevavo da ragazzino, dopo essere stata con me per qualche mese, dopo essere venuta a posarsi sulla mia spalla tutte le volte che la chiamavo, cominciava a farsi più diffidente, più restia ad avvicinarsi, perfino per prendere il cibo e alla fine se ne andava. Ce ne erano molte in giro nella campagna, a volte mi illudevo di riconoscere la mia, ma in realtà non la rivedevo più.

Andava  sempre così. Per questo dico di sapere bene cosa ha provato Achille quando il suo gabbiano se ne è andato.

Il libro prosegue con il racconto delle sue esperienze di ragazzo e presto arriva quello delle prime vere vicende di volo. La prima vela, i primi voli.

Poi il delta. E con questo mezzo Achille raggiunge addirittura Capo Nord, nel 2005.

Andare a Capo Nord in deltaplano a motore non è semplice. Achille non ci va da solo, ma con un amico che vola con lui con un altro deltamotore. Il capitolo relativo a questo viaggio parla dei preparativi accurati e dei criteri da seguire nella realizzazione di una simile impresa. Resta il fatto che il viaggio è molto lungo, sono migliaia di chilometri. Anche se diviso in più tappe, sono molte ore di volo ogni giorno.

Proprio come fanno i gabbiani. Sembra che sui gabbiani non possa operare l’imprinting di un essere umano. Ma qui, non sarà successo il contrario?

Un’immagine molto intensa che ritrae l’autore mentre “familiarizza” con un pennuto ancora incapace di volare. Chissà cosa si diranno mai?!

La narrazione, infatti, prosegue con un altro viaggio lunghissimo. Ancona-Dakar, nel 2007, sempre in deltamotore.

Entrambi i capitoli sono corredati di bellissime fotografie.

Arriva poi il capitolo che riguarda il record di quota del 2008. Testo e foto sono di alto interesse per chiunque sia appassionato di cose aeronautiche, ma per me lo sono ancora di più. Infatti, di questa impresa avevo sentito parlare, in quel periodo, da alcuni colleghi controllori del traffico aereo. La Torre di controllo di Ancona Falconara aveva fornito assistenza ad Achille durante la salita e la discesa, in ottemperanza al relativo NOTAM emesso per l’occasione. Un’impresa piuttosto difficile, che necessita di un gran numero di coordinamenti ed il superamento di parecchie difficoltà. Ma alla fine il record è stato realizzato. Diciassettemilasettecento piedi di quota con un deltaplano a motore. Mentre sopra e sotto continuano a passare aerei di linea… Niente male davvero!

E Achille descrive tutto questo con il suo stile asettico, come se si trattasse di una passeggiata.

L’ultima parte del libro tratta di un progetto scientifico: aiutare le cicogne a migrare lunga una nuova rotta affinché dopo possano continuare da sole negli anni successivi. E anche questo, secondo me, è un altro sogno che diventa realtà.

L’immagine che testimonia il volo in formazione effettuato da Achille Cesarano e il suo stormo di oche. Tutti i gusti son gusti: d’accordo che sono oche … ma cosa avranno visto mai nei confronti di Achille? Un bel ragazzo o un ottimo pilota? Un’ala fissa e rumorosa? Bah …

Il mondo degli umani e quello degli animali, seppur così vicini (viviamo praticamente insieme), sono in realtà abbastanza distanti. Sarà per questo che, ogni volta che la distanza si riduce, o meglio, ogni volta che ci illudiamo di aver ridotto la distanza tra noi e loro, proviamo un’intenza emozione. Da ragazzino desideravo ardentemente di essere un rondone, di volare via insieme alle mie cornacchie, ed anche di possedere un aeroplanino tutto mio, con il quale volare sopra la mia casa e salutare i miei genitori da lassù. Da grande ho realizzato quest’ultimo desiderio, ma gli altri… sono rimasti sogni.

Eppure, nella seconda metà degli anni ottanta, nel periodo pionieristico del volo ultraleggero, ho creduto di aver realizzato il sogno di volare con le cornacchie.

Facevo l’istruttore in una specie di club con scuola di volo, su un’aviosuperficie nei dintorni di Roma. Utilizzavamo i primi ultraleggeri tubi e tela di quegli anni e qualche deltamotore. Durante il decollo, subito dopo aver staccato le ruote da terra, passavo a pochi metri da alcune querciole che crescevano  di fianco alla pista. A volte vedevo volare via dai rami diverse cornacchie e per un brevissimo tempo ci trovavamo a volare insieme. Per me era una forte emozione.

Ma come ho detto, durava pochi istanti. All’epoca non sapevo nulla di qualcuno che potesse volare con gli uccelli per lunghi percorsi. L’impresa di Achille, come anche le imprese di Angelo d’Arrigo e di altri, è qualcosa che va oltre ogni immaginazione.

Per questo invito tutti a procurarsi questo suo libro.

L’ultima parte è dedicata proprio al resoconto di una migrazione di cicogne, guidate da Achille con l’utilizzo di un deltamotore progettato e costruito allo scopo. Anche qui troverete bellissime foto.

Le imprese di Achille non sono finite con quest’ultima impresa. Soltanto il libro finisce. Tutto ciò che ne segue può essere facilmente trovato in rete, articoli e filmati.

Un altro splendido scatto che immortala il decollo dell’autore di “Amore per l’aria” con le sue oche. Lui è quello a bordo del deltaplano a motore, per intenderci. In effetti l’amore di Achille non è solo per l’aria ma – non stentiamo a crederci –  per tutte le forme di vita che lo animano. Zanzare comprese?

Nella terza di copertina del libro, comunque, all’interno di una bustina trasparente incollata alla pagina, c’è un DVD. Contiene i filmati registrati durante il volo per la realizzazione del record di quota, con tanto di tracce audio delle comunicazioni tra lui e gli enti di controllo del traffico aereo.

Un bel libro da leggere, per trarne non soltanto l’emozione che ci trasmettono le vicende narrate, ma anche, per molti, una notevole fonte di ispirazione.

Non si sa mai da cosa può nascere il sogno di un bambino, né se questo sogno possa diventare desiderio nel ragazzo e infine talento in un uomo.

 Ma potrebbe nascere proprio da un libro come questo.

 



Recensione a cura di Evandro Detti (Brutus Flyer)

Didascalia a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR


Amore per l’aria





 

L’idea meravigliosa di Francesco Baracca

titolo: L’idea meravigliosa di Francesco Baracca

autore: Vincenzo Ruggero Manca

editore: Koinè Nuove edizioni

anno di pubblicazione: 2008

ISBN: 8887509905978-8887509908





 

-19 giugno 1918:

“… Il Maggiore Baracca, partito alle ore 18,15 in volo di crociera e mitragliamento, non fa ritorno al campo; si ritiene colpito da mitragliatrice a terra e precipitava in fiamma sul versante del Montello oltre le nostre linee”

(dal Diario storico della 91a Squadriglia)

-24 giugno 1918

“… viene trasportata al campo la salma del Signor Maggiore Baracca, ritrovata sul versante del Montello presso l’abbazia di Nervesa”

(dal Diario storico della 91a Squadriglia)

 

C’è un rituale che si ripete da molti anni, il 19 giugno di ogni anno nei cieli di Nervesa della Battaglia  e questo formidabile scatto del bravissimo fotografo Luigino Caliaro ritrae in un mirabile tutt’uno i protagonisti di quel rituale: il sacello di Francesco Baracca e lo Spad XIII. A pilotarlo il suo costruttore  Giancarlo Zanardo che è il lodevole fondatore della Fondazione Johathan Collection.  L’immagine è diventata meritatamente un poster così come si può ammirare nel sito web “Il museo del Piave”.

 

 

Si dice che i piloti non muoiono, volano solo più in alto.

Quel 19 giugno di cento anni fa Francesco Baracca è volato molto in alto ed è entrato per sempre nell’Olimpo degli Eroi.

Medaglia d’oro al valor militare, conferitagli, in vita e prima ancora di raggiungere il tetto insuperato delle sue 34 vittorie, con la seguente una motivazione:

“Primo Pilota da caccia in Italia, campione indiscusso di abilità e di coraggio, sublime affermazione delle virtù italiane di slancio e audacia, temperato nei sessantatre combattimenti, ha già abbattuto trenta velivoli nemici, undici dei quali durante le più recenti operazioni”

Il ritratto fotografico della medaglia d’oro Francesco Baracca presente all’interno del volume. Figlio di una nobildonna e di un facoltoso commerciante proprietario terriero, non era certo figlio del popolo né un proletario … ma non per questo possiamo fargliene una colpa. All’epoca tra gli ufficiali dell’Aviazione italiana (membri del battaglione aviatori all’interno dell’Esercito italiano e non già di una forza armata autonoma) erano numerosi gli aristocratici o comunque i rampolli di famiglie benestanti che, invece di guidare le truppe in groppa di un lucente destriero, sceglievano di cavalcare un rumoroso e riottoso velivolo di legno e tela. D’altra parte la nascente Aeronautica militare italiana era figlia della ben più gloriosa cavalleria e ne manteneva il millenario codice nonché i suoi sacri principi. Almeno ai tempi di Francesco Baracca; ben diverso  accadrà nel II conflitto mondiale.

 

Vincenzo Ruggero Manca, generale di Squadra Aerea in pensione, è stato Comandante del 9° stormo Caccia Intercettori 7 sul campo di S. Caterina di Udine di cui Francesco Baracca è stato il primo comandante.

Utilizzando il ricco scambio epistolare, quasi quotidiano, che il nostro eroe aveva con la madre e con il padre, l’autore costruisce un intervista lasciando parlare lo stesso Baracca.

Il lettore si troverà a ripercorrere le vicende storiche della I Guerra Mondiale con gli occhi di un giovane ufficiale che quelle pagine di storia ha contribuito a scriverle.

E’ lo stesso autore a dirci che non farà alcun commento nè analisi di ciò che Baracca è stato, lasciando al lettore le riflessioni e considerazioni sull’insegnamento che oggi, a cento anni dalla morte, Francesco Baracca ci lascia.

Il libro è ricco di documentazione fotografica dell’epoca che aiuta ancor più il lettore a immergersi nella storia.

Se c’è un luogo che costituisce una sorta di portale spazio-temporale che riesce a riportarci indietro nel tempo, ebbene quello è il sacello eretto in onore di Francesco Baracca in quel di Nervesa della Battaglia in Via Baracca. Come riportato nella pagina dell’ottimo sito web www.montello.eu, il sacello fu eretto a tempo di record all’incirca nei pressi del luogo dove il grande pilota cadde colpito a morte durante la Battaglia del Solstizio che si imperversò in quei giorni proprio nella zona del Montello.

Conosceremo il Francesco Baracca figlio premuroso e attento verso la madre a non darle troppe ansie. Come quando, nella lettera datata 8 aprile 1912, comunica che ha fatto domanda di andare in Francia o Germania per studiare le lingue. In realtà aveva sì presentato domanda di andare in Francia … ma non per studiare le lingue bensì per diventare pilota; è una piccola bugia per non far preoccupare la madre.

Il primo maggio 1912 Francesco Baracca è a Reims: “… sono arrivato all’aviazione per modo di dire, senza nemmeno saperlo e senza neppure farmi raccomandare, ed ora mi accorgo di aver avuto un’idea meravigliosa, perché l’aviazione ha progredito immensamente ed avrà un avvenire strepitoso. …”(lettera al Papà del 5-5-1912)

Dalla corrispondenza con il papà apprenderemo l’entusiasmo con cui Baracca affronta il volo e il feeling che sin dal primo volo, come passeggero, avrà con l’aereo: “… è’ una cosa sorprendente volare … Era un magnifico sogno ad occhi aperti …” (lettera al Papà del 5-5-1912)

La preziosa fotografia che immortale Francesco Baracca pochi giorni prima della fatale missione sul Montello nel corso della quale perderà la vita. Ma immaginiamo solo per un istante uno scenario diverso dall’evoluzione storica che conosciamo: e se Francesco Baracca fosse sopravvissuto alla I Guerra Mondiale? Ci domandiamo: il suo mito sarebbe giunto fino a noi? Sarebbe divenuto lui, al posto di Italo Balbo, il vertice supremo di una moderna Aeronautica Militare Italiana? Avrebbe partecipato come pilota combattente alla II Guerra Mondiale? L’avremmo visto ai comandi di un Fiat CR42 Falco tenere testa agli Spitfire durante la battaglia d’Inghilterra o nei cieli di Malta? Avrebbe comandato a vita il IX Stormo Caccia che porta il suo nome? … non lo sapremo mai … ma sollecitiamo gli autori che si dilettano nella narrativa aeronautica a cimentarsi nello sviluppo di questa congettura sfrenatamente fantasiosa.

Baracca inizia la sua carriera militare nel 1907, quando a 19 anni entra alla Scuola Militare di Modena (oggi Accademia Militare) come allievo Ufficiale di Cavalleria, da dove uscirà nel 1909 per passare alla scuola di applicazione di Cavalleria di Pinerolo.

La passione per i cavalli sarà sempre presente nella vita di Baracca, anche quando in Francia per conseguire il brevetto di pilota: “… non ho dimenticato i cavalli, perché, spesso, monto con gli ufficiali dei dragoni e li seguo quando i Reggimenti fanno qualche manovra attorno a Reims.”(pg.95)

A tutt’oggi la morte del maggiore Francesco Baracca è ancora avvolta nel mistero. La versione italiana, ossia quella che fu divulgata all’indomani del tragico evento, lo vede colpito a morte da un proiettile sparato – più o meno a vanvera – dal moschetto di un fante austriaco, viceversa la versione austriaca avvalora la tesi dell’abbattimento ad opera del mitragliere di un velivolo biposto da ricognizione austriaca; un congettura piuttosto fantasiosa sostiene addirittura che l’asso italiano fu ferito – non è dato sapere se da fuoco nemico o addirittura amico – e che, precipitando in territorio sotto il controllo austriaco, si sia scientemente tolto la vita pur di non cadere prigioniero o di morire ustionato per effetto dell’incendio in cui era avvolto il suo velivolo. Per quanto possa apparire legittima – per non dire morbosa – la conoscenza della dinamica degli ultimi istanti di vita di Francesco Baracca, il mito degli assi degli assi italiano rimane indenne, per nulla scalfito dall’una o dall’altra versione. Perché, se la storia non riesce ancora a definire il suo epilogo, è pur vero che la storia non gli nega i 32, i 34 o forse 36 abbattimenti, lo spessore umano o le capacità di pilota combattente, l’abnegazione o l’amor patrio che lo animarono fino all’ultimo suo respiro. D’altra parte i miti nascono così: quando il corpo terreno si dissolve nasce la memoria imperitura delle gesta compiute.

Il 7 aprile 1916 Baracca abbatte il suo primo velivolo, quella stessa sera fa disegnare sulla fusoliera del suo Nieuport la figura del “Cavallino Rampante” presa dallo stemma del suo ex reggimento di cavalleria “Piemonte Reale”.

Il “Cavallino Rampante” nero su sfondo bianco entrerà anche lui nella legenda, continuando a volare con il 4° stormo dell’AMI di cui ha fatto parte la 91 squadriglia, e con il 9° Stormo Caccia Intercettori che includeva la 91 squadriglia.

La retrocopertina del bel libro che ci fornisce una visuale originale – almeno nell’espediente narrativo – del mitico Francesco Baracca.

Ma il “Cavallino Rampante” continua a correre anche con le auto diventando il simbolo della casa automobilistica “Ferrari”. Fu proprio la madre di Francesco, la contessa Paolina a dire a Enzo Ferrari: “Ferrari metta sulle sue macchine il cavallino rampante di mio figlio. Le porterà fortuna.

Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria, Baracca si trova in Francia per ultimare il suo addestramento sul nuovo biplano “Nieuport”.

In Italia il “Corpo aeronautico” costituito il 7 gennaio del 1915 dispone di 3 Gruppi con 11 squadriglie e 58 apparecchi quasi tutti di costruzione francese: Bleriot, Farman, Nieuport, e 5 scuole di volo.

Siamo agli albori dell’aviazione e dell’impiego dell’aereo per usi bellici.

I piloti erano allo stesso tempo collaudatori e istruttori che dalla loro stessa esperienza dovevano trarre insegnamento per se stessi e per gli altri.

Lo scatto che ha reso immortale il maggiore Francesco Baracca

Lo “stallo” o la “vite” che oggi sono manovre che fanno parte del programma di addestramento dei piloti, civili e militari, erano a quei tempi brutte esperienze : “Non m’era mai capitato! … d’un tratto sento i comandi molli! L’apparecchio piega a sinistra, cade, si avvita nell’aria e gira su stesso … Ho pensato che i comandi erano rotti:era finita …” (dal diario di Baracca 26-08-1915)

Le tattiche di caccia che oggi i piloti militari studiano in aula, erano allora sconosciute e il rischio di rimanere colpiti dai propri compagni di squadriglia non era tanto remoto.

Nel descrivere le missioni di volo Baracca ci lascia, involontariamente, anche una grande testimonianza della sua personalità.

All’alto senso del dovere univa un grande rispetto dell’avversario: “… Ho parlato a lungo con il pilota austriaco, stringendogli la mano e facendogli coraggio … Non aveva potuto salvarsi dalla mia caccia…”(lettera alla Mamma del 8-4-1916).

Alla freddezza e coraggio nell’azione univa una grande umanità: “Ieri vi fu un brillante bombardamento coi ‘Caproni, non andai di scorta perché non spettava a me; abbiamo mandato un messaggio al di là dalle linee con le notizie degli aviatori caduti” (lettera al Papà del 19-9-1916)

Non c’è nulla da aggiungere all’iscrizione che è scolpita nel duro travertino di Tivoli posta alla base del monumento che Lugo di Romagna ha dedicato al suo più illustre figlio.

Il 19 giugno 1918 Baracca, nato il 9 maggio 1888 a Lugo di Romagna, ha da poco compiuto 30 anni. Cinque mesi dopo, l’11 novembre 1918, la I Guerra Mondiale ha termine.



Recensione a cura di Franca Vorano

Didascalie stilate dalla Redazione di VOCI DI HANGAR



 

 

 

La naissance d’un pilote

titolo: La naissance d’un pilote. – [La nascita di un pilota]. 

autore: Marc Scheffler

prefazione di:  generale André Lanata, capo di stato maggiore dell’Aeronautica francese

editore: Nimrod

ISBN: 978-2-91524-369-7





Da molto tempo aspettavo l’uscita, sommessamente annunciata, del secondo libro di Marc Scheffler, giovane ufficiale pilota francese incontrato qualche anno fa all’aeroporto Le Bourget di Parigi in occasione di una grande manifestazione aerea.

Il Robin DR400, il modello di aeroplano per il traino alianti che accomuna l’autore della recensione con l’autore del libro. Una combinazione fortuita o un segno del cielo? Oh, naturalmente quello a bordo è il “nostro” Evandro.

Avevo comprato il suo libro e lui stesso mi aveva fatto una dedica, davvero graditissima. Nelle poche frasi scambiate, tra un gran numero di visitatori che aspettavano il loro turno, con il libro in mano, per avere a loro volta la dedica, mi aveva spiegato che anche lui aveva cominciato con il volo a vela e che continuava a praticarlo. Lui pure volava con il Robin DR 400, da noi usato in Italia per il traino alianti. Nonostante il grado di tenente colonnello, o forse colonnello, sembrava un giovane pilota come ne circolano tanti negli aeroclubs. Ancora non sapevo di avere davanti, invece, un veterano della guerra aerea, uno che aveva volato in tutti i cieli del globo terrestre, pilotando un Mirage in lunghi trasferimenti intervallati da rifornimenti in volo, in attacchi armati a veri obiettivi, in estenuanti turni di pattugliamento in cieli ostili con la prospettiva di dover fronteggiare azioni altrettanto ostili da terra o dal cielo.

Marc Scheffler mostra il suo libro appoggiandosi all’elica di un Socata TB-30 Epsilon, l’addestratore in tandem in forza all’Armèe de l’Air (l’Arma dell’Aria – l’Aeronautica Militare francese) che costituisce la prima tappa della lunga carriera di un pilota militare transalpino. Il sito del suo editore elenca così lo stato di servizio di Marc: più di 4.500 ore di volo – incluse quasi 2.200 ore su Mirage 2000D – e più di 150 missioni di guerra.

Tutto questo è emerso solo dopo la lettura del suo primo libro “La guerre vue du ciel”, ovvero la guerra vista dal cielo, del quale ho poi scritto una recensione che si può leggere qui sul sito Voci di Hangar.

Nelle prime pagine di questo libro, sotto il titolo Note de l’auteur, note dell’autore, Scheffler scrive:

“Ce livre retrace le parcours d’un jeune étudiant passionné d’aéronautique militaire jusqu’à son affectation dans un escadron opérationnel de l’armée de l’Air. Ces pages étaient destinée à ma famille, mais à la demande des lecteurs de “La Guerre vue du ciel” qui souhaitaient découvrir la formation des pilotes dans l’armée de l’Air telle que je l’ai vécue à la fin des années 1990, j’ai accepté qu’elles soient publiées”. 

[Questo libro traccia il percorso di un giovane appassionato di aviazione militare fino al momento in cui entra a far parte di una squadriglia operativa dell’Aeronautica francese. Queste pagine erano destinate alla mia  famiglia, ma alla domanda dei lettori di “La Guerra vista dal cielo” che desideravano scoprire la formazione dei piloti nell’Aeronautica francese così come io l’ho vissuta alla fine degli anni novanta, ho accettato che fossero pubblicate”].

Uno scatto di pregevolissima fattura che permette di osservare da dietro il formidabile Dassault Mirage 2000, il velivolo protagonista assoluto della narrazione di Marc Scheffler

E per fortuna, aggiungerei. Saggia decisione, Marc. Grazie, a nome di tutti noi piloti, soprattutto di quelli che volano con aeroplani di aeroclub, ma che magari avrebbero tanto voluto essere piloti militari e volare sui caccia come fai tu. Non c’è posto per tutti in quegli abitacoli. Ma chi ha la fortuna di esserci, dopo averli conquistati con tanta fatica e determinazione, dopo aver meritato di salire la scaletta che porta a quei ristretti abitacoli, può avere ancora tanta generosità da scrivere libri, per raccontare a noi come si vive là dentro.

Marc è uno che ha scelto di condividere tutto questo. E lo fa in maniera magistrale.

Ok. Ora devo dire la cosa più importante.

Lo scatto è evidentemente piuttosto datato giacchè ritrae l’autore del libro più giovane di qualche anno  davanti ad un Dassault-Dornier Alpha Jet, il velivolo bireattore nato dalla collaborazione dell’industria aeronautica francese Dassault Aviation e la tedesca Dornier. Oltre a svolgere servizio nella Patrouille de France (la Pattuglia Acrobatica militare francese) l’Alpha Jet  è’ utilizzato dall’Armèe del l’Air principalmente per l’addestramento avanzato  mentre i tedeschi lo preferiscono  per l’attacco al suolo leggero. Per il nostro Marc Scheffler ha costituito semplicemente un’altra tappa della sua cariera di pilota militare prima di giungere a velivoli da combattimento ben più prestigiosi come il Mirage 2000..

Questi libri sono scritti in francese. Per leggerli occorre conoscere quella lingua e certamente non tutti possono conoscerla. Peccato. Spero che l’editore comprenda la necessità di far tradurre i libri di Marc Scheffler anche in italiano. O almeno in inglese.

Dopo aver letto entrambi i libri posso dire che la loro traduzione sarebbe una cosa meravigliosa. L’autore ha una straordinaria capacità descrittiva e sembra realmente di stare seduti insieme a lui nel ristretto cockpit del Mirage, ma altrettanto bene in ogni altro tipo di aereo sul quale ha volato. Le complesse operazioni di volo sono narrate in modo talmente preciso che sembra di imparare il mestiere di pilota da caccia, capitolo dopo capitolo.

Dal momento che l’editore ha avuto la lungimiranza di renderli disponibili in forma digitale, è facile scaricarli e leggerli.

Da questa considerazione, un suggerimento: perché non inoltrare richieste in tal senso al sito della Nimrod Editions?

Per chi conosce il francese, comunque, è un’occasione per consolidare tale conoscenza e perfino per migliorarla. Una cosa che consiglio anche a coloro che ne hanno una conoscenza semplicemente scolastica.

Un’altra spettacolare immagine del Mirage 2000, questa volta al suolo. Da notare il formidabile carico bellico appeso sotto le semiali e la fusoliera del velivolo. La serie 2000 nasce dall’esperienza maturata con il suo precedessore, il Mirage III, e ne sono stati costruiti. seppure in varie versioni, una notevole quantita di esemplari:  circa 600 in servizio nelle forze aeree di diverse nazioni in tutti i continenti. Attorno alla metà degli anni ’80 il costo di un Mirage 2000 si aggirava sui 23 milioni di dollari USA .

Nel kobo basta mettere un dito sulla parola che non conosciamo e appare la traduzione. Per i libri scritti in inglese tale traduzione è in italiano.

Nel caso dei libri scritti in francese è diverso. Qui si va a consultare un vero vocabolario francese e il significato delle parole è espresso in lingua madre. All’inizio questa modalità mi aveva un attimo disorientato. Ma devo dire che subito dopo mi sono abituato e poi l’ho addirittura preferita.

Anzi, dirò di più, perché la mia esperienza è stata più complessa, ma vale la pena condividerla con chi ne può essere interessato. Ormai da tempo leggevo solo libri in inglese. Conosco bene anche il francese, ho letto molti libri e, quando vado in Francia, dopo un breve periodo di full immersion, parlo di tutto con tutti senza troppi problemi.

Una splendida immagine di un Mirage che pone in risalto la famosa ala a delta tipica di questo velivolo

Stavolta sono incappato nella dimostrazione del famoso detto: lingua scaccia lingua.

Con mia grande sorpresa, sin dalle prime pagine, mi sembrava di non ricordare più nulla. Ogni pagina mi costringeva a trovare le traduzioni ad ogni riga. Davvero sconcertante. Ho impiegato due o tre capitoli per riuscire ad entrare nel contesto. Ma poi tutto è riapparso come per magia e sono andato avanti fino alla fine senza alcun problema.

La retrocopertina del bel libro di Marc Scheffler. Un vero delitto non concedere ai lettori italiani una versione tradotta. Chissà se l’editore Nirmod, prima o poi, si muoverà a pietà?!

Le lingue sono così. Occorre coltivarle.

Ma torniamo al secondo libro di Marc Scheffler.

In “La Guerre vue du ciel”, Marc racconta della guerra aerea. Lui è già pilota di caccia e sin dalle prime pagine ci fa conoscere la sua vita operativa nei cieli dell’Afghanistan o della Libia  etc.

Ma come era arrivato fin là?

Ecco, in “La naissance d’un pilote” ce lo racconta.

Sulla copertina del libro compare una frase: “L’enfant qui révait d’un Mirage”. Tradotto letteralmente significa: “Il ragazzino che sognava un Mirage”.

Ecco, l’inizio è qui. Come la stragrande maggioranza di noi, lui sognava di diventare pilota e l’aereo dei suoi sogni era quello. Tutto il libro ripercorre gli anni durante i quali Marc ha seguito l’iter necessario per arrivare all’abitacolo di un Mirage. Prima la selezione per entrare in quello che noi potremmo chiamare collegio, una scuola propedeutica dalla quale essere successivamente scelti per le fasi successive. Poi la scuola di volo a vela e i primi voli in aliante, nei quali si riconoscono tanti punti in comune con la stessa realtà dei nostri Aeroclub. Gli istruttori, con le loro spiccate caratteristiche ed la loro tipica generosità, come pure il loro ego a volte molto forte…

Segue l’ingresso ai corsi per pilota militare, i vari tipi di aereo, prima turboelica, poi jet ed i profili delle missioni di addestramento, le difficoltà, i colleghi, l’ambiente. Ed ancora gli istruttori. Ed  i comandanti. Ma qui siamo già in un ambito dove i comuni piloti di aeroclub non sono mai stati. Infatti qui comincia anche il profondo interesse per i racconti di Marc Scheffler.

Ancora un’immagine che ritrae l’autore intento nel suo lavoro e con la divisa da lavoro: quella di pilota da caccia dell’Armèe de L’Air. Siamo certi che le signore che avranno occasione di leggere questa recensione e di vedere le foto di Marc Scheffler non rimarranno indifferenti alla beltà di questo ufficiale pilota con uno spiccato talento letterario. Purtroppo per loro non ci è dato sapere nulla circa i suoi impegni sentimentali. Di sicuro non è il tipo che rimane indifferente ad un bel velivolo! Probabilmente anche una bella volatile …

Marc premette che quelle realtà da lui vissute negli anni, prima di arrivare a divenire un vero pilota di caccia, sono ormai cambiate. Anche i metodi di addestramento sono diversi, oggi. Certo, tutto cambia, tutto si evolve e si adatta ai nuovi mezzi e alle nuove tecnologie. Ma parlarne, scriverle in un libro, serve a fissarle sulla carta per essere ricordate. Mi ci sono riconosciuto, in quelle realtà, al di là del fatto che l’Aeronautica francese e quella italiana, dove ho prestato servizio per diversi anni, sono diverse.

I più giovani, comunque, potrebbero essere interessati a scoprire come si viveva in quegli anni.

Gli anni novanta non sono poi così lontani, anche se si allontanano inesorabilmente nel passato.

Molte frasi che ho trovato nel libro sono fondamentalmente le stesse che si dicono negli ambienti di volo in ogni parte del mondo.

Per citarne alcune:

“Vous allez progresser en pilotage, mais sourtout, vous allez apprendre à lire le ciel et le sol, le vent et les nuages, pour trouver les courants ascendants et prédire leur évolution!”

[“Man mano che si progredisce nel pilotaggio, si comincia ad imparare a conoscere il cielo ed il suolo, il vento e le nuvole, per trovare le correnti ascendenti e predire la loro evoluzione”].

A parte il fatto che queste parole sono pura poesia, ecco in breve l’essenza della scuola di volo a vela.

“Entre ceux qui arretent d’eux-memes, à savoir la majorité, et ceux qui sont en échec, je dirais un peu moins du quart”…

[“Tra coloro che smettono da soli, la maggioranza, e quelli che sono dimessi, direi un po’ meno di un quarto”…]

Ancora una bella immagine dell’autore a bordo del Mirage dove, a giudicae dal suo libretto di volo, ha trascorso più tempo che a terra (magari a scrivere i suoi romanzi autobiografici)

Questa frase rappresenta la difficoltà di arrivare tutti alla meta. C’è una selezione inesorabile. E di coloro che finiscono il percorso, molto pochi andranno sui caccia. Più probabilmente saranno distribuiti nelle altre specialità, come i trasporti e gli elicotteri.

“On est là pour te former. Tu apprends au sol, on t’explique au briefing, on te montre une ou deux fois en vol, pois c’est à toi…”

[“Siamo qui per formarti. Tu impari a terra, ti spieghiamo al briefing, ti mostriamo una o due volte in volo, dopo tocca a te…”]

Che dire? Conosco questa frase. L’ho detta un’infinità di volte ai miei allievi. E nel profondo passato era stata detta a me. Sebbene, nel nostro caso, non esisteva la tremenda pressione dell’addestramento operativo militare. L’una o due volte potevano essere anche tre o quattro…

Il libro descrive tutto il percorso difficilissimo e stressante delle varie fasi di addestramento, per trasformare un semplice pilota in un pilota militare.

Il Mirage 2000 si contraddistingue per la famosa ala a delta, prerogativa di ben pochi velivoli da combattimento moderni. La sua particolarità è la notevole manovrabilità (esaltata dalla gestione computerizzata dei comandi di volo – il famoso “fly by wire”), specie ad alte quote e velocità, grazie alla grande superficie alare di ridotta resistenza tipica appunto della configurazione a delta puro. Se un difetto si può trovare a questa formidabile macchina volante è la limitata autonomia che, salvo serbatoi subalari e rifornimenti in volo, è accettabile ma nulla di più.

Anzi, ancora oltre, in un pilota militare di caccia.

L’ultimo capitolo di questo libro descrive un volo di guerra che Marc Scheffler si trova a condurre sui cieli della Libia. L’attacco è verso un obiettivo al suolo, che viene colpito e distrutto.

Qui finisce il suo secondo libro. Che in realtà dovrebbe essere stato il primo.

La narrazione prosegue sul suo primo libro, che in realtà dovrebbe essere stato il secondo.



Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)

Didascalie  stilate della Redazione



La Guerre Vue du Ciel
La Guerre Vue du Ciel



Return to Earth

titolo: Return to Earth –  [Ritorno alla Terra]

autore: Buzz Aldrin e Wayne Warga

editore: Random House (1973, prima edizione), Open Road Media (2015, edizione digitale)

ISBN: non disponibile





“When I began this book I had two intensions. I wanted it to be as honest as possible and to present the reality of my life and carreer not as mere fact but as I perceived the truth to be. The second and more important intention was that I wanted to stand up and be counted”.

[Quando ho cominciato a scrivere questo libro avevo due intenzioni. Volevo essere il più onesto possibile e presentare la realtà della mia vita e della mia carriera non come neri fatti ma come percepivo fosse la realtà. La seconda e più importante intenzione era che volevo stare in piedi ed essere contato].

La Terra vista dallo spazio. Occorre mettere piede sulla Luna per comprendere quanto sia unico il nostro pianeta e, come nel caso di Buzz Aldrin, quanto sia difficile tornarci dopo aver desiderato e lavorato tanto per lasciarlo – momentaneamente, s’intende –  a beneficio del suo satellite.

Due propositi che Aldrin ha dichiarato all’interno del suo libro e che ha puntualmente mantenuto, in maniera chiara e particolareggiata.

Sto per parlare di un’opera estremamente interessante, avvincente, coinvolgente al punto che, dopo aver letto l’ultima pagina, si ha l’impressione di aver vissuto con gli astronauti ogni giorno delle loro avventure.

Sulla copertina frontale del libro, almeno nella versione per kobo, campeggia una frase a supporto del titolo:

“A candid story of achievement and challenge: Buzz Aldrin’s journey to the historic first moon landing and the personal struggle that followed”.

[Una storia candida di realizzazione e sfida: Il viaggio di Buzz Aldrin verso il primo storico allunaggio e le tribolazioni che ne sono seguite].

Ed è esattamente questo il contenuto del libro.

Una di quelle copertine che non si possono dimenticare: sono semplicemente storia

Mentre Armstrong, Aldrin e Collins si trovavano nell’orbita lunare, in attesa di separare i due veicoli affinché il LM (Lunar Module) potesse scendere sulla superficie della Luna, molti erano i controlli da espletare e le procedure da seguire con maniacale diligenza con il supporto del Centro di Controllo sulla Terra.

Le comunicazioni si susseguivano ed i dati venivano sottoposti ad un controllo continuo. I computer di bordo e quelli di terra dovevano essere in sintonia.

Ma cosa sarebbe successo se d’improvviso le comunicazioni si fossero interrotte, lasciando i tre astronauti da soli nello spazio profondo, all’interno di un veicolo spaziale che era poco più grande della cabina di un’auto station wagon, a circa cinquecentomila chilometri da casa?

Avrebbero avuto semplicemente una chance: cavarsela da soli.

Per tornare indietro, abortendo la missione, avrebbero avuto il solo supporto della loro dotazione tecnologica di bordo. Check list complesse e computer. Ma su quest’ultimo c’era un pulsante contrassegnato da una scritta: Retourn to Heart [Ritorno sulla Terra]. Spingendolo avrebbero attivato un programma che li avrebbe guidati attraverso la grande mole di operazioni e calcoli da compiere per lasciare l’orbita lunare e immettersi sulla traiettoria di rientro.

Il titolo del libro prende spunto da quella scritta.

l logo della missione Apollo 11, probabilmete la missione spaziale più memorabile nella storia dell’umanità (per il momento), forse eguagliabile solo da una pari missone su Marte di là da venire. Sicuramente non ci saranno a bordo Aldrin, Collins e Armstrong ma di certo i loro emuli.

Tuttavia, visto che la vita personale di Aldrin ha risentito moltissimo degli effetti della missione, tanto da rendergli difficile il riadattamento alla vita normale di ogni giorno, queste tre parole assumono anche il significato di tornare con i piedi per terra. Sembrano richiamare l’immagine di qualcuno che, dopo essere stato sulla Luna, ricade miseramente sulla Terra. Come dire, svegliarsi bruscamente da un sogno. E questo è proprio quello che è successo a quasi tutti gli astronauti. Che lo abbiano ammesso oppure no.

Ma perché mai si dovrebbero avere problemi di riadattamento, sia pure dopo un’impresa così grande?

Aldrin spiega questo argomento come meglio può.

Una cosa accaduta a lui, ma poi si scopre che era accaduta anche ad altri, sebbene nessuno le avesse attribuito importanza e ne avesse parlato, riguarda alcuni piccoli flash che durante le ore di riposo, nel buio assoluto, aveva visto occasionalmente, sebbene avesse anche gli occhi chiusi.

Investigata a terra, la faccenda era stata spiegata. Alcune piccole particelle di qualche genere erano capaci di attraversare la capsula spaziale, attraversando il corpo degli astronauti. Potevano attraversare anche la testa e il cervello, indipendentemente dalla presenza del casco. Si era scoperto che questi attraversamenti potevano produrre danni piuttosto ingenti e di natura ancora sconosciuta.

La foto che è stata utilizzata dall’editore quale copertina del libro di Buzz Aldrin

Questa sembrava essere una spiegazione, ma non la sola.

Un’altra spiegazione risiedeva nel lungo e durissimo addestramento al quale erano sottoposti continuamente, senza avere, a volte, neppure il tempo di rilassarsi. La loro formazione richiedeva l’uso di simulatori che spesso si trovavano in stati diversi, presso le case costruttrici. Ne conseguiva la necessità di spostarsi, di solito usando un jet militare biposto che avevano a disposizione. Ne avevano diversi e su questi effettuavano anche le ore per il mantenimento delle licenze di volo.

In uno di questi spostamenti era avvenuto un incidente ed erano morti due astronauti.

Un altro incidente era avvenuto sulla rampa di lancio, quando una delle navicelle si era incendiata e i tre astronauti che in quel momento erano a bordo per delle prove non riuscirono ad aprire il portello e ad uscire. Morirono bruciati all’interno.

Episodi di questo genere rendono ancora più difficile lo svolgimento dei durissimi ritmi ai quali erano sottoposti. Ritmi che, tra l’altro, portavano ad un esagerato senso di competitività.

L’ennesima foto di rito che ritrae i tre membri della missione Apollo 11 con, sullo sfondo, il modulo lunare gemello usato nei laboratori della NASA a scopo addestrativo

Quando tornavano a casa, quelli che avevano una famiglia, non avevano più energie neanche per parlare. Spesso andavano a dormire e basta, solo per alzarsi il giorno dopo all’alba e tornare al lavoro.

Compiuta la missione, specialmente una missione che li aveva portati a camminare su un altro corpo celeste, in altre parole, dopo aver portato a termine un compito così importante, si trovavano a cercare qualche altro obiettivo di pari livello, o addirittura superiore.

Ma non ce n’erano affatto.

Il libro nella sua prima edizione. La copertina ha una grafica scarna, una foto di ridotte dimensioni è una scarnezza “lunare”, Fortunatamente nel 2015, grazie alla tecnologia degli e-book, ne è stata pubblicata una versione digitale

Dopo, cominciava una serie di viaggi di rappresentanza in giro per il mondo, perché ogni stato richiedeva la loro presenza, con audizioni, visite ufficiali, pranzi e conferenze. Ancora una volta senza respiro, senza vita privata, anche se le famiglie degli astronauti partecipavano sempre.

Alla lunga, pochi matrimoni resistevano. Prima o poi si arrivava al divorzio e allo sfacelo delle relazioni familiari.

Aldrin non ha fatto eccezione. Ad un certo punto si è reso conto che stava cadendo in depressione. Con l’aggiunta di problemi di alcool. E in un periodo in cui l’alcolismo e la depressione non erano molto conosciuti. Non si sapeva con precisione neppure quale fosse la causa, se genetica o dipendente da altri motivi.

Oltre tutto, per un militare, un ufficiale superiore, un pilota e addirittura un astronauta, dichiarare di avere certi problemi nuoceva immancabilmente alla carriera.

Ma nascondere certi disagi avrebbe portato a danni peggiori nel tempo.

La foto ufficiale di Buzz Aldrin diffusa dalla NASA alla vigilia della missione Apollo 11. Naturalmente indossa la sua divisa da lavoro (la tuta spaziale) completa di casco e guanti.

Dopo un lungo e travagliato periodo di riflessione, Aldrin decise di mettere in primo piano la salute. Non solo per sé stesso, ma anche per gli altri che si fossero trovati nella sua stessa situazione.

“It is my devout wish to bring emotional depression into the open and so treat it as one does a physical infirmity. I want my children to know so that if they too become ill they will see the symptoms and seek help. It doesn’t truly matter whether or not the cause is genetic or environmental. The point is that it must be treated, and the sooner the better”.

[E’ mio profondo desiderio portare in evidenza la mia depressione emozionale e trattarla come si tratta una malattia del fisico. Voglio che i miei figli sappiano, così che se dovessero ammalarsi possano riconoscere i sintomi e chiedere aiuto. Non importa davvero se la causa è genetica o ambientale. Il punto è che deve essere curata, meglio se il prima possibile].

Nel corso degli anni emerse che la causa genetica della depressione, nel suo caso era da escludere. Molto probabilmente, l’assenza di stimoli che seguiva la conclusione e il raggiungimento di compiti simili, lasciava un vuoto enorme, impossibile da colmare, se non impegnandosi in un altro compito altrettanto importante. Infatti, la vita normale, la routine quotidiana, ormai non erano più soddisfacenti.

“I spent hours each day in tought… Few men, particularly those who are motivated toward success, ever pause to reflect on their lives. They hurry forward with great energy, never pausing to look over their shoulders to see where they have been. If a man does this at all, it is usually near the end of his life, and it happens only because there is little else for him to do. My depression forced me, at the age of forty-one, to stop and, for the first time, examine my life”.

[Ho passato ore ogni giorno immerso nei pensieri… Pochi uomini, specialmente quelli motivati dal desiderio di successo, si soffermano a riflettere sulla propria vita. Si affrettano con grande energia, senza mai voltarsi indietro per vedere dove sono stati. Se mai qualcuno lo fa, di solito è vicino alla fine della sua vita, e succede solo perché non ha più altro da fare. La mia depressione mi ha costretto, all’età di 41 anni, a fare una pausa e, per la prima volta, esaminare la mia vita]

Buz Aldrin mentre, durante una delle infinite sessioni di addestramento, acquisisce dimistichezza con una videocamera … perchè le immagini sono il migliori mezzo di propaganda delle missioni lunari. Hollywood insegna!

Mettere a rischio la carriera, ma per cercare aiuto e guarire da quella che era chiaramente una malattia, offrendosi come esempio da seguire per coloro che ne avessero altrettanta necessità, è una decisione che Aldrin stesso valuta come una delle migliori della sua vita.

La cura, tuttavia, è lunga e difficile.

Il percorso di guarigione, incerto e tortuoso, passa attraverso anni di alti e bassi. Niente più voli spaziali, niente più voli normali.

Il racconto passa attraverso vicende scabrose, con tradimenti e traumi matrimoniali, trasferimenti, ricadute nella depressione e infine divorzio.

Intanto Aldrin decide di lasciare l’USAF, l’Aeronautica militare statunitense.

Da civile le cose non vanno meglio. Seguono anni di difficoltà e pochi veri successi.

Alla fine le cose, un po’ si stabilizzano.

La retrocopertina del libro di Aldrin nella sua prima edizione

Il libro si conclude con alcune pagine di foto che rappresentano le pietre miliari del percorso di vita di Aldrin. Una vita certamente parecchio sopra le righe. Un mondo, il suo, davvero molto interessante. Mi è sembrato di leggere l’autobiografia di un dio dell’Olimpo, piuttosto che quella di un essere umano. In fondo si tratta pur sempre di un uomo che è sceso sulla superficie della Luna e ci ha camminato sopra, anche se è stato il secondo ad imprimere la sua orma sulla polvere lunare.

Eppure, quando descrive le sensazioni che ha provato nel lasciare l’Aeronautica Militare degli Stati Uniti, mi sono ritrovato a leggere qualcosa che conoscevo bene. Anch’io, un giorno lontano, dopo nove anni di vita militare, ho lasciato l’Aeronautica Italiana. Sono emozioni travolgenti che non si dimenticano facilmente nel corso della successiva vita civile.

Parecchie delle sensazioni che Aldrin descrive sono praticamente le stesse.

Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)



Nota della Redazione

Tutte le fotografie presenti in questa recensione sono state prelevate gratuitamente dallo splendido sito web Apollo archive che vi invitiamo a visitare in lungo e largo. Troverete centinaia di scatti a colori e in bianco e nero che ripercorrono le missioni Apollo nonchè le pre e post Apollo. Ricco di didascalie e di ulteriore materiale collaterale, è un sito divulgativo cui non smetteremmo mai ti attingere. Perchè se è vero che la storia, per essere viva,  deve essere vissuta, ebbene siamo certi che questa è la migliore opportunità offerta a coloro che vogliano farlo davvero


No dream is too high

Mission to Mars

Magnificient desolation



 

Magnificient desolation

titolo: Magnificient desolation. The long journey home from the moon – [Magnifica desolazione. Il lungo viaggio di ritorno dalla Luna]

autore: Buzz Aldrin e Ken Abraham

editore: Harmony Books

ISBN: 978-1-40880-710-1





Un altro libro di Buzz Aldrin, interessantissimo come gli altri. Qui l’autore narra sempre la stessa sua parte di vita ma, secondo la mia impressione, ha voluto condividere tanti elementi nuovi, per rendere ancora più chiaro il percorso difficilissimo che lo ha portato, dapprima fin sulla superficie della Luna, poi in fondo ad una sorta di abisso e, finalmente, ad una accettabile esistenza sulla Terra.

La copertina è prossechè la medesima sebbene il titolo del volume sia collocato in verticale anzichè in orizzontale … ma il volume è sempre a firma di Buzz Aldrin.

Non dimentichiamo l’intento che ha avuto sin dall’inizio: far conoscere il proprio disagio, sapendo che era anche lo stesso provato dai suoi colleghi astronauti, o piloti comuni. Ha messo a rischio la propria carriera, che infatti ne ha risentito, per  avventurarsi in un terreno sconosciuto e ancora tutto da esplorare, quello che lo avrebbe condotto, come sperava, verso la guarigione. In questo modo avrebbe indicato a tutti gli altri nella sua stessa condizione, la strada da seguire, sebbene questa fosse ardua quanto quella attraverso lo spazio fino alla Luna e ritorno.

La dedica recita: “To my fellow astronauts from the Mercury, Gemini, Apollo, and Skylab eras. Each one of these men possessed special talents that contributed to the success of human space exploration. I am proud that I had the privilege of joining these space pionneers who ventured outward to expand mankind’s presence beyond our planet Earth.

To my partner and great love in life, Lois, who sustained my efforts to chart future pathways to the stars”.

[Ai miei colleghi astronauti dell’era delle Mercury, Gemini, Apollo, e Skylab. Ognuno di questi uomini possedeva talenti speciali che hanno contribuito al successo dell’esplorazione umana della spazio. Sono orgoglioso di aver avuto il privilegio di aver fatto parte di questi pionieri dello spazio che si sono avventurati avanti per espandere la presenza umana al di là del pianeta Terra. Alla mia compagna e grande amore della mia vita, Lois, che ha sostenuto i miei sforzi per pianificare il percorso verso le stelle].

Già dalla dedica si capisce che il divorzio dalla storica moglie, Joan, con la quale aveva tre figli, lo ha condotto a un’altra donna.

Un’intensa foto di Buzz Aldrin che, alla vigilia della missione Apollo 11, è ritratto di profilo con lo sfondo della Luna. Uno scatto ad uso e consumo dei media dell’epoca – è vero – ma che oggi, a distanza di tanti anni, è divenuto memoria storica di un astronauta unico nel suo genere

Aldrin aveva messo in evidenza come la vita impegnatissima, fino all’esasperazione, alla quale gli astronauti erano costretti, e che li portava spesso a compiere parecchi viaggi in giro per i vari stati dell’America, richiedeva di poter trovare un po’ di relax, quando possibile. Del resto, come dice lui stesso, la loro condizione di astronauti li poneva in tale evidenza da avere intorno, nei vari party che si organizzavano qua e là, un gran numero di ragazze desiderose di conoscerli e di intraprendere qualche tipo di relazione con loro.

Aldrin dice che tra gli astronauti c’erano quelli che resistevano alle tentazioni e quelli che cedevano. E ammette senza mezzi termini di far parte della seconda categoria.

Aveva intrapreso una sorta di relazione con una certa Marianne, una ragazza di New York, che però aveva anche un altro uomo che insisteva per sposarla. Aldrin, dopo aver chiesto il divorzio a Joan, era andato a New York per sposare Marianne, ma lei lo aveva rifiutato e si era sposata con l’altro.

Questo aveva lasciato Aldrin, come la stessa Joan gli aveva augurato, con il sedere per terra.

E nello stesso periodo aveva anche fatto domanda di congedo dall’Aeronautica. Come dire due volte con il sedere per terra.

E’ possibile, come si intuisce, che queste decisioni siano state il frutto di un comportamento patologico dovuto alla depressione dalla quale non era affatto guarito come credeva.

In questo libro conosciamo anche la parte successiva. E scopriamo che ciò che segue non è facile per nulla.

Nel secondo capitolo troviamo la spiegazione del titolo del libro.

Aldrin scese dalla scaletta del LM (lunar module) per secondo. Guardandosi intorno, un pensiero attraversò la sua mente, di fronte al meraviglioso nulla, al grigio uniforme del suolo lunare: “magnificient desolation” – [“magnifica desolazione”]!

Che la Luna, agli occhi degli astronauti della missione Apollo 11, apparve desolata eppure magnifica, beh … non stentiamo a crederlo. Anche a noi, di fronte a questa immagine, seppure non così ravvicinata, la Luna ci appare magnifica e soprattutto desolata. Ma immaginiamo, solo per un istante, se il pianeta Terra non avesse mai goduto dell’esistenza del suo satellite … ne avrebbero risentito le maree – certamente – i licantropi (volgarmente detti “lupi mannari”) e le produzioni orticole (almeno a detta degli orticolltori); di sicuro avrebbe nuociuto ai poeti e ai cantori romantici che hanno sempre visto in questo pallido sasso  desolato un confidente silente delle proprie passioni o dei propri tormenti; non ultimo, dovre avremmo inviato gli astronauti delle missioni Apollo?  Su Marte, direttamente? … no! Mettiamola così: teniamoci ‘sta Luna, per quanto desolata eppure magnifica.

 

Nel luglio del 1969, l’immagine in bianconero di Aldrin che scendeva la scaletta, dopo essere arrivata all’ultimo scalino, fece una pausa. Neil Armstrong era già sceso. Non c’era motivo di diffidare della consistenza del suolo. Ormai si sapeva che lo spessore dello strato di polvere era contenuto. Allora perché quell’attimo di titubanza?

Perché, spiega l’autore, si era fermato per espletare una funzione corporale che non aveva potuto fare prima: la pipì. Gli astronauti avevano una specie di tubo che portava l’orina ad un sacchetto collocato un poco più in basso della vita, all’interno della tuta. Un sistema ben collaudato.

Molti piloti di aeroplano hanno l’abitudine di fare la pipì dietro la coda dell’aereo, prima di andare in volo. Forse oggi questo rito non è più seguito come nel passato, anche piuttosto recente. Ma parliamo del 1969. Era una specie di rito scaramantico. E anche una necessità, perché una volta in volo…

Ma c’è un’altra ragione, che Aldrin riporta spesso nei suoi libri come nelle sue conferenze e si trovano anche su YouTube, nelle interviste video pubblicate: se non poteva essere il primo a mettere piede sulla luna, poteva essere il primo a farci la pipì. Una maniera molto elevata di marcare il territorio.

Il terzo capitolo si intitola: Homeward bound – [Verso casa]. Il ritorno a casa.

E dal quarto in poi ritorna l’argomento più duro, quello del riadattamento alla vita comune.

Infatti il quarto capitolo si intitola subito: After the moon, what next – [Dopo la Luna, che altro c’è?] Un titolo molto illuminante.

Buzz Aldrin nella foto che, complice anche questa copertina del National Geographic”  (Vol. 136, No. 6 ) del dicembre  1969,  lo ha reso pressochè immortale e nella quale si scorge uno scorcio della sua Luna desolata

Passiamo attraverso capitoli come: Realignment, Flying high, flying low, duty and dilemma, uman side of hero, controlled alcoholic, turning point, reawakening – [Riallineamento, volando alto, volando basso, dovere e dilemma, lato umano di un eroe, controllo alcolico, giro di boa, risveglio], etc etc…

Molto viene dedicato al nuovo amore della sua vita: Lois. La biondissima Lois, che possiamo vedere insieme a Aldrin in molti filmati di YouTube.

Il libro prosegue il racconto di tutti gli anni a seguire, fino ai giorni nostri, o quasi, visto che l’edizione è del 2009.

Per comprendere l’entità delle dimensioni del Saturn V, il razzo vettore utilizzato per le missioni Apollo, è sufficiente confrontare i tre operatori ripresi sul lato sinistro del fotogramma rispetto ad uno degli stadi del colosso in attesa di essere trasferito dall’hangar alla piattaforma di lancio della NASA. Questo anche a dimostrare l’enormità di mezzi mesis in campo dall’amministrazione statunitense per raggiungere la superficie lunare.

E’ un racconto molto interessante, non si riesce davvero a staccare gli occhi dallo scritto, per vedere cosa succede dopo. Gli insegnamenti che si ricavano da questa lettura sono immensi e di immenso valore. Si ha l’impressione di vivere in America, ci si immerge in un ambiente e in una mentalità diversa dalla nostra, ma che sembra di conoscere già e qui la riscopriamo ad ogni pagina, consolidandone la conoscenza.

Non penso di rovinare nessuna sorpresa se anticipo che, come nelle migliori storie, anche quella con Lois finirà per andare in pezzi, con divorzio e controversie legali.

Oggi Buzz Aldrin è ancora in piedi. Più forte e determinato che mai, spinge con grande energia la corsa alle esplorazioni spaziali e alla colonizzazione di Marte.

Ha ideato un progetto per rendere possibile tutto questo. Un’idea complessa, che si condensa in una frase emblematica che troviamo dappertutto intorno a lui, come nelle magliette che il suo sito vende per e-commerce etc: Get your ass to Mars – [letteralmente: porta il tuo culo su Marte].

Buzz Aldrin oggi.

Anche questo si trova su internet, su Youtube e Facebook.

L’argomento è tutt’altro che esaurito e avremo modo di riparlarne.



 


Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer)



Nota della Redazione

Tutte le fotografie presenti in questa recensione sono state prelevate gratuitamente dallo splendido sito web Apollo archive che vi invitiamo a visitare in lungo e largo. Troverete centinaia di scatti a colori e in bianco e nero che ripercorrono le missioni Apollo nonchè le pre e post Apollo. Ricco di didascalie e di ulteriore materiale collaterale, è un sito divulgativo cui non smetteremmo mai ti attingere. Perchè se è vero che la storia, per essere viva,  deve essere vissuta, ebbene siamo certi che questa è la migliore opportunità offerta a coloro che vogliano farlo davvero




No dream is too high

Mission to Mars

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