Incontro tra piloti

“Sono in anticipo … mi posso fermare a prendere un caffè …”

Era un giovedì mattina ed ero sul raccordo anulare di Roma. Normalmente arrivo agli appuntamenti sempre in orario o in leggero ritardo e il fatto di essere in anticipo mi dava finalmente un po’ di tranquillità.

L’autogrill era là davanti a me, per cui misi la freccia ed entrai nella corsia che immetteva al piazzale davanti al bar. Parcheggiai vicino a una station wagon scura con una targa inglese. Notai un signore distinto, non molto alto, con pochi capelli bianchi, vestito di un completo marrone con una cravatta sul rosso che mi osservava stranamente.

Scesi dall’auto e la chiusi, avviandomi in direzione del bar.

Mentre camminavo ebbi una strana impressione … cosa faceva quella persona ferma e perché mi guardava con interesse?

Da più 20 anni frequentavo quasi quotidianamente l’autostrada e gli autogrill e avevo avuto la sensazione che non avesse il solito comportamento di chi si ferma per una sosta. Fu però una riflessione di mezzo secondo, perché salii le scale ed entrai nel bar. Avevo tutto il tempo per un buon caffè da gustare in pace. Anzi dovevo cercare di fare trascorrere il tempo.

Dopo il caffè mi attardai a guardare i libri ammucchiati su un tavolo, poi uscii. Mentre mi avvicinavo all’auto, vidi il signore notato precedentemente che stava telefonando. Notai nuovamente qualcosa di strano nel suo modo di telefonare, perché mentre parlava seguiva i miei movimenti.

Salii in auto e vidi che mi veniva incontro con il telefonino in mano. Avevo aperto il finestrino per arieggiare l’auto in quanto quella mattina di aprile faceva caldo.

“Mi scusi, mi vergogno … ma non so come fare … avrei bisogno di una cortesia …”, mi disse avvicinandosi e riponendo il telefonino nella tasca interna della giacca.

Rimasi un attimo stupito e, osservandolo meglio, mi dette veramente l’impressione di una persona in difficoltà. Collegai le mie riflessioni precedenti trovando la spiegazione ai miei dubbi. In quel momento venne fuori quel po’ di generosità che ho dentro, unito anche alla necessità di fare trascorrere più di mezz’ora … Sempre seduto in auto, affacciandomi al finestrino aperto gli dissi: “Mi dica, se posso …”.

Mi rispose: “Sono un pilota dell’Alitalia, e ho un volo cargo tra 40 minuti per Amsterdam. Mi vergogno a dirlo ma, questa mattina, uscendo da casa, ho chiuso la porta lasciando dentro le chiavi di casa e il portafoglio. A casa non c’è nessuno e mia moglie è all’ospedale a fare una visita, per cui ha il telefonino spento. Ho finito la benzina e non so come fare …”.

Sapevo, per esperienza, che non bisognava fidarsi degli incontri fatti sui piazzali dell’autogrill, per cui pensai di entrare in argomento e vedere se effettivamente era del settore. “Sono anch’io un pilota e istruttore di volo”.

“Ma tu dove voli?”, mi chiese passando al tu come si usa fare tra piloti.

Rimasi stupito da questa pronta richiesta. Aveva superato l’esame, e ora potevo anche dare notizie in più. “A Rieti”.

“Ho un carissimo collega a Rieti, si chiama Carlo Alberto. Lo conosci?”. Io cercai nei meandri della mia memoria, ma non trovai nessun pilota che rispondesse a quel nome. “No, purtroppo non lo conosco”, risposi.

A questo punto era lui in vantaggio per cui visto che avevo tempo e inoltre voleva fare bella figura, gli domandai: “Conosci Manlio Lello?”

“Certo, è passato da poco sui cargo e lo incontro spesso”.

Effettivamente era vero. Rincarai la dose: “E Rossi?”.

“Di Rossi ce ne sono tanti. Conoscevo bene Walter che è stato uno dei primi a volare sul Caravelle, però purtroppo è morto alcuni anni fa, e poi Piero, che è appena andato in pensione. Lo incontro ancora al simulatore, però sempre più di rado …”.

Effettivamente era tutto esatto, e solo uno dell’ambiente poteva sapere queste cose.

“ … se mi puoi prestare dieci euro metto la benzina che è sufficiente per tornare a casa. Lunedì sera vengo a Rieti, ti invito a cena e ti restituisco i dieci euro”.

Mi aveva convinto. Salì sulla station wagon con targa inglese che aveva sicuramente le sospensioni posteriori scariche perché era tutta accucciata, mise in moto, fece retromarcia per uscire dal parcheggio, e si avviò in direzione del distributore che distava una cinquantina di metri. Io lo seguii, e vidi che a pochi metri dalla pompa si fermò.

Mi accostai e lui mi disse: “Guarda che fortuna, è finita la benzina proprio qui” e, mentre mi parlava con lo sportello aperto, vidi che girava la chiavetta di avviamento con la marcia innestata per percorrere i pochi metri che lo separavano dalla pompa.

Rimasi fermo ad aspettare con dentro la soddisfazione di stare compiendo un’opera buona.

Scese dall’auto, prese la pistola della pompa, si avvicinò alla parte posteriore dell’auto, aprì il tappo del serbatoio e iniziò a mettere benzina. Notai che si era fermato alla pompa “servito”, però non gli diedi importanza.

“Mi sono distratto e ho superato i 10 Euro. Ti dispiace se faccio 20, così domenica sera sono più tranquillo? Comunque lunedì sera ti restituisco tutti i soldi e ti offro la cena!”

Cosa potevo rispondere? Oramai ero in ballo e … aveva già messo 20 euro. Pagai l’addetto del distributore che mi guardò con aria compassionevole, per cui mi sentii in dovere di dirgli: “Ogni tanto bisogna fare anche delle buone azioni”.

Mise i soldi nella borsa che aveva alla tracolla e guardandomi mi rispose: “Aho, ma che bona azione. Dije che andasse a lavorà come faccio io!”, e girandomi le spalle si allontanò.

Mi sentii chiamare, per cui mi avvicinai all’auto del mio “nuovo amico”. Aveva la portiera aperta e stava scrivendo su un bigliettino da visita. “Questo è il mio biglietto da visita e questo che ti ho scritto è il mio telefonino, se mi puoi dare il tuo così lunedì ti chiamo e ci mettiamo d’accordo per la cena”.

Presi dal portafoglio il mio bigliettino e con la sua biro scrissi il numero del mio portatile e glielo diedi. Mentre io leggevo il suo bigliettino mi ringraziò moltissimo. Vidi solo allora che era del pilota Carlo Alberto. Rimasi perplesso e gli chiesi: “Scusa ma Carlo Alberto non è il tuo collega che abita a Rieti?”

“No, come vedi sono io. Ciao ci vediamo lunedì”, chiuse lo sportello, avviò il motore e partì.

Mi rigiravo il bigliettino in mano, ma i conti non mi tornavano. E scuotendo la testa salii sulla mia auto e mi avviai.

Mentre guidavo mi sorse il dubbio di essere rimasto fregato. Ma ero ormai vicino al luogo dell’appuntamento per cui, poco dopo, uscii dal raccordo e percorsi la strada che mi portava al parcheggio degli uffici. Entrai nella sala delle riunioni. Arrivarono anche gli altri invitati e iniziai a esporre gli argomenti della riunione. Mentre gli altri presenti presero la parola, io purtroppo tornavo con la mente all’autogrill e ripercorrevo, come fosse un film rivisto alla moviola, tutti gli attimi appena vissuti e che mi avevano lasciato perplesso. Più il tempo passava più i tasselli che non coincidevano si ammucchiavano in un lato della mia mente e mi distraevano dagli argomenti della riunione.

Terminata la riunione salutai tutti e mi avviai giù per le scale per non attendere l’ascensore, perché mi era venuta l’idea di telefonare urgentemente al mio amico Marcello, comandante dell’Alitalia. Arrivato in prossimità dell’auto, composi il numero e lo chiamai con la segreta speranza che non fosse in volo. Mi rispose subito e dopo i saluti gli chiesi: “Conosci Carlo Alberto comandante che vive a Rieti?”

“Certo che lo conosco!”, mi rispose.

“Che aspetto ha, è piccolo e con pochi capelli?”.

“No, hai presente Bud Spencer? … è identico: grande grosso e un buono”, mi rispose.

A questo punto non c’erano più dubbi. Ci salutammo e, dopo avere chiuso la comunicazione, rimasi pensieroso. Dentro di me iniziò a crescere l’entusiasmo della possibilità di iniziare quella che noi emiliani chiamiamo “la gara”. C’erano tutti i presupposti per impostare un rapporto tipo gatto-topo, partendo ora da una posizione di favore. Al diavolo i 20 euro! Li consideravo come il costo del biglietto per giocare la partita. L’entusiasmo mi cresceva dentro, assieme al calore che prende il corpo quando si sta iniziando un’avventura. Salii in auto e mentre guidavo riflettevo sulle varie opportunità in gioco …

Questo signore, non era certamente un dilettante, e neanche un poveraccio, quindi vi erano serie probabilità che fosse un professionista astuto.

“Bene, il gioco si fa duro e non devo farmi fregare un’altra volta … esaminiamo bene la situazione e cerchiamo di scoprire i suoi lati deboli …. ha usato il trucco delle chiavi rimaste in casa … bastava che ci riflettessi un attimo per capire che uno può dimenticare le chiavi, ma se è un pilota che gira il mondo non può dimenticare il portafoglio con i documenti … poi mi parla di un pilota di Rieti suo amico e mi da il suo biglietto da visita dicendomi che è lui… e qui ha commesso un errore grave perché doveva prevedere che in due minuti avrei scoperto tutto telefonando a un amico dell’Alitalia. Forse poi non è così scaltro . Bene, io qui ho un numero di cellulare che il truffatore ha scritto sul bigliettino di Carlo. Strano che mi abbia lasciato il suo numero. In quel modo sarebbe facilmente rintracciabile. Vuoi scommettere che è il numero di Carlo e lui ha fatto finta di scriverlo … basta fare il numero e vedere chi risponde … no, ferma tutto: devo lasciare a lui la prossima mossa stando al suo gioco.

La mia mente continuava a girare pregustando “la gara” e sorridevo tra me e me … Arrivai così in azienda e proprio mentre stavo parcheggiando, il telefono squilla. Era un numero di un cellulare che mi risultava nuovo. “Pronto!”, risposi.

“Sono il comandante Alitalia di questa mattina. Desideravo ringraziarti per il tuo gesto. Sono arrivato in tempo a Fiumicino e ora sono ad Amsterdam. Lunedì rientro e vorrei averti a cena con me, così ti restituisco i soldi che mi hai prestato. Ho visto dal tuo bigliettino che sei il dirigente di una società. Complimenti! Sarà un onore averti mio ospite…”.

A quel punto giocai duro e dissi: “Sei un simpaticone che si diverte a fare le candid camera. Però il comandante Carlo di Rieti è un mio carissimo amico e io ti ho lasciato credere di non conoscerlo perché volevo vedere fin dove saresti arrivato …”, risposi bluffando in modo da metterlo in difficoltà.

“No, io non sono Carlo, ma il comandante Serafini!”, mi rispose.

“Bene, e il biglietto da visita che mi hai dato?”.

“Perché non è il mio biglietto col nome Serafini?”.

“Allora insisti a mentire sapendo di mentire. Quando te l’ho fatto notare tu mi hai risposto dicendo che Carlo eri tu! Quindi il gioco è finito troppo presto e mi sono divertito poco …”, risposi.

“Ti chiedo scusa, ma questa mattina ero molto confuso perché temevo di non fare in tempo ad arrivare a Fiumicino, per cui è facile che mi sia sbagliato. Lunedì ti dimostrerò che sono veramente Serafini, e che sono una persona che mantiene gli impegni. Ti devo lasciare perché sto decollando. Grazie ancora. Ciao a lunedì!”, e chiuse la comunicazione.

Ottimo, ora avevo il suo numero di cellulare, per cui potevo impostare qualche azione. Lo registrai in rubrica sotto il nome di “Simpaticone” ed entrai in ufficio.

La sera, mentre cenavo a casa, raccontai la storia accaduta. Quando parlai del comandante Carlo, mia moglie mi interruppe: “Il mondo è piccolo. Pensa che l’ho visto questa mattina in banca …era vestito da pilota ed era andato a protestare dal cassiere perché al bancomat, all’esterno, aveva avuto 250 Euro tutti in banconote da 10 e non da 50 come normalmente accadeva. Ho chiesto all’impiegato che mi stava servendo chi fosse, ed egli mi ha risposto che era il comandante Carlo Alberto, persona molto simpatica, e loro cliente da anni”.

“Ferma tutto! Lo chiamiamo subito e ridiamo un po’!”, dissi avendo una piccolo lampo … Presi dal portafoglio il suo bigliettino, chiesi a mia moglie l’ora precisa che ebbe modo di riscontrare sulla ricevuta della banca, e feci il numero di cellulare di Carlo Alberto, sperando che fosse il suo. Infatti mi rispose pronunciando il suo nome.

“Lei questa mattina con l’inganno mi ha derubato di 20 Euro! Ora me li restituisce subito o la denuncio …” Avevo messo il telefonino in viva-voce per fare sentire a mia moglie e ai miei figli.

“Chi? … io … derubato lei? … è uno scherzo …”, mi rispose sorpreso.

“Confermo, stamani all’autogrill, sul raccordo. Ho qui il suo biglietto da visita che mi ha dato personalmente. In più, da indagini fatte, risulta chiaramente che lei questa mattina era rimasto senza soldi … per cui li ha estorti a me con l’inganno …”.

“Come fa a sapere che ero senza soldi?”, mi chiese preoccupato.

“Confermo! Lei questa mattina ha prelevato 250 Euro in banca perché aveva già dopo che lei mi aveva estorto i 20 euro di benzina alle nove e trenta sul raccordo anulare. Ha prelevato alle ore undici e zero sette 250 Euro in banconote da 10 euro! Mi conferma tutto questo o vuole mentire?”.

“Come fa a sapere tutto questo? Chi è lei?”.

“Sono un agente dei servizi segreti per cui non posso darle il mio nome. Giovanotto. hai finito di giocare al pilota che ha lasciato le chiavi in casa e di appostarti negli autogrill per derubare la gente … per mettere la benzina nell’auto e girare a sbafo con i soldi degli altri. Io ti rovino!”

Silenzio assoluto. I miei figli ridevano a crepapelle e mi imploravano di finirla.

“… e poi perché quando prima ti ho chiamato mi hai detto di essere il comandante Serafini, dandomi delle false generalità?”

“Ascolti … forse ho capito di chi si tratta … io non c’entro. C’è in giro nel nostro ambiente un truffatore che si spaccia per pilota. Purtroppo ha fregato anche me e anche Serafini. Senta io ora sto per decollare. Se vuole ci possiamo vedere domani a Roma …”.

A questo punto era il caso di interrompere lo scherzo, soprattutto pensando ai passeggeri che aveva dietro.

“Tranquillo! Sono un amico di Marcello e non sono un agente segreto. Scusa se ho scherzato. Penso sia il caso che ci vediamo, perché la situazione è seria … chiamami pure a questo numero quando rientri, visto che anche io abito a Rieti”.

Chiusa la comunicazione, rimasi a parlare con i miei famigliari dell’accaduto, cercando di capire meglio la situazione. Il giorno successivo, avendo dormito sopra “l’argomento”, iniziai a fare delle considerazioni meno goliardiche: e se quel signore utilizzasse il mio biglietto da visita spacciandosi per me mettendomi in una situazione critica di fronte alla giustizia? … poi hai voglia a spiegare che io non c’entro e che sono vittima di una truffa … niente, bisogna che vada a denunciare l’accaduto alla Polizia. Intanto metto un punto fermo … Mentre ero assorto in queste riflessioni mi arrivò la telefonata di Carlo.

“Scusa se non ci possiamo vedere direttamente perché ho un impegno qui a Roma, però ti posso spiegare la situazione anche per telefono … ho incontrato quel signore una sera tardi mentre rientravo a casa all’autogrill di Settebagni. Ero in divisa Alitalia e stavo prendendo un caffè quando questo si avvicinò spacciandosi per un collega. Parlammo un po’ del nostro lavoro poi mi disse che aveva ricevuto l’incarico da una compagnia inglese che stava nascendo, di selezionare dei piloti. La compagnia era seria e disponeva di mezzi sia tecnici che finanziari, per cui gli stipendi erano sicuri e più alti di circa un 50% rispetto all’Alitalia. Gli risposi che io stavo bene dove ero per cui non ero interessato. Ci scambiammo i biglietti da visita e io scrissi sul mio, dietro sua richiesta, il numero del cellulare. Dopo circa un mese mi arrivò una telefonata. Era lui che mi confermava che la compagnia aveva iniziato l’attività e che aveva assolutamente bisogno di vedermi. Fissammo un appuntamento in un albergo non distante da Fiumicino. Accettai solo per una curiosità personale in quanto non avevo nessuna intenzione di cambiare “bandiera”. Quando arrivai era nella hall, seduto in una poltrona, davanti ad un tavolo di cristallo pieno di fogli di carta. Aveva in mano una cartellina che stava leggendo con gli occhiali sulla punta del naso. Vicino ai piedi, una borsa da pilota di cuoio nero, aperta. Fece finta di vedermi solo quando fui vicino e con la cartella in mano si alzò per salutarmi. Aveva l’aria di chi è molto indaffarato e che non può perdere un secondo del suo tempo prezioso … io lo guardavo incuriosito cercando di capire dove volesse arrivare. – Come puoi vedere quello che ti avevo detto si sta concretizzando – mi disse.- La compagnia ha iniziato la sua attività e io sono il responsabile della selezione dei piloti. Mi hanno dato un mese per completare l’organico e mi mancano ancora solo due piloti. Tutti quelli che ho contattato hanno accettato con entusiasmo sia per la serietà della compagnia che per i soldi in più che ho offerto loro. Conto molto su di te perché le informazioni che ho avuto sul tuo conto sono ottime e, dopo il necessario addestramento, potresti diventare capo pilota della compagnia. Ho già preparato una lettera di assunzione e se tu firmi sei già dei nostri -. Mi mise in mano una lettera con tanto di intestazione di una compagnia aerea e stipendio da sogno … e, dato che era più piccolo di me, mi guardava da sopra gli occhiali che teneva sulla punta del naso. Nella mia vita non avevo mai creduto ai colpi di fortuna, per cui ero molto perplesso sull’operazione, anche se mi incuriosiva. Inoltre ero nato in Alitalia e mi sembrava di commettere un tradimento, solo a leggere quella proposta. Mentre mi rigiravo fra le mani quei fogli, lui si allontanò di circa un metro, prese il cellulare dalla tasca interna della giacca, compose un numero e iniziò a parlare avvicinandosi a me. – … come vogliono degli altri soldi per l’operazione? Come faccio se al momento non ne ho più sul conto! … li vogliono subito?”, in quel momento il telefonino squillò.

– Strano! – Pensai io. Sta telefonando e sullo stesso telefonino arriva una telefonata? Devo dire che la cosa mi lasciava molto perplesso.

Rispose a questa nuova telefonata allontanandosi in modo che io non lo potessi udire. Avevo capito che dall’altra parte c’era uno che doveva subire un’operazione e che occorrevano dei soldi.

Finita la telefonata, si riavvicinò e, chiedendomi scusa, mi disse che era in una situazione terribile, perché sua figlia, ammalata di tumore, doveva subire una delicata operazione in una clinica inglese per la quale lui aveva già pagato 5000 sterline. Ora, all’ultimo minuto, volevano altri soldi e lui non sapeva come fare … e mi guardava implorandomi.

Era una situazione imbarazzante, per cui, preso da un momento di compassione, aprii il portafoglio. Avevo solo due pezzi da 50 euro, ne presi uno e glielo diedi, contento di fare una buona azione. Li prese immediatamente facendoli sparire nella tasca interna della giacca e ringraziandomi in un modo esagerato. A quel punto mi venne un dubbio: con 50 euro poteva fare ben poco, allora perché era così contento … poi il telefonino che squillava mentre lui telefonava …

– Scusa, come mai mentre telefonavi ti è arrivata una telefonata? -, gli chiesi.

– Questo è un telefono ultima generazione che ha due schede. Ce ne sono pochi in giro perché sono appena usciti -, mi rispose mentre riponeva i fogli di carta dentro la borsa.

– Mi devi scusare, ma devo scappare per mandare i soldi alla clinica per l’operazione di mia figlia … ti richiamo io appena potrò … -, mi disse scuotendo la testa e dandomi la mano. Sparì in un attimo e io rimasi pensieroso. La faccenda non mi tornava.

Dopo circa due settimane mi richiamò per dirmi che sua figlia, grazie anche a me, stava meglio e che potevamo incontrarci per definire la mia assunzione. Gli dissi di no, pur sapendo che in questo modo non avrei più visto i miei 50 euro. Pazienza … non mi interessava la sua offerta e non mi piaceva la persona. Percepivo un’aria poco “pulita”, anche senza andare a indagare troppo … alla larga da certe persone!!!”.

“Hai certamente fatto bene”, gli risposi, dopo aver ascoltato la sua storia. “Ora però è opportuno che mettiamo un fermo a questo individuo, perché va in giro a spacciarsi per uno di noi. In questo momento ha in mano un mio biglietto da visita. Non vorrei che mi mettesse nei pasticci facendo una truffa a mio nome … penso sia il caso di tutelarci con una denuncia. Anzi se sei d’accordo potremmo andare al più presto in Questura …”.

“Va bene”

“Ok, vedrò di prendere un appuntamento, ho qualche amico lì”.

Trovai il capo della Squadra Mobile disponibile ad ascoltarci. Così, dopo due giorni, incontrai davanti alla Questura il pilota “alla Bud Spencer” … alto, grande e simpatico. Camminava proprio come il grande attore. Salimmo insieme le scale e arrivammo in una saletta, in attesa di essere ricevuti.

Sapevo che il capo della Squadra Mobile era una persona dinamica e valida, con dei notevoli risultati alle spalle. Le pagine dei quotidiani erano sempre occupate a riportare le sue imprese, non solo a livello locale ma anche nazionale. Passava per uno che non perdonava nulla e che portava sempre a termine le sue indagini con l’arresto di chi commetteva reati nella speranza di farla franca.

Entrammo poco dopo nel suo ufficio. Lui si alzò e ci venne incontro, dandoci la mano con un largo sorriso sincero. Ci fece accomodare e ci chiese di raccontare la nostra avventura. Iniziai io, poi proseguì Carlo Alberto. Ci ascoltava in silenzio e con la massima attenzione. La storia gli piaceva tanto che alla fine disse: “Gli possiamo fare un bel trappolone! … avete idea dove possa abitare o, meglio ancora, quale sia il suo nome?”

Carlo Alberto si prodigò in un grande sforzo di memoria e a poco a poco iniziò a pronunciare delle lettere che non avevano senso, poi man mano, tra un aggrottamento di ciglia e un sorriso di compiacimento, spuntò dalla sua bocca un nome: “Franceschini, sì, proprio Fanceschini! Ma il nome non lo ricordo. Mi sembra però che abitasse nella zona di Passo Corese”.

Il poliziotto sorrise soddisfatto e iniziò una ricerca sul computer dei “Franceschini” con precedenti penali. “Questo … guida in stato di ebbrezza … quest’altro abita a Milano … questo è troppo giovane … no così non arriviamo da nessuna parte … proviamo a chiamare la stazione dei Carabinieri di Passo Corese!”.

Mise il telefono in viva-voce chiedendoci di intervenire per fornire eventuali chiarimenti. Dopo 4 squilli: “Stazione dei Carabinieri di Passo Corese …”.

“Sono il capo della Squadra Mobile di Rieti e avevo bisogno di sapere se conoscete un certo “Franceschini” che si presenta in giro con falsi nomi …”.

Dopo un istante di silenzio, la risposta arrivò in perfetto accento romanesco sottoforma di urlo: “Miiitticooo!!! … è il migliore che c’è sulla piazza!!! Le sue imprese sono memorabili!”

“Lo conoscete bene?”, domandò stupito il capo della Squadra Mobile.

“Certo che lo conosciamo bene! Gline potrei raccontare diverse … ma la più bella è la cena di Capodanno. Essendo un impiegato Alitalia, aveva affisso nelle varie bacheche della compagnia l’avviso che era stata organizzato una cena per il Capodanno, riservata solo ai dipendenti Alitalia … in un castello della Sabina al prezzo di 40 mila lire, di cui 20 da pagare subito e il resto in sede, prima della cena. Seguiva naturalmente la descrizione dettagliata del menù e del programma della serata. L’incontro era fissato a Fiumicino, dove un pullman avrebbe prelevato i partecipanti, alle 20 in punto. Le adesioni furono tante e tutti anticiparono volentieri le 20 mila lire, considerato il prezzo esiguo rispetto a quanto veniva offerto. La sera di Capodanno … tutti puntuali a Fiumicino in completo scuro, come richiesto, ad aspettare il pullman. Dopo circa due di ritardo e il telefono da chiamare in caso di bisogno che segnalava un numero sbagliato, i convenuti si resero conto di essere incappati in una truffa”.

Ci guardammo l’un l’altro e ci rendemmo conto che a noi, in fondo, era andata anche bene.

Il poliziotto, ritenendo di avere acquisito sufficienti notizie, ringraziò e chiuse la telefonata.

A quel punto Carlo Alberto disse: “Ora mi ricordo di Serafini, e posso spiegare perché abbia fatto quel nome. Serafini è un comandante della nostra compagnia che ha avuto la disavventura di incontrarlo e di dargli il suo biglietto da visita. Infatti, il gioco è sempre lo stesso. Questo Franceschini incontrò una giornalista e, con i suoi modi gentili, le racconta chissà quale storia e riesce a farsi “prestare” 3 milioni di lire con la promessa di restituirli dopo qualche giorno. Come garanzia, le lascia il biglietto da visita del comandante Serafini. Poi, naturalmente, sparisce, per cui alla malcapitata giornalista non resta che telefonare ai numeri riportati sul biglietto di Serafini. Dall’altra parte risponde la moglie di Serafini, il numero era proprio quello di casa, che dice che il marito non è in casa. Il giorno dopo la malcapitata richiama e trova ancora la moglie che inizia a insospettirsi per cui, al ritorno del marito, lo interroga su chi è questa Francesca che è la seconda volta che lo cerca a casa. Naturalmente Serafini non ne sa niente ed è vero. La giornalista richiama e la moglie un po’ alterata chiede spiegazioni. Questa racconta la storia del prestito, pregando la moglie di dire al comandante che lei esige la restituzione dei 3 milioni di lire. Potete immaginarvi la reazione della moglie che immaginava chissà quale relazione esistesse tra il marito, che continuava a negare tutto, e questa signora che continuava a chiamare … Alla fine Serafini incontra la giornalista che, sorpresa, si trovò di fronte ad un’altra persona, capì la situazione e, purtroppo, la malcapitata, come da copione, rimase con un pugno di mosche in mano.”

“Bene, bene … gli facciamo un trappolone noi, questa volta”, disse il capo della squadra Mobile, poi rivolgendosi a Carlo Alberto: “Ha possibilità di contattarlo al cellulare in modo che possiamo fissare un appuntamento e …”.

Carlo Alberto rimase interdetto.

Mi ricordai che io l’avevo. Era registrato sotto il nome di “Simpaticone”. Infatti lo trovai subito. “Eccolo qui il suo numero di telefono!”.

Entrambe lo registrarono.

“Ottimo, la richiamo io per dirle quando e dove fissare l’appuntamento, sperando che questo ci caschi. Però ora serve che facciate una denuncia ufficiale scritta, in modo che io possa muovermi. Se passate nell’altro ufficio c’è un Ispettore che può raccogliere la vostra denuncia.”

Lo ringraziammo, ci salutammo e passammo a fare la nostra deposizione scritta e firmata.

Uscimmo dalla Questura con uno spirito più sollevato in quanto ora era ufficiale che, se quel signore avesse utilizzato i nostri biglietti da visita per commettere dei reati, noi saremmo stati coperti legalmente.

Dopo circa un mese Carlo Alberto mi chiamò per dirmi che il trappolone era stato preparato al bar dell’aeroporto di Fiumicino e che Franceschini si era presentato puntuale all’appuntamento.

Due agenti, prontamente intervenuti, lo identificarono e lo condussero via.

E questa fu la fine dell’Arsenio Lupin della Sabina, il sedicente pilota dalle mille identità.






Narrativa / Medio-Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

Emergenza in volo

E’ una splendida giornata di primavera, i faggi cominciano a rivestirsi di foglie e l’aria è piena dei profumi della natura incontaminata della “Foresta Umbra” sita nel parco nazionale del Gargano.

E’ un luogo fuori dal comune dove puoi ritrovare la serenità dello spirito e vivere in stretto contatto con la natura durante tutto l’anno, fatta eccezione solo nei mesi di luglio e agosto, quando i turisti in cerca di frescura invadono le aree da picnic della Foresta, creando intasamento di traffico e sporcando senza preoccuparsi più di tanto del male che fanno alla natura e ai residenti. Per fortuna il periodo di tale invasione è breve.

Giovanni lavora presso il Gruppo Radar dell’Aeronautica Militare in qualità di “Capo Sezione Addestramento” ed è ben contento di lavorare in tale luogo, anche se il Gruppo è posto lontano dai centri urbani che possono offrire maggiori comodità ed una vita più intensa. A lui interessa la serenità dell’anima, una vita regolare nell’ambito della sua famiglia che lo sostiene e lo aiuta a mitigare lo stress del suo impegnativo lavoro.

Mentre l’autobus lo conduce presso l’area operativa del Gruppo Radar, il suo pensiero torna indietro ad un mese prima quando fu inviato in missione presso l’aeroporto di Pisa per partecipare ad una riunione relativa ad un’esercitazione nuova e molto impegnativa per le attività del suo reparto.

L’ordine gli fu comunicato una mattina di marzo mentre stava svolgendo la sua normale attività. Doveva recarsi con un velivolo di una squadriglia collegamenti – MB 326 – condotto da un collega pilota – Walter- che doveva partecipare per il suo Comando a detta riunione. L’incontro con Walter doveva avere luogo presso la base aerea di Amendola e da lì si sarebbero recati direttamente a Pisa.

Tutto si svolse come previsto. La giornata era splendida, nell’aria si avvertivano i primi segni del risveglio della natura dal torpore invernale e già si intravedevano nel cielo le prime rondini volteggiare felici.

Walter, in qualità di responsabile del volo, spiegò a Giovanni come doveva comportarsi durante il volo stesso e cosa fare in caso di emergenza, chiarendo che, in caso di necessità di paracadutarsi, il primo a lasciare l’aereo doveva essere Giovanni che stava seduto nel sedile posteriore e subito dopo sarebbe stata il suo turno. Aggiunse, inoltre, che non doveva preoccuparsi più di tanto in quanto il velivolo era in perfette condizioni e che le condizioni meteo, almeno per quel giorno, garantivano un volo tranquillo.

Ciò detto si sistemarono nel velivolo posizionando in posizione idonea il piccolo bagaglio che erano autorizzati a portare in volo.

Da lassù, vista la bella giornata di sole, tutto era meraviglioso e per Giovanni che volava per la prima volta con un piccolo jet, tutto era doppiamente eccitante. Aver visto, poi, la Foresta Umbra dall’alto con un passaggio mozzafiato sul suo amato reparto, gli diede un enorme piacere e, tra sé e sé, provò un senso di orgoglio per il fatto di appartenere all’Aeronautica Militare.

Walter, mentre erano in volo, fece da Cicerone a Giovanni che provava sempre più piacere per quel volo non programmato. Il viaggio proseguì senza problemi e atterrarono a Pisa in tempo per sbrigare le pratiche burocratiche e fare una puntatina in città per vedere la piazza dei Miracoli.

L’emozione provata nel trovarsi in quella piazza piena di arte e fare un giro sulla famosa torre pendente che vedeva per la prima volta, quasi, lo annichilì e i suoi occhi giravano in continuazione come un radar allo scopo di non perdere alcun angolo di tale beltà.

La riunione, svoltasi il giorno dopo, fu molto interessante e i particolari discussi ben evidenziarono l’importante impegno che attendeva il suo reparto durante quell’esercitazione. Era contento anche per questo in quanto partecipare a simili importanti riunioni operative lo inorgogliva e lo faceva sentire parte viva dell’Aeronautica Militare.

Durante la sera non vi fu alcunché di importante da segnalare, tranne il fatto che Walter manifestò un senso di preoccupazione per le condizioni meteorologiche del giorno dopo. Con una battuta delle sue, però, rasserenò Giovanni e così chiacchierando, chiacchierando giunse l’ora del riposo notturno.

Il programma per il giorno dopo era: decollo da Pisa per Ciampino, riunione allo SMA e, infine, partenza da Ciampino per Amendola, dove Giovanni avrebbe terminata la sua avventura sul piccolo jet. Questo il programma, ma come si sa non sempre le cose vanno come si pianifica.

Il dubbio, manifestato da Walter la sera prima circa le avverse condizioni meteo, ora era una realtà: nubi dappertutto e di sole neanche un piccolo raggio. I piloti, comunque, sono abituati a volare in sicurezza in tutte le situazioni e così a Walter toccò l’onere di rasserenare Giovanni che non era così esperto di volo con condimeteo avverse. A dire il vero Giovanni, in qualità di Controllore d’intercettazione, più di una volta aveva assistito aerei in difficoltà perché in condizioni di volo avverse, però si rese conto, come d’altronde sapeva per sentito dire, che trovarsi coinvolto direttamente era tutta un’altra storia.

Effettuati tutti i controlli pre-volo il velivolo iniziò il rullaggio e decollò regolarmente.

Il controllore del traffico aereo assegnò al velivolo “Flight Level” (FL) 260. Nonostante la completa immersione nelle nuvole, tutto sembrava procedere per il meglio, ma attraversando FL 140 un forte e improvviso rumore scosse il velivolo in assetto di salita. Non era una tipica scossa da turbolenza era qualcosa di più anche perché il velivolo cominciò a perdere quota e per pochi istanti diede l’impressione che il motore non girasse più bene.

Giovanni si guardò nello specchietto che aveva di fronte e si ricordò dell’avventura capitata a un suo collega che al primo volo su un jet fu costretto a lanciarsi col paracadute. Sicuramente non fu un bel ricordo per lui in quel momento.

Mentre era assorto in tali pensieri fu di colpo riportato alla realtà da Walter che disse: “Giovanni, cosa hai toccato?”. Giovanni pallido in volto e con il casco di traverso sulla testa dal quale fuoriusciva un ciuffo di capelli rispose:”Niente, ti giuro non ho toccato niente”. Non ci furono altre comunicazioni da parte di Walter.

Giovanni continuava a guardarsi nello specchietto e cominciava a sudare freddo, mentre i suoi pensieri, per quanto confusi e impreparati all’evento, vedevano un’imminente necessità di eiettarsi, così come per precauzione gli era stato detto all’imbarco ad Amendola.

Non voleva crederci, però, e sperava, sperava in cuor suo che la cosa si sarebbe risolta nel migliore dei modi.

Walter, intanto, parlava concitatamente con la torre della base aerea di Grosseto, spiegando di avere dei problemi con il motore del velivolo e chiedeva priorità per l’atterraggio in emergenza.

Quella fu la parola che fece capire a Giovanni la gravità della situazione, laddove ce ne fosse ancora bisogno.

Volavano ancora completamente immersi nelle nuvole, quando la voce di Walter ruppe il silenzio e disse: “Giovanni abbiamo avuto uno stallo al motore. Non ti preoccupare, però, perché ho intravisto un foro nelle nubi e mi sto dirigendo in quella direzione per raggiungere condizioni buone di visibilità. Anche se il motore ci dovesse lasciare in questo momento, metteremo, comunque , le ruote sulla pista di Grosseto”.

Queste parole, rincuorarono non poco Giovanni che in cuor suo aveva pregato tutti i Santi per la loro salvezza.

Il motore, intanto, aveva ripreso a girare quasi regolarmente e l’atterraggio si svolse senza ulteriori problemi.

Appena atterrati, il velivolo fu condotto nell’hangar per un primo controllo allo scopo di verificare, di massima, la causa dell’evento. La sentenza fu: velivolo fermo a causa di stallo meccanico del motore.

Il viaggio di Giovanni finì in quel momento e, mentre Walter fu costretto a rimanere a Grosseto per le azioni di competenza, Giovanni si fece condurre alla stazione FS di Grosseto da dove proseguì il suo viaggio per far ritorno in Foresta Umbra.

Ovviamente era frastornato e pieno di pensieri in testa che sembravano una tempesta senza soluzione di continuità che l’accompagnò per tutto il viaggio.

L’autista dell’autobus con una battuta di spirito lo risveglia dal ricordo di quei momenti concitati e pieni di paura e lo riporta scherzosamente nel mondo reale quando gli dice “Comandante siamo arrivati in zona operativa. Che fa’ scende o fa’ un altro giro?”

Accenna un sorriso all’autista e si alza dal suo posto lentamente ancora in preda ai ricordi per raggiungere, dal corpo di Guardia, il suo ufficio.

Lungo la discesa, che lo conduce verso il bunker della sala operativa, alza lo sguardo al cielo e, seguendo il volo acrobatico delle rondini, viene catturato dalle scie di condensazione dei velivoli di linea che passavano in quel momento nell’aerovia Blue 23 che passa sul VOR di Vieste. Giunge, infine, nel suo ufficio e la routine del lavoro lo assorbe immediatamente chiudendo alla mente il suo ricordo avventuroso.


Narrativa / Medio-Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

Dirigibile
Raffaele Carlino

 

Emergenza in volo

jet giganteIn una bella giornata di primavera trascorsa durante il suo servizio nella Foresta Umbra del Gargano, un ufficiale dell’aeronautica d’improvviso vola con la mente al primo volo effettuato su un piccolo jet (MB326) con il suo amico pilota Walter e la bella – visto il lieto fine – disavventura capitatagli durante detto volo al suo rientro da Pisa. Rivive con dovizie di dettagli, i momenti di panico trascorsi prima dell’atterraggio a Grosseto dove fu costretto ad atterrare a causa di un’avaria al jet. Quel ricordo, fermo nella sua mente, lo porta ad apprezzare ancora di più l’importanza dell’Aeronautica Militare che con tutto il suo personale (logistico, amministrativo, tecnico ed operativo) quotidianamente assicura la sicurezza dei cieli della nostra Italia. Divertente è il finale che lo vede immerso nel ricordo anche dopo la divertente battuta dell’autista dell’autobus. La routine quotidiana, però, subito lo afferra e chiude definitivamente, per il momento, la sua mente a quell’avventura a lieto fine.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”



Spionaggio nei cieli

aero fumetto Così l’autore commenta la sua composizione: “Questo racconto fantastico ed inverosimile mette in evidenza la presunzione che a volte ammalia gli esseri umani nella lusinghiera sicurezza di saper controllare ogni situazione. Penso che a tutti sia capitato di prendere “lucciole per lanterne” o di sentirsi al di sopra di alcuni pericoli ostentando un “a me non sarebbe mai successo! ” .Il gioco di coincidenze in cui si trova il protagonista di questo breve racconto fà riflettere e invita a non sentirsi mai troppo sicuri di sè e, come in questo caso, l’insidia si nascode sotto le misteriose sembianze di una bella donna e la “bastonata” è dietro l’angolo o in un “sottovento”! Buona lettura.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

 

Spionaggio nei cieli

E’ incredibile come la mia mente ricordi perfettamente quanto avvenuto 40 anni fa e non rammenti cosa ho assunto per colazione. Il mio pensiero si perde tra i fulgidi ricordi di quando imberbe e novello pilota vivevo con emozione il sopraggiungere della primavera che rendeva l’aria pulsante, profumata ed elettrica in un piccolo aeroporto prossimo alle Prealpi del nord.

Una mattina, indossando con orgoglio la mia tuta di volo, superavo la recinzione dell’aeroporto avviandomi con passo fiero verso gli hangar che custodivano gelosamente i nostri candidi gioielli di vetroresina. Pilotavo già i moderni alianti di plastica. Varcavo spavaldamente quel confine che separava i “terricoli” dai “volatili”. Mi sentivo sulla schiena lo stupore e l’invidia di chi restava relegato dietro a quel cancello, mentre io appartenevo a quell’affascinante mondo di chi ha il privilegio di staccare l’ombra da terra. Ricordavo i timori della mamma: “Mi hanno detto che ci sono i vuoti d’aria … se ti succede cosa fai?” E rispondevo scherzosamente: “Beh, mamma … morirò soffocato!!!” D’altra parte la mamma ripone le sue ansie dietro a parametri terreni, con raccomandazioni tipo : “Vai piano e stai basso!” che sono in netto contrasto con la sicurezza del volo.

Ma quella volta, dico … quella volta! Era una giornata perfetta, temperatura, sole, vento, nubi, tutto sembrava promettere un lungo volo con quote considerevoli, una cosa da raccontare poi alla sera al circolo. La giornata era proprio perfetta, il cielo quasi terso manifestava i primi cumuli, con rotondità giuste al posto giusto, l’angolo del sole, la temperatura di rugiada da manuale, la brezza da nord che solleticava la manica a vento, quella che ci vuole. Tutto mi chiamava a salire a bordo del mio monoposto e ad impugnare la cloche. Sbrigate le solite formalità d’ufficio, mi recai sulla pista erbosa, con l’aliante che avevo prenotato, il migliore, I-CARE, che in inglese è proprio l’opposto di “menefrego”. Sarei partito per secondo, in quanto davanti all’ I-CARE c’era un altro aliante, il I-DEAR, un vecchio modello in legno e tela, quasi pronto per il museo. Eccezionalmente c’erano due traini in pista. I-DEAR sarebbe decollato con lo Stinson L-5 del club, mentre io sarei partito pochi minuti dopo trainato da un Cessna di un privato che voleva accumulare ore di volo. D’un tratto, rimasi sorpreso, le donne pilota non sono frequenti nel nostro campo, e quella che ora si avvicinava rapidamente al I-DEAR era proprio una donna che diffondeva un certo fascino, alta, un po’ massiccia, non proprio una ragazza, forse un po’ matura, capelli biondi e ondulati, fare sicuro e disinvolto. Non l’avevo mai vista prima. In un pochi di minuti l’ I-DEAR decollò. Sentivo alla radio le comunicazioni tramite il traino e la torre. Si dirigevano a nord-ovest, rotta 290 ed avevano previsto lo sgancio a quota 500 metri. Poi toccò a me, io avevo pianificato una rotta un po’ più a nord, con prua 310, per uno sgancio a 500 metri verso le pendici del monte Ubione. Però ero troppo curioso, la possibilità di un volo stupendo grazie alle eccezionali condizioni meteo, era offuscata dalla curiosità di capire chi fosse quella donna, e forse anche l’orgoglio di maschio prese il sopravvento: la volevo raggiungere e vedere come pilotava, forse anche farmi vedere. Passato il periodo che chiamo “limbo” ovvero il tempo passato dietro la turbolenza dell’elica del traino, avvenne lo sgancio e finalmente il mio guscio di vetroresina si trasformò in aliante. Basta, finiti i rumori molesti, ero affidato al vento, alle termiche, al sole, e a tutto quanto conoscevo e mi apparteneva. Avevo la presuntuosa sensazione della sconfinata potenza del controllo degli elementi. Il mio aliante sfrecciava veloce frusciando nel fluido e trasparente elemento che trasforma l’energia del sole in forza di sostentamento della mia volontà. Nell’Olimpo che mi sono inventato, c’è posto per una divinità sconosciuta a tutti, si chiama “Ventolino” ed è l’idolo degli alianti. Non si vede, ma deve essere un ragazzino impertinente, che se non lo rispetti ti fa atterrare malamente e magari fuori campo, ma se ti vuole bene, ti fa fare quota e ti porta al cospetto degli dei dell’Olimpo. Però a modo suo. Ovvero a calci. L’aliante infatti prese a salire vigorosamente, sospinto dalle termiche del pendio erboso e risucchiato da una piccola lenticolare sulla mia verticale. Il mio aeromobile saltava e sgroppava ad ogni calcio di Ventolino. Il variometro elettrico trillava allegramente segnalando la salita. In poco tempo con piccoli interventi sulla cloche arrivai a quota 750 metri. Dalla radio sentivo la voce della pilota del I-DEAR: una bella voce femminile dai toni bassi, sicuri, con un leggero accento straniero ed una fonia imperfetta, intercalando termini in inglese. Comunicò che era un paio di chilometri davanti a me, sulla sinistra, a quota 600 metri. Diamine, decisi di raggiungerla, grazie alla mia quota superiore, avevo più velocità, e con un planatone di pochi minuti le sarei stato di fianco. Infatti già la vedevo oltre la capottina, più in basso. Stabilii il contatto radio e le dissi che le sarei passato ad un centinaio di metri sulla destra. Sotto di noi avevamo l’ampia valle Imagna. Lei non rispose altro che un impersonale ”over”. Dopo pochi minuti eravamo affiancati, a dire il vero a meno di 100 metri, a quota 570. Estrassi un corto binocolo per vederla meglio, e devo dire che la donna faceva un bel vedere. La riconobbi: era una signora che conoscevo solo di vista, era una badante russa che evidentemente prestava la sua opera dalle parti di casa mia. Lei non girò lo sguardo verso di me, continuò a fissare davanti. Decisi quindi di lasciarla sola nella sua termica con una lenta spirale a sinistra; tirai leggermente la cloche verso di me, I-CARE rallentò, passai a 590 metri di quota e la vidi filare via. Volli seguirla per un po’ con lo sguardo, poi avrei virato a destra per fare quota alle pendici del monte Albenza. Con il vento da nord sarebbe stato tutto portante. Quello che vidi però mi lasciò perplesso, e non ho altre parole per descrivere il mio stato d’animo. Evidentemente la pilotessa-badante aveva aperto lo sportellino della capottina, e teneva fuori la mano che stringeva un oggetto strano che non riuscivo ad identificare neppure con il binocolo. Eravamo sopra la campagna bagnata dal torrente Imagna, a poche centinaia di metri dall’abitato di S.Omobono. Arrivammo sulla verticale della Belleri, un’azienda che produceva tra l’altro componenti per l’industria aerospaziale. La mano della pilotessa-badante si aprì, cadde un oggetto di forma cilindrica luccicante, e, dopo poco, si aprì un minuscolo paracadute. Contemporaneamente sentii la sua voce alla radio che mi diceva: “Senti I-CARE, spostati a destra, che comincio a fare un po’ di spirali per riprendere quota. Over”. Non mi rimase altro che rispondere: “Ochei – over”. Piegai a destra verso il pendio e ripresi a fare quota. Ma la mia spensierata allegria era tutta finita, il mio desiderio di conquistare quote ambiziose e magari agganciare l’onda che mi avrebbe consentito di compiere magari un volo transalpino, si era offuscato. Avevo la testa piena di interrogativi ed ero distratto. Non riuscivo a comprendere la situazione, una donna pilota era già una rarità, una donna pilota badante russa o ukraina, era quantomeno unica, e l’azione di paracadutare un oggetto sopra una ditta di interesse strategico, mi faceva pensare a scenari da guerra fredda. La pilotessa-badante annunciò alla torre di aver raggiunto la quota di 750 metri, di voler virare e rientrare alla base. Anch’io feci alcune spirali positive, ma mi era venuto a mancare il gusto del volo. Per la prima volta in vita mia abbandonai una giornata forse unica nell’arco dell’anno ed iniziai a fare scelte sbagliate. Ero deconcentrato e pilotavo male, la ricerca ed il centraggio delle termiche era empirica ed imprecisa. Dopo venti minuti di pilotaggio da dilettante mi ero giocato 350 metri di quota e guarda caso mi ero ritrovato proprio nei pressi della “famigerata” ditta Belleri! Se avessi fatto ancora qualche errore Ventolino si sarebbe materializzato in “castigo” e mi sarei trovato costretto ad atterrare in emergenza proprio nel piazzale antistante l’Azienda che si presentava abbastanza ampio e completamente deserto. Non fu così, per fortuna, anche perché la Valle Imagna è notoriamente inatterrabile e dopo non pochi tentativi di aggancio di piccole termiche di bassa quota riuscii a racimolare i 200 metri necessari a poter “scollinare pelando gli alberi” tra le antenne della Roncola e impostare un “planè-tirato” per poter raggiungere l’aeroporto con un atterraggio regolare ma col “fiato corto”. Qualche minuto dopo a mia volta, annunciai per radio l’intenzione di entrare in procedura “diretta” per l’atterraggio. Dopo una ventina di minuti, lasciato l’aliante nel prato fiorito, entrai pensoso e di malumore nel bar dell’aeroclub. Anche lì fui testimone di un fatto strano.

In piedi, in mezzo alla sala, c’era il colonnello Viglietti, un colonnello dell’aeronautica che frequentava il club. Viglietti era famoso per essere stato visto raramente in divisa, ed in più sembrava che fosse l’unico pilota occidentale ad aver pilotato un Mig 23. Era una figura enigmatica che incuteva soggezione e rispetto. Girava voce che avesse rapporti con i “Servizi” del Est. Ci facemmo un cenno di saluto con la testa. La pilotessa-badante entrò dalla porta a vetri che dava sulla pista. Lei fece a Viglietti solo un cenno con il capo … gli andò incontro, lo abbracciò, lo baciò e rimase con lui qualche minuto a parlare fitto fitto seduti ad un tavolino appartato. Poi la pilotessa-badante uscì dalla porta che dava sul parcheggio. Io non sapevo che fare … far finta di niente? Chiedere spiegazioni? E a che titolo? L’imbarazzo era grande … e se il destino della nazione fosse stato nelle mie mani? Ci pensò il colonnello a risolvere la situazione: ”Claudio” mi chiamò e mi fece cenno di sedermi al tavolino, ordinò da bere, una coca per lui ed una birra per me. Mi guardò fisso negli occhi, ci fu un lungo attimo di silenzio, poi prese a parlare. Parlò solo lui, con quel tono che non ammette repliche: “Claudio, hai visto? E cosa credi di aver visto? Dì, lo sai che sono in pensione? Sì, mi hanno promosso generale e mi hanno mandato in pensione per via di un disturbo agli occhi che mi impedisce di pilotare, anche uno straccio di ULM. E lei? Tatiana? Ma tu chi credi che sia? E’ la mia colf. E’ pilota lei … sì, certo, quando c’era l’Unione Sovietica era tenente nell’esercito e pilotava aerei da ricognizione. Poi è arrivata la democrazia, l’hanno spedita al suo paese natale, in Ukraina, ed è rimasta senza lavoro. Lo sai Claudio quanti laureati abbiamo qui che lavano i pavimenti?”

Volli intervenire io: “Sì, ma l’oggetto paracadutato sulla Belleri?” Il generale, si mise a ridere, prima pian piano, poi non riuscì a trattenersi e rise di gusto. “L’oggetto paracadutato”, disse, e parlò con difficoltà a causa della risata che continuamente lo interrompeva, “l’oggetto paracadutato, è un cilindretto di cartone contenente le ceneri del mio cane … sai quel cagnetto che mi portavo sempre in volo tra le gambe? … il cane mi è morto, e Tatiana, alla quale ho fatto convertire il brevetto, si è premurata di spargerne le ceri in aria, per conto mio … la Belleri dici? Ma scusa, se è chiusa! … è chiusa da due anni!?” Alla fine il generale si alzò, dritto ed imponente come solo sanno fare i generali. “Beh Claudio, ti saluto … Tatiana mi aspetta in macchina. Comunque sei bravo … ti segnalerò al Sisde, caso mai gli serva un pilota dagli occhi lunghi …”

Ora tornavo mogio mogio tra i “terricoli” che ancora mi guardavano incuriositi. Varcavo quel cancello di confine con meno spavalderia ma con la consapevolezza che le mie ali necessitavano di acquisire la capacità di affrontare anche altri imprevisti che non si limitavano alla sola meteorologia.

*** PS: Il riferimento a persone o luoghi e marche dei velivoli è puramente casuale e sono asserviti al racconto e comunque al prossimo aliante metterò le marche: I-HOPE


Narrativa / Medio-Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”