Una complicata storia, fatta di cabine telefoniche della Pan Am, volpi finte e aeroplani veri.

Se dovessi spiegare com’è nata in me la passione per l’aviazione anziché per il calcio o per altri hobbies, più comuni e banali, dovrei confessare che non esiste una sola causa, ma diverse, distribuite nell’arco di trent’anni. E’ come se l’interesse per gli aeroplani fosse cresciuto assieme al sottoscritto, partecipando alla mia formazione intellettuale e rappresentando, al tempo stesso, la metafora della libertà: andare ovunque, annullando la distanza tra le persone. Sì perché, fino ad oggi, la mia vita è stata contrassegnata da questa continua contrapposizione tra vicino e lontano, in senso geografico e umano. Ma di tutto questo sono diventato consapevole in modo graduale, come in un viaggio, un volo lungo trent’anni, che ha come primo scalo una cabina telefonica, quella della Pan Am.

Si trovava a Santa Marinella (sul litorale laziale, ndA), lungo la via Aurelia, vicino alla strada che portava alla stazione. Avrò avuto pochi anni, quelli sufficienti a saper leggere, ma non era tanto il significato delle parole, quanto il messaggio che veniva diffuso con le immagini, a colpirmi. Un globo azzurro e una frase ad affetto che spiegava come il mondo, grazie alla Pan Am, fosse a portata di mano.

Quella pubblicità e quella cabina colpirono molto la mia immaginazione, quella di un bambino, perché simboleggiavano qualcosa di molto lontano, moderno, esotico, diventato improvvisamente molto vicino; due mezzi di comunicazione (aerei e telefoni) messi insieme dal caso in una cittadina di provincia, quanto di più periferico potesse esistere allora.

Oggi, da adulto, potrei dire che quell’apparizione provocò in me lo stesso effetto che fece il monolite nero alle scimmie del film “2001 Odissea nella Spazio”: mise in moto qualcosa. A livello inconscio avevo compreso che esistevano posti lontani, raggiungibili solo in due modi o facendo una telefonata o prendendo un aeroplano.

E quell’aeroplano per gli Stati Uniti, qualcuno lo prese davvero e per un viaggio di sola andata. Si chiama Vittorio, era il mio amico del cuore e compagno di classe nei primi due anni della scuola elementare. Suo padre era tornato dagli Stati Uniti per trovare moglie e un lavoro, ma trovò solo la prima e dopo aver fatto due figli, tornò in America a Baltimora.

Per un po’ di tempo ci scrivemmo lettere che attraversavano l’Atlantico in aeroplano, ma ben presto ci perdemmo di vista. Comunque io non lo dimenticai tanto presto e un giorno, sfogliando un libro di Richard Scarry (sarà stato il 1973 o il 1974), notai un racconto illustrato che descriveva in viaggio in aereo di Sandrino, uno di personaggi più cari al celebre disegnatore. Sul piazzale di un aeroporto, ai comandi di un caccia a reazione c’era lui! A essere precisi era una volpe disegnata … ma a otto anni non si va tanto per il sottile, Volpe l’uno, volpe l’altra… l’associazione era fatta.

E fu così, che, per non dimenticare una persona lontana, iniziai a interessarmi agli aeroplani, militari per l’esattezza.

Ma presto sarebbe venuto il mio turno di volare davvero.

Era il Natale 1975 e l’aeroplano era un Lockheed L-1011 Tristar della British Airways, o almeno così lo identificò mio padre, osservandolo nella piazzola di sosta a Fiumicino. Allora non esistevano i finger e si saliva a bordo utilizzando una scaletta, un metodo che permetteva di ammirare un velivolo da vicino, rendendosi conto di come fosse fatto, di quanto fosse grande: un titano ai miei occhi. Avevo undici anni e volare su un aeroplano di una prestigiosa compagnia aerea diretto a Londra, una delle più importanti città del mondo, costituì per il sottoscritto un’esperienza indimenticabile. Fiumicino mi apparve come un posto enorme, luccicante, pieno di belle cose e con il mio primo decollo prese il volo anche la mia fantasia …

Da allora ho volato molte altre volte, ma, oltre a quel viaggio, memorabili ne restano altri due. Il primo avvenuto durante le ferie natalizie del 1976 a Tangeri (con cambio a Madrid) in Marocco, dove, sballottati dalle raffiche di vento e d’acqua dell’Oceano, atterrammo, infine, su una pista che ci apparve all’ultimo istante, poiché questa terminava praticamente sulla spiaggia. Io non ebbi paura, ero troppo giovane per provarla, ma i grandi non erano affatto tranquilli e due anziane sorelle si misero a pregare. Ad ogni modo andò tutto bene, altrimenti non starei qua a raccontarvelo, ovviamente.

Il secondo effettuato con i miei genitori nell’agosto del 1978 da Atene a Roma a bordo di un velivolo della TWA del quale conservo un simpatico gadget (Sorry, but this seat is occupied). Una piccola consolazione per un decollo brusco: il velivolo si alzò rapidamente in cielo ed ebbi la sensazione che con la coda avesse toccato la pista – una cosa impossibile! -, un’affermazione detta ad alta voce e criticata aspramente da mia madre. Due voli che, al di là del contingente, rafforzarono in me la fiducia nelle macchine volanti. Insomma, grazie agli aeroplani avevo raggiunto posti lontani, fino allora visti sulle pagine dei libri o solo immaginati … se vi par poco!

Negli anni successivi ho continuato a volare, seppure in modo sporadico, ma in compenso ho divorato libri e riviste, ho costruito modelli di apparecchi militari, mantenendo così vivo in me questo interesse e riuscendo, grazie al modellismo, a crearmi una rete di amicizie, unite da una simile passione. Insomma un hobby aggregante, socializzante, a dispetto di tanti altri. Devo, invece, confessare che non ho mai tentato la strada dell’Accademia Militare Aeronautica, consapevole dei miei limiti umani ed emotivi che non mi avrebbero mai consentito di superare la selezione, i famosi tre giorni, che si svolgevano proprio nella caserma dove ho svolto il servizio militare come aviere a Vigna di Valle, sul lago di Bracciano, e dove si trova il Museo Storico dell’Aeronautica Militare.

Ultimo scalo, il 1995, l’anno della liberalizzazione del trasporto aereo in Italia. Si aprivano nuovi spazi e il trasporto aereo diventava un settore interessante sotto tutti gli aspetti, anche lavorativo. Mi sarebbe piaciuto tanto lavorare in una compagnia aerea, come addetto stampa, ho tentato più volte questa strada, e anche per questa ragione i miei interessi aeronautici hanno compiuto una correzione di rotta, abbandonando il settore militare a favore di quello civile. Non è stato così, le mie speranze hanno preso il volo senza di me. Pazienza. La passione per l’aeronautica è rimasta come un sano hobby e forse è stato un bene che sia andata così.

Ancora oggi, a cinquant’anni d’età, quando la mattina presto, disteso sul mio letto, avverto il rumore dei motori degli aeroplani (un fischio profondo di libertà), mi capita di sentire lo stomaco chiudersi a pugno … ma un attimo dopo mi calmo, me ne faccio una ragione.

Dopotutto, qualcosa (la passione per il volo), deve pur restare immutata perché tutto il resto possa cambiare serenamente.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

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Andrea Coco

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