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Ero Amelia Earhart

titolo: Ero Amelia Earhart

autore: Jane Mendelsohn 

editore: Bompiani

anno di pubblicazione: 2009 (tascabile)

ISBN: 978-88-452-5378-2




Ammetto che non è facile incappare in una biografia che sia esauriente senza essere monotona, che sia verosimile benché elaborata su informazioni incerte, che sia cronologicamente attendibile e al contempo risulti di piacevole lettura. Non è facile – è vero – ma risulta praticamente impossibile se poi non si tratta di una biografia o di un’autobiografia bensì di un romanzo sebbene liberamente ispirato alle vicende storiche della protagonista.

Di chi sto parlando? E’ presto detto. Il titolo del volume è un inequivocabile: “Ero Amelia Earhart – La prima aviatrice che sorvolò l’Atlantico” e il personaggio storico è appunto la trasvolatrice statunitense Amelia Earhart.

Amelia Earhart immortalata davanti al suo Lockheed Electra, velivolo a bordo del quale stava compiendo la trasvolata equatoriale intorno al mondo con una rotta che andava da Ovest verso Est quando scomparve nell’Oceano Pacifico assieme al suo navigatore Fred Noonan. Era in corso la tratta che l’avrebbe condotta dalla Nuova Guinea fino all’isola di Howland, nel bel mezzo del Pacifico. Una delle congetture circa la sua scomparsa è legata proprio alla sua presunta attività spionistica concordata con il governo statunitense giacché quella rotta le avrebbe consentito di scattare foto preziosissime circa gli insediamenti nipponici in aree che erano state proibite agli statunitensi come le Isole Marshall. Secondo questa congettura, Amelia avrebbe consegnato gli scatti ancora caldi e segretissimi alla US Navy che – casualmente – aveva dislocato a ridosso dell’isola la nave della US Cost Guard (Guardia Costiera staunitense) Itasca con lo scopo di fornire assistenza e radio e logistica all’impresa della Earhart.  Oltre a questo c’è un altro dettaglio che avvalora parzialmente l’ipotesi: la pista sull’isola Howland fu appositamente realizzata a uso e consumo della Earhart con i fondi statali, ossia dei contribuenti statunitensi … una stonatura evidente rispetto a un’impresa squisitamente privata, peraltro finanziata dalla Purdue University, da proventi pubblicitari e dalla famiglia Putnam/Earhart. E’ pur vero che Amelia era un’amica personale della famiglia Roosvelt (allora Frank Delano Roosvelt era Presidente degli USA) e in particolare della signora Eleonor Roosvelt. Inoltre la pista di atterraggio sarebbe potuta tornare comunque utile alla US Navy in caso di conflitto (ormai nell’aria) con il Giappone anche se ufficialmente venne creata per consentire ad Amelia di compiere l’ultimo salto verso la costa orientale del Pacifico. (foto proveniente da www.flickr.com)

Il romanzo, e sottolineo romanzo, benché pubblicato nel 1996 nel paese a stelle e strisce, è stato reso fruibile in Italia solo nel 2009 per merito di Tilde Riva alla quale l’editore Bompiani ha affidato la traduzione di un vero e proprio best-seller, almeno a giudicare dalle “più di 200 mila copie” vendute oltreoceano (come tiene a precisare la IV di copertina). Inoltre l’opera di esordio della scrittrice Jane Mendelsohn, ha riscosso entusiastiche recensioni da parte di alcuni critici statunitensi (anche queste puntualmente riportate nella IV di copertina e soprattutto nel sito web dell’autrice) mentre fu addirittura inserito tra i finalisti di alcuni premi prestigiosi letterari come l’Orange Prize o il Dublin Literary Award. Senza vincerli, fortunatamente.

A questo punto occorre chiarire l’equivoco che mi ha condotto ingenuamente all’acquisto di questo libercolo in edizione tascabile di 158 pagine: il desiderio di sapere meglio e di più di Amelia Earhart, delle sue prime esperienze di volo, delle sue imprese e, non ultimo, della sua ultima trasvolata di cui, a tutt’oggi s’ignora l’esito nonostante periodicamente si rinnovino congetture, testimonianze più o meno attendibili, ritrovamenti del presunto relitto del suo velivolo o di resti ossei scovati in sperdute isole del Pacifico.

Dicevo un acquisto incauto alimentato principalmente da un titolo ineccepibile e confermato da un sottotitolo altrettanto esplicativo, invece … il romanzo ha un prologo che avrebbe già dovuto farmi drizzare i capelli. Eccolo:

“Il cielo è di carne”.

Prima frase della prima riga della prima pagina.

La splendida immagine di uno stupendo Lockeed L-12A molto simile al model 10-E con cui Amelia Earhart tentò la circumnavigazione aerea del globo nel 1937. Ovviamente l’esemplare ritratto è stato restaurato in tutta la sua bellezza ma rende l’idea di come potesse essere all’epoca quello di Amelia. Non a caso questo esemplare fu utilizzato largamente per le riprese aeree del film “Amelia” nel quale l’eroina statunitense era impersonata dall’attrice Hilary Swank. Ad ogni modo, in quei primi anni ’30, l’Electra era sicuramente un velivolo all’avanguardia: piuttosto veloce, interamente metallico, carrello retrattile, motori carenati modello Wasp da 600 hp che, proprio nel caso della versione “E” di Amelia, furono quelli con la maggiore potenza disponibile tra i propulsori installati nei 149 Electra complessivamente costruiti.  In realtà il velivolo da lei utilizzato era stato privato dei sedili dei 10 passeggeri previsti e dunque equipaggiato di serbatoi supplementari. Non era un dettaglio da poco perché solo in questo modo poteva aumentare notevolmente la sua autonomia di volo già ragguardevole per l’epoca. L’unica complicazione fu l’accesso ai comandi di volo perché la pilota doveva salire sul dorso dell’ala e calarsi letteralmente nella fusoliera dopo aver aperto la botola nel cielo della stessa cabina. Anche il musone poteva essere aperto all’occorrenza ma non risultò mai agevole, posto quasi a 3 metri d’altezza da terra (foto proveniente da www.flickr.com)

Concediamoci un istante di riflessione … mi chiedo e vi chiedo: come fa il cielo a essere di carne? Il cielo è azzurro (generalmente, luminoso (durante il giorno) o buio (di notte), è plumbeo (nelle giornate nuvolose o invernali), è burrascoso (durante i temporali), è purpureo (al tramonto o all’alba) e tanto altro ancora … ma, onestamente, mi è difficile pensare che possa essere “di carne”, non vi pare?

Anche facendo ricorso alla più fervida immaginazione, anche utilizzando la chiave di lettura più universale, cosa intende comunicarci l’autrice? Perché affermare qualcosa di assolutamente improbabile? Forse che il cielo sia vivo? Che sembra animato di vita propria? Probabile.

I lettori più visionari potrebbero classificarla come un’espressione altamente poetica, di altissimo effetto evocativo, quasi metafisica, viceversa io confesso di essere molto materialista e non ci vedo niente di lirico. Ma potrebbe essere un mio limite – lo riconosco -.

Amelia Earhart e Fred Noonan simulano la consultazione della carta geografica ove è riportata la rotta di una delle tratte in cui divisero il loro periplo del pianeta. La foto fu scattata a uso e consumo dei numerosi fotografi/giornalisti presenti e che diedero eco alla loro impresa. D’altra parte non si consulta abitualmente una voluminosa carta geografica usando come tavolo di carteggio la deriva del Lockeed Electra, non vi pare? (foto proveniente da www.flickr.com)

A quella prima riga un lettore intollerante avrebbe potuto tranquillamente chiudere la copertina e infilare il volume in un angolo remoto della propria libreria, regalarlo a che qualche sedicente amico, rivenderselo al mercatino dell’usato o immetterlo nella rete di scambio libri … io, invece, cosa ho fatto? … imperterrito, sono andato oltre! Così ho scorso la seconda e poi la terza riga fino a completare la lettura della prima pagina e … bum! Disorientamento spazio-temporale.

Mi spiego. A fine prima pagina ho trovato la seguente affermazione:

“Quello che so è che la vita che ho vissuto da quando sono morta la sento più reale di quella vissuta in precedenza”.

A quel punto mi sono domandato se avessi bevuto troppo a cena (a volte preferisco una sana lettura dopo cena) … ma poi mi sono detto: era solo acqua minerale! Leggermente gassata sì, ma pur sempre acqua minerale, sicché non ho potuto far altro che alzare le mani al cielo maledicendo il mio limitatissimo quoziente intellettivo; nel frattempo si materializzava nella mia mente la scenetta di un celebre film di Carlo Verdone in cui un suo famosissimo personaggio si chiedeva con gli occhi strabuzzati e il viso ingenuissimo: “In che senso?”

Amelia Earhart, protagonista principale di questo romanzo sorride a favore dell’obiettivo del fotografo. Nata nel 1897, nel 1937 era prossima ai 40, era praticamente nel fiore dei suoi anni ed era già molto famosa per aver trasvolato l’Oceano Atlantico, una prima volta come passeggera e una seconda come pilota solitaria a bordo di un monomotore alla stregua di Charles Lindbergh, primo uomo a sorvolare l’Oceano con una macchina volante senza scalo. Di Amelia è disponibile una cospicua quantità d’immagini che la ritraggono nelle situazioni più disparate e questo grazie a una scelta assai lungimirante del marito di Amelia: nel 1932 assunse un fotografo a tempo pieno, certo Albert Louis Bresnik che divenne poi un amico di famiglia, una sorta di fratello minore per Amelia. La seguirà da presso fino al suo ultimo decollo nella tratta che le fu fatale (foto proveniente da www.flickr.com)

Premesso che non viene espresso in modo esplicito chi sia la voce narrante – arguisco la stessa Amelia Earhart – mi ripeto: “la vissuta da che sono morta” … ma sei morta come hai fatto a vivere? E poi come fa una vita da morta – che è una “non vita” – a essere reale, addirittura più della vita precedente? Perché quella sì che potrebbe essere stata reale …

Magari si tratta di una figura retorica? Sarà … ma sono sempre io che non capisco – lo confesso -.

Ora, senza voler fare l’accademico letterario bigotto o il meschino stratega editoriale, è universalmente conclamato che la prima pagina di un qualsiasi volume (che sia un saggio, una biografia o un romanzo), dovrebbe invogliare il lettore a proseguire nella lettura, incalzato magari da un primo episodio pirotecnico, da un intreccio che lasci intravvedere contorsioni, colpi di scena o comunque altri capitoli intriganti. Invece qui il lettore viene semplicemente disorientato e, considerato che non si tratta di un romanzo giallo, insomma un poliziesco d’alto bordo, perché mai lanciare enigmi, così a freddo, già dalla prima pagina? Bah …

… ma sono andato oltre, straconvinto che questo prologo criptico si sarebbe svelato con il prosieguo del testo; giunti a metà della seconda pagina scopro che Amelia sta:

“sorvolando il Pacifico da qualche parte al largo della Nuova Guinea, sul mio bimotore Lockeed Electra, e mi sono smarrita.”

Frederick Joseph “Fred” Noonan fu scelto per l’impresa della trasvolata attorno al mondo perché era uno dei migliori navigatori aeronautici disponibile all’epoca. Fred aveva trascorso una ventina di anni imbarcato sui mercantili che avevano attraversato i sette mari del pianeta; aveva cominciato come semplice marinaio ed era giunto a diventare comandante di nave mercantile. Nel frattempo era diventato anche pilota di aeroplano e dunque fu relativamente facile per lui diventare navigatore aeronautico presso la Pan American Airways in seno alla quale lavorò come navigatore mappando e stabilendo le nuove rotte che i primi idrovolanti della compagnia coprivano attraverso il Pacifico. Naturalmente la navigazione aeronautica è una derivazione di quella nautica e, contrariamente a quella moderna che si appoggia ai sistemi GPS, alle piattaforme inerziali o alle radioassistenze, all’epoca era solamente astronomica, e veniva praticata con l’ausilio di sestante, carte e cronometri; il navigatore saliva nella cupola vetrata del velivolo e provvedeva ai suoi rilievi astronomici, cielo sereno permettendo, poi calcolava la posizione stimata del velivolo e la rotta da suggerire al pilota per giungere a destinazione. Noonan era diventato uno vero specialista nella navigazione aeronautica. Arrivato al massimo della sua carriera (era diventato istruttore dei navigatori della Pan Am), aveva deciso di abbandonare la compagnia aerea e, intenzionato a creare una scuola di navigatori tutta sua, aveva accolto subito la proposta di fare da navigatore nella difficile impresa di Amelia. Quale migliore pubblicità per la scuola che avrebbe avviato al suo ritorno? Purtroppo per lui quel ritorno non avvenne mai (foto proveniente da www.flickr.com)

E aggiungo io, perfido: non solo lei. Anche l’autrice.

Ora la scrittrice laureata con lode alla Yale University, dovrebbe sapere che, sempre secondo la migliore tradizione letteraria universalmente diffusa, un qualsivoglia testo (racconto o romanzo che sia) per “funzionare bene” dovrebbe far comprendere rapidamente al lettore il come-dove-quando-perché. Che sono poi sono gli elementi base di una trama di un testo degno di questo nome. E di successo – aggiungo io -.

Bah, forse alla Yale University questi rudimenti base della scrittura creativa non li insegnano …

Dopodiché, proseguendo la lettura, riappare la visione del cielo di carne, ma stavolta in versione lussuriosa:

“Guardo il cielo inarcarsi e gonfiarsi, e di tanto in tanto mi pare pure di vederlo fremere”.

Per completare la descrizione libidinosa, l’autrice aggiunge:

“Voluttuoso, torrido nel calore nudo, mi sembra carne di donna. Ma poi di colpo la luce ne illumina un fascio di proporzioni più mascoline – un muscoloso baleno di azzurro, un’ampia asse come il dorso di una mano – ed eccomi a riconoscere, benché malvolentieri, la bisessualità della natura“.

Ancora una bella immagine del Lockeed Electra e di Amelia assisa sopra la cabina di pilotaggio. Il velivolo era stato preparato dalla Lockeed ad uso e consumo di Amelia e, a scopi pubblicitari, venne definito come una “laboratorio volante”  più che altro per giustificare il notevole sostegno economico fornito a scopo scientifico/tecnologico dalla Purdue University ma, di fatto, la componente scientifica della trasvolata attorno al globo fu davvero insignificante come pure le ricadute a carattere tecnologico giacché l’Electra era già un aeroplano molto avanzato in termini di soluzioni costruttive (foto proveniente da www.flickr.com)

Ora passino pure le improbabili visioni erotiche, peraltro omosessuali, ma che c’azzecca la bisessualità della natura con un volo equatoriale attorno al globo? Onestamente, a me sfugge il nesso logico … e a voi? Sapete come sentenzierebbe una ipotetica professoressa siciliana, rigorosamente zitella e con tanto di occhiali corredati da catenella dorata? Beh, io sì: “Il cielo è sostantivo di genere maschile, e quindi masculo je!” Fine della bisessualità.

Tornando al testo del romanzo, il prologo si chiude con Amelia che racconta:

“la risacca ride. La luce nuota. Guardo sulla sabbia gli scheletri di pesce tracciati dall’ombra delle foglie di palma”.

Bum! Altro disorientamento spazio-temporale per il povero lettore. Ma un istante prima non eravamo in volo? Perché qui si parla di spiaggia, palme e risacca? Siamo già atterrati in un battere di ciglia? D’accordo l’inaudita potenza della narrativa (più efficiente di una porta dimensionale interstellare) ma così è un filino troppo, non credete?

Invece no, non stupitevi più di tanto: è solo l’inizio dell’abisso perché tutto il romanzo è un andirivieni tra il racconto di questo ultimo volo di Amelia, la sua vita precedente, durante e successiva il volo in questione. Avete letto bene: quella successiva! Perché nell’immaginario della scrittrice statunitense, Amelia sopravvive all’atterraggio di fortuna nel piccolo atollo di Nikumaroro (in passato denominato Gardner Island) e così pure il suo navigatore Fred Noonan mentre il relitto del povero Electra giace a ridosso della spiaggia, ormai inservibile. Che poi è una delle tante tesi ricorrenti di cui parlavo all’inizio circa la fine dell’impresa volatoria di Amelia & Co.

Dicevo … una trama tutto sommato semplice, forse prevedibile se non fosse che l’intreccio della vicenda narrata è funambolico, contorto, sovrapposto. Occorre prendere appunti per ricordarsi chi è la voce narrante o in quale luogo è ambientato il racconto. Questo perché il romanzo è composto da piccoli blocchi di testo che si alternano continuamente: dapprima la narrazione è in prima persona (Amelia), quindi in terza persona (un ipotetico osservatore esterno) oppure in un blocco siamo a New York, il blocco dopo sull’atollo e quello dopo ancora in volo sull’Electra per concludere in bruttezza con alcune brevi perle di saggezza pseudo filosofiche infarcite – attenzione, attenzione – di visioni dal forte potere evocativo. Secondo l’autrice, s’intende.

Posso aggiungere un altro dettaglio sconvolgente? Ebbene, non esiste il discorso diretto, o meglio non esistono tracce grafiche dell’apertura e della chiusura del discorso diretto. Per intenderci l’autrice ha evidentemente ritenuto inutile utilizzare le virgolette, le lineette, financo le mostruose doppie v orizzontali o qualsiasi altro simbolo convenzionale (troppo convenzionale!) per indicare i colloqui, peraltro assai scarni, tra i pochi personaggi. Risultato? Semplice: i dialoghi si aprono e si chiudono come fossero parte del discorso indiretto.

Ammetto che non sono un tradizionalista bigotto in fatto di estetica tipografica ma permettetemi di urlare almeno: blasfemia! L’ortografia assassinata pubblicamente, piegata alle bizze eccentriche di un’esordiente irrispettosa delle convenzioni letterarie universali; se non blasfemo, è almeno satanico! 

Il lettore deve intuire i dialoghi, avrà pensato l’autrice … invece il lettore si perde – sostiene il sottoscritto -. Quello stesso lettore umile e appassionato che sarà costretto a una fatica sovrumana al punto che si domanderà – e me lo sono domandato anch’io più volte, credetemi – se valga la pena continuare a leggere un siffatto guazzabuglio di libro. Ma niente: io, imperterrito, ho continuato fino all’epilogo. Potere del prezzo di copertina!

Una rara immagine di Amelia Earhart e suo marito George Palmer Putnam in chiave domestica. Amelia aveva conosciuto George quando si era presentata presso il suo ufficio per chiedergli un impiego. George era all’epoca un editore famoso e benestante giacché aveva curato la pubblicazione del libro autobiografico “We” di Charles Lindbergh in cui il primo uomo che aveva sorvolato l’Oceano Atlantico dagli Stati Uniti a Parigi in solitaria e a bordo di un monomotore raccontava il suo volo memorabile e le sue esperienze di volo precedenti all’impresa. Il libro aveva venduto la bellezza di 650 mila copie solo il primo anno di pubblicazione – numeri impensabili oggi ma notevolissimi anche allora – tanto che l’autore (ma anche l’editore Putnam) avevano mietuto dei guadagni davvero ragguardevoli. In realtà George era a sua volta uno scrittore nonché un esploratore oltre quello che chiameremmo oggi un “promotore” o un addetto alle pubbliche relazioni, ossia un organizzatori di eventi, conferenze, campagne pubblicitarie e – occorre ricordarlo – svolse un ottimo lavoro a beneficio della moglie. Generalmente si dice che dietro un grande uomo si celi una grande donna … nel caso di Amelia è il contrario, senza nulla togliere alle capacità, alla caparbietà di lei nel voler concretizzare i suoi sogni impossibili. La vicenda personale di “GP”, così lo chiamava abitualmente Amelia – e così lo ritroveremo anche nel romanzo – si intrecciò con quella di Amelia prima commercialmente e poi sentimentalmente sebbene lui fosse già sposato (ma la consorte dell’epoca aveva già un solido rapporto extra coniugale). I due si frequentarono per alcuni anni e poi nel 1931 convolarono a nozze dopo che GP ebbe ottenuto il divorzio. Dalle cronache del tempo, difficile dire se tra loro ci fu il vero amore o solo interessi reciproci … all’inizio prevalse sicuramente il secondo aspetto se non altro testimoniato dal fatto che GP volle ospitare in casa sua Amelia pur di farle scrivere in modo proficuo il suo primo libro “20 hrs., 40 min.” pubblicato nel 1928 nel quale lei descriveva la sua esperienza del volo transatlantico a bordo del velivolo trimotore Friendship in qualità di passeggera. Alla stregua di quanto lui aveva già fatto con Lindbergh, l’operazione funzionò sebbene con risultati economici ben più modesti ma quello divenne comunque l’inizio di un sodalizio che si rivelò vantaggioso per entrambi. Nel momento in cui la US Navy cessò ufficialmente le ricerche di Amelia e Fred – che erano state effettuate con grande dispiego di uomini e mezzi e, non ultimo, con costi per i contribuenti che si aggirarono attorno ai 4 milioni di dollari – , George non si diede per vinto e finanziò a sue spese ulteriori ricerche, purtroppo  senza esito. Cronologicamente parlando, Amelia scomparve nell’estate 1937, nel gennaio 1939 fu ufficialmente dichiarata defunta e nel maggio dello stesso anno George si risposò … quello che si definirebbe un vero vedovo inconsolabile!  (foto proveniente da www.flickr.com)

E avendolo letto tutto, posso affermare che questo è un romanzo-minestrone; è così ben assortito che il concetto elementare di prologo-sviluppo-epilogo tipico di qualunque romanzo, qui non trova applicazione alcuna, anzi sono un tutt’uno. Per assurdo si potrebbe aprire una qualunque pagina del libro per entrare nel vortice torbido della vicenda senza correre il rischio di perdere il filo logico della narrazione … semplicemente perché non c’è un vero filo logico.

In effetti è un romanzo che, per essere apprezzato a pieno, presuppone che si conosca già il vissuto di Amelia. Oppure, al contrario, che invita la lettura di una ricostruzione giornalistica della vita e delle imprese di Amelia per capire dove finisce la realtà e comincia la fantasia sfrenata di Jane Mendelsohn.

Esagerato? Niente affatto!

Ma c’è dell’altro: verso la fine del romanzo, Amelia e Fred addirittura s’involano di nuovo con l’Electra per poi perdersi di nuovo e riatterrare chissà dove  … ma no, tranquilli: era solo un sogno! Realistico ma pur sempre un sogno. Anche perché il naturale deterioramento provocato dalle maree e dell’ambiente salmastro avevano presumibilmente ridotto a brandelli la cellula del velivolo già malconcia per l’atterraggio rovinoso e che, pur disponendo di un minimo di carburante, i motori erano fermi da anni, il carrello probabilmente distrutto, mezzo aeroplano insabbiato. E tralasciamo la possibilità concreta di decollare da una spiaggia di sabbia corallina. Neanche l’araba fenice sarebbe riuscita nell’impresa!

Si tratta evidentemente di un miraggio, di un desiderio delirante mai sopito, di un sogno prodotto da una mente provata dal lungo isolamento coatto – certamente, dico io – ed è tutto molto comprensibile … ma già come per la punteggiatura oltraggiata, anche la già ridotta credibilità della narrazione viene messa a durissima prova.

Ancora una bella immagine di Amelia Earhart e del suo fido navigatore/copilota, non tanto “fido” a detta dell’autrice del romanzo (foto proveniente da www.flickr.com)

Mi spiego. Sempre alla Yale University avrebbero dovuto insegnare alla signora Jane che la “sospensione dell’incredulità” da parte del lettore è assai preziosa ed è pure è molto labile, ergo non può essere strapazzata a questo modo. Voglio dire: due persone affetti dalla sindrome del naufrago, che rifuggono ormai i soccorsi e il mondo civilizzato, che si sono ambientati in un piccolo paradiso in terra e non hanno più alcuna fiducia nel futuro, possono sognare di tornare in volo verso l’ignoto? Anche solo sognare? No, non regge! Non fosse altro perché Amelia e Fred non vengono dipinti come i novelli Robinson Crusoe, viceversa hanno trovato sull’atollo il loro equilibrio, si sono rassegnati a vivere lì i giorni che rimangono loro, nell’idillio di una natura lussureggiante che offre loro quanto necessitano … e vi pare che, anche nel sogno più recondito, anche nei meandri più profondi dell’inconscio possano sognare di volersene andare? In volo?

Troppo feroce nei confronti dell’autrice? Niente affatto! … vogliamo esaminare poi gli svarioni storici e aeronautici? Eccoli.

Per proteggere gli occhi abbacinati dal sole Amelia rivela:

“… e arriccio il naso per mettere in sesto gli occhialoni da pilota”.

Peccato che il Lockeed Electra fosse un moderno velivolo con cabina chiusa e parabrezza ermetico anziché un obsoleto biplano con cabina aperta e minuscolo frangivento. La differenza è sostanziale: i velivoli aperti necessitavano dei classici occhialoni da pilota che non erano assolutamente un vezzo estetico. All’epoca infatti, se non si voleva rimanere accecati dall’aria, dagli insetti, dai fumi di scarico e dall’olio vaporizzato dal motore, gli occhialoni erano indispensabili. Un po’ meno la sciarpa di seta bianca, salvo che per pulire – in emergenza – gli occhialoni sopracitati qualora si fossero completamente coperti da sozzura.

Viceversa nel 1937, anno del volo di Amelia, esistevano già gli occhiali da sole, non già i famigerati Ray-Ban Aviator che vennero commercializzati a partire proprio da quell’anno ma sicuramente occhiali similari giacché la prima azienda al mondo che produsse occhiali da sole fu proprio statunitense e cominciò la sua attività nel 1929.

E vabbè … concediamole gli occhialoni ma …

… vogliamo poi parlare di quel povero diavolo di Noonan? Ebbene nel romanzo viene dipinto come un alcoolizzato, amante in egual misura delle donne e dei superalcolici, dedito a una vita sregolata per non dire dissennata. Anche professionalmente la signora Jane Mendelsohn ci va giù pesante perché fa dire ad Amelia che la scelta a favore di Fred fu dettata dall’economicità delle sue prestazioni professionali anziché per le sue capacità di esperto in navigazione aerea astronomica.

Ancora una foto del Lockeed Electra L-10E e di Amelia Earhart appollaiata stavolta sul musone del velivolo. Lo scatto risale alla tappa che toccò Miami. La trasvolata prevedeva una rotta lungo l’equatore di una lunghezza complessiva di circa 46 mila km. L’impresa era già stata effettuata in passato ma su una rotta a latitudini più elevate e dunque decisamente più brevi; volare prevalentemente lungo l’equatore sarebbe stato molto più lungo e faticoso per l’equipaggio e la macchina. Oggi sembra un bazzecola ma teniamo ben presente che Jules Verne, il famoso scrittore francese antesignano della modernità, aveva immaginato il “Giro del mondo in 80 giorni” non più tardi del 1872 – ed era pura fantascienza -, ma anche negli anni ’30 (del 1900) rimaneva un’impresa pregna di rischi e punti interrogativi. Quando decollarono da Lae in Nuova Guinea Amelia e Fred avevano volato già per circa 35 mila chilometri e dunque ne mancavano circa 11 mila tutte sopra all’Oceano Pacifico. Era il 2 luglio 1937 (foto proveniente da www.flickr.com)

Onestamente, se fossi stato un parente alla lontana di Fred, mi sarebbe venuta voglia di querelare l’autrice del romanzo per aver infangato la memoria del mio congiunto … anche perché la verità storica è decisamente diversa.

Fred Noonan si era effettivamente licenziato dalla Pan-Am ma, secondo la cronaca del tempo, perché intendeva aprire una scuola tutta sua per navigatori aeronautici e la partecipazione all’impresa di Amelia gli sarebbe tornata utile quale ottimo viatico pubblicitario gratuito. Inoltre Amelia l’aveva già assoldato in occasione del primo tentativo di trasvolata, peraltro andato male, perché dunque confermarlo in occasione del secondo? E poi diciamoci la verità: all’epoca tutti bevevano e ancora oggi gli statunitensi non sono proverbialmente astemi, sicché …

Altra situazione assolutamente non sostenibile è lo stato disastroso in cui versa Noonan al momento del decollo dall’aeroporto di Lae in Nuova Guinea in quella che sarà l’ultima tratta della della circurmnavigazione del globo. Ebbene nel romanzo Fred viene descritto come completamente ubriaco dopo festini terminati fino a poco prima del decollo. Decollo avvenuto – lo ricordo – alla mezzanotte, ora locale. In realtà,  a giudicare dalle immagini dell’epoca, sia Amelia che Fred salgono a bordo dell’Electra con fare atletico, lei attraverso il portello posto  nel cielo della cabina e lui sulla fiancata della fusoliera, operazione assai difficile da eseguire da un ubriaco, non trovate?   

Inoltre nel romanzo Amelia odia ferocemente Noonan al punto che ognuno si costruisce un proprio ricovero, alle antipodi del piccolo atollo, quindi si riavvicinano nel corso della permanenza in quella stretta striscia di sabbia e verso la fine del romanzo finiscono per essere addirittura amanti, sfrenati e insaziabili uno dell’altro. Pittoresco, non credete?

La IV di copertina del libro di Jane Mendelsohn. Questo libro, assieme a “Felice di volare: ricordi della mia vita in volo e di altre aviatrici” scritto e pubblicato da Amelia Earhart nel lontano 1932, sono gli unici volumi disponibili in lingua italiana inerenti la figura mitica di Amelia Earhart. Si aggiungono poi delle pregevoli biografie come quella di Anna Consilia Alemanno pubblicata nell’ambito della collana “Grandi donne della storia” curata dal Corriere della Sera o quella molto simile dell’editore RBA nella collana “Grandi Donne”. Purtroppo non è mai staro reso disponibile per il mercato editoriale del nostro Paese l’altro libro scritto da Amelia “20 hrs., 40 min.” del 1928 come pure  “Last Flight”, pubblicato postumo, e contenente parti del diario di viaggio del suo ultimo volo attorno al mondo. Inutile dire che in lingua inglese esiste uno stuolo di libri riservati ad Amelia. Anzi, considerato quanto posa essere inflazionato il panorama editoriale a lei dedicato, comprendiamo perché l’esordiente Jane Mendelsohn abbia dovuto quasi necessariamente scrivere qualcosa di molto originale affinché potesse  emergere.

Altra stonatura è il personaggio George P. Putnam, storicamente marito di Amelia; nel romanzo viene dipinto impietosamente come un aguzzino, una macchina che spreme Amelia per il proprio tornaconto di editore, che la costringe a scrivere resoconti giornalistici e libri contro la sua volontà.

La verità storica, anche in questo caso, è abbastanza diversa. Quando incontrò per la prima volta Amelia, Putnam era già ricco e famoso (era stato lui a pubblicare il libro-resoconto di Charles Lindbergh, primo trasvolatore atlantico) inoltre lui le propose più volte di sposarlo senza successo. Aggiungo che i proventi dei libri e dei pezzi giornalistici della moglie, Putnam li utilizzava per sostenere le spese – decisamente notevoli – delle imprese di Amelia. Occorre poi ricordare che lui, dopo la cessazione delle ricerche di Amelia/Noonan operate dalla US Navy, spese una vera fortuna nel riprenderle a titolo personale. Certo non fu un esempio fulgido di rettitudine e fedeltà coniugale ma è pur vero che le coppie benestanti statunitensi non lo erano e non lo sono tuttora.

In effetti, in “Ero Amelia Earhart”, la figura stessa della protagonista viene tratteggiata in modo dir poco singolare: introversa, taciturna, quasi algida ma in balia del marito, incapace di provare anche solo di un po’ di affetto nei confronti di Putnam, pur tuttavia estremamente determinata tanto da concedersi solo a condizioni che oggi farebbero concorrenza ai contratti prematrimoniali delle dive del cinema.

Risponde a verità storica? Forse … certo Amelia era mascolina, a dir poco volitiva e talmente determinata nel raggiungere i suoi progetti – alcuni effettivamente difficilissimi per l’epoca – che un fondo di verità storica c’è di sicuro. Tutto il resto è fantasia.

In conclusione un romanzo con diversi aspetti opachi e qualcuno brillante. Quali? Ad esempio la descrizione assai verosimile del caldo torrido che assale l’atollo e soprattutto della terribile tempesta tropicale che segue: come essere lì con Amelia e Fred. Davvero ottima.

Come pure ammetto che è davvero notevole l’intuizione dell’autrice nell’immaginare e nel raccontare la trasformazione che avviene nei due personaggi: dapprima naufraghi vogliosi di tornare alla civiltà per poi letteralmente nascondersi dai possibili soccorritori, infine felici di rimanere nel loro piccolo paradiso tropicale.

Infine sono presenti anche piccole chicche di buona scrittura come:

“Gli aerei erano veicoli da sognare. Erano forti e sinuosi, virili e femminili allo stesso tempo, semplici, giocattoli meccanici quasi all’antica e vascelli che portano al futuro”

ma sono rare e, onestamente, non giustificano il successo di vendite del volume.

In definitiva ci sono lampi di buona letteratura in “Ero Amelia Earhart” ma con molte ombre attorno; un libro la cui lettura richiede un grande atto di fede da parte del lettore, fede superiore alla media, s’intende.

Se amate i romanzi pieni di simbolismi, e immagini surreali sarà perfetto per voi, viceversa non si presta assolutamente a chi cercherà – come il sottoscritto pensava di trovare – una cronaca storica in formato narrativo.

Dal punto di vista tipografico il volume è curato e di qualità come ci si aspetta da un editore prestigioso. Adeguata la dimensione dei caratteri di stampa, opaca e leggermente giallognola la carta. Valida ma non esaltante la copertina (in realtà l’edizione italiana ne ha avute diverse) e maldestramente poco obiettiva la IV di copertina.

In conclusione, un libro che non rende granché onore ad Amelia e al suo navigatore, di sicuro non ne esalta la leggenda … ma perché – detto tra noi – ne avrebbe necessità? Certo che no. Perché la caparbietà e la determinazione di Amelia l’avevano resa già un mito quando era in vita, figuriamoci se un romanzo di opinabile bontà possa sminuire un fulgido ed ineguagliabile esempio dell’universo femminile …

Allo stesso modo mi viene da dire che non comprendo l’ostinazione nel voler assemblare congetture, nel voler continuare a cercarla negli atolli sperduti del Pacifico. Perché? … già prima che scomparisse, Amelia Earhart volava altissima nell’immaginario collettivo e, un istante dopo la sua scomparsa, ha continuato a volare lontanissimo nel cielo della memoria di tutti noi, uomini o donne appassionati di volo e di storia dell’aviazione.  E così sarà per sempre.  Che poi è quanto accade giusto appunto ai miti. E Amelia, quando corre il XXI secolo, ancora un mito !

Parola di professoressa zitella.





Recensione e didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR