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16 maggio 2008 – Dismissione KC707A

L’odore del mare … eh, sì, l’odore del mare, e il grande cielo senza ostacoli sopra la testa, e la brezza, e il verde, e l’odore di cherosene.

Bentornato a Pratica di Mare. Cuore che batte, nel profondo. Il G91 all’ingresso, gli alloggi Ufficiali, il Circolo. Pratica di Mare: la mia casa; la mia casa per 12 anni!!!!

La mia compagna rispetta il mio silenzio, io guardo, penso, ricordo.

Ricordi che emergono dal profondo della psiche richiamati dalla vista. Eventi, facce, avventure, storie. Tasselli di quel puzzle che è la vita di ognuno di noi. L’invito a venire a Pratica in occasione della dismissione del tanker è del Gruppo che ho comandato, 15 comandanti fa – ho contato le targhette!! Prima di uscire ho indossato la cravatta blu del Gruppo, i copribottoni dorati, un po’ “diversi” ma col Cavaliere, ho indossato lo stemmino dell’8° sul bavero della giacca e, infine, imponente nelle dimensioni anche come spilletta, sotto il gruppo ho appuntato il B707.

Sono uscito da casa felice e curioso di tornare, di camminare di nuovo su quei tasselli che hanno composto un importante pezzo della mia vita: il comando dell’8° Gruppo e il successivo comando del Nucleo Addestramento Tanker, l’ultimo incarico operativo.

Così oggi sono qui, facce conosciute che hanno subito, come me, la sferza del tempo. Linee nuove sui visi, capelli che hanno cambiato colore oppure che han deciso di abbandonare il titolare, ma negli occhi quella luce di forza e di esperienza che accompagna lo scorrere della vita e ci rende maturi e belli dentro.

Dopo gli abbracci, i riconoscimenti, e gli sguardi alle fotografie … andiamo sul piazzale.

Tocca a Sergio fare l’ultimo volo. E’ il più anziano (lui ci tiene a sottolineare che non è l’età).

Il vecchio tanker avanza verso il punto attesa, ed io solo a guardarlo vengo proiettato nella dimensione temporale. E’ una sensazione stranissima, come se il tempo non ci fosse più: torno ai comandi, quello che mi ferma il respiro è il ricordo del decollo. Un ricordo diverso da qualsiasi altro aeroplano che ho volato, sono seduto ai comandi e rivivo …

E’ un mastodonte, avanza lentissimo verso il punto attesa … si muove come se fosse conscio delle sue capacità, che non è accelerare rapidamente e scomparire nel cielo, che non è manovrare leggero allietando chi lo guarda, ma è stare tanto tempo in aria. Il suo compito è attraversare lo spazio, andare lontano, portando dentro sè il suo carico. Ma non è semplicemente un volo di lungo raggio …. Non è semplicemente mettere 70 tonnellate di benzina e partire.

E’ la consapevolezza che attraverserai gli stati, i mari, che sotto di te scorreranno i fronti meteorologici, e che quando atterrerai sarai in un mondo diverso. La consapevolezza che non porti solo un carico o le persone, ma altri aeroplani verranno con te – affidati a te, dipenderanno da te, li osserverai nei monitor di bordo, ascolterai le loro voci, li incoraggerai nel momento del contatto. Rifornimento in volo: un nearmiss controllato … altri ricordi …

Io sono stato poco tempo sul tanker, un paio d’anni, di velivoli ce ne erano solo due allora, ma il ricordo dell’inizio è talmente gratificante che rimango un po’ attonito mentre il “vecchio” continua il suo rullaggio.

Mi tornano in mente i fogli in Excel per i primi calcoli sul rifornimento in volo, la prima trasvolata a Lajes con Bruce in ala. Qualsiasi cosa era una novità, ogni momento era qualcosa di nuovo … Oggi celebro dentro di me tutte queste emozioni.

E’ il momento del decollo … Sergio con innata maestria lo porta verso di noi, il saluto del gigante, quanto rumore, al limite del sopportabile ….

Una ultima virata, si staglia nel cielo, le grandi ali a freccia, i 4 motori, enorme gabbiano seguito da una scia nera … Socchiudo gli occhi, lascio che l’immagine si imprima nella memoria, respiro a fondo questa brezza di mare.

I ricordi, quelli che nutrono le emozioni vanno e vengono, onde potenti che si infrangono sul richiamo alla realtà.

Una realtà che ricorda che è ora di tornare alla quotidianità e di rivolgersi al futuro, incapace di aspettare e che richiede tutta la nuova attenzione.

Grazie 8° Gruppo, grazie 14° Stormo, grazie Pratica di Mare.


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Paolo Vittozzi

Roma-Venezia da passeggero

Sono in fila al bancone dell’accettazione, aspetto. “il Comandante la accetta sullo strapuntino, il volo è pieno”. Sorrido prendo la mia carta d’imbarco con la scritta “jump seat” e mi avvio nel finger.

Entro a bordo, saluto il Capo Cabina, poi mi giro a sinistra, il Comandante sorride: “ciao ciao, entra, accomodati, benvenuto a bordo”.

Sorrido di nuovo a mia volta, faccio un passo avanti e vengo colpito dall’odore.

E’ un odore che è conservato nella memoria, lo conosco benissimo, è odore di cabina di pilotaggio. Il lettore si meraviglierà: “eh, già ora anche le cabine hanno un odore!!!” Si, non solo hanno un odore, ma è caratteristico; difficile da definire, devi chiudere gli occhi e lasciare che l’odore venga catturato dall’olfatto e ti lanci indietro, quasi tele-trasportato (si, basta l’odore, altro che scienza) in una dimensione in cui tu sei seduto di nuovo in cabina, in divisa, e le tue mani si muovono sicure su interruttori, leve, pulsanti guidate dal subconscio.

L’odore è dato dalla tappezzeria, dai sedili in pelle di agnello, dalla polvere stantia, dal liquido usato per pulire gli schermi degli strumenti, dal sudore tuo ed altrui e, sicuramente, dall’anima di quei piloti che anche dopo avere avuto la possibilità di andare in un mondo forse migliore, hanno deciso di continuare ad albergare in una cabina di pilotaggio.

Mi accomodo sullo strapuntino, mi allaccio le cinture e quando guardo in avanti, la bocca assume involontariamente il sorriso – spronata dal senso di felicità che si diffonde dentro di me: luci colorate, verdi, gialle e rosse, queste ultime due destinate a scomparire man mano che i sistemi di bordo si attiveranno.

Poi, quasi provenendo da un altro mondo, mi sorprende la voce del controllore che entra in cabina attraverso gli altoparlanti e la riempie, manco fosse panna montata: “Alitalia 1477 clear to start”. Sono ancora lì con la mente offuscata e beata dagli odori, dai suoni, dalle voci, dalle lucette, quando le mani dei piloti iniziano la loro danza, click, click, click e poi: “before start checklist”

Ormai sono affascinato, i ricordi mi subissano, le emozioni prendono il controllo, ma la memoria torna e la sequenza si illumina come se fosse un continuum di luci che mi indicano la strada.

La procedura di messa in moto è iniziata: un interruttore, una conferma vocale e così: “N2, 20%, fuel flow, EGT”. Si, è routine, ma mi manca, e… quanto ti può riempire la routine?

Sei lì che guardi che le cose vadano come devono, pronto ad interromperla, ma lei si snoda come perle che entrano in un filo e alla fine la collana è lì che splende. Impianti pronti, luci gialle e rosse spente … una meraviglia …

Mi appoggio allo schienale, respiro e mi rilasso, guardo fuori, un sole caldo splende, quel colore di cielo che ti fa desiderare di stare in cima ad una montagna … iniziamo il rullaggio. Arriviamo al punto attesa, le emozioni sembrano finite, l’equipaggio ha completato i suoi controlli, il capo cabina ha riportato la cabina pronta al decollo.

Stiamo andando a Venezia … un’oretta, magari riesco anche ad appennicarmi…

Entriamo in pista … e accade improvvisamente, inaspettatamente, dopo la frase: “Take-off power”.

Un mostro ha iniziato a respirare, ha preso fiato e ora espira, ci sono indicazioni strumentali: lancette che girano vorticosamente e si stabilizzano ai valori previsti, io sono impietrito, travolto. Sapevo che sarebbe successo, si lo sapevo, ma era proprio così????

Il Super-80 sembra voglia divorare la pista, è una vera e propria aggressione, “la pista è mia, me la prendo e la divoro, fatemi largo”. “Speed alive, 80 knots, V1, VR” le velocità vengono chiamate in successione, pochi secondi e alla VR la cloche va all’indietro, e … come ho già scritto altrove:

“Eccolo si ripete, come ogni volta, il miracolo del volo manifesta la sua magia … miriadi di particelle d’aria vengono scompigliate, strappate dalla loro quiete dall’ala che avanza sempre più veloce. “Rotazione” e mentre la cloche viene tirata indietro, i piani di coda si flettono verso l’alto imponendo la rotazione del mezzo intorno al fulcro del carrello. La baruffa delle particelle continua ma si dispongono in maniera diversa, si auto-ordinano, le leggi fisiche che governano il moto dei fluidi consentono la nascita di forze che la natura ha reso proprie solo agli uccelli: la portanza infine manifesta la sua potenza e voliamo!!

Il mezzo meccanico ha smesso di sobbalzare e saltellare sulla pista e si trasforma da mezzo terrestre in uccello di metallo che si inerpica verso la luce.

Sono affranto, una mano mi ha afferrato il plesso solare e lo sta stringendo convulsamente, il brivido che mi ha assalito non smette di tormentarmi, … “1500 feet, climb trust”, la voce del pilota sottolinea e poi entra dall’altoparlante altra panna montata: “Alitalia 1477 come right, heading 310, climb level 140, no speed restrictions”.

Il resto è storia, viriamo a destra verso Nord, io scopro di essere stato in apnea, travolto da emozioni e ricordi, attimi vissuti e rivissuti, attimi cui non facevo più caso, ma ora, dopo mesi che non sono più seduto in quel sedile, quello che provo non è meraviglia o stupore o nostalgia: è dolore!!!

Ormai filiamo verso l’alto sempre più veloci, livelliamo a 29.000 piedi, mach 0,75. Il terreno scorre sotto di noi, mi rilasso di nuovo, in cabina chiacchieriamo del più e del meno. Parliamo di sogni interrotti – stuprati da una realtà che ha preso forma e ci ha travolti – e poi di nuovi sogni, di desideri, di proposte, la vita continua e scorre, proprio come il terreno sotto di noi e noi, proprio come un aeroplano, non ci possiamo fermare.

Iniziamo la discesa, è il tramonto, ma andiamo per prua quasi Est, il sole è dietro di noi, non ci saranno spettacoli pirotecnici del giorno che si inabissa nell’orizzonte, il controllo del traffico aereo ci autorizza all’avvicinamento diretto per pista 04. Ma son contento: quello che ho vissuto mi ha appagato, ma soprattutto sorpreso abbastanza da “fare il mio giorno” frase che suona molto meglio in inglese “it did my day”.

Poi allineati in finale guardo la laguna e mi stupisco di nuovo. “Vittozzi, quante volte hai visto Venezia?” mi dico dentro di me, apostrofandomi per cognome come tutte le volte che mi voglio rimproverare, “eh si, ma invece di rompere guarda anche tu” rispondo alla voce interiore; sicché guardiamo e rimaniamo tutti e due, e tutto il resto del condominio di sé che alberga dentro di me, senza parole.

La luce colpisce Venezia arrivando dalle nostre spalle, la città è una perla ocra che splende contro il celeste pieno del cielo parzialmente riflessa dallo sfondo azzurro intenso del mare. Non è romanticismo, è realtà, è il mondo dall’alto, quella meravigliosa terra vista da una prospettiva privilegiata … Canal Grande, Rialto, i ricordi terrestri si affollano, ma la grandiosità dell’immagine riempie tutto, una sorta di meditazione che non lascia spazio ad altro…

1000 piedi sul Ponte della Libertà, le luci aeroportuali davanti a noi, continuiamo sul sentiero di discesa, da destra compare l’abbandonata ombra che va a riunirsi al legittimo proprietario, un contatto soffice, l’uccello torna mezzo meccanico.

Sospiro, altre emozioni mi aspettano, ma quelle vissute finora, amalgamate a ricordi, routine, stupore e dolore mi hanno veramente ridato l’amato e un po’ smarrito, senso del volo.

Grazie a Gustavo e Loris che han permesso che tutto questo avvenisse con un semplice “benvenuto in cabina”!!

Paolo Vittozzi Comandante Alitalia Express su Embraer-145


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Paolo Vittozzi

Raid dei due mari, ci saremo!

Siamo euforici, in due – gemelli ad un anno di distanza – passiamo i 90 anni, eppure siamo euforici. Amici da 28 anni, la vita ci ha condotto su strade diverse, ma la passione per il volo ci e rimasta, al punto che quando decisi di acquistare il Buccaneer mi venne a trovare in Toscana, è stato il primo amico a volare con me sull’acqua, tanto quanto è stato il primo a rimanere in panne con me nell’acqua … mi auguro sia anche l’ultimo. Ma torniamo all’euforia.

Quando gli ho detto che avrei partecipato al raid dei due mari mi ha guardato e mi ha chiesto “cos’é?”. Dopo la spiegazione mi guarda di nuovo, china la testa da un lato e sussurra: “Lo so che hai bisogno d’aiuto: verrò con te”. Poi è stato un gioco. Le relative compagne si rassegnano: “Sembri proprio un bambino!!” – “Sembro? no, sono un bimbo, ma non è per questo che mi vuoi bene?” Sicché, dopo aver rattoppato, pulito, lucidato, cambiato e quant’altro ora non mi viene, la sera di mercoledì 13 giugno, per impegni di entrambi, l’ultimo giorno di libertà prima della partenza, ci vediamo al campo di volo. Ultimi controlli. Chiamo Rodolfo e prendo appuntamento per rifilargli 8kg d’olio e 5kg di tenda, montiamo l’ultimo ritrovato in materia di ostacolo fisico all’acqua che entra: abbiamo finito. Sono le 20.00. Il sole é ancora alto, l’aria e calma e si sente il canto delle sirene. Non parliamo neanche, lo tiriamo fuori dall’hangar. E’ tutto lucido “Orville” (un nome un programma, sto aspettando gli adesivi, poi vedrete!!!), bianco e blu, il mio “barcaereo” fa proprio una bella figura. Urlo “via dall’elica”, aspettiamo i 40 gradi canonici dell’acqua e in 10 minuti ci involiamo nell’atmosfera serotina.

“Al lago, voglio vedere se entra l’acqua”. Tutto perfetto, ammariamo in 15 minuti, capisco quasi subito che l’ultimo ritrovato di cui sopra, aggiunge solo 50 grammi di peso, ma l’acqua entra eguale. Siamo fermi in mezzo al lago. Non c’e vento, guardo in basso, magari la sirena viene fuori sul serio. Invece no. Pompa di sentina, svuoto e … via: motore, cloche alla pancia, poi tutta avanti, poi in centro sul redan e via in aria, verso casa.

Il sole ormai rosso acceso ci fa da faro. Si atterra per 27, ma d’estate il sole tramonta più su, una volta allineati rimane sulla destra. Scendiamo, minimo, contatto, tutto ok. La buca non la vediamo, ma la sentiamo, una come tante, invece … crack e Orville punta deciso a sinistra, il freno destro non argina la virata, siamo fermi al lato sinistro della pista, magneti off e … cribbio il carrello sinistro … è lì che pende monco, zampetta spezzata.

Il pensiero é comune: e il raid? Nell’ora di luce che rimane facciamo body building e lo tiriamo su a sinistra, quanto pesa per essere un ULM, mettiamo del supporto sotto lo scafo, e ci rendiamo conto della sua inamovibilità. E’ tardi, sudati e stanchi decidiamo di mangiarci un piatto di pasta per consolazione e aiuto alla riflessione. Fred mi ospita, rimanendo da lui evito 30 km di traffico, la moglie si fa in quattro, grande e delicata donna!! Ci svegliamo alle 6.00, alle 7.00 siamo per strada, alle 08.00 il carrello é smontato, alle 09.20 siamo dal fabbro, io vado a lavorare, non mi posso esimere. Fred mi chiama dopo tre ore: carrello riparato e consegna effettuata a Rodolfo … si parte lo stesso. Raid dei due mari, ci saremo!


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Paolo Vittozzi

Pilota e marinaio per salvare l’ambiente

Il fumo non ha odore, ma é definito acre. Penetra le narici e ti disgusta. A volte é spesso, palpabile, accarezza la pelle con un abbraccio fastidioso. Quando raggiunge gli occhi le lacrime compaiono spontanee, strofinarli é inutile, anzi é peggio. Ma il fumo non esiste da solo. Non può nascere se non c’è lui: il fuoco. Il fumo é il suo maggiordomo, però manca di discrezione, entra senza bussare.

Arriva sempre prima il fumo, ci informa, ci pone in stato di veglia. Poi il fuoco. Se non ci fosse il fumo ci sorprenderebbe. Compare improvviso. Fa paura. Si muove, avanza, ondeggia con il vento, si inclina, si estende verso l’alto. Si alimenta con la vita delle piante che bruciando si contorcono, scrocchiano gemendo nella sua presa. È il loro urlo prima di morire.

Il fuoco si inerpica lungo la collina, animato di vita propria. Segue la traccia della vegetazione e si dirige dove gli alberi sono più densi. Sembra che la natura sia inchiodata dalla sua minaccia, schiaffeggiata dal vento, prepotente protagonista. Attoniti osserviamo il devastante spettacolo, il fronte del fuoco é stretto, ma “lui” é impetuoso.

Ci sono i ragazzi della forestale in tuta arancione, ma poco possono contro una tale forza della natura. Un rumore, un rombo cupo, un motore? Una macchia volante colorata passa poco più in alto, un aereo! Punta il fuoco e vicinissimo, di colpo, scarica una quantità d’acqua impressionante. Il fuoco colpito a morte ansima, si arresta quasi dubbioso, non riesce più ad andare avanti.

Forse vorrebbe tornare indietro … forse, ma invece svanisce nel nulla.

Sono proprio arrivati i nostri, invece che a cavallo su un Canadair, preceduti dal rombo di un motore invece degli squilli di tromba.

Ma chi cavalca il Canadair? Ormai si sa che il Canadair é l’arma più efficace a disposizione per lottare contro il fuoco che minaccia l’inestimabile patrimonio boschivo della nostra Italia, ma che tipo di pilota vola su tale aeroplano? Cosa accade dentro questo mezzo che a seconda dei momenti é motoscafo o aereo?

A bordo i piloti sono due: comandante e co-pilota, come gli altri velivoli commerciali. Quindi stessi standard, stessi criteri di base, stessa professionalità? La risposta é si a tutte queste domande, ma il pilota di Canadair deve avere un quid in più.

La posizione del fuoco é sconosciuta fin quando esso si manifesta. Non é segnata sulle carte, non ci si arriva tramite aerovia o seguendo le indicazioni di un segnale radio. Il fuoco viene raggiunto navigando a bassa quota ed utilizzando delle carte geografiche totalmente diverse da quelle che usano i colleghi di linea. L’ente responsabile della Protezione Civile individua l’«obiettivo» con coordinate inutilizzate dai più, quando non addirittura sconosciute.

E ci vuole confidenza. Non si pensi di essere capaci a leggere una carta di navigazione a bassa quota, a riconoscere ferrovie, seguire valli, individuare ponti e paesi solo con la navigazione stimata se non lo si é mai fatto, se non si é adusi a tale pratica.

Bussola ed orologio, come agli albori dell’aviazione o come i piloti cacciabom­bardieri. A questo si aggiunga la frenesia della fretta. Bisogna decollare entro 15 minuti dall’assegnazione dell’obiettivo. Il punto si traccia in rullaggio, assieme alla prima tratta di navigazione poi si decolla, il resto in volo.

Durante la navigazione si cerca di mettere ordine, ci sono navigazioni di un’ora o navigazioni di otto minuti. Il tempo a volte é tiranno. Poi, trovato l’obiettivo, si deve individuare la migliore traiettoria per avvicinare il fuoco e colpirlo, avendo sempre la “via di scampo” da seguire nell’eventualità che un motore smetta di girare.

Orografia e micro-meteorologia giocano contro di noi. Venti di caduta, termiche, fumo. I piloti di aliante conoscono le prime due, i pompieri il terzo.

Tutto ciò accade in aderenza al vecchio, proverbiale consiglio di mamma, quello che tutti i piloti sanno di non dover seguire mai: “Mi raccomando, vola basso e piano”. Sicché a 30 metri dal suolo, indipendentemente dalla sagoma del terreno, ed a 205 km/h (1.3 Vs per chi se ne intende) il velivolo viene impostato per percorrere la sua traiettoria in discesa, tenendo presente la rotta di scampo e, nel caso occorra fronteggiare un imprevisto, pronti a scaricare l’acqua per diminuire di 5400 kg il suo peso.

Sul fuoco i piloti sono al massimo senso di veglia, il nemico é lì che aspetta. Non ti spara, ma ti inganna. È pronto a ghermirti, modifica la densità dell’aria in cui voli, intensifica l’opacità del fumo, quasi a nascondersi. A volte invece si manifesta veemente, con fiamme alte e voraci, vogliose di distruggere prima di essere fermate.

Tieni conto del vento. È in coda, di fronte, di lato.. c’è deriva, l’acqua che traiettoria seguirà? Bisogna prevedere tutto. Se abbiamo aggiunto la schiuma in dotazione l’acqua tenderà a volatilizzarsi prima, altrimenti sarà più densa. Che tipo di alberi sono? Eucalipti oppure oleandri? Dov’è questo fuoco rispetto al fumo? L’intensità del vento é di 35 nodi (65 km/h), il fumo viene spinto avanti, il fuoco é ancora dietro.

Il tempo scorre, ma sembra rallentato. Il co-pilota controlla gli strumenti motore, ricorda i valori di velocità, ripercorre la posizione degli interruttori, ricorda la quota di sgancio. Gli occhi del Comandante tengono puntato il nemico, rapidissime scansioni agli strumenti: velocità e quota, velocità e quota, velocità e quota. Il pollice sinistro contratto é predisposto sul pulsante di sgancio. Il respiro sospeso: ci siamo. Una pressione sul pulsante, il rumore secco delle porte acqua che si aprono. Il carico d’acqua affronta il suo nemico. Lo colpisce dall’alto con l’energia del suo peso e la velocità dell’aeroplano. Il resto é fisica: II principio della termodinamica.

Il velivolo, improvvisamente alleggerito, ruota il muso verso l’alto. Motore, controllare l’assetto, verificare la velocità, chiedere al co-pilota la variazione delle superfici di iper-sostentamento, seguire la traiettoria di scampo. Direzione: verso la sorgente di rifornimento idrico.

Di nuovo controlli, predisposizione interruttori, giù per l’ammaraggio. Il 60% degli incidenti aerei avvengono durante l’atterraggio. Un pilota di Canadair può anche farne trenta di atterraggi sull’acqua. Non ci sarebbe differenza con la terra, ma qui c’é un particolare: si muove. Il lago si muove poco, ma il mare….. Lui ha la vita, sembra ti aspetti. Quando sei alto ti invita a scendere, azzurro, trasparente, immenso, poi quando sei a tre metri ti rendi conto dell’altezza delle onde, sempre troppo alte.

Abbiamo scelto la migliore direzione di ammaraggio? Siamo fra il vento frontale e l’onda lunga? Ultime verifiche. “Probes down” dice la luce arancione sul cruscotto. Il velivolo é pronto a fare acqua attraverso due bocchette che sporgono dalla chiglia per circa 12 cm. Ammaraggio, l’aereo si trasforma in un off-shore (145 km/h).

Le bocchette agganciano il mare, l’acqua irrompe nei serbatoi, il muso ha una decisa tendenza verso il basso, il peso aumenta.

Il volantino viene tirato, i muscoli del braccio sinistro si contraggono. La presa é salda, l’assetto DEVE rimanere costante. La mano destra spinge le manette, i sensi sono tesi pronti a percepire una condizione anormale che potrebbe comportare l’interruzione della manovra.

Il mare non accetta l’intruso, le onde fanno da rampa di lancio, il velivolo esce dall’acqua. Via motore ma poco, piccola variazione d’assetto, controllo del peso attuale per essere sicuri di non aver superato il peso massimo di contatto, di nuovo in acqua per completare il carico. Stille di sudore solcano il viso, altre scendono lungo la schiena, non puoi competere con il mare, é più forte lui, allora lo assecondi, oppure lo eviti.

L’indicatore dei serbatoi acqua indica pieno, “probes up” la luce diventa verde, le bocchette vengono retratte. Il motore spinge, l’aeroplano saltella sulle onde. A pieno carico, arrancando, si sforza per contrastare la forza di gravità. La velocità cresce e la novella imbarcazione transita di nuovo al suo stadio originale, ritorna ad essere un aereo. Controlli, predisposizione per lo sgancio d’emergenza, il cervello ripercorre già la traiettoria di attacco. La giostra continua.

Ecco, questo é ciò che, di massima, accade.

Chi é questo pilota, un super uomo? No, é un professionista del volo. Un pilota che oltre a saper decollare ed atterrare, a conoscere le regole del volo strumentale ed a vista, sa navigare a bassa quota, sa capire quando le condizioni meteorologiche consentono di passare in una valle o quando deve tornare indietro.

È un pilota con una grande resistenza fisica. Volare un aeroplano senza condizionamento, senza asservimento idraulico dei comandi, ed effettuare tanti atterraggi su una superficie che si muove senza preavviso é una cosa faticosa. Far seguire, ad ogni ammaraggio e relativo prelievo d’acqua, un attacco al suolo assecondando l’orografia del terreno, con un mezzo che non ha le prestazioni di un Tornado e che richiede un orecchio sempre teso ai singulti dei motori ed un occhio guardingo alla traiettoria di scampo é cosa che richiede molta attenzione fisica e psichica. E questo avviene anche per sei ore di fila nello stesso giorno.

Ecco chi é che “cavalca” il Canadair. È un professionista con uno spiccato amore per l’ambiente, con una grande passione per questa singolare forma di volo; molto pilota ed un po’ marinaio, con l’indole e la forza del guerriero per affrontare il nemico nelle sue multiformi apparenze e la pazienza di Giobbe per le lunghe ore trascorse in attesa che esso si manifesti.





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Buon anniversario a me

Fa freddo qui a Ginevra ed è ancora buio. Sono le 06.10, le procedure per l’imbarco dei passeggeri, della posta e dei bagagli vanno avanti, tante persone affaccendate attorno all’aeroplano. Non c’è brina sull’aereo e non faremo de-icing, ma il cielo non si vede, nuvole? E’ tutto scuro… mah… Alle 07.00 iniziamo il rullaggio, avanziamo nel buio, le luci di rullaggio ci indicano la strada, sono pigre, ma svolgono il loro compito. Arriviamo in pista, ci allineiamo, sono le 07.15 … potenza, i motori motorano, le eliche elicano e l’ATR … Eccolo si ripete, come ogni volta, il miracolo del volo manifesta la sua magia … miriadi di particelle d’aria vengono scompigliate, strappate dalla loro quiete dall’ala che avanza sempre più veloce. “Rotazione” e mentre la cloche viene tirata indietro, i piani di coda si flettono verso l’alto imponendo la rotazione del mezzo intorno al fulcro del carrello. La baruffa delle particelle continua ma si dispongono in maniera diversa, si auto-ordinano, le leggi fisiche che governano il moto dei fluidi consentono la nascita di forze che la natura ha reso proprie solo agli uccelli: la portanza infine manifesta la sua potenza e voliamo!! Per il momento è solo una sensazione, ci lasciamo dietro le luci della pista, ci lasciamo tutto, siamo nel buio con 12 gradi di assetto, e potenza di salita, poi, di colpo, l’inaspettato … sbuchiamo nel cielo. Ma allora … ma allora … il cielo c’era, anche oggi era qui che ci aspettava: “Ciao cielo, siamo qui, scusa il ritardo, eccoci”. C’è luce in cielo, luce informe, luce che combatte il buio, luce che ci accoglie. La coltre grigia delle nuvole acquattate per terra si estende su tutto il lago e termina contro le prime montagne, sia a destra che a sinistra. Il sole ancora non splende, ma la sua luce irradia quasi che lo facesse di nascosto. Le montagne sono senza forma, scure, sentinelle immobili della nuvolaglia bassa, informe e soffocante che non riesce a allontanarsi dalla madre terra. La terra … vi è mai venuto in mente che le terre siano due? Una che viviamo, percorriamo, sudiamo, e una che osserviamo, apprezziamo, godiamo. La nostra, la terra dei “volatili” è una terra diversa, non di strade, salite e discese, ma è fatta di conche, di valli, di anfratti, spiaggie, boschi, laghi…. di nuvolaglia informe che viene arginata dalle montagne. Noi fortunati esseri volanti ad un certo punto non sudiamo più, e nel momento in cui ci impossessiamo della terza dimensione diventiamo liberi. Scrivo per coloro che non sanno, per coloro che non volano, per coloro che non si trasformano in volatili. Dall’alto il colore è un altro, lo spettacolo è tutto un altro. Case piccole, i paesi che sono piccole macchie gialle arroccate sulle montagne. Il sole ha iniziato come al solito il suo cammino. Le ombre sono le stesse della sera, lunghe e un po’ spettrali, però a guardarle bene di direbbero più allegre, in fondo non chiudono il giorno: lo anticipano. Osservo ancora le nuvole, sono impotenti contro le montagne, il colore cambia diventano bianche splendenti: il sole le ha raggiunte! E anche le montagne innevate sberluccicano, un gioco di colori che appaga l’occhio e riscalda la mente. Osservo il mondo dall’alto, sempre diverso, non stanca mai. Qui non c’è smog, non c’è traffico, non ci sono semafori. Poi quasi per magia mi trasferisco, mentalmente, sul mio ulm (velivolo ultraleggero, ndR). Ci sono delle differenze: la quota e la libertà. Il contatto col mondo a quota minore è più vero, segui le colline, con lo sguardo riconosci i crocicchi, le case, le valli: è la bellezza, la diversità del volo a vista. Trasporti la carta che hai sulle ginocchia su quello che vedi e viceversa. Quant’è bello!! E poi la libertà. Non c’è pressurizzazione, non c’è un vetro blindato, il colore, l’odore, il tatto dell’aria, tutto contribuisce ad un immenso senso di libertà. Da qui oggi a 18.000 piedi osservo e mi beo, con l’ulm non volo e basta: sono immerso, sono un volatile; non sono un pilota, sono un uccello; non guardo le montagne dall’alto, ne faccio parte, sono staccato da mamma terra ma la vivo con più intensità, la osservo da angolazioni che altrimenti mi sono impossibili, assaporo l’aria, sono penetrato dalla sensazione che vivo. Io sono Icaro, sono Leonardo, sono Orville (Wright, ndR), sono miracolato, sono un fortunato, io vivo l’aria, io posseggo tutto questo mondo che mi scorre sotto e quando riatterro, quando ritorno è come se ne possedessi un pezzo di più. Il 27 dicembre per me sarà un giorno importante, un anniversario: sono 30 anni che colleziono le tessere di questo mio mosaico. Chiudo gli occhi e guardo nel contenitore, trovo questa prima tessera: 27 dic 1971, P66, il decollo solista. E’ solo un circuito, 7 minuti, ho 17 anni, mamma mi aspetta, quando torno ha gli occhi inumiditi, una delle rarissime volte che l’ho vista piangere! Un’altra tessera con il primo decollo sul reattore MB326. 1977: non sembrava un aereo, ma un flipper. Tante lancette che ruotano vorticosamente, e poi zot… siamo già in aria? Un’altra tessera, l’esame di volo strumentale con il G91T. 1978. Decollo di sera avanzata e fino a 22000 piedi nuvole spesse e buio, poi sbuchiamo dalle nuvole, avevo 25 anni, mi sono trovato a testa in giù a guardare l’immenso spettacolo del sole su un infinito materasso rosa. Un’altra tessera: 1980. Il bersaglio trainato dalla nave che va in pezzi sotto i colpi del mio cannone, lo guardo incantato, e poi quando richiamo il kicker entra spietato, cinque volte, il cuore va in gola, paddle switch, continuo a tirare e … poi sono di nuovo verso il cielo. E quest’altra: notte fonda, quasi spersi in mezzo al mediterraneo a 1000 piedi trasmettendo all’aria la posizione delle navi nemiche agli F-104 che sacramentavano. 1985. E ancora altre tessere, un tormentato avvicinamento a Keflavik su una pista ghiacciata. 1990: la forza del temporale africano che si estende da est a ovest, osservato da 41000 piedi 1992: sull’atlantico con i tornado attaccati tubi per il riforimento in volo. 1993: il fuoco che corre per chilometri e chilometri, sorvolato con un Canadair a pistoni.  1997: toh guarda, il primo lancio con il paracadute della Folgore. 1975: il volo sugli appennini con il deltaplano. 1981: in termica con il parapendio sul Subasio 1995: in ammaraggio col Canadair nello stretto di Messina con Scilla e Cariddi che urlano. 1997: in planata con l’aliante a Rieti, però come sono basso, passo sulle case, magari mi sostengono un po’ di più. 1999: in volo con il mio Buccaneer fra le creste degli Appennini andando verso il lago di Garda, 2001. Eh sì, tante tessere, colorate, multiformi, divertenti, appassionanti, per il più bel mosaico che abbia mai montato: quello di una vita dedicata al volo!! Buon anniversario a me!!!


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Hangar con Biplano e Honda - Nate Stevens
Paolo Vittozzi