Ciò che accadde l’11 novembre 1961 (o al più tardi il 12 novembre 1961, ancora oggi non è dato sapere con esattezza) in quell’angolo sperduto del Congo che portava e porta tuttora il nome di Kindu, è quanto di più aberrante e orripilante nella storia del popolo italiano. Non che gli uomini italici durante la millenaria storia della nostra area geografica non si siano mai macchiati di nefandezze innominabili, no, certo che no … e lo stesso dicasi per i congolesi in un paese – il loro – ben più inospitale del nostro (ove la lotta per la sopravvivenza è quotidiana). Tuttavia una tale bestiale crudeltà, un efferato istinto di vendetta come quello che la storia recente ci ha consegnato come “eccidio di Kindu”, beh … è difficilmente paragonabile ad altri episodi cruenti e sanguinolenti della nostra comune memoria storica.
Nella cultura mediterranea e, più estesamente, occidentale, è impensabile il consumo di carne umana, neanche se appartenesse al nostro peggior nemico, neanche per farne il più bieco scempio. Non ne faremmo mai uso; viceversa nel mondo africano, vuoi per un ambiente naturale più selettivo, vuoi a causa di un istinto animalesco appena sopito in quelle aggregazioni tribali spesso isolate dal resto dell’umanità, il consumo alimentare del corpo dell’avversario costituisce una sorta di rivincita, una specie di trofeo che va al di là del desiderio di prevalere sul nemico violando il suo corpo fin nell’ultima fibra.
A Kindu accadde proprio quello, o almeno le cronache lasciano supporre (non smentendolo in modo categorico) che i tredici aviatori italiani della missione di pace sotto l’egida dell’ONU, furono non solo massacrati barbaramente ma – pare e sottolineiamo pare – anche brutalmente cannibalizzati secondo il costume locale o comunque secondo un rituale ancestrale mai del tutto abbandonato da quelle genti.
Un fatto di una gravità inaudita, inimmaginabile secondo la nostra cultura e costumi eppure per nulla scandalosa per i congolesi.
Si obietterà: i miliziani congolesi probabilmente erano ubriachi e sotto l’effetto di droghe mentre i tredici martiri di Kindu erano certamente indifesi e unici uomini bianchi presenti in un’area dove i bianchi – belgi, s’intende – si erano macchiati di schiavismo, torture, sfruttamento disumano degli indigeni. Da qui un profondissimo odio nei confronti di tutti i bianchi in genere.
Si dirà poi che i due velivoli italiani, benché in missione di pace trasportavano armi anziché medicinali … sì – d’accordo – ma a uso e consumo delle truppe ONU malesi che presidiavano la zona di Kindu e che, in quanto soldati con il mandato di riappacificare il paese anche con le armi, avevano il sacrosanto diritto all’autodifesa. Quanto meno.
Nell’accezione popolare si suole dire che “in amore e in guerra tutto è concesso” … ebbene in Congo era in corso una vera e propria guerra civile – è vero – ma che nulla aveva di “civile”. Di qui a cannibalizzare il nemico (presunto o realmente tale) ne corre, non trovate? … eppure!?
Quando si verificano episodi di crudeltà come quella consumata a Kindu anche la più democratica e permissiva cultura occidentale va letteralmente a farsi a benedire e anzi non stupirà se qualcuno invocò allora (e soprattutto avrebbe praticato volentieri) la “legge del taglione”. Occhi per occhio, la pena identica o almeno pari al torto subito.
Probabilmente è quello che deve aver pensato e poi applicato il personaggio del racconto di Rosario Trimarchi. Occhio per occhio e Kindu è vendicata!
Non sappiamo se si tratti di un racconto di pura fantasia o se ci sono dei fondamenti di realtà … di certo il racconto ha qualcosa di truculento e di senso della vendetta che viene dal profondo.
In effetti l’autore così riassume il suo racconto:
Una benefica missione di pace, sfocia in una tragedia.
Sono anni in cui l’opinione pubblica non viene ancora coinvolta al punto da poter spingere a fare chiarezza, lasciando così alla politica governativa la possibilità di stendere arbitrariamente un velo che seppur pietoso lascia dubbi e perplessità.
Un uomo d’armi che non è Rambo uno dei pagliacci di Hollywood, ma Carlo B…a, un autentico soldato reduce da più guerre, è coinvolto sul luogo dell’eccidio in fatti immediatamente successivi ad esso.
Durante la sua attività di mercenario trova un modo per vendicare, a modo suo e anonimamente, gli avieri italiani e contemporaneamente sentirsi a posto con la propria coscienza.
Il metodo può sembrare folle ma, senza inorridire per il gesto e nemmeno volerlo giudicare, si potrebbe essere spinti a pensare che egli sia riuscito nell’intento.
Il racconto parte piano e procede apparentemente in modo innocuo ma, giunti verso la conclusione, esplode in tutta la sua crudezza lasciando il lettore basito e assillato di dubbi: fantasia o realtà?
Ovviamente non possiamo anticiparvi di più pena annullare l’effetto sorpresa. Quella stessa sorpresa che non deve aver fatto breccia nella della giuria del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE che non lo ha trovato meritevole di accedere la fase finale e dunque di annoverarsi tra i magnifici 20 racconti presenti nell’antologia della IX edizione.
Peccato … sarà per la prossima edizione perché Rosario Trimarchi è sicuramente un ottimo autore che ha fantasia e tecnica, sa narrare e intrigare il lettore e dunque è destinato a crescere e a migliorarsi a ogni partecipazione. Tieni duro Rosario!
Per l’intanto godiamoci questo suo racconto e domandiamoci se, nei panni del protagonista ci saremmo comportati allo stesso modo.
Narrativa / Medio – Lungo
Inedito
Ha partecipato alla IX edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2021