Coppia

Appena alzato, ancora con occhi gonfi di sonno, andai a sbirciare fuori della finestra: sereno e calma di vento!

Perfetto, pensai, situazione ideale per il programma della giornata.

Sapevo che quella non sarebbe stata una giornata qualsiasi: avevo in mente qualcosa che mai avrei pensato si potesse avverare e che solo un anno prima avrei considerato pura pazzia anche solo immaginare.

Nel frattempo anche mia moglie si era alzata: anche lei andò a guardare fuori dalla finestra, a controllare il cielo, una cosa che fino a qualche tempo fa non le sarebbe passata per la mente.

La vidi fare un leggero un cenno di assenso.

Dopo una rapida colazione ci mettemmo in macchina, direzione Sabaudia. Viaggio lunghetto, più di ottanta chilometri dai Castelli Romani, un viaggio diventato frequente negli ultimi tempi. Con la radio accesa su un canale di musica e la moglie immersa nello studio di un manuale, mi abbandonai ai miei pensieri, che mi riportarono alla concatenazione di eventi all’origine di quella giornata particolare.

Pilota dell’ Aeronautica Militare, all’atto del pensionamento, chiesto anticipatamente, avevo appeso il casco al chiodo. Pensavo di avere chiuso con il volo, che pure aveva caratterizzato la mia vita ed era stato il motivo fondamentale che mi aveva convinto ad intraprendere la carriera militare. Anche se la vita da pilota operativo era stata breve, in un modo o nell’altro il volo era sempre rimasto parte significativa della mia attività, anche quando avevo dovuto occuparmene prevalentemente da dietro una scrivania. Ora, però, non riuscivo ad individuare motivazioni adeguate per proseguire l’attività di volo nel mondo civile.

L’idea di andare presso un Aeroclub di gente con la puzza al naso, a volare su un trespolo ad elica, spendendo un sacco di soldi per fare un giretto intorno al campo, non mi passava neanche per l’anticamera del cervello. Già l’entusiasmo per il volo negli ultimi anni di servizio in Aeronautica era andato scemando, fino a raggiungere uno stato di profonda delusione.

L’attività di un pilota degli enti centrali era limitata a sole 6 ore di volo al semestre. Dopo un paio di anni di attività così scarsa anche a Decimomannu, una base aerea in Sardegna che avevo comandato a lungo e dove, come pilota, godevo di una certa considerazione, non mi consentirono più di volare da solo. Non potevo biasimare una simile decisione: era del tutto ragionevole mettere un pilota allenato dietro ad un arrugginito pilota di scrivania, anche se il velivolo con cui facevo la mia attività non era più l’F104 del reparto operativo ma il Macchi 339, facile come una bicicletta.

Per un paio d’anni, da solo, mi ci ero divertito a fare capriole a pelo terra o a razzolare nei valloni dietro il Gennargentu: ma dopo, con il pilota giannizzero seduto dietro, scendere sotto i 2000ft sembrava essere diventato un azzardo, ed infilarsi nei bellissimi orridi della zona est della Sardegna un’assurdità. Così la decisione di rinunciare al volo non mi era pesata più di tanto: erano passati già sette anni senza che sentissi rimpianti per un’attività che non mi prospettava emozioni di sorta.

Avevo da tempo conseguito il brevetto di istruttore subacqueo e trovavo l’attività subacquea gratificante. Del resto le immersioni sono attività svolte in ambiente tridimensionale, con molte attinenze con il volo: looping, tonneau e tiro si possono fare anche sott’acqua.

In questa situazione ormai consolidata, un giorno un mio collega di corso di Accademia mi propose di andare a vedere il suo nuovo velivolo. Passato alle linee civili dopo un periodo di reparto sull’F104, si era costruito un ultraleggero che aveva certificato come velivolo sperimentale, formula che prevede limitazioni nel numero dei piloti autorizzati al suo pilotaggio: era alla ricerca di qualche volontario da iscrivere sulla certificazione in modo da avere un sostituto in caso di necessità.

Il velivolo si trovava sull’aviosuperficie di Sabaudia. Non ricordo per quale motivo accolsi il suo invito, perché la sua proposta non mi interessava, stante anche il fatto che il mio brevetto era ormai definitivamente scaduto: forse qualche concomitante impegno legato all’attività subacquea, che spesso mi portava a fare immersioni al Circeo, mi offrì l’occasione di passare da Sabaudia.

Arrivato al campo due fatti mi colpirono: l’aviosuperficie e gli ultraleggeri di ultima generazione. Non avevo idea che in Italia ci fossero campi di volo in erba e rimasi stupito nell’apprendere quanto fossero diffusi e liberi da tutti i legacci burocratici dei normali aeroporti. Il velivolo, poi, fu per me una vera rivelazione: si trattava di uno Storm, un ultraleggero costruito da una ditta di Sabaudia.

I miei unici ricordi di ultraleggeri risalivano ad una quindicina di anni prima, in Sardegna, ed il mio contatto con il mondo del volo ultraleggero era avvenuto per caso.

Un giorno il responsabile del controllo del traffico aereo era venuto a chiedermi di far chiudere un campo di volo per ultraleggeri che si trovava sulla rotta di rientro dei velivoli della base dal poligono di combattimento. Dopo avergli ricordato che il cielo è un bene comune e che deve essere condiviso il più possibile, prima di esprimere un parere in merito alla sua richiesta andai con un Macchi 326 a dare un’occhiata da molto vicino al campo, una striscia di terra di 200 metri dalla quale feci alzare un gran polverone, suscitando entusiasmo saluti dei piloti locali: poi ci andai via terra.

Il responsabile mi fece conoscere i mezzi che vi volavano, e mi portò in volo con un trespolo infernale in tubi e tela, un Barouder, lento, rumoroso ed in balia del vento, con velocità massima inferiore ai 100 km/h.

Concordammo che con i loro trespoli non sarebbero mai saliti oltre i 500 piedi di quota, alzai a 2000 piedi la quota minima di rientro dei miei velivoli in quel corridoio e cancellai ogni ipotesi di chiusura del campo. Qualche tempo dopo li invitai a Decimomannu, dove rivolai sul Barouder, un mezzo che di certo non avrei mai preso in esame per una seria attività di volo.

Ma quello che ora mi stava davanti era ben altra cosa rispetto all’ultraleggero che immaginavo: questo era un vero velivolo, tutto metallico, bello, con l’aria di essere anche veloce e manovrabile. Poco dopo un gentile signore che stava andando in volo con un velivolo simile mi dette modo di verificare di persona che queste mie impressioni erano corrette.

Mentre il mio interesse per il mondo ultraleggero stava crescendo, mia moglie trovò modo di fare un volo con un velivolo acrobatico, un CAP 10, che si trovava causalmente sull’aviosuperficie.

Giornalista di un quotidiano per ragazzi, aveva proposto di pubblicare un articolo sul volo acrobatico: la prospettiva che l’articolo avrebbe fatto pubblicità alla locale scuola di volo le valse il volo gratis. Salì sul velivolo con l’istruttore e dopo poco la vidi volteggiare sul campo in manovre acrobatiche di ogni tipo. Mia moglie non aveva esperienza di acrobazia e soffriva in mare per qualsiasi manovra che facesse inclinare il natante. Mi aspettavo, pertanto, di vederla scendere con il sacchettino del vomito in mano. Invece saltò giù entusiasta dal velivolo e se ne uscì con una affermazione stupefacente: “Mi piacerebbe prendere il brevetto”.

Se non avessi appena scoperto il volo ultraleggero nella sua nuova ed imprevista configurazione forse non avrei accolto la richiesta con entusiasmo, visti i costi connessi. Ma ora il suo proposito mi dava l’occasione per rivalutare l’idea del mio ritorno al volo. Se lei voleva volare, allora avremmo potuto farlo insieme: quello che non era riuscito in mare, dove vela e sub non avevano trovato il suo gradimento, forse avrebbe potuto accadere in cielo.

Così lei iniziò il corso di pilotaggio serio, per il brevetto PPL, mentre io dovetti prendere atto che i sette anni di inattività mi costringevano a ricominciare da capo con il volo.

Avendo deciso che il brevetto PPL non mi interessava, mi iscrissi al corso per il conseguimento dell’attestato ultraleggeri. Il direttore dell’Aeroclub d’Italia, all’epoca un mio compagno di corso, mi indicò una scuola non molto lontana da Sabaudia e mi mise in guardia sugli ultraleggeri italiani, spesso fuori norma. Consiglio che venne a pennello: avevo già messo gli occhi su uno Storm appena costruito, ma dopo il suo avvertimento decisi di rivolgermi a prodotti in regola con le norme.

Alla scuola feci qualche volo con il Tucano, una “cabina di teleferica” con le ali, monovelocità, che richiedeva uno smodato uso dei piedi per virare, almeno per me, abituato ai jet.

Al primo esame disponibile mi guadagnai i galloni di pilota ULM, ma solista: qualche tempo dopo feci l’esame per il biposto. Nel frattempo ero andato al nord a provare un velivolo costruito in Repubblica Ceka, un Eurostar. Ne ero rimasto entusiasta, anche grazie al suo eccellente dimostratore, e l’avevo ordinato.

Nel giro di sei mesi andai a ritirarlo e lo piazzai a Sabaudia dove, nel frattempo, il corso di mia moglie procedeva a rilento. Cominciai a prendere confidenza con il nuovo mezzo, guadagnandomi il rispetto dei piloti locali, non condiviso dal proprietario dell’aviosuperficie, che non gradiva il mio modo di intendere il volo.

A quel tempo la scuola di volo di Sabaudia non era un gran che. Volando con mia moglie notavo carenze di addestramento e quando le segnalavo all’istruttore responsabile mi diceva che tanto, poi, ci avrei pensato io a rimediarle. Il corso, però, bisognava pagarlo lo stesso per intero! Finalmente mia moglie effettuò il volo solista e qualche tempo dopo conseguì il brevetto.

Ma torniamo alla nostra giornata speciale: oggi per mia moglie è previsto un volo solista con il Katana, un biposto austriaco bellino e tranquillo, ad ala bassa, che era stato usato per parecchi voli del corso.

Il mio programma è di volare in coppia stretta con mia moglie: lei non lo sa, e nessuno della scuola deve saperlo, perché gli istruttori si preoccuperebbero e si opporrebbero. Essendo del tutto incompetenti in fatto di volo in formazione, un modo di volare in uso solo fra militari, già avevano avuto da ridire per il semplice fatto che una volta mi ero avvicinato al loro velivolo con il mio Eurostar, pur mantenendomi a distanze abissali.

Preparo il mio velivolo. Quando vedo mia moglie iniziare il giro dei controlli me ne vado in volo senza dare nell’occhio: a Sabaudia il mio velivolo è parcheggiato negli hangar dall’altra parte della pista e posso andare in volo senza chiamare nessuno ed essere notato.

Mi metto in attesa dietro le pendici del Circeo con la radio sintonizzata sul canale di Latina avvicinamento, aspettando di sentire le comunicazioni di mia moglie, che arriva con il rituale: “Latina, india … , no flight plan …”.

Comincio a scrutare l’orizzonte e finalmente vedo il puntino del velivolo che sale verso il Circeo: la quota richiesta per il volo è di 2000 piedi, teoricamente a me preclusa in quanto ultraleggero.

Attendo che il velivolo sia al di fuori di possibili avvistamenti da parte dei piloti di Sabaudia, poi inizio una intercettazione che completo rapidamente.

Il Katana è un velivolo veloce in volo livellato nonostante i suoi soli 80 Hp, ma in salita è un “polmone” rispetto all’Eurostar per cui in un attimo gli sono in ala.

L’ultima parte dell’avvicinamento lo faccio lentamente, portandomi in ala destra, in attesa di essere avvistato: non posso annunciare la mia posizione in ala con la radio sintonizzata sul canale di Latina avvicinamento, così, mentre lei assume la prua per Terracina, spero che ad un certo punto volga lo sguardo dalla mia parte.

Come sempre succede quando intercetto qualche pilota civile, ci vuole un bel po’ prima che la cosa avvenga: non ho capito il motivo per cui nelle scuole civili non si insegna agli allievi piloti a guardare bene fuori! Capisco che non devono addestrarsi a difendersi dall’attacco di eventuali caccia, ma tenere d’occhio lo spazio intorno al proprio velivolo è sempre cosa buona e saggia. Invece vedo sempre teste fisse sugli strumenti o, al massimo, volte a guardare avanti.

Quando finalmente mi vede accenna ad una virata a sinistra, evidentemente spaventata dal trovarsi un velivolo così vicino: poi riconosce l’inconfondibile sagoma a stelle e strisce del mio Eurostar, si tranquillizza e riprende la rotta. Sa di potersi fidare: nei pochi mesi di voli con l’Eurostar mi ha visto intercettare qualsiasi cosa che stesse per aria nella piana pontina, e poi stare in coppia stretta ad ogni tipo di ultraleggero.

Un cenno di saluto e mi stringo alla sua ala: sono a 2000 piedi di quota sul mio Eurostar in coppia ad un Katana su cui si trova mia moglie da sola!

Se solo un anno prima qualcuno avesse ipotizzato un evento del genere gli avrei dato del matto!

Viaggiamo insieme fino a Terracina, per poi proseguire per Borgo Montello e Sabaudia. In avvicinamento a Sabaudia saluto e mi allontano prima che qualcuno da terra mi possa vedere. Missione compiuta: ci ritroviamo a terra dove la cosa resta un segreto fra di noi. Gli altri non devono sapere.

Non è stata la nostra unica esperienza di volo in coppia: in seguito ci sono stati altri voli simili anche con ultraleggeri.

Una volta dovevo andare a ritirare un Esqual, velivolo che per qualche tempo ho presentato nelle manifestazioni aeree, in una aviosuperficie vicina dove si trovava per un’ispezione. Ci siamo andati insieme con l’Eurostar ed al rientro abbiamo volato in coppia, lei sull’Eurostar ed io sull’Esqual.

Ma l’emozione del primo ricongiungimento sulle pendici del Circeo e dei primi minuti di volo in coppia non è più stata la stessa.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§


# proprietà letteraria riservata #


Bruno Servadei

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