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Roald Dahl. Come da pilota da caccia divenni scrittore

Un’intenso primo piano del protagonista di questa biografia … giusto per dare un volto al suo nome e cognome. Dahl è recentemente assurto all’attenzione delle cronache giornalistiche giacché la sua casa editrice, in virtù di una profonda esigenza di “revisionismo” e sull’onda di quanto fece qualche anno fece per prima la Disney a proposito dei personaggi dei suoi films, si è presa la briga di provvedere a una radicale rielaborazione dei numerosi testi per bambini dell’autore con l’eliminazione di quelle frasi, caratterizzazioni e uso di aggettivi poco inclusivi, potenzialmente offensivi o comunque spiacevoli nei confronti di razze, colore, peso e caratteristiche fisiche in genere. Insomma, a detta dell’editore, i testi di Dahl erano troppo razzisti, sessisti, insensibili nei confronti dei grassi, dei brutti, delle streghe e dei cattivi in genere e dunque andavano addolciti, resi più educativi più inclini al clima di tolleranza civile contemporaneo. La notizia ha riempito i media britannici e, fortunatamente, è a malapena apparsa in quelli nostrani. In effetti mettere mano a testi scritti da una persona geniale nata nel 1916 e vissuta in un mondo completamente diverso da quello attuale (benché guerre e miseria siano perduranti) lascia molto perplessi e semmai è questo aspetto che scandalizza davvero. Che poi i britannici siano sempre stati dei sciovinisti egocentrici con la puzzetta sotto il naso non è una novità e che cadano talvolta nel ridicolo non stupisce affatto; dunque riallinearsi al resto del continente non è del tutto fuori luogo … anzi, era ora! … è pur vero che val bene addolcire certe espressioni del linguaggio corrente per attribuire una maggiore dignità alle persone (lo spazzino che diventa collaboratore ecologico, ad esempio) ma sostenere che il salvifico bacio dato dal principe azzurro alla signorina Biancaneve non è consensuale e dunque si tratta di una forma di abuso sessuale, beh … ce ne corre! D’altra parte cosa dovremmo fare noi italiani? Revisionare secoli di letteratura per non indispettire la sensibilità altrui? E, nel caso specifico, dovremmo censurare le favole di Gianni Rodari o quelle di Italo Calvino o il Pinocchio di Collodi, tanto per citarne alcuni? Stendiamo un velo pietoso e leggiamo la narrativa per l’infanzia con gli stessi occhi innocenti dei bambini per i quali gli orchi non sono mai affascinanti e Cappuccetto Rosso è semplicemente una bambina indifesa. La malizia di vedere nel Gatto e la Volpe due omosessuali inveterati ce l’hanno solo gli adulti. Allo stesso modo prendiamo Roald Dahl quello che fu, nel bene e nel male; noi lo ricordiamo  specie come il pilota che divenne scrittore (foto proveniente da www.flickr.com)

Era il classico gentleman inglese, somigliava un po’ a Lawrence d’Arabia, il volto lungo e i capelli con una perfetta riga a lato. Per tutta la sua vita Roald Dahl rappresentò la quintessenza del suddito devoto e orgoglioso della grandezza dell’impero Britannico, pronto a sacrificarsi affinché sua maestà potesse regnare ancora per secoli sui suoi vasti possedimenti. Solo quando prese servizio nella RAF, in volo sul suo aereo da caccia, in Grecia e in Medio Oriente, si rese conto che l’epoca d’oro dell’impero stava finendo, travolto dall’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale:

“Ora, quindi, ci erano rimasti in Grecia sette Hurricane in grado di volare, e con questi avremmo dovuto fornire copertura aerea all’intero corpo di spedizione britannico che stava per essere evacuato lungo la costa. Tutta la faccenda era una ridicola farsa”,

 scrisse.

Risale a quel periodo, infatti, uno dei primi racconti di Dahl, Un gioco da ragazzi, poi pubblicato sulla rivista americana Saturday Evening Post con il titolo più eroico e bellicista di “Abbattuto in Libia”.

Ma come c’era finito lì, lui che solo un anno e mezzo prima non era mai salito su un aeroplano e non aveva mai manifestato alcuna passione per il volo? Spirito di servizio, dedizione alla causa e forse la voglia di avventura che da sempre aveva guidato le sue scelte di vita.

Scrive alla madre, il 4 dicembre 1939, in un telegramma inviato da Nairobi:

“Cara mamma, sto passando un periodo bellissimo, non mi sono mai divertito tanto. Ho prestato giuramento alla RAF e adesso ci resterò fino alla fine della guerra. Il mio grado è di Leading Aircraftman (aviere scelto) con buone possibilità di diventare sottotenente in pochi mesi, se non mi dimostro una schiappa”.

Roald Dahl ha ventitré anni e da poco ha chiesto alla compagnia per cui lavora in Africa, la Shell Oil Company, un periodo di congedo pagato, per andare a servire la patria combattendo “e dare una mano contro bwana Hitler”, come ricorda nella sua autobiografia, In solitario. Diario di volo. Manca dall’Inghilterra da un anno esatto e vende benzina e gasolio in Africa per conto della compagnia petrolifera con la conchiglia.

“Troppo alto per volare?” E’ questa la domanda che pone ai visitatori la figura cartonata di Roal Dahl ritratto a misura reale quando, giovanissimo, militava tra le file della RAF. E in effetti, a giudicare dal confronto con il bambino alla sua sinistra, il pilota Roald Dahl era effettivamente altissimo … ma all’epoca occorrevano tutti i piloti disponibili per difendere i cieli patri e, benché curvo sui comandi o rannicchiato nella cabina, purché potesse pilotare e sparare al nemico, anche un fuori misura andava bene! Evidentemente l’ergonomia e in comfort di pilotaggio all’epoca erano dettagli davvero insignificanti. La foto riporta un angolo molto frequentato del museo dedicato allo scrittore; si trova in terra britannica presso la località di Great Missenden, nella contea del Buckinghamshire, non lontano da Londra. Lì visse fino all’ultimo dei suoi giorni e lì è sepolto nel cimitero dove una semplice lastra di marmo scuro riporta il suo nome, la sua data di nascita e quella della sua dipartita. Tornando all’immagine, sono da notare le numerose targhette che indicano le misure antropometriche degli svariati personaggi ideati dalla mente visionaria di Dahl (foto proveniente da www.flickr.com)

Chi si fosse imbattuto in lui, nelle strade di Londra o sulla metropolitana, lo avrebbe certo notato: un giovane alto quasi due metri – troppo per un aspirante pilota; alla prima visita medica a Nairobi lo volevano scartare – con bombetta e ombrello di ordinanza, come conveniva allora a tutti i gentleman della city. Tempo prima ha inoltrato domanda alla Shell, perché il suo desiderio più grande è viaggiare in terre esotiche, al contatto con la natura primitiva.

Inaspettatamente, molti sono i candidati, Roald Dahl ottiene un posto; ne è orgoglioso ma un po’ stupefatto. Dopo un lungo periodo di tirocinio, prima nella City poi in giro per l’Inghilterra come venditore di carburante, la Shell gli propone di rappresentare gli interessi della compagnia in Africa Orientale.

Per il futuro scrittore, andare a osservare da vicino i grandi animali della savana è l’avverarsi di un sogno, che ha colmato di affascinanti immagini le sue notti fin da bambino, di un desiderio che si realizza.

I genitori di Roald sono entrambi di origine norvegese, di Oslo. Il padre, Harald, e suo fratello sono due tipi molto intraprendenti. Capiscono che la Norvegia offre poche prospettive e opportunità di lavoro, così emigrano prima in Francia poi in Inghilterra, dove fanno fortuna nel commercio.

Roald ha due anni quando la famiglia Dahl si trasferisce in una lussuosa villa di campagna, poco lontano da Cardiff: è il 1918 e Roald ha due anni. Nei tre anni successivi la cattiva sorte piove sui Dahl come una grandinata: muoiono la piccola Astri e, pochi mesi dopo, il capofamiglia che non regge al dolore e si lascia morire.

Il Gloster Gladiator fu il velivolo con cui Roald Dahl compì un rocambolesco quanto rovinoso atterraggio nel deserto. E’ ricordato anche come l’ultimo caccia biplano in forza alla RAF e alla Royal Navy ma, a differenza del famoso Fiat CR-42 Falco italiano che rimase in servizio durante tutta la II Guerra Mondiale, il Gladiator fu ritirato rapidamente dalle prime linee per lasciare posto a ben più moderni Hawker Hurricane. (foto proveniente da www.flickr.com)

La madre di Roald, incinta, si ritrova così sola con cinque figli da sfamare. Ma Sofie Magdalene, è una donna forte e si appresta ad affrontare questa nuova fase della vita con determinazione e coraggio. Vende la grande casa, che non sarebbe riuscita più a gestire da sola, e lei e i bambini si trasferiscono in una più piccola. Dentro un baule porta con sé parecchie decine di taccuini che il marito aveva riempito, ogni singolo giorno, durante la Prima Guerra Mondiale. Roald, che disse di averne conservato uno, considerava il padre “uno straordinario scrittore di diari”.

Dopo aver frequentato la Scuola della Cattedrale dl Llandaff, da dove si fa quasi cacciare, la vedova Dahl iscrive il figlio alla St Peter’s School: considera le scuole inglesi – loro vivono poco distanti però nel Galles – come le migliori al mondo e mai avrebbe rinunciato ad assicurare al giovane Roald un’istruzione di alto livello, degna della loro famiglia.

Boy, così in famiglia l’hanno sopranominato, inizia una fitta corrispondenza con la madre, una lettera la settimana, che continuerà fino alla sua morte, nel 1957; le scriverà da scuola, dai luoghi di lavoro in Gran Bretagna e in Africa, e durante la guerra in Medio Oriente, mentre sul suo Hurricane cerca di contrastare i caccia della Luftwaffe: seicento lettere, che lei aveva scrupolosamente conservato, all’insaputa di tutti, e che lui ritroverà in seguito.

Sulla pagella di Boy, del III trimestre del 4° anno, figurano un “ottimo” in lingua inglese e voti poco più che sufficienti o discreti nelle altre materie, con un “molto buono” in condotta. Per far fronte ai lunghi mesi invernali di reclusione dentro i muri della St Peter’s School – “il manicomio” – lo chiama Roald, Boy ripensa alle sue vacanze estive che trascorre in una piccola e sperduta isola norvegese.

Roald Dahl è stato un prolifico autore di romanzi, racconti, sceneggiature, poesie e addirittura un’opera teatrale. Quelli ritratti in questo scatto sono solo una minima parte dei suoi volumi, molti di grandissimo successo editoriale e quasi tutti tradotti in innumerevoli lingue a testimonianza della bontà delle notevoli capacità letterarie di Dahl.

Puntualmente con l’arrivo della bella stagione, per dodici anni consecutivi, parte, assieme alla madre e ai fratelli, per raggiungere, dopo un avventuroso viaggio per mare e per terra di quattro giorni, la terra dei suoi avi. Per lui è una gioia immensa immergersi nella natura di “quell’isola magica” in un paese cui si sente profondamente legato, pur non essendovi mai vissuto se non per i brevi periodi di quelle “idilliache vacanze”. 

Vestito di tutto punto, indossando la divisa d’ordinanza, camicia bianca con colletto rigido, calzoni neri solcati da sottili righe grigie, bretelle, panciotto e infine una marsina, anch’essa di color nero, a coda di rondine, Roald entra a Repton: – Mi sentivo come “un apprendista di un impresario di pompe funebri” – scrisse nella sua autobiografia.

Il famoso collegio privato si trova nelle Midlands, a circa tre ore di treno da casa: è la fine estate del 1929 e Boy ha compiuto tredici anni. Nel primo trimestre, quasi schiavizzato dagli studenti più grandi, è obbligato da questi a scaldargli, durante i rigidi inverni inglesi, la ciambella del water, prima che questi ci si siedano. Per passare il tempo, seduto sulla tazza del cesso, in quei primi freddi mesi a Repton, legge l’opera completa di Dickens, l’autore che influenzerà molto i libri per bambini di Roald Dahl.

Il giovane Dahl però matura, durante quegli anni di collegio, due passioni che saranno per lui una sorta di riscatto: la fotografia ma, soprattutto lo sport: il gioco della pelota; è promosso, grazie alla sua abilità di calciatore a capitano, il che significa, nelle rigide istituzioni scolastiche private inglesi, essere degno del massimo rispetto e oggetto di ammirazione.

Con la pelota, la sua noiosa vita a Repton cambiò di punto in bianco e la prospettiva di trascorrere ancora altri anni in quella polverosa scuola divenne più tollerabile, anche perché il suo professore d’arte gli aveva fatto nel frattempo scoprire la fotografia e la pittura. Diventa così abile con la macchina fotografica che inizia a vincere premi; diverse illustri e blasonate organizzazioni, come la Royal Photographic Society o la Photographic Society of Holland lo premiano.

Al momento di scegliere l’Università, era destinato a Oxford o Cambridge, Roald però rinuncia e confessa alla madre di voler:

“andare dritto a lavorare per qualche compagnia che mi mandi in meravigliosi paesi lontani, come l’Africa o la Cina”.

E la Shell, dove è assunto nel 1933, qualche anno dopo lo accontenterà.

Il cognome Dahl è divenuto famoso anche per un’invenzione che nulla ha a che fare con la letteratura o l’aviazione: è la valvola Wade-Dahl-Till. Andò così: uno dei figli di Roald, Theo, era affetto da idrocefalia a causa di un disastroso incidente automobilistico. Per risolvere il suo grave problema di salute gli fu impiantata una speciale valvola che però tendeva ad incepparsi in quanto incapace di funzionare a causa dei detriti del liquido cerebrale, specialmente in pazienti in cui era presente sanguinamento e danno cerebrale come in Theo. Quando avveniva i disturbi provocati erano terribili (dolore, cecità e rischio di danni cerebrali permanenti) e talvolta richiedevano un intervento chirurgico d’urgenza. Dahl catalizzò le capacità del neurochirurgo infantile Till dell’ospedale pediatrico presso cui era in cura Theo e dell’ingegner Wade, ingegnere specializzato in idraulica di precisione con il quale condivideva la passione per l’aeromodellismo dinamico. Assieme misero a punto una nuova rivoluzionaria valvola che porta il loro nome: Wade-Dahl-Till, appunto. (foto proveniente da www.flickr.com)

Agli inizi degli anni trenta l’Europa è in preda ad una grave crisi economica e sociale, dopo il crollo di Wall Street del ’29. Mussolini è al potere da ormai un decennio e Hitler si appresta a edificare il Terzo Reich e a occupare e soggiogare quasi l’intero continente, mentre in Unione Sovietica Stalin è saldamente al potere. È l’inizio della fine per l’Impero Britannico.

Un’altra bella immagine di Roald Dahl che deve il suo nome di battesimo alla scelta operata dei suoi genitori in onore dell’esploratore norvegese Roald Amundsen, considerato in Norvegia un vero e proprio eroe nazionale e tragicamente scomparso tra i ghiacci nel vano tentativo di prestare soccorso al suo amico-nemico italiano Umberto Nobile, precipitato sul pack nel 1928 con una parte del suo equipaggio del dirigibile Italia … ma questa è un’altra storia. (foto proveniente da www.flickr.com)

Al momento dello scoppio della guerra, Roald si trova a Dar es Salaam, ed è in partenza per Nairobi, dove ha sede un centro di addestramento della RAF, l’aviazione inglese.

Dedicherà a questo periodo della sua vita africana il libro autobiografico In solitaria, che uscirà, con il titolo originale Going solo, nel 1986. Preso il brevetto di volo, con ottimi voti, è pronto ad andare a combattere. Durante però uno dei primi voli di trasferimento, a causa di errate indicazioni di rotta avute da un comandante di una base aerea, sorpreso dal buio, deve atterrare a bordo del suo biplano da guerra Gloster Gladiator in pieno deserto, in una zona accidentata: sceglie un tratto di terreno meno sassoso degli altri e posa le ruote a terra sobbalzando, incrociando le dita; non ha fortuna. A più di cento chilometri l’ora il muso del biplano si conficca nel terreno e la testa di Roald urta violentemente contro l’abitacolo. Il colpo gli causa un trauma cranico, la perdita della vista e denti rotti, e solo il suo istinto di sopravvivenza gli consente di uscire dal posto di pilotaggio già avvolto dalle fiamme. Una pattuglia di soldati inglesi lo recuperano in fin di vita.

l giovane pilota e futuro scrittore passa molti mesi in ospedale, con le bende sugli occhi e il volto attraversato da cicatrici, i segni degli interventi chirurgici, che gli avevano restituito la parvenza di un viso normale, cui i medici dell’ospedale anglo-svizzero di Alessandria d’Egitto lo avevano sottoposto.

Il 20 novembre del 1940 scrive alla madre dall’ospedale:

“Sono arrivato qui otto settimane e mezzo fa, e sono rimasto steso sulla schiena per sette settimane senza far niente. (…) Quando sono entrato ero conciato un po’ male (…) ma quaggiù hanno i più portentosi specialisti di Harley Street che sono entrati in servizio con la guerra. (…) Mi dolgono ancora gli occhi se leggo o scrivo molto, ma dicono che torneranno normali, e che sarò di nuovo pronto a volare più o meno fra tre mesi”.

Nel marzo del 1941, dopo cinque mesi di ospedale e uno di convalescenza che passa in un lussuoso hotel del Cairo, una commissione medica della RAF lo giudica di nuovo idoneo a pilotare, in zona di guerra, un caccia. Roald stenta a crederci quando gli restituiscono il suo libretto di volo: solo pochi mesi prima i medici gli avevano prospettato la possibilità di dichiararlo invalido e di rispedirlo in patria. Così si ritrova a bordo pista, pronto a decollare per il fronte greco, su di un aereo mai visto prima:

La splendida linea dell’Hawker Hurricane che, assieme ai Supermarine Spitfire, arginarono gli attacchi della Luftwaffe nel corso della Battaglia d’Inghilterra. Ancora oggi ne volano diversi esemplari, specie in Gran Bretagna. Chissà che questo possa indispettire i tedeschi del XI secolo?! (foto proveniente da www.flickr.com)

“Ero sbalordito quando mi allacciai per la prima volta le cinture nell’abitacolo dell’Hurricane. Era la prima volta che volavo su un monoplano. Era senza dubbio il primo aereo moderno su cui volavo. Era infinitamente più potente e veloce e complicato di tutti quelli che avevo visto. (…) Non avevo mai pilotato niente di simile. (…) L’idea di tuffarmi nel Mediterraneo mi preoccupava infinitamente meno del pensiero di rimanere per quattro ore e mezzo in quella minuscola cabina di pilotaggio. Ero alto un metro e novantotto centimetri, e quando ero seduto in un Hurricane assumevo la posizione di un feto nel grembo materno”.

Arrivò a destinazione, la base aerea di Eleusi, a pochi chilometri da Atene, dopo quattro ore e mezzo di volo. Le gambe erano così rattrappite che gli avieri, a terra, dovettero estrarlo a peso morto dall’abitacolo. 

Forse è durante quel volo che partorì l’idea della storia dei Gremlin, una sorta di spiritelli dispettosi che, secondo i piloti, si intrufolavano negli aeroplani della RAF smontando pezzi e causando danni: gnomi dispettosi e pericolosi.

Dahl proporrà il racconto qualche anno dopo alla Disney che affidò ai Gremlin un ruolo in un fumetto, pubblicato dalla Random House da titolo, The Gremlins. Una storia ambientata nella RAF, del tenente pilota Roald Dahl, dove, durante la Battaglia d’Inghilterra, un pilota da caccia incontra un gremlin:

Come testimonia la copertina di questo consunto libro, il romanzo “The Gremlins” ha come protagonista un Hawker Hurrican e le piccole creature dispettose divenute poi celeberrime grazie allo stravolgimento cinematografico operato dallo sceneggiatore Chris Columbus e realizzato visivamente dal regista Joe Dante, tuttavia l’idea di base – originalissima, non c’è che dire – è e rimane del pilota Roald Dahl (foto proveniente da www.flickr.com) 

“Un pilota di nome Gus, pattugliando con il suo Hurricane a 18.000 piedi (600 metri, N.d.T.) sopra Dover, stava inseguendo uno Junkers 88 e lo stava innaffiando con le sue mitragliatrici con corte e precise raffiche. Poteva vedere un sacco di piccoli sbuffi che si alzavano dal muso dello Junkers mentre il mitragliere di coda tedesco rispondeva al fuoco. Gus diede un’occhiata a dritta, e là, in piedi sull’ala del suo Hurricane vide un piccolo uomo, non più alto di sei pollici ( 15 cm. N.d.T.), con una grande faccia rotonda e un paio di piccole corna che spuntavano dalla testa. Indossava un paio di stivali neri a ventosa che gli permettevano di rimanere in piedi sull’ala a 300 miglia (480 km, N.d.T.) all’ora.”

Il soggetto di The Gremlins fu poi ripreso e stravolto, nel 1984, trasformato in un film horror, commedia tinta di nero di grande di successo diretto da Joe Dante, e che ebbe con numerosi seguiti.

Il giovane pilota Roald si accorge subito che dovrà affrontare l’aviazione tedesca, che schiera molti più aerei e meglio armati: la Luftwaffe ha il pieno controllo dei cieli greci; non passa giorno che il capopattuglia, al ritorno dalle missioni di caccia, segnali delle perdite. Solo la spregiudicatezza e lo sprezzo del pericolo, tipico dei giovani, irrora coraggio nelle vene a piloti come Dahl e la determinatezza di alzarsi ogni volta in volo, sapendo di andare incontro alla morte.

In occasione del centenario delle sua nascita e dopo aver dedicato la deriva dei propri velivoli a grandi personaggi del mondo scandinavo come Christian Andersen e Edvard Munch, nel 2016 la compagnia aera low cost Norwegian ha ritenuto opportuno e doveroso riservare la deriva di questo suo Boeing 737-800 al suo celebre connazionale Roald Dahl. Considerato uno dei più grandi scrittori per l’infanzia del mondo anglosassone e, ovviamente norvegese, Dahl ha vissuto buona parte della sua esistenza in Gran Bretagna divenendo britannico per antonomasia ma il suo viso che pare osservare il muso del jet commerciale sta a testimoniare le sue chiare origini norvegesi. (foto proveniente da www.flickr.com)

Tra il 17 e il 20 aprile del ‘41, Roald affronta i caccia nemici in dodici missioni: tre al giorno. I suoi compagni di squadriglia continuano a morire sotto i suoi occhi. Lui se la cava solo per fortuna: al rientro dalle sortite contro i Messerschmitt e gli Junker 88 tedeschi, il suo Hurricane è spesso sforacchiato come un colabrodo, ma integro e meccanici e avieri riescono sempre a rattoppare in qualche modo i fori dei proiettili nemici.

Poi nel maggio successivo la RAF collassa. Roald e la sua squadriglia sono costretti a rifugiarsi prima in Egitto poi in Palestina; da Haifa invia una lettera alla famiglia e non sa ancora che quella sarà l’ultima dal fronte di guerra:

“Cara mamma, ultimamente abbiamo volato piuttosto intensamente. (…) A volte ho fatto anche sette ore il giorno, che un bel po’ su un caccia. Però la mia testa non l’ha presa affatto bene e gli ultimi tre giorni sono rimasto a terra. (…) Ho cinque abbattimenti confermati, quattro tedeschi e uno francese (dell’aviazione del governo collaborazionista di Vichy, N.d.R.). Il gruppo ha perso quattro piloti nelle ultime due settimane. (…) Per il resto questo paese è una bellezza, e indubbiamente vi scorre il latte e il miele…”

Il telegramma successivo annuncia ai familiari il suo ritorno in patria, congedato, per non essere più idoneo al volo. E lui in fondo ne è contento, anche se è un po’ rammaricato perché solo ora, dopo quei lunghi mesi di guerra aerea, si sente un vero pilota. La vecchia ferita alla testa si è rifatta viva e il cervello sottoposto alle forti sollecitazioni causate dalle acrobazie del volo, risponde provocandogli pericolosi capogiri e annebbiamento della vista. Il responso medico della commissione è impietoso e insindacabile: riformato e non più in grado di pilotare un aereo.

Per Roald Dahl è l’inizio di una nuova vita: da giovane pilota a scrittore. Sette mesi più tardi, dopo l’attacco giapponese alla base navale americana del Pacifico di Pearl Harbour, gli Stati Uniti d’America, escono dall’isolazionismo correndo in aiuto delle democrazie occidentali ed entrano in guerra a fianco dell’Inghilterra.

Il governo guidato da Winston Churchill affida a Roald Dahl l’incarico di consulente aeronautico, come comandante di stormo, presso l’ambasciata inglese negli Stati Uniti. Così Boy, dopo un periodo di riposo trascorso in patria, fa le valige e si trasferisce a Washington.

Forte è il sospetto che, come altri intellettuali inglesi dell’epoca, il suo compito fosse procacciarsi informazioni e dati sensibili per conto del suo governo e svolgere azioni di propaganda: è il 1942.

Nella capitale degli USA fa la conoscenza dello scrittore Cecil Scott Forester: inglese come Dahl, era un romanziere diventato famoso per la saga letteraria incentrata sull’eroe dei mari il capitano Hornblower.

Ancora una bella immagine di un Gloster Gladiator scattata ai giorni nostri sebbene il velivolo sia chiaramente originale della fine degli anni ’30. Su una questione occorre riconoscere che i britannici sono davvero encomiabili: conservano egregiamente la loro storia, specie quella aviatoria, tenendo in vita e mostrando in volo – anziché solo nei musei – macchine davvero storiche come questa. In Italia se non ci fosse l’HAG – Historical Aircraft group, a restaurare e a mantenere in attività volativa gli aeromobili d’epoca, a malapena ci rimarrebbero i musei – pochi – a ricordarci la nostra storia in termini di Aviazione (foto proveniente da www.flickr.com)

Forester, intravede in Dahl la stoffa del narratore ed è grazie proprio a lui che l’ex pilota di Hurricane scrive e pubblica Shot Down Over LibyaAbbattuto in Libia, cui seguirà, nel 1946, Over to you: Ten stories of flyers and flying, una raccolta dei suoi primissimi racconti, ispirate alla sua esperienza di guerra, che segnano l’inizio della sua brillante carriera di scrittore di libri per l’infanzia: James e la pesca gigante, Gli Sporcelli, Il GGG, Matilde, La fabbrica di cioccolato, quest’ultimo divenne anche un grande film di successo e tanti altri. Ma Boy trova anche il tempo per scrivere sceneggiature, come, per esempio, quelle di Chitty Chitty Bang Bang e Agente 007- Si vive solo due volte.  

Roald Dahl si dedica alla scrittura con lo stesso impegno e dedizione che aveva profuso per ottenere il brevetto di pilota, ed è molto severo verso sé stesso e critico verso quello che scrive, fino a rivedere un suo testo anche 150 volte. Prima di vergare anche una sola parola, seduto al tavolo rinchiuso nel suo nido, una casetta di legno zeppa di oggetti e ninnoli, segue un preciso rituale, finché si butta a capofitto sulle pagine bianche scrivendo, in modo disciplinato, però non più di due ore. Ma il lavoro più impegnativo per lui è la riscrittura del testo che deve essere fatta “a freddo”, per lasciare che le parole e le frasi trovino il loro posto esatto all’interno della trama, sedimentandosi e imprimendo la loro indelebile impronta sulla carta.

Ormai anziano e malato, dopo aver divorziato dalla prima moglie Patricia Neal, colpita da un ictus, aver perduto due figlie, Olivia di soli sette anni, e con il loro fratello Theo affetto da idrocefalia, Roald Dahl, in un’intervista a un giornale inglese si scaglia contro Israele e gli ebrei, accusandoli:

“di  mancanza di generosità verso i non ebrei. Voglio dire che c’è sempre un motivo se un sentimento contro qualcosa spunta ovunque”

e, ancor più grave, rilascia, sempre in quell’occasione, una dichiarazione che suona quanto meno fuori luogo:

“Anche una carogna come Hitler non se l’è presa con loro senza alcun motivo”.

Ancora una bellissima immagine che ritrae un Gloster Gladiatore e un Sea Hurricane in volo in formazione. Sembra quasi che il biplano ceda idealmente il testimone al moderno monoplano come peraltro storicamente avvenne. La presente nota biografica, a cura di Massimo Conti, è una gradita quanto inedita anticipazione dell’immane lavoro che sta svolgendo in termini giornalistici: 50 biografie dedicate agli scrittori-aviatori di tutte le nazionalità e di tutti i tempi. Lodevole iniziativa! Auguriamo a Massimo di concludere al più presto la sua opera, certi che divoreremo il suo volume per darvene conto in una doverosa recensione. Buon lavoro, Massimo! (foto proveniente da www.flickr.com)

Ciò sorprende in un uno come lui che si è sempre circondato d’intellettuali di origine ebraica, come Amelia Foster, direttrice del Roald Dahl Museum and Story Centre a Great Missenden.

Ed è proprio nel cimitero del piccolo villaggio nella contea del Buckinghamshire, a un’ora e mezza di strada a nord di Londra, che lo scrittore pilota inglese è sepolto, dal 1990, nell’amata Inghilterra tanto stimata dai suoi adorati genitori norvegesi.

Trent’anni dopo la sua morte, la famiglia di Dahl si è dovuta scusare pubblicamente per le esternazioni fatte a suo tempo da chi da pilota volle diventare uno scrittore.


Testo a cura di Massimo Conti, didascalie della Redazione di VOCI DI HANGAR



Articolo giornalistico / Medio – lungo

Inedito

§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Massimo Conti

Riga

biplano sbatte alaÈ il racconto del suo memorabile volo su un jet delle Baltic Bees, compagnia acrobatica civile lettone.

Anche questo racconto, come quello intitolato: “Un figlio come passeggero”, selezionato e pubblicato nell’antologia del premio letterario “Penna Alata”,  è stato tratto da un libro inedito in cui ha raccolto e ricordato le sue esperienze in campo aeronautico.

“Riga” ha invece partecipato alla II edizione del  Premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014, senza però essere dichiarato finalista.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

 

Il ritorno del falco

La superficie di metallo scintillava sotto i primi raggi del sole. I passi decisi del capitano Nicoteri sembravano lasciare una traccia sull’asfalto levigato della pista. L’uomo si dirigeva verso il velivolo che era hangarato, a circa quaranta metri di distanza, nello shelter numero 12. Gioiello della moderna tecnologia, l’AFC, acronimo di: “Air Free Control”, questo il suo nome tecnico, faceva la sua bella figura: aspetto snello e scattante, cruscotto super equipaggiato, cabina di pilotaggio comoda ed ergonomica. Insomma, era davvero il vanto dell’aeronautica! Era stato progettato, per missioni di pace, in cui la ricognizione e il recupero rappresentano aspetti importanti; ma era dotato, anche di un discreto armamento per la difesa. Quella mattina, l’ufficiale era particolarmente silenzioso: si preparava ad affrontare una missione importante, ma, i suoi pensieri erano immersi in ben altre preoccupazioni. Salendo a bordo del suo aereo, si sistemò e poi chiese, alla base, l’autorizzazione per il decollo. Era ormai, da mesi, che venivano effettuati gli ultimi test di controllo tecnico e di volo, in vista dell’incarico imminente. Con la calma e la sicurezza di un pilota esperto, Daniele, questo il nome del capitano, cominciò a librarsi nel cielo limpido a bordo del suo compagno di missione. Sin da bambino, aveva desiderato di far parte dell’Aeronautica Militare e quando dieci anni prima, il suo sogno era diventato realtà, credeva di essere l’uomo più felice del mondo! Però, non aveva fatto i conti con un aspetto importante della vita: non si può impedire alle ali del cuore, di raggiungere le vette più alte! Durante il volo, i suoi pensieri presero una direzione inaspettata: ritornarono indietro, ad un mese prima, quando l’ufficiale era a Parigi per un seminario con i suoi colleghi francesi presso il Comando Centrale, ospite dell’Armée de l’Air, l’Aeronautica militare francese. Una sera, durante le ore di libertà, si ritrovò in un locale della capitale ed incontrò lei: splendida figura, appoggiata al bancone del bar, che sorseggiava il suo cocktail con un’espressione malinconica sul volto. Avvicinatosi, le chiese come stava, quasi la conoscesse da tempo e da quel momento la sua vita cambiò radicalmente. I battiti del cuore seguivano fedelmente lo sguardo della donna che, con tono secco ed asciutto, gli parlò della sua delusione amorosa. Quando la sconosciuta stava per andare via, il capitano si offrì di accompagnarla. La magia avvolse entrambi ed assieme furono trasportati al settimo cielo, dalla forza magnetica dell’innamoramento. Il giorno seguente, l’uomo non la rivide e solo dopo una settimana, la donna gli comunicò la sua decisione di lasciare la città. Era anche lei di passaggio, giunta a Parigi, soltanto per un seminario sul birdwatching. La giovane donna di cui si era innamorato, era un’esperta naturalista che si occupava di volatili, più precisamente, organizzava visite guidate nei luoghi più suggestivi del mondo per appassionati di avifauna. Ma ciò che apparve più sorprendente fu che anche lei era italiana come lui. Era andata a Parigi per lavoro, sì, ma anche per dimenticare. Improvvisamente, la voce del collega, controllore del traffico aereo della base militare, lo distolse da quei ricordi: “Falco da Centrale operativa. Capitano, è ora di rientrare”. “Centrale, da Falco, ricevuto: rientro subito.” Nella discesa l’uomo avvertì un senso di liberazione. L’indomani avrebbe avuto del tempo libero per poter incontrare di nuovo la creatura che l’aveva così tanto ammaliato. Natascia, questo il nome della donna, era arrivata in città per motivi di lavoro; il capitano non poteva lasciare nulla di intentato … Tornato a casa quella sera, stava per addormentarsi, quando il telefono squillò. Era suo fratello Andrea: gli comunicava che il padre aveva avuto un malore ed era stato ricoverato d’urgenza, al policlinico della città. La notizia imprevista rattristò non poco l’ufficiale e promettendo di fare visita all’anziano genitore, avvertì una leggera morsa, che gli stringeva il cuore. La mattina seguente, sotto la pioggia, l’aeronauta si recò in ospedale. Attorno al letto dell’anziano genitore c’erano proprio tutti: sua madre, il fratello maggiore e sua moglie, sua sorella Sabrina. Appena lo vide, papà Guglielmo lo invitò ad avvicinarsi: “E’ da tempo, che non ci vediamo, noi due. Come stai, figlio mio?” Era davvero curioso: il malato chiedeva al sano, notizie sul suo stato di salute! Daniele si commosse ed abbracciò con tenerezza il genitore. “Vedrai, che tutto andrà per il meglio. Ne sono sicuro …” lo rassicurò, lasciando la presa, carica di affetto. Lo sguardo dell’altro si commosse, padre e figlio parlarono ancora, per una decina di minuti. All’uscita dall’ospedale, il capitano si sentì sollevato; il lavoro lo portava spesso fuori casa e quindi non aveva molto tempo a disposizione da trascorrere in famiglia. Incamminandosi verso l’albergo di Natascia, fece una promessa a sé stesso: in futuro avrebbe cercato di essere più presente, per le persone che amava. Arrivato nella hall dell’albergo, chiese della donna alla reception, salì al quarto piano dello stabile e bussò alla porta, con fare deciso. Dopo alcuni secondi di silenzio, udì dei passi che si avvicinavano all’ingresso: l’uscio si aprì e due occhi azzurri fecero capolino dalla penombra della stanza. Entrato, l’uomo iniziò col dire: “Scusa la mia insistenza, ma avevo davvero bisogno di vederti!”. Una pausa di riflessione riempì i due minuti che seguirono ed infine il capitano proseguì, come un fiume in piena: “Fra tre giorni, partirò per una missione all’estero, ma al mio ritorno, desidero una risposta da parte tua.” “Una risposta a cosa?” fu la domanda spontanea, della sua interlocutrice. Nella fretta, Daniele aveva trascurato di farle la fatidica domanda: “Sì, hai ragione; al mio ritorno mi dirai, se hai intenzione di accettare la mia proposta di matrimonio!” Un sospiro forzato, ma liberatorio, concluse il breve discorso e Natascia arrossì. Passarono alcuni interminabili minuti e poi la voce della donna giunse alle orecchie dell’uomo: “Non so proprio cosa dire! Questa incredibile proposta, mi lascia senza parole …” L’espressione sul suo viso era sinceramente sorpresa. Mentre parlava, la sua mente ritornò a quella notte magica di Parigi, trascorsa assieme al capitano. Era stata travolta da un sentimento mai conosciuto prima, così potente ed inarrestabile, come la forza di un uragano. Aveva avuto paura e per questo motivo si era allontanata da lui; riprese quindi dicendo: “ Fra quanto tempo, ritornerai?” “Una decina di giorni al massimo, si tratta di una missione lampo.” “Al tuo ritorno, avrai la risposta.” Fu questa l’affermazione precisa, della donna. A Daniele bastava, per il momento, così, salutandola freddamente, uscì dalla sua camera. Un soffio di vento lo colse lungo la strada, appena voltato l’angolo dell’isolato. Ancora pochi giorni e sarebbe partito: la meta era uno stato africano dove, secondo fonti sicure dei servizi di intelligence, si stava formando un nuovo nucleo terroristico. Trascorse i giorni che rimanevano alla partenza per la missione, in assoluto relax, cercando si concentrarsi sul delicato lavoro da compiere. La mattina tanto attesa arrivò ed il capitano si librò in volo, con il suo velivolo, non prima di aver saputo che le condizioni di salute di suo padre, miglioravano. Avrebbe percorso il tragitto in tre tratte, con soste in basi logistiche, predisposte sul territorio straniero. Era trascorsa una buona mezz’ora, dal momento in cui aveva decollato, quando ebbe una strana sensazione; avvertì un senso di torpore che salendo dalle gambe lo avvolgeva, come le spire di un cobra. In pochi minuti si addormentò, fu inevitabile, ma il suo aereo, governato dall’autopilota cambiò rotta. Vettorato da un comando remoto , giunse alfine in Arabia Saudita.

Il capitano sembrava rilassato, steso sul letto in una stanza poco illuminata. Dopo alcuni istanti, lentamente, si svegliò: un forte mal di testa gli impediva, di rendersi conto della situazione. Poi, poco a poco, si alzò e rifletté, su quello che era successo. Era ancora vivo e questo gli sembrò davvero strano! Mentre aveva iniziato a ricostruire gli avvenimenti che l’avevano condotto lì, fu interrotto dal rumore di una chiave che aprì la porta della camera. Un militare di carnagione olivastra e dagli occhi grigi, gli fece cenno di seguirlo: dopo aver percorso un lungo corridoio, arrivarono ad una sala rotonda, in cui lo attendeva, quello che sembrava essere un generale. Lo sconosciuto non badò ai convenevoli: aveva intenzione di carpire i dettagli della missione, che il capitano Nicoteri avrebbe dovuto compiere. Naturalmente, Daniele si rifiutò di rivelare i segreti militari che custodiva, così il suo avversario lo invitò a ritornare nella stanza dove era tenuto prigioniero; senza mangiare né bere (per giorni), forse la sua decisione sarebbe cambiata. Una volta accompagnato nella sua cella, Nicoteri, realizzò, che doveva agire alla svelta. Individuò la grata del condotto di aereazione e in breve fu all’estero dell’edificio che lo intrappolava. Intravide il suo velivolo hangarato in una specie di ricovero di fortuna, coperto da reti mimetiche e lo raggiunse. Durante la corsa, avvertì un dolore sordo al braccio destro: era stato colpito di striscio da una guardia, che ne aveva scoperto il tentativo di fuga. Senza smettere di camminare, velocemente, l’uomo arrivò comunque, al piccolo aereo. Si sistemò nell’abitacolo e lo mise in moto. Un breve sguardo agli strumenti di bordo gli confermò che era stato rifornito ma era privato delle armi. Il velivolo si avviò immediatamente. Inutile fu la reazione che i militari arabi ingaggiarono per cercare di fermare il suo decollo. Una volta staccatosi da terra, l’AFCdivenne irraggiungibile. Dopo oltre quattro ore di volo, il nostro eroe improvvisato, intravide le coste del suo paese ed emise un lungo sospiro di sollievo. Il destino era stato gentile con lui, ed anche se la ferita continuava a dolergli, ormai poteva considerarsi fuori pericolo. Nel frattempo, la sorella Sabrina era stata avvertita della sua scomparsa e, preoccupata, aveva avvertito Natascia, che conosceva già da tempo. Le donne si era precipitate alla base, in attesa di notizie confortanti. Mentre Daniele rientrava alla base, riaffiorò in lui un ricordo che sembrava sepolto nelle pieghe della memoria. Quando era bambino, durante una vacanza estiva a contatto con la natura, aveva visto un falco che cercava un nido per i suoi piccoli; è noto, infatti, che questi volatili non costruiscono nidi propri, ma utilizzano quelli lasciati da altri uccelli, oppure sfruttano tronchi cavi o cavità nella roccia. La sua curiosità infantile era rimasta così impressionata dall’aspetto regale di quell’animale alato che aveva pregato il padre di condurlo ogni giorno, in quel luogo, per seguire la cova delle uova. Dopo circa un mese, ebbe la meravigliosa sensazione di essere stato, anche lui, un membro della famiglia dei falchi: vennero alla luce quattro splendidi falchetti, che non aspettavano altro di essere imboccati da papà falco. L’abile e rapido volatile ritornava sempre dai sui piccoli … Il ricordò sfumava, lasciando il posto alle manovre di atterraggio che Daniele eseguì con cura ed attenzione, assistito dalla torre di controllo militare. Con sua grande sorpresa, vide ai bordi della pista, le due donne che attendevano con trepidazione il suo ritorno. Sabrina e Natascia unite dall’ansia per la sorte del pilota che, magicamente, si stava trasformando in gioia, erano abbracciate e si lanciarono verso l’uomo, non appena l’aereo raggiunse lo shelter. Calde lacrime di serena commozione, invasero il volto dell’ufficiale, che fu quasi soffocato dall’entusiasmo del loro abbraccio. Finalmente anche lui era ritornato a casa, come il falco dei suoi ricordi di fanciullo …


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Chiara Scamardella

Roma-Venezia da passeggero

Sono in fila al bancone dell’accettazione, aspetto. “il Comandante la accetta sullo strapuntino, il volo è pieno”. Sorrido prendo la mia carta d’imbarco con la scritta “jump seat” e mi avvio nel finger.

Entro a bordo, saluto il Capo Cabina, poi mi giro a sinistra, il Comandante sorride: “ciao ciao, entra, accomodati, benvenuto a bordo”.

Sorrido di nuovo a mia volta, faccio un passo avanti e vengo colpito dall’odore.

E’ un odore che è conservato nella memoria, lo conosco benissimo, è odore di cabina di pilotaggio. Il lettore si meraviglierà: “eh, già ora anche le cabine hanno un odore!!!” Si, non solo hanno un odore, ma è caratteristico; difficile da definire, devi chiudere gli occhi e lasciare che l’odore venga catturato dall’olfatto e ti lanci indietro, quasi tele-trasportato (si, basta l’odore, altro che scienza) in una dimensione in cui tu sei seduto di nuovo in cabina, in divisa, e le tue mani si muovono sicure su interruttori, leve, pulsanti guidate dal subconscio.

L’odore è dato dalla tappezzeria, dai sedili in pelle di agnello, dalla polvere stantia, dal liquido usato per pulire gli schermi degli strumenti, dal sudore tuo ed altrui e, sicuramente, dall’anima di quei piloti che anche dopo avere avuto la possibilità di andare in un mondo forse migliore, hanno deciso di continuare ad albergare in una cabina di pilotaggio.

Mi accomodo sullo strapuntino, mi allaccio le cinture e quando guardo in avanti, la bocca assume involontariamente il sorriso – spronata dal senso di felicità che si diffonde dentro di me: luci colorate, verdi, gialle e rosse, queste ultime due destinate a scomparire man mano che i sistemi di bordo si attiveranno.

Poi, quasi provenendo da un altro mondo, mi sorprende la voce del controllore che entra in cabina attraverso gli altoparlanti e la riempie, manco fosse panna montata: “Alitalia 1477 clear to start”. Sono ancora lì con la mente offuscata e beata dagli odori, dai suoni, dalle voci, dalle lucette, quando le mani dei piloti iniziano la loro danza, click, click, click e poi: “before start checklist”

Ormai sono affascinato, i ricordi mi subissano, le emozioni prendono il controllo, ma la memoria torna e la sequenza si illumina come se fosse un continuum di luci che mi indicano la strada.

La procedura di messa in moto è iniziata: un interruttore, una conferma vocale e così: “N2, 20%, fuel flow, EGT”. Si, è routine, ma mi manca, e… quanto ti può riempire la routine?

Sei lì che guardi che le cose vadano come devono, pronto ad interromperla, ma lei si snoda come perle che entrano in un filo e alla fine la collana è lì che splende. Impianti pronti, luci gialle e rosse spente … una meraviglia …

Mi appoggio allo schienale, respiro e mi rilasso, guardo fuori, un sole caldo splende, quel colore di cielo che ti fa desiderare di stare in cima ad una montagna … iniziamo il rullaggio. Arriviamo al punto attesa, le emozioni sembrano finite, l’equipaggio ha completato i suoi controlli, il capo cabina ha riportato la cabina pronta al decollo.

Stiamo andando a Venezia … un’oretta, magari riesco anche ad appennicarmi…

Entriamo in pista … e accade improvvisamente, inaspettatamente, dopo la frase: “Take-off power”.

Un mostro ha iniziato a respirare, ha preso fiato e ora espira, ci sono indicazioni strumentali: lancette che girano vorticosamente e si stabilizzano ai valori previsti, io sono impietrito, travolto. Sapevo che sarebbe successo, si lo sapevo, ma era proprio così????

Il Super-80 sembra voglia divorare la pista, è una vera e propria aggressione, “la pista è mia, me la prendo e la divoro, fatemi largo”. “Speed alive, 80 knots, V1, VR” le velocità vengono chiamate in successione, pochi secondi e alla VR la cloche va all’indietro, e … come ho già scritto altrove:

“Eccolo si ripete, come ogni volta, il miracolo del volo manifesta la sua magia … miriadi di particelle d’aria vengono scompigliate, strappate dalla loro quiete dall’ala che avanza sempre più veloce. “Rotazione” e mentre la cloche viene tirata indietro, i piani di coda si flettono verso l’alto imponendo la rotazione del mezzo intorno al fulcro del carrello. La baruffa delle particelle continua ma si dispongono in maniera diversa, si auto-ordinano, le leggi fisiche che governano il moto dei fluidi consentono la nascita di forze che la natura ha reso proprie solo agli uccelli: la portanza infine manifesta la sua potenza e voliamo!!

Il mezzo meccanico ha smesso di sobbalzare e saltellare sulla pista e si trasforma da mezzo terrestre in uccello di metallo che si inerpica verso la luce.

Sono affranto, una mano mi ha afferrato il plesso solare e lo sta stringendo convulsamente, il brivido che mi ha assalito non smette di tormentarmi, … “1500 feet, climb trust”, la voce del pilota sottolinea e poi entra dall’altoparlante altra panna montata: “Alitalia 1477 come right, heading 310, climb level 140, no speed restrictions”.

Il resto è storia, viriamo a destra verso Nord, io scopro di essere stato in apnea, travolto da emozioni e ricordi, attimi vissuti e rivissuti, attimi cui non facevo più caso, ma ora, dopo mesi che non sono più seduto in quel sedile, quello che provo non è meraviglia o stupore o nostalgia: è dolore!!!

Ormai filiamo verso l’alto sempre più veloci, livelliamo a 29.000 piedi, mach 0,75. Il terreno scorre sotto di noi, mi rilasso di nuovo, in cabina chiacchieriamo del più e del meno. Parliamo di sogni interrotti – stuprati da una realtà che ha preso forma e ci ha travolti – e poi di nuovi sogni, di desideri, di proposte, la vita continua e scorre, proprio come il terreno sotto di noi e noi, proprio come un aeroplano, non ci possiamo fermare.

Iniziamo la discesa, è il tramonto, ma andiamo per prua quasi Est, il sole è dietro di noi, non ci saranno spettacoli pirotecnici del giorno che si inabissa nell’orizzonte, il controllo del traffico aereo ci autorizza all’avvicinamento diretto per pista 04. Ma son contento: quello che ho vissuto mi ha appagato, ma soprattutto sorpreso abbastanza da “fare il mio giorno” frase che suona molto meglio in inglese “it did my day”.

Poi allineati in finale guardo la laguna e mi stupisco di nuovo. “Vittozzi, quante volte hai visto Venezia?” mi dico dentro di me, apostrofandomi per cognome come tutte le volte che mi voglio rimproverare, “eh si, ma invece di rompere guarda anche tu” rispondo alla voce interiore; sicché guardiamo e rimaniamo tutti e due, e tutto il resto del condominio di sé che alberga dentro di me, senza parole.

La luce colpisce Venezia arrivando dalle nostre spalle, la città è una perla ocra che splende contro il celeste pieno del cielo parzialmente riflessa dallo sfondo azzurro intenso del mare. Non è romanticismo, è realtà, è il mondo dall’alto, quella meravigliosa terra vista da una prospettiva privilegiata … Canal Grande, Rialto, i ricordi terrestri si affollano, ma la grandiosità dell’immagine riempie tutto, una sorta di meditazione che non lascia spazio ad altro…

1000 piedi sul Ponte della Libertà, le luci aeroportuali davanti a noi, continuiamo sul sentiero di discesa, da destra compare l’abbandonata ombra che va a riunirsi al legittimo proprietario, un contatto soffice, l’uccello torna mezzo meccanico.

Sospiro, altre emozioni mi aspettano, ma quelle vissute finora, amalgamate a ricordi, routine, stupore e dolore mi hanno veramente ridato l’amato e un po’ smarrito, senso del volo.

Grazie a Gustavo e Loris che han permesso che tutto questo avvenisse con un semplice “benvenuto in cabina”!!

Paolo Vittozzi Comandante Alitalia Express su Embraer-145


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Hangar con Biplano e Honda - Nate Stevens
Paolo Vittozzi

Raid dei due mari, ci saremo!

Siamo euforici, in due – gemelli ad un anno di distanza – passiamo i 90 anni, eppure siamo euforici. Amici da 28 anni, la vita ci ha condotto su strade diverse, ma la passione per il volo ci e rimasta, al punto che quando decisi di acquistare il Buccaneer mi venne a trovare in Toscana, è stato il primo amico a volare con me sull’acqua, tanto quanto è stato il primo a rimanere in panne con me nell’acqua … mi auguro sia anche l’ultimo. Ma torniamo all’euforia.

Quando gli ho detto che avrei partecipato al raid dei due mari mi ha guardato e mi ha chiesto “cos’é?”. Dopo la spiegazione mi guarda di nuovo, china la testa da un lato e sussurra: “Lo so che hai bisogno d’aiuto: verrò con te”. Poi è stato un gioco. Le relative compagne si rassegnano: “Sembri proprio un bambino!!” – “Sembro? no, sono un bimbo, ma non è per questo che mi vuoi bene?” Sicché, dopo aver rattoppato, pulito, lucidato, cambiato e quant’altro ora non mi viene, la sera di mercoledì 13 giugno, per impegni di entrambi, l’ultimo giorno di libertà prima della partenza, ci vediamo al campo di volo. Ultimi controlli. Chiamo Rodolfo e prendo appuntamento per rifilargli 8kg d’olio e 5kg di tenda, montiamo l’ultimo ritrovato in materia di ostacolo fisico all’acqua che entra: abbiamo finito. Sono le 20.00. Il sole é ancora alto, l’aria e calma e si sente il canto delle sirene. Non parliamo neanche, lo tiriamo fuori dall’hangar. E’ tutto lucido “Orville” (un nome un programma, sto aspettando gli adesivi, poi vedrete!!!), bianco e blu, il mio “barcaereo” fa proprio una bella figura. Urlo “via dall’elica”, aspettiamo i 40 gradi canonici dell’acqua e in 10 minuti ci involiamo nell’atmosfera serotina.

“Al lago, voglio vedere se entra l’acqua”. Tutto perfetto, ammariamo in 15 minuti, capisco quasi subito che l’ultimo ritrovato di cui sopra, aggiunge solo 50 grammi di peso, ma l’acqua entra eguale. Siamo fermi in mezzo al lago. Non c’e vento, guardo in basso, magari la sirena viene fuori sul serio. Invece no. Pompa di sentina, svuoto e … via: motore, cloche alla pancia, poi tutta avanti, poi in centro sul redan e via in aria, verso casa.

Il sole ormai rosso acceso ci fa da faro. Si atterra per 27, ma d’estate il sole tramonta più su, una volta allineati rimane sulla destra. Scendiamo, minimo, contatto, tutto ok. La buca non la vediamo, ma la sentiamo, una come tante, invece … crack e Orville punta deciso a sinistra, il freno destro non argina la virata, siamo fermi al lato sinistro della pista, magneti off e … cribbio il carrello sinistro … è lì che pende monco, zampetta spezzata.

Il pensiero é comune: e il raid? Nell’ora di luce che rimane facciamo body building e lo tiriamo su a sinistra, quanto pesa per essere un ULM, mettiamo del supporto sotto lo scafo, e ci rendiamo conto della sua inamovibilità. E’ tardi, sudati e stanchi decidiamo di mangiarci un piatto di pasta per consolazione e aiuto alla riflessione. Fred mi ospita, rimanendo da lui evito 30 km di traffico, la moglie si fa in quattro, grande e delicata donna!! Ci svegliamo alle 6.00, alle 7.00 siamo per strada, alle 08.00 il carrello é smontato, alle 09.20 siamo dal fabbro, io vado a lavorare, non mi posso esimere. Fred mi chiama dopo tre ore: carrello riparato e consegna effettuata a Rodolfo … si parte lo stesso. Raid dei due mari, ci saremo!


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Paolo Vittozzi