Preghiera di un uomo che cade tra le nuvole

rapaceIl racconto ha un soggetto insolito: si tratta degli ultimi istanti di vita di un uomo che ha deciso di morire cadendo dalle nuvole.

La vicenda tratta di un uomo malato di cancro che ha deciso di morire a modo suo, cercando almeno di realizzare il suo sogno: volare.

Il racconto è strutturato come una preghiera, l’ultima preghiera che l’uomo rivolge a Dio nella consapevolezza che il suo tempo è finito. Il volare è visto come una metafora della morte, come un atto trascendente che porta l’uomo a identificarsi con la natura.

La composizione, necessariamente breve, ha una forte carica introspettiva e si basa essenzialmente sul monologo interiore del protagonista alle prese con le paure, le ansie e il senso di attesa di chi sta per affrontare la fine del proprio volo.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

Elio Errichiello

p38 lightningNato a Napoli nel ’90, ha studiato Giurisprudenza presso l’Università di Napoli Federico II.  La sua professione è: giornalista, dunque collabora presso varie redazioni sia a Napoli che a Vienna, scrivendo sui temi più diversi, spaziando dalla politica all’arte, dal cinema ai viaggi, dall’attualità all’economia.

La sua grande passione resta la letteratura: il suo amore per la scrittura lo ha portato a partecipare con successo a molti concorsi letterari nazionali e internazionali.

Tra gli altri è stato premiato per due anni di fila nel concorso di scrittura internazionale “Europa e Giovani” indetto dall’IRSE.

Nel Marzo 2013 ha vinto il Premio della Giuria “Giallo Classico” con il racconto “Testamento in bottiglia”, pubblicato nell’antologia “Giallo in cantina” nell’ambito del Premio Nazionale Letterario omonimo indetto da Luna Rossa.

E’ stato finalista nel Premio Contemporanea 2013 dell’Alexandria Scriptori Festival con l’articolo “Internet e nuovi media: la rivoluzione della comunicazione nel terzo millennio”.

Nel Giugno 2013 è stato il quarto classificato nel Premio Letterario “Racconti tra Le Nuvole” indetto dall’Historical Aircraft Group e dal nostro sito con il racconto: “Sad-u-bist Ruz”, pubblicato in un’antologia a cura di Sarasota.

La sua poesia “Sinfonia in blu” è stata pubblicata nell’antologia “Il Federiciano – volume Indaco”, di recente edita da Aletti Editore nell’ambito del Premio Internazionale di Poesia “Il Federiciano”.

Nel 2014 un suo racconto è stato premiato nella XVII Edizione del Premio Letterario Carlo Ulcigrai.

Altri racconti e poesie sono pubblicati in ebook e disponibili sul web.

Per inviare impressioni, minaccie ed improperie all’autore:

elio.giornale(chiocciola)libero.it


 

Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:


Preghiera di un uomo che cade tra le nuvole

Lei … Lui in Aeroclub

Piazzale di un Aeroclub. Il sole del mattino scalda un uomo che sonnecchia in una sedia a sdraio. Da un portone dell’hangar parzialmente aperto egli scorge alcuni aeroplani a riposo anche loro. Se lo meritano. E’ giorno di chiusura: i meccanici stanno a casa. Oggi non si lavora; ma lui c’è andato ugualmente, come fa ogni lunedì, per controllare e sistemare i conti della settimana appena trascorsa; infatti, anche se fa il pilota istruttore, ha quest’altro compito, avendo il Presidente assunto a “mezzo servizio” una sola segretaria, Lucy, che non s’intende di numeri! Ha dormito poco, stanotte, pensando e ripensando a quell’allievo un po’ duro di testa che, pur desiderando di volare, apprende poco e trema quando si trova ai comandi dell’aeroplano. Deve decidere se tentare un altro metodo o dirgli di cambiare mestiere! Intanto, s’è preso una breve pausa volendo recuperare quel po’ di sonno perduto. Ma mentre sta per addormentarsi, avverte la presenza di qualcuno: perciò socchiude un occhio e scorge avvicinarsi un omone col naso camuso e mancante della mano sinistra; costui si ferma a gambe aperte e, con voce roca, l’apostrofa: “Mi sente, lui? Volessi parlare con chi comanda qua.” Un po’ scocciato da quell’intrusione e costretto ad alzarsi, a fatica gli porge la mano presentandosi: “Io sono Mike, il comandante. Lei chi è? E cosa desidera?” L’omone gira la testa a sinistra e a destra, ignora la mano tesa del comandante e parla al vento che, intanto, s’è levato leggero e comincia a frusciare fra le palme vicine. “Mi disse Lei? Con chi sta parlanno? Masculo sono, non sono ‘na femminuccia, e a chi mi disse LEI ci ho dato un cazzotto in bocca e non pò parlare chiù! LUI mi deve chiamare! Per nome e cognome, o meglio Coso Incazzoso, il pisseudonomo che mi davano i fans e il Mister quando facevo a cazzotti sul ringo! “Va bene, Coso, ho capito. Lei … Lui di professione era pugile. E ora, mi dica Coso, cosa fa?” E Coso, sforzandosi di parlare in corretto italiano, dopo qualche esitazione gli risponde: “Che ci posso dire, non faccio più niente, mi hanno imputato ’sta mano e dicono che devo cangiare mestiere. Per il Mister io sono sonato come ‘na campana. E perciò … ora volessi volare col coso ariaplano … e fare la patente.” Imbarazzato, Mike, ancora sonnacchioso stenta a frenare uno sbadiglio, realizza che qualcosa non va e con voce flebile gli risponde: “Già, Coso, mi dispiace; ma non vedo il nesso! Comunque, il “coso” che vola si chiama aeroplano; la patente, brevetto. Ma Lei … Lui non può pilotare con una mano sola!” E Coso, di rimando, alzando il braccio destro come se volesse dare un pugno all’istruttore che si scansa: “E io ci dico che posso. Il coso che dice lui vola nell’aria e perciò io lo chiamo ariaplano. Ora mi serve la patente! Ci l’ho lu brevetto … quello di cazzettatore brevettato!” Il povero istruttore, mentre arretra di un passo, si fa scuro in volto perché la giornata, che sembrava buona, di colpo si è annuvolata … pur essendo il cielo di un limpido azzurro. Si guarda intorno, non c’è nessuno cui chiedere aiuto, gira la testa di lato e mormora fra sé e sé: Attento Mike, costui è tanto pazzo quanto sciocco ed è molto forte! Coso, che ha sentito qualcosa, chiude a pugno la mano sinistra: “Che disse lui, ah? Non sentii bene, parlassi a voce alta!” Mike arretra di un altro passo e si scusa sostenendo di aver detto che: “Intanto c’è puzza di scirocco forte e perciò oggi non si può volare”! Perplesso, Coso, si pulisce il naso col dito indice, poi se lo ficca in bocca, lo tira fuori dopo averlo umettato ben bene, lo guarda e lo alza in alto: “Ooooo! Uuuuu! Ventu di scirocco? Ma lui chi sta dicenno, quali ventu… venticello è! Oggi la giornata è bbona!” Mike, nauseato, alza a sua volta l’indice della mano destra a indicare il cielo: “Guardi, Coso, lassù in alto, dove ci sono quelle nubi lenticolari … ce n’è tanto!” Poi, volendo allontanare quell’uomo massiccio e fastidioso, garbatamente gli dice: “Comunque, Lui non lo può fare il volo; UNO, deve prima pagare alla segretaria la quota di ammissione; DUE, deve sottoporsi a visita medica, quella psicofisica; TRE, se scrivono che Lei … Lui è idoneo, per volare deve pagare altri soldi alla segretaria; QUATTRO … A questo punto Coso lo interrompe: “Come sarebbe che ci devo dare soldi alla segretaria? Donna di malaffare è? Pissi fisica, idoneo … ma lui che mi sta dicenno?! Mi scrivono la cartolina che sto bene? Non c’è bisoooogno! Io bene sto, lo disse il dottore che m’aggiustò il naso!” Non c’è verso di liberarsene. Mike adesso è totalmente sveglio e, anche se stanco di quella manfrinata, alza un po’ il tono della voce, ma arretra ancora di qualche passo. “Senta, Coso, facciamo una cosa, non insista, oggi non si vola. Su, entriamo in hangar per vedere gli aeroplani! Vada, vada prima Lei … Lui! Ma insomma, si può sapere perché vuole volare?” “Deve sapere che ci voglio buttare ’na bomba sulla casa del Mister che non mi fece più combattere!” Coso, adesso, è rosso in faccia e nessuno, cioè Mike, si azzarda a dirgli qualcosa. Ma che cavolo gli si può dire?! “Quel brutto figlio di cana mi disse che sono monco-sonato! E perciò deve morire con tutti i figlistei!” Finalmente, entrando in hangar si guarda in giro e perplesso esclama: “Ma dove stanno gli ariaplani? Quelli, ariaplani sono? Piccolini, pesi piuma sono! E la bomba non ci sta. Neanche io ci sto! Lui ragione c’ha. E sai che faccio, ora che ci sto pensando? Ci vado a casa, con un cazzotto ci sfondo la porta e ce la metto deeentro … la cucina quando mangiano!” Parla, parla e fa un gesto apparentemente osceno con la mano destra sul braccio leso! Coso, stavolta davvero Incazzoso (ecco perché lo chiamavano così), aggiunge gridando: “Ce la metto, sì, ce la metto, ho il cazzotto duro io … glielo rompo, ci metto ‘sta bomba in cuuu…” “Ehilà, Coso, zitto … stia zitto! Non gliela metta in cucina … non gliela deve mettere proprio!” Bruscamente Mike, facendosi coraggio, l’ha interrotto perché in hangar c’è la segretaria, china in avanti per guardare dentro un aeroplano. “Ciao, Lucy.” Anzianotta e grassottella, Lucy è rimasta china, ma girando la testa aveva visto il gesto dell’omone e sentito le sue parole. Raddrizzandosi e stiracchiandosi, guarda fisso l’estraneo mentre parla al comandante: “Chi è ‘sto bel signore?” E continua a fissare l’omone: “C’è poca luce e non riesco a leggere nell’orametro i tempi dell’ultimo volo di ieri. La prego, può farlo lei?” Coso, convinto che stia parlando a lui, la fissa a sua volta negli occhi e (gong!) riattacca: “Mi disse lei a me? Io lui sono. Ci lo dica, comandante, ci lo dica che non sono ‘na femminuccia, io! Qua di femmina c’è solo lei, che mi pare pure bbona. Calata, era tonda dietro e sporgente davanti!” La donna non capisce la faccenda del lei … lui e per ringraziarlo dei complimenti gli dice a bassa voce: “Mai nessuno qua dentro mi aveva detto una cosa così carina!” Poi, alzando la voce, aggiunge: “M’inchino, m’inchino a Lei!” E si china di nuovo. Coso, che ha sentito solo il lei e la parola minchino, che nel suo dialetto vuol dire “minchione” (ops! al contrario!), ribatte violentemente: “Minchino e femminuccia a me? Bonazza, offeso mi hai! Tu sei femmina e ti devo rispettare. Però, se insistisci e mi fai incazzare ti do un cazzottone senza guanto che non te lo scordi proprio chiù! E l’ammissione non te la pago!” Che bella giornata, ma che bella giornata! Adesso Mike si fa coraggio volendo difendere la segretaria, afferra Coso Incazzoso per il braccio buono, rischiando di prenderselo lui il cazzotto, e gli dice gridando: “Ehi, Coso, non si dicono e non si fanno certe cose alle signore! E l’ammissione non la paga se non deve volare! Venga, andiamo fuori, discutiamone sul piazzale”. Lo strattona inutilmente, perché quello non si sposta d’un centimetro! Lucy, fingendo d’essere impaurita, interviene pregando Mike di calmarsi: “Che può farci, comandante, certe cose a volte si fanno alle signore! A me nessuno finora ha dato un cazzotto, lo sa? Intanto rimango china, così vediamo se s’incazza davvero e me lo dà!” Sconcertato, Mike, tenta ancora di trascinare fuori dall’hangar quel bestione, che però resta ben piantato sulle gambe … (break!), si sgancia in posizione di guardia e, arretrando verso l’uscita, alza il braccio come per parare l’eventuale colpo. “Ma siete impazziti tutt’e due? Lucy, t’avverto, se per te è la prima volta che ti prendi un cazzotto, t’assicuro che ti farà tanto, ma tanto male! Io me ne vado!” Vigliaccamente esce dall’hangar, socchiude la porta scorrevole e telefona col suo cellulare: “Pronto, 113? Venite subito in Aeroclub … qui c’è un pazzo furioso … un pugile sonato come una campana che dice di chiamarsi Coso Incazzoso e sta cazzottando la segretaria!” Nervosissimo, passeggia in tondo sul piazzale e ogni tanto va verso l’hangar per sbirciare da uno spiraglio: “Cose da pazzi … sono cose da pazzi! Stanno cazzottando sul serio!” Lui fa tiè, tiè, tiè … e Lucy prima grida, poi ride … dice “ahi” e grida … ma ride pure! Finalmente arrivano due poliziotti, con la volante a sirena spiegata, e due infermieri, con l’ambulanza a sirena spiegata. Si fermano sbandando sul piazzale e spengono quelle petulanti sirene. Scendono e, mentre un infermiere parla al comandante, l’altro lo prende sotto braccio: “Vieni con noi, sta tranquillo, non ti vogliamo fare del male!” Mike cerca di divincolarsi mentre urla: “MA CHE FATE, LASCIATEMI! IL PAZZO È IN HANGAR, SI CHIAMA COSO INCAZZOSO E CAZZOTTA LA SEGRETARIA … IO SONO QUELLO CHE VOOOLA, IL COMANDAAANTE! Intanto i due infermieri, che l’hanno afferrato entrambi tenendolo ben saldo, lo legano in una lettiga e uno dei due replica: “Sì, sì, io sono Napoleone … e quest’altro qui è Garibaldi! Vieni … andiamo a fare l’Italia! Mike urla e si dimena mentre l’infilano da dietro nell’ambulanza coi piedi in avanti; uno dei due gli tappa la bocca con una mano ed entra anche lui; poi parla al collega: “Se questo non sta bbono, il cazzotto glielo do io in bocca! … Giovà, questo dice di volare! Ma quanti pazzi che ci stanno in giro! Bah! Metti in moto e segui la volante … via terra, mi raccomando …” e con l’altra mano chiude gli sportelli. Anche i poliziotti, che sorridenti hanno osservato la scena, mentre stanno per rientrare nella volante sentono voci provenire dall’hangar: “Hai sentito? Andiamo a vedere se c’è davvero la segretaria col coso incazzato?” “E se poi è vero che quello fa a pugni avrà il cazzotto duro! E se ce l’ha duro, potremmo prendercelo noi da qualche parte!” “Ccà nisciuno è fesso, chi pò fotterci deve ancora nascere!” “Ma sì, annamo via! Se ci dovrebbero chiamare ancora, intervenissimo immantinente!” Mettono in moto e partono rombando a sirene spiegate. L’ambulanza segue a sirene spiegate. E di Mike non si è saputo più nulla!


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Michele Gagliani

Lei … Lui in Aeroclub

aereo sanci acquaDichiara l’autore a proposito del suo racconto: “Anche questo è un fatto vero. Il racconto è stato “sceneggiato” per essere il più vicino alla realtà.”

Un ex pugile, privo di una mano, pretende di conseguire il brevetto di pilota; vorrebbe usare l’aeroplano per bombardare la casa di chi non gli ha più consentito (ovviamente) di combattere sul ring. Ci rinuncia perché gli aerei sono “piccolini” e non sono in grado di trasportare una bomba. Si offende facilmente se gli danno del Lei (essendo maschio gli si deve dare del “Lui”). Così, incazzato nero, finisce col “cazzottare” la segretaria del club. E’ vero, nel testo c’è il “doppio senso”, ma l’autore non considera il racconto “pornografico”! Deve solo poter suscitare il sorriso del lettore.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

La prima missione di volo

Quel pomeriggio del luglio 1964 mi sembrava di vedere l’aeroporto di Boccadifalco per la prima volta. Come cambiano le cose quando si osservano da protagonisti anziché spettatori! Mi sentivo impacciato ma, al tempo stesso, non mi sfuggiva alcun particolare. L’hangar m’appariva immenso, gli aeroplani belve in agguato, e Gianni, l’istruttore, nella sua tuta sporca d’olio (o era sangue?), un feroce domatore! E il grande Icaro ad ali spiegate un’aquila pronta a ghermire i pinguini come me! Avevo l’impressione che tutti in Aero Club mi squadrassero e soppesassero. Ed ecco il mio aeroplano! Il Piper Cub J3 con motore da 65 cavalli: quanti, per la miseria! Gasparino, il meccanico, mi spiega sommariamente com’è fatto: “Quattro cilindri contrapposti, due candele per cilindro, due magneti, i posti sono in tandem, l’istruttore siede avanti e l’allievo dietro, se uno va in volo da solo deve sedersi in quello dietro, ma certo, per non spostare il baricentro, i comandi sono doppi, la barra fa muovere alettoni e timone di profondità, la pedaliera, laggiù, ruotino e timone di direzione, quella è la manovella del trim, la mano destra tiene sempre la barra e la sinistra la manetta del gas, sì questa, l’acceleratore a mano”. E, poi, l’interruttore dei magneti, la pompa del cicchetto, la manovella del trim (“ah, già, te l’ho fatta vedere!”), gli strumenti dai nomi conosciuti (bussola, contagiri) e strani (anemometro, variometro) e chissà quante altre diavolerie! Ascolto ma non ricevo. Sono confuso e spaventato. L’unica cosa che capisco è che fra poco andrò in volo e dovrò manovrare ed osservare tutta quella roba! Al diavolo, altri ci sono riusciti prima di me, gli aeroplani non sono che macchine e Icaro è solo una statua di gesso! Tu, Piper, sei cattivo? T’assicuro che saprò domarti e difendermi, con le unghie e con i denti, vedrai! In hangar c’è una stanza dove l’istruttore con due dita batte qualcosa a macchina (una vecchissima macchina da scrivere nera). Sul muro sovrastante la porta, un cartello specifica: SALA BRIEFING Finalmente qualcuno (un allievo, presumo) mi spiega che il briefing lo fa l’istruttore prima della missione; che in sala briefing si carteggia, si consulta l’AIP e si pianificano i voli. Bah, forse è meglio non fare domande! Ricordai quella volta in cui dovetti sorbirmi le lunghe dissertazioni di un marinaio che usava, con naturalezza, termini come babordo, bottazzo, boma, pozzetto, scuffia … io sono ignorante, me le dovete spiegare le cose! In effetti Gianni, l’istruttore, aveva la buona abitudine di scrivere le MIX – missioni – (da 1 a 10) che spiegavano sommariamente le missioni di volo, tratte probabilmente da un vecchio basico militare. La spiegazione che mi consegna è la MIX 1 – GEOGRAFIA DELL’AEROPORTO, scritta su un foglio di carta velina: ne stampava a macchina diverse copie, con la carta carbone, non avendo a disposizione una fotocopiatrice; quando si esaurivano, pazientemente le riscriveva. Nell’ultima guerra aveva pilotato, volando a pelo d’acqua per sfuggire ai radar inglesi, grossi velivoli da trasporto, fra la Sicilia e l’Africa; qui poi s’era fermato per fare lavoro agricolo con l’aeroplano. Volo radente, tanto per cambiare, per spargere insetticidi, diserbanti e concimi! Infine, col brevetto di istruttore e collaudatore era sbarcato a Palermo. Capace di atterrare indenne su qualunque terreno, l’aveva fatto con naturalezza ogni qualvolta il motore s’era perso un colpo. Era sceso anche a Floresta, il comune più alto della Sicilia, e ne era ripartito … Non ho più notizie di lui, da tanti anni è rientrato nella sua Trieste … chissà..! Discute con me e mi spiega, voce per voce, tutto quello che faremo in quel primo volo di circa venti minuti (eureka, è il briefing!). Ci accostiamo all’aeroplano, nel frattempo spinto fuori dall’hangar e rifornito di benzina da Totuccio, un meccanico della mia età, che è il vero artefice di tutto, mentre Gasparino, più anziano, è praticamente il capo, quello che dà gli ordini. Non c’era una CHECKLIST, la lista dei controlli da effettuarsi all’aeroplano prima del volo. In verità, mi accorgerò più tardi che di scritto non c’era nulla, a parte le MIX di Gianni ed un vecchio sgualcito AIP (Pubblicazione Informazioni Aeronautiche) che contiene, adesso lo so, le regole dell’aria, le mappe degli aeroporti, e via discorrendo. I libri di testo arriveranno più tardi. Mi sento quasi un pioniere! Facciamo un giro attorno all’aeroplano, per controllare che non ci siano rotture nell’elica di legno, che non si siano perse le coppiglie dei bulloni, che le gomme delle ruote (pardon, carrello) siano gonfie, che i tiranti di coda risuonino come le corde di un contrabbasso! Finalmente a bordo. Mi calo con difficoltà nel posto di dietro. Ci sto maledettamente scomodo. Spalliera e cuscino di crine sono duri. Non posso allungare le gambe, che mi ritrovo piegate quasi a novanta gradi. Piedi sulla pedaliera, con l’aggravante che i freni, indipendenti sulle due ruote del carrello, si devono azionare pigiando coi tacchi delle scarpe (provate, e vi accorgerete che da subito cominceranno a farvi male i polpacci!). Cicchetto, tutto escluso, e Totuccio dà qualche giro all’elica, nei due sensi. Pronto? Contatto! Gianni alza la mano sinistra per azionare l’interruttore dei magneti. Manetta al minimo. Totuccio spinge in giù, con forza, una pala dell’elica, ed il motore parte rombando. L’elica scompare e si forma come d’incanto una circonferenza di luce, un riflesso lieve dove prima stavano le estremità delle pale. Ma sono frastornato dal rumore e vibro all’unisono con tutto quanto; dal mio posto, poi, non vedo il terreno avanti al muso dell’aeroplano che sta seduto sul ruotino di coda; anche le spalle dell’istruttore mi coprono la visuale. Gianni, tuttavia, le sposta il più possibile di lato e, girando la testa verso di me, m’invita a rullare. Mi aveva già spiegato che per vedere bisogna zigzagare, andare a destra e guardare a sinistra, andare a sinistra e guardare a destra, pigiando sulla pedaliera collegata al ruotino posteriore oltre che al timone di direzione, ovviamente inefficace a bassa velocità. Unica accortezza, anticipare il movimento dei piedi per evitare che il lungo muso continui a ruotare per inerzia superando la direzione voluta. “Facile”, gli avevo detto, e Gianni sornione aveva scommesso mille lire che non ne sarei stato capace. Figuriamoci! Non si trattava di pilotare un aeroplano ma di fare muovere sul terreno una specie di triciclo con ruota sterzante posteriore! E proprio qui stava l’inghippo, in quel ruotino piccolo e saltellante, agganciato con due molle al timone di direzione. Un po’ di manetta, aumentano i giri dell’elica e i battiti del mio cuore; ci muoviamo e … cribbio (chissà se dissi cribbio!?), la coda ballonzola … spingo il piede destro e, invece che a destra, l’apparecchio va a sinistra sull’erba, contro ogni legittima aspettativa. Più m’innervosisco e più s’incasinano le cose. Mi sento perso (voglio scendereeeeeee..!), ma Gianni interviene sui comandi sostenendo che “non è tempo di andare per funghi!”. Si muove con grazia, adesso, a passo d’uomo come prescritto, va a destra (“guarda a sinistra”), va a sinistra (“guarda a destra”), e finalmente si ferma in posizione attesa. Qui, prima di entrare in pista, facciamo il controllo dei magneti: ruotiamo il selettore sul sinistro (e c’è un leggero calo di giri, perché in ciascuna camera di scoppio funziona solo una delle due candele), poi sul destro (come prima) e infine, riportato su entrambi, i giri si ristabiliscono al valore iniziale. Dimenticavo: niente radio, a quel tempo non era obbligatoria e naturalmente l’Aero Club, per risparmiare, non ne aveva. Venivamo autorizzati coi segnali luminosi di un faretto orientabile; occhio alla Torre, dunque: VERDE, possiamo andare. Allineati in pista, manetta dolcemente avanti (fa tutto naturalmente l’istruttore, io seguo, o meglio, tento di seguire la manovra), il motore mi spacca le orecchie, l’aeroplano si muove, adesso corre, barra avanti, il muso si abbassa (oh, cribbio, invece di alzarsi …), ma un momento dopo, meraviglia delle meraviglie, siamo per aria. Il terreno si allontana, i monti vicini si colorano d’azzurro, poi vedo i tetti delle case, la città (ma è Palermo? Giuro, non la riconosco!), puntiamo verso il cielo … siamo sempre più in alto, in cima al mondo. Gianni indica l’altimetro: mille piedi! Ho qualche difficoltà a convertire la misura in metri, “dividendo più o meno per tre” come da approssimative spiegazioni di Gasparino (dividendo, più, meno, per … con un solo confuso ragionamento applico le quattro operazioni insieme), per realizzare infine che siamo appena a trecento metri di quota! Mica tanti! Dove sono i diecimila del Mustang e dello Spitfire?! Provo un miscuglio di euforia e paura. Ma piano piano il rombo regolare del motore mi rassicura, non mi disturba più, ora mi fa compagnia. Sto all’erta, è vero, ma comincio a rilassarmi. Ho la sensazione di stare fermo, mentre il panorama scorre lentamente intorno a me … PATAPUMFETE … PUMFETE … RIPATAPUMFETE! Mi gira tutto, mi sento sbattuto e pesante! Che succede? Gianni, quel figlio di buona donna, ha combinato qualcosa per saggiare le mie reazioni. Fingo indifferenza e gli urlo che mi è piaciuto, anzi … mi è piaciuto assai (lo ucciderei!). “A ore 12, sotto Monte Cuccio, l’aeroporto; a ore 3 Monte Pellegrino …” e parla, parla: che vuole costui? Poi affiorano i ricordi di vecchie letture (Attento! Caccia ad ore 9!) e capisco che si sta riferendo alle lancette dell’orologio per darmi la prima lezione di orientamento (in seguito passeremo alla bussola). Rientriamo. Discesa e avvicinamento, luce VERDE, possiamo atterrare, fa tutto lui, viriamo, scendiamo ancora, sfioriamo le terrazze delle case e … plomft, tocchiamo dolcemente, all’inizio della pista, da fermi o quasi. Mi lascia i comandi per rullare fino al parcheggio e, stavolta, va meglio. Via i magneti … e mi gusto (anche Gianni, credo) qualche momento di silenzio. Bello, bello, bello! VOGLIO FARE IL PILOTA.


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Michele Gagliani