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Biplano

Biplano - Richard Bach - Copertina

titolo: Biplano

autore: Richard 1981

editore: Rizzoli

anno di pubblicazione: 1981

ISBN versione cartacea: non disponibile





All’inizio degli anni sessanta Richard Bach possedeva un meraviglioso aeroplano Fairchild 24 del 1946, modernissimo per l’epoca. Era completamente rifatto, come nuovo di zecca, anzi, meglio che nuovo di zecca.

Biplano - Richard Bach - Retro
La retrocopertina del libro di una delle prime edizioni in italiano. Da notare il prezzo ancora espresso in lire.

Con quella macchina meravigliosa aveva volato per migliaia di chilometri per tutti Gli Stati Uniti. Da solo o con la famiglia, a bordo di quell’affidabile aeroplano era andato ovunque senza il minimo problema.

Un giorno si mise alla ricerca di un vecchio biplano e alla fine lo trovò.

Era un Parks P-2A. Anzi, per dirla tutta era uno Speedster Detroit-Ryan 1929, modello Parks P-2A.

Un vecchio aeroplano.

Dopo una amichevole trattativa concluse l’affare. Avrebbe preso il biplano scambiandolo con il Fairchild. Una vera follia.

Il biplano apparteneva ad un certo Evander M. Britt, il quale non era neanche troppo convinto di fare un gran buon affare, ma gli aerei vennero scambiati. Bach partì quindi dalla costa Est degli Stati Uniti per portarsi a casa il biplano, fino alla costa Ovest. Un viaggio di più di cinquemila chilometri.

Il libro parla di questo viaggio.

Ma un aereo può non essere semplicemente un mezzo per andare da un posto all’altro. Spesso è molto di più.

Anche questo “molto di più” costituisce il contenuto del libro. Come al solito lascio a chi legge il piacere di scoprire di cosa si tratti.

La bella copertina dell’edizione pubblicata nel 2012 del libro di Richard Bach

Posso solo aggiungere che in questo caso il viaggio si sdoppia. Oltre a quello attraverso gli spazi immensi dell’America c’è un altro viaggio attraverso il tempo. Il biplano è del 1929 e insieme a lui Bach ha comprato la tecnologia del 1929, i problemi, i criteri, il rumore del motore del 1929, gli odori della cabina, della tela e dei coloranti e delle colle del 1929 e così via.

Pian piano, lungo questi due viaggi paralleli, il biplano riporta in vita una gran quantità di elementi di cui si era perduta la memoria. Sono tutti lì, nel libro, ed emergono uno alla volta, ininterrottamente, sorprendendo anche noi piloti che ci crediamo tanto esperti.

Il motore, ad esempio, è un cinque cilindri stellare, senza cappottatura, la corrente per il suo funzionamento è assicurata da due magneti, anch’essi esterni e quindi poco protetti. In caso di pioggia, se i magneti si bagnassero, il motore si pianterebbe. E sul fatto che il motore si pianti, prima o poi e per un motivo o per un altro, ci si può contare. Dunque, secondo la mentalità dei piloti del 1929, durante il volo la rotta deve necessariamente andare da un campo atterrabile ad un altro. E se la distanza tra due campi atterrabili fosse troppa, allora bisogna salire di quota, per avere comunque una planata utile per raggiungere un punto dove posarsi sani e salvi.

Biplano - Richard Bach - Copertina
La copertina del libro. Si notino i segni di consuzione, dimostrazione di quante volte il libro sia stato letto dalla medesima persona

L’aereo teme il vento laterale all’atterraggio.

Se si rompe qualcosa bisogna sapere come riparare il danno, secondo le tecniche del 1929.

La potenza è quella che è. Il motore gira a 1750 giri al minuto, con il suo caratteristico rumore che richiama la sequenza degli scoppi nei cilindri: 1 3 5 2 4. Basta pronunciare questi numeri in sequenza ripetutamente per “sentirne” il rumore, la voce del Parks.

Indubbiamente una macchina di gran fascino. Anche se questo, per le nostre menti moderne, non spiega come si possa scambiare un Fairchild con un Parks.

Bach stesso è consapevole di fare una follia, ma in poche parole riesce a darcene una sorta di ragione. Dice:

“So soltanto che voglio questo biplano. Lo voglio perché voglio viaggiare attraverso il tempo e voglio pilotare un aereo difficile e sentire il vento mentre volo, e che la gente guardi, veda, sappia che la gloria esiste ancora. Voglio esser parte di qualcosa di grande e di magnifico”.

Ci riuscirà? Se leggerete il libro lo saprete, ma aspettatevi di passare attraverso un mare di disavventure insieme a Bach.

Di solito non si dice mai come una storia va a finire. Stavolta farò un’eccezione. Volete sapere quali sono le parole che chiudono il libro?

Sono quattro: ne valeva la pena.



Recensione a cura di Evandro Detti

Un dono d'ali - Richard Bach - Copertina
Un dono d'ali

Il primo volo



Un grosso temporale s’annuncia a nord-est. Nubi alte e cupe s’addensano a ridosso del Monte Calvario.

Il pilota si leva presto al mattino per non perdere il fascino della magnifica preparazione.

Il cielo sta organizzando il suo funerale. Non sarebbe carino perderlo.

Ormai da troppo tempo aspetta il momento propizio: l’incontro con le nubi temporalesche, l’interminabile acrobazia inebriante, la lenta discesa sulla spiaggia (in vite rovescia col motore in fiamme). E finalmente lo schianto.

La morte trionfale!

Un fenomeno della natura trasformato in sinfonia maestosa.

Il pilota scende dalla casa di campagna e imbocca il viale delle Mimose. Varca la soglia del sacro aerodromo. E si sofferma ad ammirare il suo biplano stupendo.

Il vento è forte e mutevole.

Docilmente il fido velivolo si lascia preparare per l’evento. Poi inizia a rullare velocemente, con l’ansia di partire. S’allinea in pista e decolla controvento.

Una rapida salita.

E finalmente l’avvicinamento al cuore del nuvolone. Un gigantesco cumulonembo, fucina di mille temporali.

Momenti sublimi d’eccitazione elettrizzante. Il pilota precede il volo col cuore.

La grande nube avanza rapidamente. Cuore e motore pulsano assieme. In sincronia perfetta. Ma nel momento in cui l’anima assapora l’attimo di gloria, un ricordo improvviso entra nella mente.

Una donna lontana.

L’unica che il pilota abbia mai amata. L’unica dalla quale egli si sia sentito veramente amato.

L’egoismo e la sete di gloria gli avevano dato l’oblio. Ma ora la fata gli torna alla memoria. E la sua volontà vacilla.

Sicché alla turbolenza della prossimità temporalesca fa eco il suo animo inquieto e smarrito.

La mano è salda sulla cloche. Ma il cuore tentenna.

Un lampo accecante lo restituisce alla realtà.

Il pilota è ormai sulla soglia. Folgori spettrali svelano spaventose voragini di niente.

Un attimo d’esitazione senza pensare. Poi d’improvviso pianta una virata a coltello e inizia a lottare col vortice ingordo. Che ormai vuole ingoiarlo.

Come un vecchio asino viene disturbato da un comando inatteso, così il piccolo biplano sembra contrariato dalla brusca virata.

E si oppone decisamente all’istinto del pilota. Scivola, si contorce, oscilla paurosamente. Ma il motore romba strepitoso.

Il pilota rinforza la potenza e afferra saldamente la cloche tra le mani.

La sfida vede fasi alterne. Ora sembra vincere il buio. Ma presto la prua viene domata da una virata di scampo seguita da rovesciamento.

La Fata e la Morte combattono a lungo. Per la vita del pilota.

Forze titaniche. Ma intanto, all’orizzonte lontano, un piccolo lume ha smascherato la notte.

E’ l’aurora.

Il pilota invoca la fata. E finalmente vince sulla tenebra.

Il nero gigante ora s’allontana.

Il fascino della morte è superato. E con esso la paura.

All’alba il pilota rientra alla base. Scende dal suo nobile biplano.

E bacia il suolo accogliente del sacro aerodromo.

Poi, lentamente, s’avvia verso casa.

Nel cuore … la fata.






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Mario Trovarelli
Foto in copertina di NAndy Leonard