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In volo sopra il mondo

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Copertina

titolo: In volo sopra il mondo

autore: Angelo D’Arrigo

editore: Mondadori

anno di pubblicazione:  2005

ISBN: 2005978880454601





Ormai volo da più di quarant’anni. Gli episodi di cui sono stato protagonista o testimone sono già innumerevoli e tante sono le persone straordinarie che ho conosciuto. Qualcuno non l’ho conosciuto, ma in qualche modo i nostri sentieri si sono incrociati e comunque ho saputo di loro.

Uno di questi è Angelo D’Arrigo.

Ero venuto in possesso di una videocassetta da lui prodotta tanti anni fa, era una specie di video corso di pilotaggio del delta a motore.

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Retro
La splendida retrocopertina di “In volo sopra il mondo”. Difficile dire quanti uccelli siano ritratti in questa foto

Negli anni ’80 facevo l’istruttore sugli ultraleggeri tubi e tela e, parallelamente, prendevo lezioni di deltaplano a motore, una macchina molto interessante per l’epoca. Il video-corso mi fu molto utile.

Considero questo il primo contatto con la generosità di Angelo D’Arrigo, che aveva voluto diffondere e condividere una parte del suo sapere con altri appassionati della materia.

Quando decollavo dalla nostra pista di erba per i voli scuola, sorvolavo spesso una querciola dove stavano appollaiate alcune cornacchie. A volte volavano via per il rumore del motore e per qualche istante mi trovavo a volare insieme a loro, cosa questa che mi riempiva di gioia.

Ma poi seppi che qualcuno volava con un gruppo di uccelli nati in cattività, sottoposti all’imprinting studiato dall’etologo Konrad Lorenz e condotti lungo un percorso di migrazione da un ragazzo a bordo di un deltaplano a motore e questa vicenda mi interessò molto.

Era Angelo D’Arrigo.

Altro che qualche attimo di volo con un paio di cornacchie.

Premesso che ho letto quasi tutti i libri di Konrad Lorenz, cercai con ogni mezzo di sapere tutto su questo pilota straordinario. Internet non c’era, ma a volte leggevo qualcosa sulle riviste di settore. Comunque seppi del volo sopra l’Everest, anzi, su questo episodio trovai perfino un DVD con i filmati effettuati in quell’occasione.

Angelo D'Arrigo in volo con le gru in Siberia nel 2002 (foto Wikipedia)
Angelo D’Arrigo in volo con le gru in Siberia nel 2002 (foto Wikipedia)

Avrei voluto incontrare Angelo, ma non ne ebbi mai occasione, sebbene in una almeno ci andai molto vicino.

Al lavoro, al controllo del traffico aereo, avevo notato un notam che chiudeva lo spazio aereo sopra Guidonia e il monte Terminillo fino ad un livello altissimo, a semplice richiesta di un pilota di deltaplano che si trovava nell’aeroporto di Guidonia, in attesa che le condizioni meteo fossero favorevoli ad un tentativo di record o qualcosa del genere.

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Copri Copertina
Il risguardo interno del bel libro di Angelo D’Arrigo. Sintetizzare il contenuto di questo libro non deve essere stato facile.

Come controllore la cosa mi riguardava fino ad un certo punto, ma come istruttore di aliante, proprio della sezione di volo a vela di Guidonia, ne ero coinvolto appieno. Infatti passai un pomeriggio a fare scuola a Guidonia, pronto a smettere di volare e a richiamare a terra i miei allievi e gli altri piloti non appena il notam fosse stato attivato. Ad ogni decollo vedevo un delta con ala rigida allungata, parcheggiato di fronte ad un piccolo hangar quasi al centro del campo. Mi dissero che si trattava di Angelo D’Arrigo.

Purtroppo quel giorno non ebbi tempo di andare a conoscerlo. Pensavo di farlo in seguito. Ma il giorno dopo il notam fu attivato ed Angelo fece il suo volo.

Il racconto è contenuto nel libro.

Il libro racconta tante altre cose e consiglio vivamente ogni appassionato di volo di leggerlo. Molte vi sorprenderanno, vi sembreranno incredibili, ma ci sono le documentazioni inconfutabili ed i filmati a confermarvi che è tutto vero. Perfino l’Aeronautica Militare effettuava studi insieme ad Angelo su un argomento che leggerete. Non ne parlo qui. Non mi credereste. Leggete il libro.

Angelo progettava di sorvolare le Ande insieme ad un condor, il più grande veleggiatore del mondo. Il pulcino era stato imprintato secondo gli insegnamenti di Konrad Lorenz e cresceva in attesa del grande giorno.

Insieme sarebbero saliti nelle correnti ascendenti della catena delle Ande fin sulla cima dell’ Aconcagua, senza ossigeno, utilizzando tecniche speciali messe a punto per l’occasione.

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Copertina
La spettacolare copertina di “In volo sopra il mondo”. Questa impresa, in cui ha superato l’altezza dell’Everest, ha richiesto una preparazione di oltre due anni.

Nell’ultima pagina del libro Angelo scrive:

“Molti mi chiedono che cosa mi spinga ad andare sempre oltre. Non è agonismo: con le sfide ho smesso da anni. Non è nemmeno il bisogno di misurarmi con i miei limiti, come a volte ho creduto. No, è qualcosa di più semplice ed intimo: l’istinto di essere nella natura a modo mio. Un istinto che mi domina, che mi tiene sveglio la notte, che mi illumina e mi entusiasma. Non seguirlo sarebbe tradire me stesso”.

Purtroppo qualcosa è riuscito a tradire lui. Un piccolo aereo, pilotato da un generale dell’Aeronautica in pensione, durante una manifestazione aerea, esegue un basso passaggio e una virata sfogata. All’apice della manovra si avvita e cade al suolo, mettendo fine alla vita del generale e a quella del suo passeggero: Angelo D’Arrigo.

Ora potrei scrivere tante parole inutili su questo fatto e sul grande dolore che ha provocato. Due sole sono sufficienti: stupore ed incredulità.

Angelo aveva un progetto, anzi, più di uno. Progetti rimasti incompiuti. E come tutte le cose incompiute restano nella mente umana molto a lungo, fino a quando, in qualche modo, qualcuno non le riprende e non le porta a termine.

Nel libro è anche contenuto il racconto di un volo dell’inizio anni novanta, in deltaplano a motore, dalla Sicilia all’Egitto. Per un disguido Angelo finisce nelle mani dei libici. Viene fatto prigioniero e per oltre un mese subisce ogni genere di privazione e violenza. Ma qui compare un’altra persona, degna di un grande come lui: sua moglie Laura Mancuso. Lei non si dà pace e lavora instancabilmente attraverso tutti i canali diplomatici. Riesce a dimostrare che suo marito non è una spia come creduto dai soldati di Gheddafi, ma soltanto uno sportivo impegnato in un’impresa pianificata e pubblicata. Ci vuole tempo e il tempo manca.

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Retro Copertina ritagliata
La breve biografia di Angelo D’Arrigo presente nel retro del libro. Ovviamente si ferma al giorno in cui è stato stampato il libro … ciò che è accaduto dopo è cronaca, purtroppo.

Da un momento all’altro Angelo potrebbe essere giustiziato insieme ad altri prigionieri come lui. Laura arriva in tempo. Un diplomatico riesce a parlare con Gheddafi, a convincerlo a rilasciarlo e poi a prendere Angelo per i capelli e a tirarlo fuori dall’orlo dell’abisso. E’ libero e può tornare a casa da sua moglie e dai suoi figli.

Ora non occorre spiegare quanto sia ingiusto che dopo un salvataggio così magistrale, possa bastare un banale voletto locale a mettere fine alla vita di un personaggio così grande.

Questo libro deve essere presente nella libreria di ogni appassionato di volo. E’ moralmente obbligatorio conoscere Angelo D’Arrigo. Conoscere le sue gesta.

Perchè fra tutti i futuri lettori del suo libro potrebbe essercene un altro simile a lui, che riprenda il filo dove lui, suo malgrado, ha dovuto lasciarlo cadere.



Recensione a cura di Evandro Detti

Didascalie delle foto a cura della Redazione


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Vittoria tra le nuvole

Vittoria tra le nuvole - V.M. Yeates - Copertina

titolo: Vittoria tra le nuvole

autore: Victor Maslin Yeates

editore: Elliot 

anno di pubblicazione: giugno 2013

ISBN versione cartacea: 978-8861923508





Tanti anni fa, ma proprio tanti, comprai un libro su una bancarella. Il titolo era: “Alta quota” e per questo aveva attratto la mia attenzione. Ad una prima occhiata avevo visto che si trattava di un libro sulla I Guerra Mondiale, scritto da un pilota vero, che vi aveva combattuto veramente come pilota di un biplano inglese Sopwith Camel.

Vittoria tra le nuvole - V.M. Yeates - Retro
La retrocopertina del libro di memorie  di un pilota sopravvissuto ai caccia tedeschi ma non alla tubercolosi. Un ringraziamento speciale va a Domenico Tarizzo, traduttore, che ci ha permesso  di leggere questo volume in lingua italiana.

Lessi quel libro più di una volta, ma questa è una prassi normale per me. Se un libro mi piace lo rileggo, ogni tanto.

Forse fu per questo motivo che un giorno, parlandone con un amico pilota, ebbi un momento di debolezza e glielo regalai. Un errore che commetto difficilmente. Di solito, se regalo un libro a qualcuno, glielo compro, non gli regalo un libro mio. Forse pensai che lo avrei potuto ricomprare, prima o poi.

Invece, nel corso degli anni seguenti, per quanto cercassi sulle bancarelle, non l’ho più ritrovato. Oltretutto quell’amico, dopo poco tempo lo regalò a un altro pilota. Non so se prima lo abbia letto o no, ma almeno l’altro pilota disse che gli era piaciuto moltissimo.

Non ho mai dimenticato quel titolo e neanche la copertina. Ero pronto a comprarlo a vista se lo avessi trovato, ma niente.

Non è facile vedere un Sopwith Camel in volo nel 2018 … ma se vi foste trovati allo Shuttleworth Evening Air Show assieme al fotografo che ha colto questa inquadatura, avreste potuto osservare con i vostri occhi questa splendida replica recante i colori della Prima Guerra Mondiale. Questo Camel costituisce parte della Shuttleworth Collection che trova ospitalità nell’Old Warden Airfield, nella regione dello Bedfordshire, ovviamente in Gran Bretagna (foto proveniente da www.flickrc.com)

L’era di internet ha reso possibili anche questo genere di cose. Un giorno scrissi il nome dell’autore, Yeates, su Google e … paf! Trovai un libro diverso, ma che ricordava tanto quello che avevo avuto. Lessi la descrizione e ritrovai la storia intera. Il titolo, ora, era cambiato. Si intitolava: “Vittoria tra le nuvole”.

Lo ordinai online e mi arrivò a stretto giro di posta.

Sempre su Google ho trovato la storia dell’autore,  nato a Dulwich, Inghilterra, nel 1897 e morto nel 1934. Era un amante della poesia e della natura. Nel 1917 entrò nel Royal Flying Corps, come pilota e andò in Francia a combattere contro i tedeschi. Volò per 248 ore su un biplano Sopwith Camel. Ebbe quattro incidenti, fu ferito due volte, conseguì cinque vittorie, il numero minimo per diventare un asso.

Un Sopwith Camel visto da vicino, molto da vicino. Il velivolo ebbe diverse motorizzazione sebbene quella standard è individuata nel motore rotativo a singola stella Clerget-Blin 9B capace di erogare 130 hp di potenza e in grado di fargli raggiungere la favolosa velocità massima di 180 km/h. Il velivolo ritratto è conservato nel National Museum della U.S. Air Force sito a Dayton negli Stati Uniti. (foto proveniente da www.flickr.com)

Alla fine della guerra tornò in Inghilterra, profondamente provato e distrutto, sia dal punto di vista psicologico che fisico. Infatti di lì a poco si ammalò di tubercolosi. Provò a curarsi per uscirne, ma all’epoca era difficile salvarsi da quella malattia. Tuttavia, per racimolare i soldi necessari alle cure, scrisse con fatica le sue memorie di guerra, un libro, questo libro, che fu pubblicato, ma non ebbe subito il successo sperato.

Yeates morì di tubercolosi prima che i proventi del libro gli consentissero di curarsi.

Il titolo originale era “Winged Victory”. In qualche manifesto ho trovato anche “Winged Victor”, una leggera deviazione per giocare con il suo nome, Victor.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, questo libro fu recuperato dall’oblio nel quale era caduto. I piloti della Royal Air Force lo riscoprirono e ne decretarono un enorme successo, perché era uno dei rarissimi racconti che riportava fedelmente i fatti e la quotidianità della vita del pilota di guerra. Yeates infatti non aveva inventato nulla. Aveva descritto le azioni militari come pure la vita di tutti i giorni e i discorsi, le feste, gli scherzi, le paure, le ansie e i momenti di relax nelle lunghe giornate in cui il maltempo li costringeva a terra. Li costringeva, cioè, a vivere senza rischiare di morire.

Yeates non aveva cambiato i fatti, ma neanche i nomi dei protagonisti con i quali aveva condiviso il periodo di guerra in Francia. I loro nomi sono tutti nel racconto, semmai, in qualche caso, aveva omesso il nome di battesimo o il cognome, designandoli semplicemente con uno dei due.

Un’elaborazione pittorica di una fotografia già di per sè da incorniciare. Ritrae un Sopwith Camel con la livrea della I Guerra Mondiale … ma il luogo dello scatto è l’aeroporto Wright-Patterson a Dayton, Ohio, negli Stati Uniti d’America ed è stata scattata “solo” nel 2016. Gli USA utilizzarono ampiamente il Camel durante il conflitto e contribuirono a fare in modo che questo velivolo conseguisse il mirabolante record di quasi 1300 apparecchi nemici complessivamente abbattuti, ossia più di ogni altro aeroplano da caccia in forza presso le Aviazioni degli Alleati durante il conflitto. Eppure non era una macchina proverbialmente facile da pilotare tanto che, a detta dei piloti alleati, il Camel offriva due opportunità: la morte o la Victoria Cross, onorificenza riservata agli assi (foto proveniente da www.flickr.com)

Il teatro di guerra è quello della Somme. Amiens, Arras, Vignancourt, Morlancourt, etc, nomi famosi di un teatro tragico. La Francia rievoca spesso quella zona, anche durante il Tour de France, quando vediamo i ciclisti scorrere su un paesaggio bellissimo, ma segnato qua e là da mausolei, monumenti, cippi e cimiteri che rievocano la guerra mondiale, sia la prima che la seconda.

La copertina del libro di Victor Maslin Yeates nella sua edizione in italiano del 1969 recante il titolo: “Alta quota”. All’epoca il grafico dell’editore Rizzoli non si profuse granchè in termini di originalità e inventiva tuttavia, il testo che si trova all’interno permette facilmente  di dimenticare lo squallore del contenitore esterno

Vittoria tra le nuvole” si trova online anche con il vecchio titolo di: “Alta quota”. Basta ordinarlo per avere tra le mani uno dei migliori libri scritto da un pilota per un pubblico che non deve essere necessariamente costituito da piloti. Ma questi ultimi troveranno interessantissimo leggere anche le impressioni di pilotaggio del Camel, un aereo scorbutico, che entrava in vite all’improvviso, volava storto e scappava di mano alla prima minima distrazione. Ma, come dice Yeates, ci si abitua a tutto e alla fine questo carattere del Camel, non solo diventa familiare e non costituisce più un problema, ma aiuta il pilota a sottrarsi di colpo ai proiettili delle mitragliatrici dei caccia avversari. Una cosa non da poco.

Leggendo il libro si resta sorpresi di quanto, a quei giorni, i piloti fossero consapevoli degli interessi internazionali che avevano portato loro a dover combattere e morire. Nelle conversazioni compaiono spesso analisi ben precise della situazione politica del momento.





Recensione a cura di Evandro Detti



Il catrame di Tirana

La tratta da Roma a Tirana, nel 94’, era un volo di circa un’ora e venti minuti circa. Si atterrava attorno a mezzogiorno e, il tempo di imbarcare i passeggeri ed eseguire i controlli di transito, si ridecollava subito alla volta di Roma.

Dal punto di vista delle difficoltà del volo … beh, non ce n’erano granché, salvo le radioassistenze piuttosto scarsine che si limitavano ad un semplicissimo ADF. Fortunatamente l’aeroporto di Tirana godeva sempre di ottima visibilità ed era facile individuarlo già da molto lontano.

Anche quel giorno era stata semplice routine portare a terra il DC9-30 della compagnia di bandiera e, a parte un caldo afoso che ci aveva asfissiato a Roma, durante l’imbarco passeggeri, il volo era scivolato tranquillo.

Il tempo di rullare in pista, percorrere il raccordo e recarci davanti alla piccola aerostazione, che l’apertura del portellone ci confermò una calura albanese ben più rovente di quella romana. Pensare di trovare ristoro nella minuscola aerostazione del piccolo aeroporto di Tirana era pressoché impensabile: le infrastrutture erano rimaste quelle dell’epoca fascista e modernità come l’aria condizionata, nel ’94, a Tirana … erano troppo progressiste. Tanto valeva rimanere in cabina. Ma il mio I ufficiale fece svanire ogni dubbio sul da farsi quando mi pregò di scendere per mostrarmi un “piccolo problema” ai carrelli.

Piccolo problema? pensai … a Tirana avevamo solo pochi tecnici che si occupavano dei controlli di transito, non avevamo un’area tecnica e ogni più piccola avaria avrebbe comportato solo “grossi problemi”. Altro che piccolo problema!

“Speriamo bene” sussurrai a denti stretti, scendendo a terra.

Un capannello di tecnici, compreso il caposcalo – lo conoscevo da anni -, erano attorno alle grandi ruote dell’aeroplano e, per un istante, non capii quale potesse essere l’avaria. Poi, osservando meglio, mi venne naturale esclamare un sincero: “Porca paletta!”

I pneumatici del povero DC9 sembravano la pelle dell’Uomo Roccia, quello dei Fantastici 4, per intenderci. Erano costellati di ciottoli di piccole e medie dimensioni, una specie di cingolo formato da sassi che ricopriva buona parte del battistrada.

Non so perché … ma nella mia mente si visualizzò l’immagine di un croccantino, il gelato che aveva contrassegnato tutte le estati della mia infanzia: il tipico stecco di legno, il ripieno di crema con il cuore di amarena e soprattutto la superficie, anziché liscia, costellata da una miriade di micropalline di zucchero e nocciole sminuzzate. Volendo lo stelo dei carrelli poteva costituire lo stecco di un enorme croccantino tondo mentre i sassi non avrebbero sfigurato come copertura …

Da adulto assennato, sentenziai che la presenza dei sassi addosso al pneumatico, contrastava le leggi della gravità. Dunque, istintivamente, provai a staccarne uno.

“Fossi in lei, non li toccherei, comandante” mi apostrofò il caposcalo. Prima che potessi abbozzare una replica mi mostrò le sue dita nere e cosparse di un fluido vischioso. Poi aggiunse: “Si è sciolto l’asfalto della pista!”

In effetti la calura era davvero insopportabile. Mi resi conto che la mia camicia, seppure di cotone leggero, si era letteralmente attaccata alla mia pelle. In pochi istanti. Era bagnata ovunque da un sudore copioso. Benché fossimo all’ombra sotto la pancia dell’aeroplano, la temperatura era torrida, complice le vampate di calore che venivano dall’asfalto, appunto, e dall’aria rovente e immobile.

Sapevo che il fondo della piste degli aeroporti è in grado di resistere ai forti carichi localizzati delle ruote degli aeroplani mentre le piste vengono asfaltate con catrame speciale resistente alle alte temperature … ma, probabilmente, il primo era ancora quello realizzato dagli italiani nell’epoca fascista mentre il secondo, era tutto fuorché resistente al calore.

Certo, la temperatura era altissima … ma i sassi? Da dove provenivano?

Sapevo altrettanto bene che le piste, i raccordi e anche i parcheggi degli aeroporti vengono regolarmente “spazzati” per evitare che corpi estranei possano essere ingeriti dai motori dei velivoli … un po’ come nelle portaerei quando, al mattino, tutto l’equipaggio addetto al ponte di volo lo percorre da un capo all’altro alla ricerca anche del più minuzioso oggetto pericoloso.

A ripensarci bene, lì a Tirana, non avevo mai visto delle macchine spazzatrici all’opera, né potevo immaginare che il personale aeroportuale – poco a dire il vero – percorresse la pista al mattino come nelle portaerei. Ma allora il mistero dei sassi?

Il caposcalo sembrò leggermi i pensieri e dipanò il mistero: “E’ il raccordo che si sta sgranando!”.

In effetti, a ripensarci bene, rullando fuori dalla pista, avevo notato che il cemento del raccordo era irregolare, fratturato da crepe a chiazze e stranamente rugoso. Era molto probabile che le elevate temperature avessero in parte liquefatto l’asfalto della pista e che i pneumatici, come un enorme rullo compressore – ma impregnato di colla moschicida – avessero raccolto i piccoli sassi che formavano il fondo del raccordo. Ecco come era andata!

Ora erano lì, attaccati al nostro DC-9. Anzi, il tempo di elaborare tutte queste elucubrazioni che i bravi tecnici avevano già staccato una buona metà dei ciottoli. Purtroppo il catrame dell’asfalto, nonostante tutti i loro sforzi, rimaneva caparbiamente attaccato al battistrada dei pneumatici.

“Fermi tutti!” esclamai, quasi folgorato dalla soluzione del problema. Il caposcalo e i tecnici, madidi di sudore, mi guardarono speranzosi. Spiegai loro la mia idea e, presi dall’entusiasmo, per poco non mi abbracciarono con le mani sporche di catrame misto a solvente.

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Atterrammo felicemente a Fiumicino. La temperatura era leggermente più fresca di quella di Tirana. Forse era una mia impressione … ma la leggera brezza del mare mitigava la calura romana cosicché l’asfalto del Leonardo da Vinci era ancora lì dove doveva rimanere: sulla pista.

Appena terminate le operazioni a bordo, mi recai in tutta fretta nella sala equipaggi per stendere un rapporto del’accaduto. Trovai il capo pilota indaffaratissimo: era in riunione con altri due colleghi, il cellulare in mano e la cornetta del fisso all’orecchio. Quando mi vide mise tutti in attesa e ascoltò il mio racconto senza dire nulla.

Uomo di poche parole e ottimo pilota, il capo pilota era assai pragmatico. Appoggiò il cellulare sul tavolo mentre ricominciava a trillare e mi chiese: “Avvisi tu i colleghi?”

“Veramente …”

“ … l’idea è tua. Così spieghi loro come devono comportarsi” replicò asciutto.

Mi rassegnai all’istante e, agguantato il telefono della segreteria equipaggi, cominciai a chiamare il primo della lista dei colleghi che avrebbero coperto la tratta nei tre giorni successivi, il quarto giorno ci sarei tornato io …

“Sì, esatto” replicai con tono convincente, “una volta imbarcati i passeggeri sul piazzale dell’aerostazione, dovrai portare il velivolo oltre il raccordo e lì i tecnici ti ripuliranno i pneumatici dai ciottoli … motori al minimo, certo … a quel punto, per evitare ingestione di eventuali sassetti o di catrame, abbasserai i flap al MAXIMUM TAKE-OFF FLAPS, entrerai in pista e poi normale decollo … alla peggio si sporcheranno i flap ma ai motori non arriverà niente”

Dall’altro capo del telefono avvertii l’incredulità e la sorpresa del mio collega. La stessa che avevo provato io quando il catrame di Tirana si era sciolto sotto le ruote del mio DC9 e il cemento del raccordo aveva deciso di sgranarsi.

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L’ondata di calore durò per una altra decina di giorni poi una violenta perturbazione atlantica irruppe nel Mediterraneo e allentò la morsa dell’anticiclone africano che aveva attanagliato l’Europa meridionale per tutto il mese di agosto.

A casa mia, sopra il camino, conservo un ciottolo di Tirana. E’ il ricordo di un enorme croccantino che non ho mai avuto il tempo di addentare.







Fotografie del Com.te Antonino Desti

Testo liberamente tratto dal racconto

del Com.te Antonino Desti

e scritto dalla Redazione di Voci di hangar

Un dono d’ali

Un dono d'ali - Richard Bach - Copertina

titolo: Un dono d’ali

autore: Richard Bach

editore: Rizzoli

anno di pubblicazione:  1987

ISBN versione cartacea: 9788817851060





Richard Bach ha scritto parecchi libri. Il primo è stato subito un successo. Si tratta di “Il gabbiano Jonathan Livingston”. Poi ne sono seguiti altri, tutti bellissimi.

Insieme a “Biplano”, questo è forse il mio preferito.

Un dono d'ali - Richard Bach - Copertina
La copertina del libro semplice ed evocativa: in uno sfondo piuttosto scuro, l’unico bagliore di cielo chiaro avvolge il biplano in volo

“Un dono d’ali” contiene i punti salienti di quindici anni di vita di Bach. Lui ha imparato a scrivere intanto che imparava a volare.

Non è un libro riservato a chi vola. Però chi vola capisce immediatamente ogni parola, ogni sillaba di questo libro.

Gli altri, quelli che non volano, sono forse coloro che più possono beneficiare della lettura di “Un dono d’ali”, perché saranno portati alla comprensione della gioia e del significato del volo. Ne conosceranno gli ingredienti straordinari fatti di avventura, libertà, ricerca della perfezione, tecnica e filosofia della vita.

Il lettore verrà proiettato in un mondo fatto di persone un po’ “speciali”, che potrebbe incontrare nella vita di tutti i giorni senza riconoscerle. Dal fornaio, al supermercato o all’ufficio postale, l’uomo tranquillo che sta facendo la fila potrebbe essere un pilota appena sceso da un mondo fatto di nuvole e sole, orizzonte piatto o montagne altissime, che sotto di lui apparivano come un’increspatura della terra.

Bach stesso incontra una di queste persone, su un aereo di linea che attraversava l’America da S. Francisco a Denver. Per novecento miglia l’uomo gli racconta della sua vita di pilota, della guerra, dei trasporti di soldati, di Iwo Jima etc. Poi, in cinque secondi gli liquida i ventitré anni passati dopo la guerra, a fare il commesso viaggiatore.

Perché volare è una passione fortissima, talmente forte che a volte si considera questa come l’unica ragione di vita.

Bach dice:

”Chiedimi perché volo e non saprei cosa dire. Invece, potrei portarti su un aeroporto, un sabato mattina, alla fine di agosto….”

E’ quello che facciamo noi piloti. Non possiamo spiegare la passione per il volo, ma spesso portiamo qualcuno con noi in aeroporto, andiamo in volo e dopo, forse, il nostro passeggero ha un’idea più chiara del perché voliamo.

Un dono d'ali - Richard Bach - Retro
La retrocopertina del libro con l’elenco degli altri volumi di questo autore, informazione assai utile per chi voglia leggerli o collezionarli.

Ogni capitolo contiene un pezzettino di spiegazione del perché amiamo così tanto questo mondo fatto di macchine di legno e tela, o di metallo lucidissimo, di motori che hanno ognuno la propria voce caratteristica, fatto di odori tipici, di olio e benzina, fatto di racconti, di meccanici sui quali riponiamo una fiducia assoluta, fatto di comunicazioni radio, fatto di numeri e sistemi di misura aeronautici, di vento, di temporali, piste, circuiti di traffico, navigazione…

Ogni capitolo trasferisce nella mente del lettore un po’ della mente di un pilota. Alla fine il lettore non diventerà pilota, ma comprenderà meglio la sua mentalità.

I libri di Bach non sono difficili da trovare. Basta entrare in qualunque libreria e se proprio non lo troviamo da soli, chiedere al commesso … sicuramente ve ne troverà una copia.



Recensione a cura di Evandro Detti

Biplano - Richard Bach - Copertina
Biplano
Un dono d'ali - Richard Bach - Copertina
Un dono d'ali

Biplano

Biplano - Richard Bach - Copertina

titolo: Biplano

autore: Richard 1981

editore: Rizzoli

anno di pubblicazione: 1981

ISBN versione cartacea: non disponibile





All’inizio degli anni sessanta Richard Bach possedeva un meraviglioso aeroplano Fairchild 24 del 1946, modernissimo per l’epoca. Era completamente rifatto, come nuovo di zecca, anzi, meglio che nuovo di zecca.

Biplano - Richard Bach - Retro
La retrocopertina del libro di una delle prime edizioni in italiano. Da notare il prezzo ancora espresso in lire.

Con quella macchina meravigliosa aveva volato per migliaia di chilometri per tutti Gli Stati Uniti. Da solo o con la famiglia, a bordo di quell’affidabile aeroplano era andato ovunque senza il minimo problema.

Un giorno si mise alla ricerca di un vecchio biplano e alla fine lo trovò.

Era un Parks P-2A. Anzi, per dirla tutta era uno Speedster Detroit-Ryan 1929, modello Parks P-2A.

Un vecchio aeroplano.

Dopo una amichevole trattativa concluse l’affare. Avrebbe preso il biplano scambiandolo con il Fairchild. Una vera follia.

Il biplano apparteneva ad un certo Evander M. Britt, il quale non era neanche troppo convinto di fare un gran buon affare, ma gli aerei vennero scambiati. Bach partì quindi dalla costa Est degli Stati Uniti per portarsi a casa il biplano, fino alla costa Ovest. Un viaggio di più di cinquemila chilometri.

Il libro parla di questo viaggio.

Ma un aereo può non essere semplicemente un mezzo per andare da un posto all’altro. Spesso è molto di più.

Anche questo “molto di più” costituisce il contenuto del libro. Come al solito lascio a chi legge il piacere di scoprire di cosa si tratti.

La bella copertina dell’edizione pubblicata nel 2012 del libro di Richard Bach

Posso solo aggiungere che in questo caso il viaggio si sdoppia. Oltre a quello attraverso gli spazi immensi dell’America c’è un altro viaggio attraverso il tempo. Il biplano è del 1929 e insieme a lui Bach ha comprato la tecnologia del 1929, i problemi, i criteri, il rumore del motore del 1929, gli odori della cabina, della tela e dei coloranti e delle colle del 1929 e così via.

Pian piano, lungo questi due viaggi paralleli, il biplano riporta in vita una gran quantità di elementi di cui si era perduta la memoria. Sono tutti lì, nel libro, ed emergono uno alla volta, ininterrottamente, sorprendendo anche noi piloti che ci crediamo tanto esperti.

Il motore, ad esempio, è un cinque cilindri stellare, senza cappottatura, la corrente per il suo funzionamento è assicurata da due magneti, anch’essi esterni e quindi poco protetti. In caso di pioggia, se i magneti si bagnassero, il motore si pianterebbe. E sul fatto che il motore si pianti, prima o poi e per un motivo o per un altro, ci si può contare. Dunque, secondo la mentalità dei piloti del 1929, durante il volo la rotta deve necessariamente andare da un campo atterrabile ad un altro. E se la distanza tra due campi atterrabili fosse troppa, allora bisogna salire di quota, per avere comunque una planata utile per raggiungere un punto dove posarsi sani e salvi.

Biplano - Richard Bach - Copertina
La copertina del libro. Si notino i segni di consuzione, dimostrazione di quante volte il libro sia stato letto dalla medesima persona

L’aereo teme il vento laterale all’atterraggio.

Se si rompe qualcosa bisogna sapere come riparare il danno, secondo le tecniche del 1929.

La potenza è quella che è. Il motore gira a 1750 giri al minuto, con il suo caratteristico rumore che richiama la sequenza degli scoppi nei cilindri: 1 3 5 2 4. Basta pronunciare questi numeri in sequenza ripetutamente per “sentirne” il rumore, la voce del Parks.

Indubbiamente una macchina di gran fascino. Anche se questo, per le nostre menti moderne, non spiega come si possa scambiare un Fairchild con un Parks.

Bach stesso è consapevole di fare una follia, ma in poche parole riesce a darcene una sorta di ragione. Dice:

“So soltanto che voglio questo biplano. Lo voglio perché voglio viaggiare attraverso il tempo e voglio pilotare un aereo difficile e sentire il vento mentre volo, e che la gente guardi, veda, sappia che la gloria esiste ancora. Voglio esser parte di qualcosa di grande e di magnifico”.

Ci riuscirà? Se leggerete il libro lo saprete, ma aspettatevi di passare attraverso un mare di disavventure insieme a Bach.

Di solito non si dice mai come una storia va a finire. Stavolta farò un’eccezione. Volete sapere quali sono le parole che chiudono il libro?

Sono quattro: ne valeva la pena.



Recensione a cura di Evandro Detti

Un dono d'ali - Richard Bach - Copertina
Un dono d'ali