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1933, LA CONQUISTA DI UN RECORD


– RAV

– 709,202

– AS6

–23/10/34

– M.C. 72

– 3000

Vi dicono qualcosa questi numeri e lettere apparentemente casuali? No?

Se aggiungessimo alcune nomi di luoghi o persone e termini tecnici?

– Desenzano del Garda

– rosso corsa

– alberi coassiali

– Lago di Bracciano

– Francesco Agello

– FIAT

– idroscalo

– record

– museo

Ancora non vi sovviene niente?

E allora se vi svelassimo queste altre informazioni?

– Castoldi

– idrocorsa

– Vigna di Valle

– Italo Balbo

– eliche controrotanti

– Mario Bernasconi

– Lago di Garda

– idrovolante

in tandem

– Tranquillo Zerbi

– Coppa Schneider.

Desistete? Buio totale? Beh … allora vi confesseremo che, in questo guazzabuglio di dati che ha le sembianze di un groviglio insignificante piuttosto che di una vera e propria guida sinottica, vi assicuriamo che una logica c’è, eccome.

Lo stesso senso logico che sta alla base del racconto di Roberto Ferri, apparentemente sconclusionato, in alcuni punti misterioso ma in realtà, a ben leggerlo, articolato e addirittura sorprendente per alcune trovate a effetto.

Il vero protagonista diel racconto di Roberto Ferri è questo mitico Macchi Castoldi M.C.72, matricola militare MM181, ritratto in uno scatto del 1999 presso il Museo Storico dell’Aeronautica Militare italiana di Vigna di Valle. In effetti sappiamo che, purtroppo, due esemplari furono perduti in incidenti di volo in cui persero la vita il capitano Giovanni Monti e il tenente Stanislao Bellini, il terzo con matricole militari MM177 fu quello che raggiunse per la prima volta nel 1933 il record di velocità con Agello – proprio quello citato nel racconto – e poi un quinto con matricole MM181 che è il detentore del record assoluto di 709 Km/h sempre conseguito da Agello nel 1934. – Foto proveniente da www.flickr.com

Ma procediamo con ordine nello svelare il mistero dei dati disordinati.

Il 23 ottobre 1934 venne scritta una delle pagine più gloriose della storia della Regia Aeronautica, l’Aeronautica Militare italiana dell’allora Regno d’Italia. Venne stabilito – ed è a tutt’oggi imbattuto – un record di velocità per la categoria di velivoli in grado di decollare e atterrare da superfici marine o lacustri, detti tecnicamente idrovolanti. In effetti si trattava di idrovolanti da competizione, da cui il termine più corretto idrocorsa.

Lungo le rive del Lago di Garda, nello specchio di lago antistante la radiosa cittadina di Desenzano del Garda, per volere di Italo Balbo, allora Sottosegretario della Regia Aeronautica e suo grande promotore in seno al regime fascista, aveva preso sede da alcuni anni un reparto di volo assai particolare. Si trattava del Reparto Alta Velocità – da cui l’acronimo RAV – che utilizzava l’esistente idroscalo di Desenzano per addestrare i suoi piloti in quello che, fondamentalmente, costituiva il tentativo italiano di aggiudicarsi un trofeo internazionale assai prestigioso quale la Coppa Schneider.

Il record è raggiunto: velivolo e pilota meritano lo scatto che, a beneficio dei posteri, ne incorona i meriti e le indubbie capacità. Agello verrà promosso sul campo (anzi sull’idroscalo) al grado di sottotenente e, dopo qualche anno, di tenente. Gli verrà inoltre conferita la MOVA (medaglia d’oro al valore aeronautico) mentre L’M.C.72 verrà posto in naftalina e conservato come una reliquia sacra nel santuario della storia dell’Aeronautica Militare Italiana che prende il nome di Museo Storico di Vigna di Valle. Purtroppo, tenuto conto dell’unicità delle soluzioni ingegneristiche adottate, questo velivolo non ebbe seguito o comunque non ebbe alcuna ricaduta tecnologica sui velivoli di serie, militari e non, e dunque si aggiunge alla lunga lista di velivoli da record che l’industria aeronautica italiana produsse a ridosso della II Guerra Mondiale senza alcun ritorno in termini di impiego bellico. Ma ci pensate ad un caccia (tipo il Macchi 205 Veltro) con un motore sviluppato da un motorone del genere? Altro che Rolls-Royce Merlin, altro che Daimler Benz DB 605! – Foto proveniente da www.flickr.com

Il reparto era affidato all’allora tenente colonnello Mario Bernasconi, un ingegnere-pilota- collaudatore già comandante del Gruppo sperimentale di Montecelio-Guidonia.

Nel tentativo di raggiungere il record di velocità alcuni piloti erano già periti in incidenti di volo sicché la sua scelta cadde quasi inevitabilmente sul talentuoso maresciallo pilota Francesco Agello. Anche perché, in termini antropometrici, egli aveva la taglia ideale per entrare nell’abitacolo assai angusto dell’idrovolante allora disponibile. Si trattava del M.C.72, costruito appositamente dall’industria aeronautica Macchi e progettato con italica genialità dall’ingegner Mario Castoldi.

L’idrocorsa era un portento di ingegneria meccanica e di aerodinamica votata alla velocità. Il suo motore, anzi i suoi motori, erano stati appositamente allestiti dall’ingegnere Tranquillo Zerbi della FIAT che, di fatto, aveva messo in fila due motori (tecnicamente si dice in tandem). Aveva creato così il supermotore denominato AS6. Sviluppava complessivamente 3000 cv di potenza. Un mostro!

Ancora una bella immagine che mette in risalto le linee affilatissime disegnate dall’ing. Castoldi. L’ala assomiglia a una lametta, la fusoliera è sagomata letteralmente attorno al motore AS6 e gli scarponi sono dimensionati quanto basta per assicurare il galleggiamente dell’idrocorsa, niente di più, giacchè costituiscono una fonte notevole di resistenza di avanzamento all’aria (oltre che all’acqua). Sia l’ala che gli scarponi sono coperti da lastre in ottone che recano tubetti delo stesso materiale utilizzati a mò di radiatori per il raffreddamento dell’acqua e dell’olio del calorosissimo motore FIAT. – Foto proveniente da www.flickr.com

Ma l’intuizione più fantasiosa era stata quella di dotare ciascun motore di una propria elica bipala collegata ad esso tramite un proprio albero, uno esterno e l’altro interno – coassiali, appunto – . Le eliche ruotavano una in un senso e una nell’altra; per questo motivo vengono usualmente chiamate controrotanti.

L’idrocorsa era un vero missile verniciato di uno splendido rosso, rosso corsa, appunto.

Qui giunti, dovreste avere un quadro abbastanza chiaro di tutte le informazioni misteriose di cui all’inizio … rimangono solo … ah, ecco … il record fu stabilito e poi migliorato ulteriormente, eccome, fino a raggiungere la spaventevole velocità di 709, 202 km/h!

Questa è una di quelle foto che, quando di parla di record di velocità per idrovolanti, di M.C. 72 e di Francesco Agello non può mancare. Il pilota di Castelpusterlengo, classe 1902, perì nel novembre del ’42 a seguito di una collisione in volo nei cieli dell’aeroporto di Milano-Bresso. Era ai comandi di un Macchi M.C.202 che stava collaudando. Il destino volle che si scontrasse con un velivolo dello stesso tipo pilotato dal colonnello Guido Masiero, ex asso della I Guerra Mondiale, divenuto famoso per aver partecipato nel 1920 al raid aereo Roma-Tokyo assieme ad Arturo Ferrarin. Le malelingue non potranno fare a meno di notare come, rispetto all’idrovolante, Agello risulti piuttosto piccino … e non a causa delle dimensioni immense della macchina volante che immensa non era davvero. In verità, le cronache dell’epoca riportano l’immagine di un pilota minuto, di statura di poco superiore al metro e sessanta, quasi tascabile … giusto appunto a misura perfetta di M.C.72! – Foto proveniente da www.flickr.com

E il velivolo?… dopo quel fatidico giorno fu religiosamente custodito negli anni a venire e oggi fa bella mostra di sé nella sezione degli idrocorsa presenti all’interno del Museo storico dell’Aeronautica Militare italiana che ha sede sulle rive del Lago di Bracciano, presso l’ex idroscalo di Vigna di Valle.

Svelato il mistero, spiegati tutti i dati elencati all’inizio! Sì, d’accordo, ma che c’azzecca il racconto di Roberto Ferri?

E allora ecco delle informazioni utili:

– studenti

– sorriso

– gita scolastica

– amore

– Lago di Bracciano

– esami di maturità

Niente? Ancora buio totale? Alzate le mani?

D’accordo … e allora ve ne anticipiamo i dati salienti.

Un dettaglio delle eliche bipala metalliche che l’ing. Castoldi decise di adottare per il suo idrocorsa. Girando sullo stesso asse ma in senso inverso una rispetto all’altra, le eliche eliminavano completamente la terribile “coppia di reazione” che si innesca quando il velivolo è dotato di elica singola. In effetti, in un aeroplano (con carrello che appoggia sulla pista) l’elica tende a caricare in misura maggiore una gamba rispetto all’altra ma in un idrovolante vuole significare che un galleggiante è talmente caricato da affondare quasi completamente nell’acqua. In queste condizione diventa difficile flottare, difficilissimo prendere velocità e involarsi con una traiettoria diritta. Sul M.C.72 il problema non sussisteva proprio e, almeno in questo, Agello l’ebbe facile. All’impresa di Agello sono dedicati alcuni volumi lodevoli e un testo giornalistico che troviamo illuminante nonchè piacevolissimo da leggere:  “Agello, il fantino del cielo”. Lo potrete apprezzare all’indirizzo:  https://www.squadratlantica.it/si-chiamava-francesco-agello/ – Foto proveniente da www.flickr.com

Alla vigilia degli esami di maturità, un variegato gruppo di studenti fa tappa al Museo Storico dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle con una parte dei ragazzi intenti a godersi i preziosi cimeli della storia dell’aviazione mentre le ragazze, più verosimilmente, sono interessate al bagno nelle fresche acque del lago di Bracciano; tutti assieme nello stesso luogo prima che il passaggio definitivo alla vita adulta li separi inesorabilmente.

L’ideatore dell’insolita gita scolastica è la voce narrante del racconto e sarà proprio lui che, complice un contatto folgorante con l’M.C.72, si troverà catapultato nel luogo, nel momento e nei panni esatti del maresciallo Agello che sta per salire a bordo dell’idrocorsa … e il resto è storia!

L’invenzione del salto spazio-temporale non è certo nuova nell’ambito letterario e/o cinematografico, tuttavia l’autore la spende in modo oculato ed equilibrato in quanto, anzitutto, consente al lettore completamente digiuno di storia aeronautica, di apprendere dell’esistenza di un primato di velocità per idrocorsa; viceversa, al lettore più ferrato di questioni aeronautiche, concede dei dettagli a proposito di quell’impresa, innegabilmente “succosi”.

Lode dunque a Roberto Ferri per aver assurto all’attenzione di noi tutti questa pagina memorabile – quanto dimenticata – della storia del nostro paese. E bravo!

Purtroppo, differentemente da noi, devono aver pensato i giurati di RACCONTI TRA LE NUVOLE che hanno ritenuto questo racconto non meritevole di accedere alla fase finale del premio letterario. Peccato!

Il color rosso corsa dona enormemente a questo purosangue dell’aria (e dell’acqua) che è il Macchi M.C. 72. Lo scatto (recente) lo mostra adorno di cartelloni esplicativi  nonchè di un esemplare di motore FIAT AS6 “nudo”, ossia privo delle cappottature motore, che era a bordo di uno dei cinque esemplari di M.C. 72 costruiti dalla Macchi. – Foto proveniente da www.flickr.com

E dire che l’autore, partecipando per la prima volta alla scorsa edizione e classificandosi in XIXma posizione, lasciava ben sperare con questo racconto … vorrà dire che sarà per la prossima! Intanto siamo lieti di concedergli un angolo “liquido” del nostro hangar … sì, avete letto bene: “liquido”, in quanto il suo racconto non può rimanere all’asciutto come tutti gli altri, ne convenite?

A parte gli scherzi, inutile sottolineare che a noi il racconto è piaciuto sebbene il suo prologo sia un poco lento e occorra aspettare qualche riga per intuirne la componente aeronautica. Ad ogni modo, la trama trova poi il suo sviluppo veloce e sicuro fino all’epilogo finale che suona come un vero e proprio messaggio rivolto alle giovani generazioni anziché del protagonista verso sé stesso.

La prosa è piacevole, ben architettati i dialoghi nonché i profili caratteriali dei personaggi.

Accanto al MC72 è posizionato il cuore pulsante dell’idrocorsa: il motore Fiat AS6, acronimo di: “Aviazione Spinto” nr 6. Nell’impossibilità di un ulteriore sviluppo del suo predecessore AS5, l’ingegner Tranqullo Zerbi del Reparto Progetti Speciali della Fiat Aviazione ebbe un’intuizione folgorante: mettere uno contro l’altro, in tandem due motori AS5. Così facendo avrebbe realizzato un motore a 24 cilindri a V in linea raffreddato a liquido con cilindrata di circa 50 litri e una potenza di 2300 cv aumentabile per brevi periodi a 2800 cv. Niente di più facile, in linea teorica ma assai complicato in termini pratici. La messa a punto dell’AS6 fu infatti lunga e perigliosa: le terribili vibrazioni che puntualmente si innescavano provocarono l’interruzione di diversi tentativi di volo record, la carburazione assai problematica abbinata a difficoltà di fornire un’adeguata alimentazione di carburante fu motivo di grandi preoccupazioni giacchè erano pressochè continui i ritorni di fiamma con conseguente rischio d’incendio della cellula. Non ultimo occorreva smaltire il notevolissimo calore assorbito dal refrigerante e dall’olio motore senza ricorrere a ingombranti radiatori. Infine il motore doveva necessariamente rientrare nelle specifiche di peso e consumi stabiliti dal Ministero dell’Aeronautica giacchè la cellula era proporzionata a un motore di non più 900-950 chili di peso e i serbatoi (collocati negli scarponi di flottaggio) non avrebbero potuto alimentare un motore troppo assetato o comunque per un periodo di tempo superiore a quello necessario a percorrere il circuito di gara.Tutte questi gravi problemi furono superati non senza difficoltà (e lutti) tanto che il motore AS6 conseguì il suo esclusivissimo record a bordo di un idrocosa da record: ancora oggi è il motore a pistoni italiano più potente mai costruito e installato a bordo di un velivolo. – Foto fornite dall’autore del racconto

Da buon ingegnere, l’autore non si lascia andare a descrizioni inutili, a sentimentalismi gratuiti, a una facile retorica. Il testo risulta equilibrato: non succinto, non prolisso. L’episodio di Agello viene narrato senza trionfalismi, senza faziosità. È solo un uomo, un pilota, un militare, non è un esaltato ma neanche un pavido.

Un racconto che innesca la voglia, qualora non l’abbiate mai soddisfatta, di correre al Museo di Vigna di Valle che, per inciso, l’autore conosce bene se è vero – a detta del nostro servizio di intelligence – che ha risieduto per qualche anno presso Anguillara Sabazia, ridente cittadina poco distante dal Museo.

Il racconto, ovviamente, non è uno spot gratuito a favore del Museo – anche perché non ne ha bisogno -, semmai permette di visualizzare degli scorci di un luogo magico in cui taluni amanti dell’aviazione vorrebbero prendere domicilio fisso mentre i più ragionevoli preferirebbero  trascorrere periodicamente una giornata intera – salvo essere allontanati cortesemente dal personale di sorveglianza in occasione dello scadere dell’orario di chiusura – . Facciamo almeno una volta all’anno?!

Leggendo il racconto “1933, la conquista di un primato” troveremo un passo che è il manifesto del Museo Storico di Vigna di Valle. Eccolo: ” Ho visitato almeno cento volte il museo […]. È sempre una novità perché è un luogo in continuo cambiamento. Non ricordo due visite uguali, c’è sempre qualcosa di diverso.” Sottoscriviamo in pieno quanto sostiene la voce narrante/protagonista. – Foto proveniente da www.flickr.com

Che poi i velivoli lì custoditi abbiano qualcosa di magico è innegabile … dunque ammetterete che, in fin dei conti, non avrà nulla di sovrannaturale quanto accadrà al nostro protagonista. Cosicché non vi stupirete se, all’ultima sillaba del racconto esclamerete: “Accidenti! … perché a me non è mai capitato?”

Ovvio, ci viene da rispondere: se a Vigna di Valle non ci siete mai andati …



Narrativa / Medio – Lungo

Inedito

Ha partecipato alla VIII edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2020


1933, la conquista di un record


Sono stanco.

Sarà il caldo torrido di questi giorni, sarà l’ansia per gli esami di dopodomani che inizia a farsi sentire.

Stanotte ho dormito poco e male.

Diciamo la verità, oggi sono venuto solo per vederla.

Se solo sapesse quello che provo per lei. Valeria! Vorrei poterglielo dire ma non ci riesco, anche se traspare lo stesso.

L’universo femminile si accorge di certe cose e lei se n’è già accorta.

Lo sa e le piace giocarci sopra. Senza malizia, perché non è presuntuosa come tante altre, è diversa, per questo mi ha fatto perdere la testa.

Credo che se non fosse per la sua migliore amica che è invaghita di me, magari sarebbe tutto più facile e forse sarebbe già tutto scritto, ma io non sono una ragazza, certe cose non le capisco come fanno loro.

Il dubbio mi sale perché di Ilaria l’ho capito bene e subito. Mentre lei rimane un mistero.

Cosa pensi? Cosa provi? Non riesco a decifrarti, so solo che mi piaci!

Tutti hanno una cotta per te e a volte ne sono geloso. Lo so di non avere nessun diritto di esserlo ma non sopporto vedere qualcuno fare il cascamorto con te. Soprattutto quell’inglese lì, che mi sta proprio sulla bocca dello stomaco e mi brucia quando gli dai spago! Se devo competere con lui so di partire svantaggiato, non ho i suoi soldi e non mi pavoneggio come lui, ma so anche che tu vai oltre l’apparenza e lì la situazione si ribalta.

A parte quell’inglese e il fratello, mi trovo bene con i miei amici.

Ridiamo, scherziamo, insomma, ci divertiamo.

So che non durerà per sempre questa spensieratezza, ma non vorrei che sia giunta al termine così presto con la fine della scuola.

Le nostre strade stanno per dividersi a causa delle nostre scelte.

Eppure non sarebbe difficile mantenere i contatti, siamo un gruppo unito, ma per sentito dire da fratelli e amici più grandi, ci si perde di vista col tempo. A volte le persone con cui abbiamo condiviso quei giorni che ricordi per sempre, diventano soltanto dei volti tra la folla.

C’è Massimo che, come me, non ha ancora deciso cosa fare dopo la scuola. E’ l’ultimo che si è aggiunto al gruppo, ha cambiato liceo due anni fa, da quando i suoi genitori hanno preso in gestione un negozio nel nostro quartiere.

Lo considero il mio migliore amico, siamo come fratelli, basta uno sguardo ed è già intesa per combinare qualche guaio. È l’unico che mi conosce veramente.

Insieme siamo gli scalmanati del gruppo, quelli che sono sempre sulla bocca dei professori. Non per essere elogiati ovviamente.

Siamo uniti dalla stessa passione per le auto, le moto e gli aeroplani. Nei nostri sogni un giorno riusciremo a vivere di questo, a farne una professione.

Poi c’è Roberto, per lui il liceo scientifico è stata la scelta naturale visto che vuole diventare un medico. Vorrei avere la sua stessa determinazione. Non è una cima ma si impegna molto, so che riuscirà nel suo intento;

Maurizio. Il suo passatempo preferito è sperperare il patrimonio di famiglia, oltre a far infuriare il padre a giorni alterni. Totalmente inaffidabile.

È più grande di noi in quanto ripetente incallito;

Leonardo, aspirante avvocato, almeno è quello che si aspetta il padre, un affermato professionista del foro. Vorrebbe che il figlio seguisse le sue orme e divenire un brillante avvocato ma lui di studiare non ne vuole proprio sapere;

Infine ci sono loro, l’inglese e il fratello minore, all’anagrafe Christian e Thomas. Non so chi dei due sia più odioso. Fanatici, montati, prepotenti e presuntuosi.

La loro madre, una soubrette inglese caduta nel dimenticatoio, non voleva rassegnarsi a rinunciare alla bella vita e così sposò un dentista ricco sfondato, da cui nacquero questi due sottoprodotti.

Non mancano le ragazze, oltre a Valeria e Ilaria ci sono:

Lina, la storica fidanzata di Roberto e le inseparabili simpatiche e sbarazzine Martina, Alessandra e Simona, un’unica mente separata in tre corpi diversi.

Oggi, approfittando del sole estivo, abbiamo organizzato una visita al Museo Storico dell’Aeronautica Militare Italiana di Vigna di Valle dopodiché andremo sulla spiaggia del lago di Bracciano a fare il bagno.

Ci vuole un po’ di relax prima di un evento importante come gli esami di maturità, ma sono proprio stanco. Ho studiato fino a tardi e avrei preferito restarmene a dormire.

Ci siamo dati appuntamento al solito posto alle 9 in punto. Tranne per me che vivo in costante fuso orario di 30 minuti in ritardo rispetto al resto del mondo.

Eppure nel mio sistema di riferimento sono sempre in anticipo, vallo a spiegare …

“Francesco non è possibile! Dobbiamo sempre aspettarti. Mai una volta che non sei l’ultimo ad arrivare…” esclama Roberto, arrivato in anticipo.

“Scusate ragazzi, non riuscivo proprio a svegliarmi. Ringraziate mia madre che mi ha tirato giù dal letto altrimenti l’attesa per voi sarebbe stata ancor più lunga…”

“Scherza scherza, tanto prima o poi ti lasceremo a piedi.” mi risponde l’inglese un po’ irritato.

Sorrido per non risultare scortese, in fondo non è giusto che gli altri debbano aspettare i miei comodi, quindi mi unisco al gruppo e siamo pronti a partire.

Dal nostro punto di ritrovo, occorre circa mezz’ora di tragitto per giungere a destinazione.

Come al solito l’inglese si è presentato col macchinone del padre perché lui deve sempre sottolineare il suo status sociale più agiato degli altri.

Infatti, a parte la moto nuova di zecca di Maurizio, per noi comuni mortali c’è una vecchia Fiesta e una manciata di motorini.

Valeria ha il divieto dei genitori di andare su due ruote, quindi non posso portarla con me, fortunatamente tutte le ragazze vanno insieme sull’auto di Simona, perché se lei andasse con gli inglesi mi roderebbe non poco.

E neanche a nominarlo, ecco che subito prima di partire inizia l’esibizione dell’inglese:

“Che faccio vi aspetto lì oppure mi fermo a fare colazione?”

Come ogni volta però, la sua spavalderia dura ben poco:

“Ma dove vai che non sai nemmeno come si mette in moto! La prima è avanti a sinistra …”

Scoppiamo tutti in una grossa risata.

Maurizio ha sempre la battuta pronta in modo tale da ammutolire puntualmente i fratelli britannici o il malcapitato di turno che gli capiti a tiro.

“Dai Christian, non prendertela, te la sei cercata!”

“Brava Marty, vieni con me in moto?” aggiunge Maurizio approfittando subito della situazione per fare delle avances alla graziosa Martina.

“No, perché neanche tu sei capace a mettere in moto la tua carretta!”

E naturalmente Christian prende la palla al balzo per pareggiare il conto.

“E bravo Maurizio, in bianco come sempre!”

Come si dice? Chi di spada ferisce di spada perisce! Del buon sano umorismo da comitiva non guasta mai e le risate accompagnano la nostra partenza.

Naturalmente Maurizio e i ragazzi d’oltremanica continuano la loro battaglia su strada e presto li perdiamo di vista per rivederli solo una volta giunti a destinazione.

Io e i restanti scooter, complice anche la lenta giuda di Simona, arriviamo all’aeroporto Luigi Bourlot con 15 minuti di ritardo.

Appena giunti sul posto, Maurizio si sincera del nostro arrivo: “Ce l’avete fatta ad arrivare, temevo che vi foste persi tra le campagne…”

Pronta la risposta della lenta Simona: “Chi va piano va sano e va lontano”.

E secca arriva la replica: “Si, ma arriva dopo!”

Ho visitato almeno cento volte il museo; è stata mia l’idea di venire oggi tutti in gruppo. È sempre una novità perché è un luogo in continuo cambiamento.

Non ricordo due visite uguali, c’è sempre qualcosa di diverso.

“Speriamo che ne valga la pena” brontola l’inglese sempre scontento di qualcosa, mentre si sposta gli occhiali da sole sulla fronte.

“Ti pareva che non aveva niente da dire il signorino?” gli risponde Valeria.

Mi viene da sorridere ma subito il sorriso mi si spegne alla sua risposta:

“Tesoro, lo sai che sono qui solo per te!”

“Stupido” la pronta replica della sorridente fanciulla.

Resto imbambolato dalla bellezza del suo sorriso e al tempo stesso infastidito per il motivo che lo ha fatto sbocciare.

Ci apprestiamo verso l’ingresso camminando accanto al mio “fratello” Massimo, mentre Ilaria mi prende sottobraccio.

Mi stupisce la naturalezza con la quale si avvicina e cerca un mio contatto continuamente. Le ragazze sono più spigliate di noi maschietti.

Ilaria non fa nulla per mascherare la cotta che ha per me, vorrei riuscire a fare lo stesso con Valeria, un po’ la invidio.

Forse dietro quella naturalezza nasconde anche lei la stessa delusione che ho io nei confronti di Valeria.

Non è che Ilaria sia brutta. Anzi è piuttosto carina…

Potrei averla anche subito, è solo che non sento lo stesso sussulto che provo quando mi si avvicina Valeria e non mi voglio accontentare.

E poi non sarebbe giusto usarla così, non se lo merita.

Mentre camminiamo lungo l’ingresso del museo vediamo i primi aerei parcheggiati all’esterno: il solito (almeno per me) PD-808 e l’Albatros davanti alla gru sulla riva del lago. Un’immagine davvero suggestiva.

Una volta entrati nel primo padiglione, l’hangar Troster, ci aspettano gli aerei della Prima Guerra Mondiale.

Dopo una breve permanenza tra i rudimenti dell’aviazione italiana giungiamo all’hangar Velo, per me il più bello di tutta la mostra.

Mi dirigo subito verso gli idrocorsa, le splendide macchine volanti che hanno lottato per il trofeo Schneider tra l’inizio del secolo fino agli anni Trenta.

La loro livrea rosso fuoco li fa spiccare tra tutti e vengono presto notati dal gruppo.

“E questi cosa sono? Perché sono colorati così? Non ho mai visto aerei con le zattere, rosso fuoco!” i primi commenti incuriositi delle inesperte ragazze.

“Ma quali zattere e zattere!? rispondo inorridito. Poi replico: “Quelle le indossi tu il sabato sera per andare a ballare… Questi si chiamo s-c-a-r-p-o-n-i”

“Per la neve…” si intrufola Leonardo nel discorso.

“Sul serio servono per la neve?” mi chiede Ilaria con l’ingenuità di una neonata.

Sorridendo rispondo:

“Ma cheeeee… Dovete sapere che in passato, agli albori dell’aeronautica l’idrovolante era ritenuto il mezzo del futuro, tanto che fu istituita una competizione, il trofeo Schneider. Ogni nazione partecipante si iscriveva con un certo numero di aerei, creati da diverse case costruttrici rappresentanti il meglio della tecnologia di allora, per gareggiare in velocità”.

Mi guardo attorno. Si è formato una specie di capannello attorno a me. Mi sento un vero storico dell’aviazione. Deglutisco e riprendo a dire: “Inizialmente la gara si teneva ogni anno ma poi, per dare modo ai partecipanti di progettare, costruire e mettere a punto i prototipi sempre più complessi, si tenne ogni due; e a ogni edizione venivano presentati velivoli di nuova concezione, alcuni davvero straordinari come quelli che vedete. Un po’ come la Formula 1 di oggi”.

Leggo lo stupore negli occhi dei miei compagni. Per dare il colpo finale esclamo: “Solo che era l’inizio del ‘900 e l’aviazione muoveva appena i primi passi verso le alte velocità”. Sorrido compiaciuto.

Questa storia mi ha sempre attratto, ho sempre avuto il piacere di leggerla e rileggerla, al punto che ormai la conosco a memoria.

Gli altri ragazzi si radunano intorno a me per ascoltare il resto del racconto:

“Si partiva uno alla volta e si correva contro il tempo su un circuito (chiuso) delimitato da punti di riferimento come boe galleggianti sull’acqua o torrette su terraferma. Chi risultava il più veloce si aggiudicava l’edizione e aveva diritto a trasferire in patria la gara per l’edizione successiva.

Il trofeo veniva aggiudicato alla nazione che avesse vinto tre edizioni consecutive”.

“E chi ha vinto?” Mi domanda Ilaria.

“Beh gli Stati partecipanti erano Italia, Francia, Stati Uniti e Inghilterra…” cerco di sviare la risposta, ma non per molto. La domanda è troppo diretta e ritorna decisa.

“Sì ma chi ha vinto?”

“Gli inglesi, purtroppo” replico infastidito.

A quel punto Christian, che fino a un attimo prima sembrava non ascoltare, esclama con spavalderia e tutto impettito:

“Certo! Noi inglesi vinciamo sempre, quelli come me vincono sempre!”.

Meno male che c’è sempre il buon Maurizio a spodestare il lord inglese dal suo trono di cartapesta con sentenza solenne:

“Senti bello, si fa per dire… Più tardi è l’ora del the! Da quella parte c’è il bar, vai e aspetta le 5 di sera così per un po’ non rompi più!”.

Tutti sbottiamo a ridere naturalmente, mentre Christian accusa il colpo in un silenzio tombale guardando il fratello che, come lui, resta ammutolito.

Smorzati i toni, il gruppo si disperde a girare per l’hangar a curiosare in giro.

Mi isolo un po’ pensando tra me e me, ma sono stanco. Mi spiace dirlo ma preferirei stare già in spiaggia almeno una mezz’ora di sonno forse riuscirei a farla.

Sono giunto quasi in automatico davanti al Macchi Castoldi MC72. Il pezzo più prezioso della collezione.

Sua maestà degli idrocorsa.

È li davanti a me come molte altre volte.

Sembra una belva feroce assetata di sangue, e doveva esserlo! Immagino a fatica cosa doveva provare il pilota in quell’angusto abitacolo aperto a cavalcare il drago.

Sensazioni d’altri tempi.

Con quelle forme ardite e armoniose; il muso lunghissimo per far posto all’immenso motore; l’ala sottile come la lama di una spada e i radiatori a sfioramento per ridurre al minimo le resistenze parassite.

Che spettacolo da guardare!

Figuriamoci l’effetto che doveva fare oltre 85 anni fa, quando i normali velivoli erano poco più di un aquilone…

A fianco poi c’è il mostruoso motore in mostra.

Due unità a dodici cilindri uniti insieme come due gemelli siamesi, collegati a due eliche controrotanti. Una creatura mitologica spinta da oltre 3000 cv.

Come tutte le altre volte, non trattengo il sorriso. Quell’emozione che viene quando l’entusiasmo ti accende il fuoco dentro, ma guardandomi intorno sono costretto a posarmi coi piedi per terra.

Noto che li vicino, è stato messo uno schermo che manda in onda filmati e immagini dell’epoca e delle sedie per guardare il video in comodità, ma non mi basta.

Favorito della momentanea assenza di personale, approfitto per oltrepassare la transenna, che come una barriera spazio-tempo mi separa dal velivolo, e toccare il mito per un istante e sentirlo mio.

Tutto d’un tratto l’atmosfera s’ingiallisce, per un attimo mi gira la testa.

Le cose intorno a me sparisco, l’hangar non c’è più … vedo il lago al suo posto, mi sento spaesato…

Mi guardo addosso e non ho più i miei vestiti ma una tuta di volo!

I miei ricordi si fanno confusi, mi sovvengono ricordi che non m’appartengono.

Che mi sta succedendo!?

Vedo il pontile a pochi centimetri dall’acqua e la belva ferma davanti a me.

Accanto all’aereo c’è una semplice scala.

Ci sono molte persone con vecchie tute da meccanico che mi guardano, come se aspettassero un mio gesto.

Ci sono anche persone vestite in uniforme e qualcuno in abiti civili.

Sembra gente d’altri tempi.

“Maresciallo Agello è giunto il momento!”…“Francesco!”

Ancora non mi capacito della situazione, cosa ci faccio qui?

Quasi spontaneamente mi giro verso la voce che mi sembra quasi familiare.

Lo stupore e il disorientamento lasciano piano posto a ricordi più nitidi.

“Sono pronto anche io, signore.” Replico automaticamente, come fosse un’abitudine ancestrale.

Un attimo di riflessione e riconosco la voce del mio comandante, il Colonnello Bernasconi che, come sempre, segue da vicino ogni attività volativa del RAV.

Ora riconosco anche gli altri avieri del Reparto Alta Velocità, e riconosco le rive del lago di Garda.

Riconosco per ultimo anche l’MC 72 Marche Militari 177 fermo dinanzi a me sul pontile, anzi mi sembra di conoscerlo come le mie tasche.

Ora ricordo bene, oggi è il 10 Aprile 1933.

Ormai, da semplice riserva proveniente dalla ‘poco nobile’ ricognizione, sono rimasto solo io in vita abilitato al pilotaggio di questa splendida macchina volante, la più tecnologica al mondo.

Dopo tanta fatica, adesso sono il protagonista assoluto.

Purtroppo però non posso gioirne. I miei compagni di corso sono morti tutti nel tentativo di addomesticare questi terrificanti apparecchi. L’ultimo in ordine cronologico è stato l’amico Stanislao proprio nel tentativo di domare le bizze del ‘Drago’ e del suo alito di fuoco!

Per non parlare di Giovanni, Giuseppe, Tommaso, Ariosto e tutti gli altri caduti prima.

Il motore FIAT AS6, ha sofferto fin dall’inizio di pericolosi problemi causati da ritorni di fiamma per un difetto nei carburatori.

Per me però è diverso, sono sfuggito alla morte per ben due volte col C29. La macchina creata dall’ing. Rosatelli non ha avuto la meglio su di me.

Se la mia buona sorte non mi abbandonerà proprio oggi, entrerò nella storia.

Non c’è più tempo per tornare indietro, adesso è il mio turno. È il tempo di rendere onore alla superba macchina creata dalla dagli ingegneri Castoldi e Zerbi e alla mia Nazione.

Ho compiuto un volo di perlustrazione col FIAT CR20i e prima di me il Comandante Bernasconi.

Sono tutti al loro posto. Le motovedette sono pronte, i cronometristi sono al loro posto, un S59 pilotato da Cassinelli sta portando il commissario per il controllo delle quote.

Il motore del mio aereo è stato scaldato e le candele sostituite.

Le condizioni meteo sono favorevoli anche se non ideali.

L’aereo è in perfetta efficienza. Dopo tanta fatica il genio di Armando Palanca è riuscito a risolvere il problema di carburazione. Adesso il “Drago” è stato domato.

Devo riuscire a strappare all’inglese S6B il record di velocità. So che posso farcela, sulla carta l’MC 72 è più veloce. Risolti i problemi siamo riusciti a ottenere al banco ben 2600 cv, quanto basta per battere gli avversari e superare anche il muro dei 700 Km/h.

Brucia ancora la sconfitta di Calshot.

Non siamo riusciti a preparare in tempo nessuno dei 4 aerei progettati per l’occasione e non siamo riusciti nemmeno a presentarci alla gara;

Anche se i controlli prevolo sono tutti favorevoli, non so se posso fidarmi a spingere al massimo il mio apparecchio.

Le volte precedenti che si è tentato di avvicinare i limiti delle macchine non sono andate a buon fine…

Il Savoia Marchetti S65 ha ucciso Tommaso, l’MC72 ha ucciso Stanislao e io ho rischiato di morire col FIAT C29.

Il Piaggio Pegna PC7 non ha mietuto vittime perché rimasto alla fase di prototipo e forse è stato un bene…

La nostra puntuale impreparazione ci si rivolge puntualmente contro.

Neanche i francesi sono stati in grado di prepararsi in tempo per fronteggiare i britannici che facilmente si sono aggiudicati sia il trofeo che il record di velocità.

Se non ci avessero annullato la vittoria del ‘19 il trofeo sarebbe adesso in mano nostra! Ma non è andata così.

Ormai l’unica cosa che posso fare è battere il primato assoluto di velocità.

“Maresciallo, abbiamo perso la coppa e non possiamo più farci nulla. Dobbiamo conquistare il record a tutti i costi!” mi dice il comandante al quale rispondo con un semplice “Sì, signore”.

Salgo a bordo dell’angusto abitacolo tramite la scaletta, gli specialisti del RAV mi aiutano a sistemarmi sul sedile.

La sensazione è sempre la stessa. La visibilità anteriore è praticamente nulla, quella laterale poco più che sufficiente.

Accendo il motore posteriore e l’elica numero uno inizia a girare, subito dopo accendo il motore anteriore e anche l’elica numero due inizia a muoversi in senso contrario alla prima.

Vengo spinto in acqua lungo lo scivolo dal personale di manovra e dò manetta.

Mentre prendo il largo due motoscafi mi seguono a distanza.

A poco a poco aumento la potenza per iniziare la manovra di decollo e in breve tempo la manetta è a fondo corsa.

L’aereo si comporta benissimo, la spinta che sento alle mie spalle è possente mentre acquisto velocità, e dopo una lunga corsa sul pelo dell’acqua del Garda sono in aria.

Riduco i giri e prendo quota.

Ho memorizzato il tracciato dopo numerose prove effettuate, le due torrette si trovano una a Moniga e l’altra a Manerba.

Devo fare attenzione perché c’è uno strato di nubi a quota 1000 m quindi posso salire solo fino a 800 per poi picchiare sotto i 150 come previsto dal regolamento.

Ore 11:00.

Adesso o mai più!

Punto verso Manerba e dopo una virata picchio verso la base del tracciato e porto la manetta al massimo dirigendomi a sud verso Moniga.

Durante la picchiata sono tutt’uno con la macchina, posso sentire la benzina che dai serbatoi fluisce nel carburatore, come se fosse il mio stesso sangue che pompa nel motore.

Sento ogni singolo pistone spingere con tutta la loro forza proprio lì davanti a me, mi sembra di vederli uno ad uno tutti e ventiquattro e di riuscire a spingerli con i miei pugni al ritmo del ruotare dell’albero a gomiti.

Odo il possente ruggito motore, vedo le fiammate uscire dai corti collettori di scarico come fosse il fuoco che esce dalle narici del drago.

Mi sento catapultato in avanti come mai prima ad ora, mentre mi abbasso alla quota consentita.

Controllo l’altimetro per mantenermi a 100 m e sfreccio per il primo passaggio.

Sono concentrato al massimo, devo riuscire nell’impresa per riscattare il RAV e tutti i centauri che sono caduti prima di me.

“Aiutatemi amici! Soffiate alle mie spalle, eroi caduti soffiate forte, così da spingere il drago più veloce della propria ombra”.

Compio i 3 Km in meno di 16 secondi, il rombo del motore è assordante e domina tutto il lago.

Riduco i giri e riprendo quota per prepararmi al secondo passaggio.

Devo effettuare 5 tornate e la media sarà fatta con i 4 migliori tempi.

Non c’è tempo da perdere.Per essere il più leggero possibile, nei serbatoi c’è solo la benzina necessaria alla prova e non una goccia in più.

Inverto la rotta e giù di nuovo a tutta manetta. In un lampo, con una manovra ormai automatica, eseguo un altro passaggio mozzafiato e poco dopo, senza rendermene conto, ho terminato tutti i passaggi.

So di essere stato velocissimo, sorvolo l’idroscalo ed eseguo una stretta virata a 90° in segno di saluto alla folla accalcata a fare il tifo per me.

Sento la forza g che mi preme sullo stomaco, raddrizzo le semiali dopodiché ammaro delicatamente e mi fermo a largo.

I serbatoi sono praticamente quasi vuoti e l’aereo è talmente sbilanciato all’indietro da permettereagli scarponi di sprofondare in acqua e far sollevare il muso dell’aereo in aria.

Per evitare che lo splendente velivolo si inabissi, velocemente spengo i motori, ribalto il parabrezza ed esco sul lungo muso del velivolo per sedermi sul rovente cofano proprio dietro l’elica e ristabilire l’equilibrio.

Il calore che avverto sotto le gambe è infernale mentre aspetto che mi vengano a trainare i rimorchiatori.

Subito le motovedette si dirigono verso di me per trainare a riva l’aereo. Su una di esse vedo Bernasconi che sbraccia come un forsennato.

Il responso aveva parlato chiaro. Il precedente record inglese era stato sbriciolato!

682 Km/h, con il miglior passaggio a 692.

In alcuni punti devo aver superato anche i fatidici 700 Km/h ma non c’è modo di saperlo.

Salito a bordo dell’imbarcazione vengo letteralmente lanciato in aria dal mio comandante:

“Maresciallo ce l’hai fatta! Sei l’uomo più veloce del mondo! Il record è di nuovo italiano!”

Tutti mi acclamano mentre vengo sollevato in aria, sono felicissimo.

“Penso di aver pareggiato i conti con gli inglesi” rispondo.

“Puoi dirlo forte, oggi sei entrato nella storia.”

Mentre continuano le strette di mano e gli abbracci, giungiamo all’idroscalo.

Guadagnata la riva vengo accolto da tutti. Ci sono molte persone ad attendermi: ufficiali, meccanici, ingegneri e tutti i membri del RAV.

C’è anche una nutrita folla di persone fuori dai cancelli, giunte dai dintorni per l’occasione.

Vedo tanti volti di persone che non conosco e che mi acclamano come un eroe, li guardo uno ad uno e rispondo ai saluti quando la mia attenzione viene inesorabilmente catturata.

Una fanciulla dal volto angelico che da dietro la rete divisoria si aggiusta i capelli.

Un volto celestiale ma stranamente familiare.

È come se la conoscessi da sempre ma non l’ho mai vista.

Resto fermo immobile imbambolato e quasi in attesa di un riscontro: dai girati! Guardami ti prego… penso tra me e me.

La giovane ragazza resta un attimo immobile come se avesse recepito la mia richiesta.

Resto fermo a guardare mentre ricevo pacche sulle spalle e vengo strattonato dai miei commilitoni ma quasi non me ne accorgo, la mia mente adesso è altrove.

Dopo aver fatto qualche passo a forza trascinato dai militari ecco che accade il miracolo.

Lo sguardo splendente della ragazza incontra il mio per un istante, resto letteralmente ammaliato da cotanta bellezza!

Quasi istantaneamente sboccia il più bel sorriso che abbia mai visto sul suo volto e resto impietrito, già provato dall’emozione dell’impresa appena compiuta.

Resto a guardare e intorno a me sento il vuoto totale. Tutte le persone che mi circondano scompaiono nel buio e resto da solo a guardare la luce di quel sorriso.

Chi sei? Come hai fatto a rapirmi così? E perché ti vedo così familiare?

I pensieri si confondono di nuovo e sono confuso, ora mi importa solo di scoprire chi si cela dietro quella visione!

Ad un tratto l’immagine scompare e ho un violento sussulto!

Cosa mi è successo di nuovo? Dove mi trovo? L’MC 72 è ancora lì affianco a me, ma dove sono finiti tutti? Dov’è il comandante? Dov’è il lago?

Ma soprattutto, dov’è finita quella splendida fanciulla?

Un attimo per riprendermi e vengo avvolto dalle risate ed esclamo ad alta voce: “Comandi signore!”

“Ma quale signore! Aoooo, sveglia, che fai dormi come un salame?”

Mi sento la schiena bagnata e vedo Maurizio con una bottiglietta d’acqua in mano stappata.

Non tardano gli altri commenti:

“Guarda che chi dorme non piglia pesci!” e giù via con gli scherni.

“Siete proprio stupidi!” rispondo imbarazzato.

Ancora non capisco bene cosa mi sia successo, era tutto così reale…

Poi realizzo. Complice la stanchezza, devo essermi accomodato sulle sedute e addormentato. Forse il vero stupido sono io… Che figuraccia!

Mi allontano infastidito e deluso restando in disparte mentre iniziamo a muoverci verso l’hangar Badoni, il terzo della mostra statica del Museo.

Ancora non mi capacito di cosa mi sia successo, nel presente e nel passato…

Ero talmente suggestionato da essermi sognato tutto oppure sono stato veramente catapultato nel passato?

Mi rimane una vaga sensazione di nostalgia, ma adesso sono qui nel presente a camminare.

Focalizzo l’attenzione, davanti a me c’è lei. Adesso che ti ho ritrovata non voglio perderti di nuovo.

Dai girati! Guardami ti prego…

Compi di nuovo quel miracolo compiuto 87 anni fa…

Come per magia, Valeria si gira mi guarda e mi sorride mentre si aggiusta i capelli.

Ho già visto quella scena.

Ho già sentito quella sensazione allo stomaco, ma stavolta non è la forza g.

Resto impietrito mentre mi volta le spalle.

Ore 11:00.

Adesso o mai più!

Affretto il passo tanto da coprire i pochi metri che ci separano e la raggiungo in pochissimo tempo.

Allungo il braccio e le prendo la mano…

Lei si gira verso di me e mi sorride di nuovo.

La resto a guardare senza dire nulla.

Vorrei che il tempo si fermasse.

Ci avviciniamo al possente idrovolante CANT Z-506 e ci fermiamo.

“Christian!” esclama Valeria “ci faresti una foto qui?”

“Come vuoi” risponde l’inglese.

“Brucia di invidia inglese! Brucia tu e il tuo smartphone da 1000 euro!” vorrei rispondere.

Invece resto in silenzio. Voglio godermi il mio momento di gloria.

Restiamo abbracciati per il tempo di uno scatto, troppo poco, e le mie speranze si sbriciolano.

Valeria mi lascia lì davanti come un baccalà, mentre si allontana con gli altri.

Mi rattristisco.

Abbiamo fatto solo una fotografia e pochi passi mano nella mano, cosa mai mi ero messo in testa? Cosa mi aspettavo?

Non so, però sento che non è questo il momento di arrendersi, riprendo le forze e mi dirigo a tutta manetta verso di lei.

Giunto alle sue spalle, tendo la mano verso la sua e la afferro con una presa decisa. La splendida fanciulla si gira verso di me e sorride di nuovo.

Stavolta non ti lascio andare! Sono deciso ad andare fino in fondo.

Ci sono altri record da battere, altri trofei da conquistare…

E voglio farlo con te!



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Roberto Ferri

Un messaggio nel cielo


Forse non tutti sanno che anche gli aeroplani possono essere dotati di gancio da traino. Ovviamente non per trainare roulotte o carelli appendice bensì alianti e/o striscioni.

Mentre il traino aliante comporta dei voli relativamente brevi, giusto appunto necessari per portare in quota l’aliante in una zona abbastanza vicina all’aeroporto di decollo (in cui sono auspicabili delle ascendenze), il traino striscioni comporta ugualmente brevi voli finalizzati a raggiungere un’area ove sia presente una elevato densità di pubblico cui mostrare lo striscione pubblicitario con lunghe permanenze presso quest’area (quasi al limite dell’autonomia).

Negli Stati Uniti l’aerostriscione è generalmente visibile in occasioni di grandi eventi sportivi, manifestazioni aeree, automobilistiche, elezioni, campagne pubblicitarie varie, ecc ecc. mentre nel nostro paese è d’uopo durante il periodo estivo, nello spazio di cielo antistante le spiagge. Purtroppo in tutta Italia ben poche sono le società che si occupano di traino striscioni, pochi i velivoli impiegati, pressochè inesistente il manipolo di piloti professionisti che ne hanno fatto un lavoro a tempo pieno.

Viene da domandarsi come un velivolo così piccino abbia potuto portarsi appresso uno striscione così enorme. Misteri dell’aerodinamica! – Foto proveniente da www.Flickr.com

Anche perchè trainare uno striscione lungo la costa in un monotono andirivieni non è certo il massimo delle aspirazioni del pilota trainatore, consapevole che, nel frattempo, una moltitudine di gente è in vacanza e si sta godendo un bagno ristoratore o socializza giocosamente in spiaggia. Lui è invece è da solo, spesso a bordo di un velivolo rumoroso, quasi sempre assai spartano; è accaldato, infastidito dalla brezza perennemente al traverso, generalmente malpagato e con la certezza che quel lavoro stagionale non gli consentirà di sopravvivere ma solo di accumulare esperienza e ore di volo, nella speranza di diventare un pilota commerciale.

Contrariamente a quanto si possa pensare, il velivolo trainatore non decolla mai con lo striscione agganciato (si deteriorerebbe in modo irreparabile strisciando sulla pista), viceversa il pilota ghermisce con una sorta di ancorotto un cavo che penzola tra due paletti alti un paio di metri sopra il terreno. A un capo del cavo penzolante è legato appunto lo striscione … e il gioco è fatto. Foto proveniente da www.Flickr.com

Questo nella realtà; nella finzione letteraria il nostro pilota si chiama Moreno ed è il pilota di un piccolo aereo pubblicitario che vola sopra le spiagge della Versilia da giugno a settembre per reclamizzare bibite o gelati. Il suo amore per il volo si incrocia con quello per l’amica Marina, ancora inespresso, con la voglia di veicolare messaggi più intimi e importanti di un semplice slogan. E’ proprio questo che gli suggerisce un modo originale per dichiararsi alla donna dei suoi sogni. Ma qualcosa va storto e, complice il tipografo che realizza gli striscioni, accadrà l’imponderabile.

Ancora uno splendido racconto di Cristina Giuntini, ancora un racconto ritenuto non meritevole di accedere alla rosa dei venti racconti finalisti della VIII edizione del Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE, ancora una ghiotta opportunità per il nostro hangar di poter ospitare un racconto di notevole caratura letteraria. Questo, in estrema sintesi, il racconto intitolato: “Un segno nel cielo”.

Chi l’ha mai detto che il traino striscione è appannaggio solo degli aeroplani? Anche gli elicotteri possono! Provare per credere. – Foto proveniente da www.Flickr.com

Più estesamente aggiungiamo che lo abbiamo letto con sommo piacere giacché si tratta di una composizione che ha una solida dinamica narrativa, peraltro sottolineata da dialoghi veloci che si alternano in modo strategico con riflessioni intime e narrazione in terza persona.

Un racconto dunque scritto ad arte con un’ambientazione probabilmente non proprio vicina alla quotidianità dell’autrice, fatto salvo che non abbia goduto della consulenza di qualche amico trainatore o che sia stata lei medesima la sedicente Marina del racconto. Chissa? Mai dire mai … solo lei potrebbe confessarlo, magari con la lampada negli occhi e una nuvola di fumo che le annebbia il respiro, resa insonne e incalzata per giorni dalle medesime domande perentorie. Confessa Cristina!

Benché la Giuntini abbia partecipato più volte a RACCONTI TRA LE NUVOLE i risultati conseguiti sono stati alterni; purtroppo anche questo racconto non ha riscontrato il gradimento della giuria – e non sappiamo spiegarci perché – recandoci il privilegio di poterlo smontare e rimontare per ispezionarlo nei suoi più profondi recessi cosicché possa farne bella mostra di sé in uno degli angoli più ariosi del nostro hangar.

Questa è la visuale che avrebbe Moreno, il pilota del racconto “Un segno del cielo”, da bordo del suo aeroplano intento a svolgere il compito di traino striscioni. In verità la spiaggia non quella della Versilia bensì quella statunitense di Miami tuttavia il tipo di volo rimane il medesimo. – Foto proveniente da www.Flickr.com

Per la cronaca, VOCI DI HANGAR si fregia di ospitare due racconti a firma della scrittrice fiorentina di nascita ma pratese di residenza; si tratta del fantasmagorico “Catrame” e l’originale  “Avevo paura di volare”. Ora si aggiunge il terzo “Un segno nel cielo” a dimostrazione che la nostra Cristina è capace di scrivere di tutto e su tutto: dalla crescita in ambiente idroponico del prezzemolo riccio fino alla caducità del genere umano passando per la brillantezza dei zirconi industriali.  Diciamolo chiaro: siamo di fronte a un vero fenomeno della natura in attesa di essere svelato, a un talento innato che, se da una parte ci onora di conoscere da presso, dall’altro ci reca un’indicibile invidia per la leggerezza e la facilità di scrittura che la contraddistinguono.

Ma veniamo al racconto.

Uno scatto sublime che merita sicuramente la copertina di questa recensione. Quella del traino striscione è una vera e propria arte aviatoria. Per comprendere meglio come avviene l’aggancio dello striscione  vi rimandiamo ad un bel video all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=TkVgZ9tVkA8 – Foto proveniente da www.Flickr.com

In effetti, a giudicare dalla morigeratezza con cui l’autrice ha utilizzato il punto a capo, ci è apparso subito chiaro il desiderio di Cristina di risparmiare spazio: il racconto in origine ci è apparso “ammucchiato”, forzatamente compresso, i dialoghi sovrapposti recando talvolta il lettore in errore riguardo chi dicesse cosa. Che si tratti di una nuova tecnica letteraria? Bah … in qualità di editori (nostro malgrado) abbiamo preferito srotolarlo e conferirgli quell’estetica dattilografica convenzionale che prevede – forse banalmente – di andare a capo ogni qualvolta si alterna il soggetto dialogante o di dividere i periodi secondo la logica del cambio di ambientazione o di pensiero dei vari personaggi. Speriamo che Cristina non ce ne vorrà!

Che l’autrice abbia ritenuto troppo lunga la sua composizione? No, replichiamo: è ampiamente entro i canonici 32 mila caratteri consentiti. Che il racconto acquisisca più ritmo? Che il lettore faccia meno fatica a saltare riga? … non lo sapremo mai!

Ciò nonostante il racconto è godibile e mantiene una buona dose di curiosità nel lettore fino all’epilogo con sorpresa.

Uno striscione che riporta una frase utilizzata spessissimo nell’ambiente aeronautico e che suona più che mai singolare se collocata su un aerostriscione. Che sia un messaggio subliminale rivolto ai piloti? – Foto proveniente da www.Flickr.com

A Cristina va riconosciuta la capacità di farci vedere la vista dall’alto delle infuocate spiagge della Versilia o il susseguirsi regolare degli ombrelloni, il formicolare della moltitudine dei bagnanti. In un’estate – quella 2020 – che ha negato a molto di noi le vacanze, la Giuntini ci mostra idealmente i chioschi degli stabilimenti balneari assediati da un nugolo di belle ragazze semi ignude attorniate dagli immancabili ammiratori che scorrazzano tutti amabilmente sulla sabbia rovente. Riusciamo anche a vedere il giovane pilota solitario con il suo drappo pubblicitario al seguito, a suo agio a bordo del suo velivolo da lavoro ma non a terra con i suoi simili, specie di sesso femminile.

Un visione controcorrente, non c’è che dire, che rompe lo stereotipo del pilota disinvolto e rubacuori, emulo aereo dei suoi colleghi bagnini anfibi. Eppure credibile. E in questo l’autrice è originale sebbene raggiunga il grado massimo di originalità facendo trainare idealmente al protagonista un tipo di striscione che nessun pilota si sognerebbe mai di portarsi al seguito in aria. Un messaggio inequivocabile in cielo – occorre ammetterlo … peccato che si strapperebbe appena agganciato al velivolo trainatore. Ma si sa: alla fantasia e all’amore non c’è limite.



Narrativa / Medio – Lungo

Inedito

Ha partecipato alla VIII edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2020


Un messaggio nel cielo


“Insomma!”

Mauro battè il pugno sulla scrivania, come se l’interlocutore all’altro capo del filo avesse potuto vederlo ed essere quantomeno intidimidito dal gesto.

“Come sarebbe, un ritardo di mezz’ora? Abbiamo delle tabelle di marcia, ve ne rendete conto?”

La risposta gli arrivò come un ronzio vago e lontano, mentre si detergeva la fronte sudata e rifletteva che no, non conveniva farsi alzare la pressione in pieno agosto, nel caldo afoso di quel casottino di lamiera.

Ascoltò distrattamente discorsi confusi sulle difficoltà di stampa e sul corriere partito in ritardo, premurandosi di afferrare con la mano libera una bottiglia di acqua e di versarsene un generoso bicchiere, che trangugiò aspettando che il tipografo la finisse con le scuse.

“Va bene, va bene” disse infine, “ma che sia qui entro mezz’ora, non più tardi. E non voglio più sapere di simili disguidi!”

Senza attendere risposta, buttò giù il telefono con gesto impaziente e si passò una mano fra i capelli.

“Buongiorno! Tutto bene?”

Mauro sobbalzò, al rumore della porta e alla voce squillante di Moreno, che, come ogni mattina, esibiva un sorriso a trentadue denti. Ma come accidenti faceva, si chiese, a essere sempre così entusiasta e positivo? Lo squadrò dalla testa ai piedi, prima di alzare le spalle.

“Mah!” rispose. “Tutto bene non direi, lo striscione è in ritardo di mezz’ora.”

Moreno non smise di sorridere.

“Poco male, vuol dire che, nell’attesa, ci prendiamo un caffè. Avanti, metti sù quella macchinetta!”

Mauro, non del tutto convinto, accese il fornello elettrico e iniziò a riempire la moka, mentre Moreno si accomodava tranquillamente su di una sedia. Mauro lo guardò di sghimbescio.

“Sicuro che lo vuoi, questo caffè?” chiese.

Moreno rise. “Se ti fa fatica, faccio io.”

“No, no… E’ che mi chiedo come tu faccia a non essere nervoso, all’idea di decollare. Io tremerei come una foglia dalla paura.”

“E infatti tu non voli, organizzi.” Mauro fece una leggera risata. “E sono nervoso lo stesso, con tutti i casini che vengono fuori.”

“Vedi?” sorrise Moreno. “Io me ne frego, dei casini. Mi basta salire sull’aereo, farlo partire, ed ecco che sono libero nel cielo, senza pensieri e senza altra preoccupazione se non quella di mantenere la rotta! Anzi” sospirò, “ti dirò che a volte questo lavoro mi sembra fin troppo tranquillo. Sempre lo stesso volo, avanti e indietro davanti alla spiaggia, un giro e via da capo, sempre con quella coda svolazzante dietro. Ma non importa: sempre meglio delle scartoffie di un ufficio” concluse, con aria canzonatoria.

“Saranno anche scartoffie, ma quantomeno sono sicure” sottolineò Mauro.

“Mi fai sorridere, con la tua assurda paura di volare. Nemmeno fossi un bambino! Anzi, i bambini sono più coraggiosi. E poi non sai cosa ti perdi! Non hai mai provato la sensazione di fendere il vento, fiaccarne la resistenza, fluttuare nell’aria come senza peso…”

“E neppure ci tengo a provare!”

“Bah! Sei proprio un coniglio!” Mauro fece per ribattere, ma il gorgoglio del caffè lo trattenne. “Pronto!” sospirò, tirando fuori da un mobiletto due tazzine.

Sorseggiarono in silenzio per alcuni minuti.

“Che cosa pubblicizziamo oggi?” chiese poi Moreno. “Gelati? Un amaro? Passata di pomodoro?”

“Il solito analcolico” alzò le spalle Mauro.

“Ma come?” si stupì l’altro. “E a cosa serve lo striscione nuovo, quindi?”

“Cambio di slogan, ma il prodotto è sempre quello.”

“Che pizza” sbuffò Moreno. “Ma non hanno paura che il pubblico si stufi e finisca per averlo in antipatia?”

Mauro scosse la testa. “Evidentemente non è così, visto che hanno prenotato il nostro servizio per le prossime due settimane.”

“Sarà. Io, personalmente, ho smesso di berlo.”

Mauro allungò le gambe, pensieroso.

“Eppure mi piacerebbe fare di meglio… Spesso mi chiedo se non sarebbe possibile gettare alle ortiche gli striscioni pubblicitari e far volare nel cielo qualche messaggio più importante. Che so, una poesia, una frase celebre, uno slogan pacifista…”

Mauro scoppiò a ridere. “Ma che idea! Sei sempre il solito romanticone, eh? Ma almeno la fidanzata, quando te la trovi?”

Moreno fece per ribattere, quando la porta del casotto si spalancò.

“Buongiorno, dottò! Lo striscione!”

“Alla buon’ora!” Mauro si trattenne dallo sbottare: non c’era tempo da perdere. “Posizionatelo, fra dieci minuti al massimo bisogna decollare.”

Moreno si alzò stirandosi. “Bene, mi preparo anch’io. Ci vediamo alla fine del giro!”

Accensione, riscaldamento del motore, decollo e aggancio dello striscione con il consueto passaggio basso e relativa cabrata per l’aggancio.

Moreno conosceva a memoria la procedura; tuttavia, ogni volta che si alzava in volo, la sensazione di quella striscia colorata che fendeva l’aria dietro al velivolo gli dava l’impressione di assomigliare a uno di quei pesci dalla coda variopinta e fluttuante. Betta splendens, si chiamavano, ma tutti li conoscevano come pesci ballerina. Ecco, lui era un pesce ballerina nella grande distesa d’acqua del cielo. Certo, era un cielo un po’ limitato: avanti e indietro, avanti e indietro nello stesso percorso per innumerevoli volte al giorno. Chissà: se si fosse impegnato di più, se avesse seguito un corso di addestramento, avrebbe potuto diventare un pilota di linea, ma era troppo pigro. L’idea di viaggiare da un capo all’altro del globo, passare le nottate in hotel sempre diversi e avere a malapena un paio di settimane l’anno da trascorrere con la famiglia, a gustarsi l’aria di casa, lo angosciava. Non era fatto per quel tipo di vita raminga: aveva bisogno delle sue certezze, dei suoi punti fermi.

Già, si disse, con una punta di amarezza: certezze, punti fermi? Ma se non era neppure fidanzato! Eppure era un bel ragazzo, la scelta non gli sarebbe certo mancata: era troppo selettivo, dicevano gli amici. Chissà che cosa voleva, facevano eco le ragazze, storcendo il naso. Dopo di che, gli uni e le altre si scambiavano sguardi divertiti e perplessi, chiedendosi se, per caso, dietro a tutta quella ritrosia, non ci fosse qualcosa di strano. Ma la verità era un’altra.

Moreno guardò giù, accarezzando con lo sguardo la spiaggia e chiedendovi quale di quei puntini colorati si chiamasse Marina. Marina, Marina, sempre quel nome e solo quello: non gli usciva di testa né di giorno né di notte, era la sua ossessione, il suo chiodo fisso. Un solo sorriso di lei bastava a illuminargli la giornata, il suono della sua voce era la migliore colonna sonora dei suoi sogni. Eppure, con lei non gli riusciva che di comportarsi amichevolmente: era terrorizzato dall’idea di essere respinto, e che una sua eventuale dichiarazione non gradita potesse porre fine anche alla loro amicizia. Ultimamente, poi, lei era sempre più nervosa: non lo ascoltava più pendendo dalle sue labbra come prima, ma sbuffava dopo due minuti, e trovava sempre una scusa per alzarsi e andare a giocare a pallavvolo con gli amici, o a prendersi un gelato. Ma non al bar dello stabilimento, no: preferiva spostarsi di diversi metri, sostenendo che il baracchino di Giorgio aveva gelati migliori. Eppure erano della stessa marca, pensava Moreno, perplesso. Probabilmente Marina aveva discusso con Luisa, la barista: ogni volta che la vedeva, faceva certe smorfiette che arrivavano a renderla sgradevole, addirittura brutta. Chissà che torto le aveva fatto, quella poverina.

Moreno sospirò. Come fare per dichiararsi a Marina? Se solo avesse potuto portarla in volo con sé: le avrebbe mostrato la bellezza del cielo, il brivido dell’assenza di peso, l’ebbrezza del fluttuare nell’aria, e allora avrebbe potuto esprimerle tutto quello che provava. Ma era assolutamente escluso far salire un passeggero su quel leggerissimo aereo pubblicitario.

Perso nei suoi pensieri, quasi non si accorse che l’orologio segnalava già la fine del turno. Concluse il giro, poi virò dolcemente dirigendosi verso il campo di atterraggio. Scorse un puntino accanto alla baracchina: era Mauro, che guardava verso di lui. Lo immaginò con le labbra tirate in una vaga espressione di preoccupazione, e non poté impedirsi di sorridere dell’irrazionale paura del volo che affliggeva l’amico. Non sapeva che cosa si perdeva. Peccato non poter portare in volo neppure lui.

“Ciao Luisa, che cosa mi dai da bere oggi?”

Un paio di occhi neri e profondi si voltarono e si fissarono nei suoi, mentre sotto di loro si accendeva un sorriso radioso e sensuale.

“Quello che vuoi, Moreno” fece una voce suadente, carica di sottintesi.

Moreno si appoggiò al bancone, vagando con lo sguardo in direzione del mare, e Luisa capì di avere, una volta di più, scoccato invano le sue frecce.

“Fai tu, Luisa… basta che non sia quell’analcolico che non voglio più neppure nominare.”

Suo malgrado, la ragazza si trovò a ridere. “Ne hai abbastanza, eh? Però ti capisco, essere obbligato a portare in giro sempre la stessa pubblicità… ma non ti andrebbe di mostrare qualche messaggio un po’ più importante? Una dichiarazione d’amore, per esempio” suggerì, avvicinandosi.

Moreno non lo notò neppure.

“Eh, sapessi quante volte ci ho pensato! Ma poi, chi mi pagherebbe?”

Luisa lo guardò stupita. “Chiunque volesse mandare un messaggio importante a una persona cara! Un compleanno, un anniversario… pensa che ressa per San Valentino! Potresti lavorare tutto l’anno, non solo durante l’estate. Natale, Pasqua, Festa della Mamma… E pensa a tutti i ragazzi che ti noleggerebbero per le loro dichiarazioni! Puoi immaginare niente di più bello, per una ragazza, che leggere il suo nome nel cielo, magari con contorno di cuoricini?” sospirò Luisa, sbattendo gli occhi.

Moreno la guardò interdetto: dichiarazioni d’amore in cielo? Riflettè un attimo: ma sì!

D’un tratto scattò in piedi. “Grazie, Luisa, sei un angelo!” esclamò, correndo via. “Ma… non hai più sete?”

Non ci fu risposta. Luisa lo guardò andare, poi, scuotendo la testa, si rimise a lavare bicchieri.

“Ma scusa, ti rendi conto? Così mi fai saltare una giornata di lavoro! E io come mi giustifico con il nostro cliente?”

Mauro scuoteva la testa. Ma che cosa era saltato in mente a Moreno?

“E dai, Mauro, te l’ho detto: gli spieghi la situazione e gli offri una giornata in più. Te la faccio gratis, te lo giuro. Lo striscione l’ho commissionato e pagato io, lo consegnano già domattina. Si tratta solo di una giornata, che tu oltretutto non mi paghi, quindi, in definitiva, io lavoro gratis due giorni. Non mi sembra che sia un così grande sacrificio, per te…”

Mauro lo guardò negli occhi, con le braccia conserte. “E che cosa hai fatto scrivere, sullo striscione?”

“La cosa più semplice del mondo: Moreno e Marina, e un paio di cuoricini intorno.”

“Ma è davvero così importante, per te, questa Marina?”

Moreno sì morse le labbra, annuendo. 

“E va beh!” Mauro alzò le spalle. “Del resto, ti ho sempre detto che volevo vederti sistemato… Ma guarda che poi voglio la bomboniera, eh!”

Moreno sorrise. “Altro che bomboniera! Mi farai da testimone, stanne certo!”

Mauro lo guardò di sbieco. “Furbo, tu! Così poi devo farti il regalo…”

Scoppiarono a ridere.

Accensione, riscaldamento del motore, decollo, aggancio dello striscione. Niente di nuovo, in teoria, ma quel giorno era come se fosse la prima volta.

Moreno non aveva neppure guardato lo striscione, temendo che quei due nomi scritti così, uno accanto all’altro, potessero emozionarlo a tal punto da fargli mancare il coraggio.

Cercò di non pensare ad altro che non fosse il rumore del motore, il soffio gentile dell’aria sulla carlinga, il suono un poco nervoso del vento che scuoteva la sua coda colorata e densa d’amore.

Come avrebbe reagito Marina? Un attimo di incertezza si fece largo nei suoi pensieri: e se quell’azione così plateale avesse offeso la sua riservatezza? E se si fosse vergognata davanti ai suoi amici? E se…

Moreno scosse la testa: era tardi per i ripensamenti. Ormai era già in volo, con lo striscione che svettava dietro di lui, come una confessione pubblica, un impegno serio e senza tentennamenti.

Si rilassò, pur mantenendo il controllo del velivolo e la mente lucida, prendendo quota. La sua mente, come sempre gli succedeva quando imboccava la sua strada d’aria, si aprì, pronta ad accogliere il sole e l’aria salmastra che arrivava fin lassù a solleticare le sue narici.

Gli sembrava di essere lui stesso l’aereo, o di essersi mutato in un gabbiano, un’aquila o chissà quale altro animale del cielo, di una razza indefinita, intento solo a volare con le ali ferme, dolcemente aperte verso il vento. In quei momenti, avrebbe voluto davvero volare via lontano, lasciandosi tutto e tutti alle spalle, per non scendere mai più sulla terra. Ogni volta, solo pure questioni pratiche riuscivano a convincerlo a terminare il suo giro e a tornare a terra come stabilito, restituendo il suo aereo, le sue ali, al legittimo proprietario, e riscuotendo la necessaria paga del giorno.

Ora, però, c’era un nuovo motivo, molto più importante degli altri, a trattenerlo: Marina. Ora il suo volo aveva un altro senso, diverso, forse più profondo, sicuramente più importante per la sua vita: comunicarle quello che sentiva.

Guardò, come sempre, verso la spiaggia, cercando di immaginarsi la sua reazione, quando avesse visto il messaggio sullo striscione. Ne sarebbe stata felice? Avrebbe accettato di salire a bordo e volare insieme a lui? Oppure gli avrebbe riso in faccia, spezzandogli le ali e mandando il suo aereo in picchiata?

No, si disse, non era possibile. Era così chiaro che Marina lo ricambiava: aspettava solo che lui si facesse avanti, e, se fino a quel momento non era successo niente, era solo colpa della sua assurda timidezza. Si vedeva a occhio nudo: lei non voleva altro che un passo da parte sua. E se non era un passo quello! Altro che passo, era un vero e proprio volo!

La sua mente prese a correre, e iniziò a immaginarsi Marina che saliva insieme a lui su di un aereo noleggiato appositamente per loro due: dietro alla coda, al posto dello striscione pubblicitario, un enorme velo bianco da sposa, disseminato di boccioli di rosa, avrebbe annunciato al mondo la loro felicità. Vedeva il sorriso di lei accanto a lui, sentiva la sua mano leggermente nervosa per una leggera paura del volo, e immaginava di stringerla per darle conforto, nel condurla attraverso i sentieri del cielo. 

Si morse le labbra. Stava correndo troppo. Per il momento c’era da portare bene a termine il suo compito, e far sì che lei fosse fiera di lui. Si concentrò sulla rotta, pensando che proprio il suo essere sempre la stessa poteva causargli facilmente qualche distrazione, e si impegnò a mantenere saldamente il controllo del velivolo.

Un giro, due giri, tre giri… Avanti e indietro, finché il suo messaggio non fosse stato chiaro a tutti i villeggianti sparpagliati per la spiaggia, finché non fosse stato recepito anche dai neonati urlanti in braccio alle mamme cosparse di sabbia e di resti di gelato. Dovevano saperlo i bagnini e i gruppi di ragazzi impegnati nelle loro partite di pallavvolo, i venditori di cocco e quelli di collanine, le ragazze in bikini e le signore anziane coperte dai loro vestiti a fiori. Tutti dovevano sapere che era innamorato di Marina, e che quello striscione era il suo regalo per lei. C’è chi regala rose, e chi regala messaggi nel cielo…

Guardò l’orologio e i televel: il tempo a disposizione era terminato. Bisognava rientrare alla base: del resto, anche il carburante non era certo eterno. Con un’ultima, elegante virata, Moreno guidò il velivolo verso l’atterraggio. Mauro, come sempre, lo aspettava accanto al casottino.

“Tutto a posto?” gli chiese, con aria perplessa.

“Certo! Non poteva andare meglio!” rispose Moreno, con un ampio sorriso.

Mauro lo guardò esitando. “Sicuro?”

“Certo! Perché? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Mi sembra di avere fatto del mio meglio come al solito, no? Anzi, forse più del solito!”

“Ah sì, certo, certo” si affrettò a rispondere Mauro.

“Marina sarà contenta…”

“L’hai vista? E’ venuta qui?”

Mauro scosse la testa. “No, no, qui non s’è vista, ma di sicuro sarà in spiaggia, come ogni giorno. Anzi, se fossi in te mi affretterei a raggiungerla. Vorrai pure conoscere la sua opinione riguardo al tuo… exploit, non è vero?”

Sì, certo che era vero. Non vedeva l’ora di raggiungerla e di leggere nei suoi occhi la sua reazione.

“Ciao Mauro, ci vediamo domattina!”

Moreno si allontanò correndo, impaziente di raggiungere la spiaggia.

Mauro lo seguì con lo sguardo, senza perdere la sua espressione corrucciata. Si voltò a guardare ancora una volta lo striscione, che giaceva abbandonato sulla pista, ancora attaccato al velivolo. Poi, con un’alzata di spalle, rientrò nel casottino e si rimise al lavoro.

Moreno scansò intenzionalmente il bar: non aveva voglia di venire invischiato nella solita chiacchera di Luisa. Ogni volta che lo vedeva gli attaccava un tale bottone, quella! E chissà poi cosa voleva da lui. Ma come faceva, il suo amico Franco, a morirle dietro? A lui non sembrava proprio niente di speciale. E, del resto, davanti a Marina tutte le altre impallidivano. No, davvero, non aveva tempo per Luisa, quel giorno.

La sabbia che scottava sotto i suoi piedi aumentava il suo senso di urgenza. Rispondeva vagamente ai saluti degli altri bagnanti, che lo guardavano con aria canzonatoria e con dei sorrisetti ironici. Certo, si diceva lui, una dichiarazione d’amore attira sempre le prese in giro degli estranei: ma di che cosa si trattava, se non di invidia? Avrebbero avuto meno da ridere, quando Marina gli si fosse fatta incontro buttandosi fra le sue braccia e coprendolo di baci! Sì, ma intanto lei non si vedeva. Dove accidente si era cacciata?

Eccola finalmente, proprio laggiù, in fondo alla fila delle cabine. Stava avanzando verso di lui, con il gruppo degli amici a seguirla da vicino: ovviamente non volevano perdersi lo spettacolo, pensò Moreno. Beh, non li avrebbe delusi, ne era certo: che preparassero canzonature e prese in giro, se era il prezzo da pagare per avere lei.

Che strano, però: man mano che si avvicinava, l’espressione sul volto di Marina sembrava tesa, scura. Sicuramente era solo un effetto dell’ombra sul suo viso: non poteva essere diversamente. Oppure?

Moreno si sentì un attimo vacillare: forse aveva davvero esagerato, forse si era sentita imbarazzata, ma se era così le avrebbe chiesto scusa. In fondo l’aveva solo fatto a fin di bene, in fondo era stato solo il suo modo per dichiararsi…

I suoi pensieri si interruppero quando Marina si arrestò di fronte a lui: aveva le braccia conserte e una smorfia truce sul viso.

A Moreno si asciugarono le parole in gola. Lei, invece, parlò, secca, incisiva, lapidaria.

“Complimenti,” disse, “complimenti vivissimi. Auguri e figli maschi!”

Dopo di che, voltò le spalle e filò via impettita, inseguita dalle risatine degli amici, invano nascoste dalle mani premute sulle bocche alla ricerca di un vano senso di decenza.

Tutti guardarono Moreno con maligno divertimento, prima di defilarsi a loro volta. “Bravo, eh!” commentò qualcuno.

Solo Franco lo squadrò con un’espressione triste, quasi impotente. “Bene, bene” gli disse. “Povera ragazza, chissà che soddisfazione ti sei preso, a deluderla in questo modo! Neppure non avessi capito quanto teneva a te: era evidente! Beh, auguri anche da parte mia.”

E con quello anche Franco si allontanò, lasciando Moreno alla propria perplessità. Che cosa aveva fatto di male? Va bene, aveva messo in imbarazzo Marina, ma quantomeno le aveva detto pubblicamente quanto anche lui teneva a lei, no? E allora? Che cosa c’era di così tragico? Per quanto si lambiccasse il cervello, Moreno non riusciva a capacitarsene. Insomma, la riservatezza andava bene, ma in quel modo gli sembrava troppo.

Deluso, tornò sui suoi passi, in aeroporto, fino al baracchino di Mauro, che se ne stava lì, davanti alla porta, quasi lo stesse aspettando.

“Senti,” esordì, “ho già provveduto a fare due urli a Gino della tipografia. Alla prossima che mi fa, è fuori: ritardi di stampa, ritardi del corriere, e adesso sbaglia pure i nomi…”

“Sbaglia i nomi? Come sarebbe?” Mauro si morse le labbra.

“Senti, prima non ho avuto il coraggio di dirtelo, ti ho visto così entusiasta che non ho avuto cuore di fermarti… Vai un po’ a dare un’occhiata allo striscione.”

Moreno sgranò gli occhi, poi, con un brutto presentimento, si avviò verso la pista. E fu lì che lo vide, ancora abbandonato sul prato, come uno straccio usato disteso per terra, in tutto lo splendore dei cuoricini e dei due nomi che vi troneggiavano.

“Moreno e Marisa”

Marisa? In un attimo, tutto gli fu chiaro. Ecco spiegata la rabbia di Marina: credeva che lui l’avesse snobbata, messa da parte in favore di una fantomatica Marisa! Ma chi era quella Marisa? Non esisteva nessuna Marisa!

Non c’era un attimo da perdere: doveva rincorrere Marina e spiegarle tutto. Se necessario, l’avrebbe anche fatta parlare con Gino, il tipografo: ci avrebbe pensato lui a giustificarsi! Una bella professionalità, sbagliare il nome della destinataria di un messaggio così importante. Ma non c’era tempo per pensarci: bisognava correre, tornare alla spiaggia.

Non fece in tempo ad arrivare davanti al bar prima di arrestarsi a bocca spalancata. Non poteva essere, aveva le traveggole: Marina che usciva dal bar? Non era possibile, non sopportava Luisa! E soprattutto non era possibile che se ne stesse abbracciata stretta a Franco! Eppure erano proprio loro due, con due bei coni gelati in mano, e avanzavano verso di lui.

Franco aveva l’espressione quasi ebete di chi ha raggiunto un traguardo insperato, mentre Marina esibiva una smorfia sfrontata di sfida aperta.

Lo superarono: lui gli fece un cenno di saluto, lei girò la testa dall’altra parte, col naso per aria. Moreno li guardò allontanarsi, incapace di reagire.

“Lo sapevo, che eri soltanto timido!”

Moreno sobbalzò e si voltò di scatto, chiedendosi chi avesse parlato.

Dietro a lui, sorridente, con una mano languidamente appoggiata sul fianco, Luisa lo guardava come se volesse mangiarselo.

“Scusa?” chiese lui, confuso. Lei eluse la sua domanda retorica.

“E ti sei anche ricordato il mio diminutivo…”

Un pensiero improvviso colpì la testa di Moreno: era vero! Tutti lo sapevano, in spiaggia: Maria Luisa, detta Luisa, per gli intimi Marisa!

Maledette coincidenze, ecco perché Marina aveva creduto… Ma non era troppo tardi.

“Scusami, Luisa, c’è un equivoco” iniziò, ma venne immediatamente bloccato da un bagnante appena entrato nel bar.

“Mi perdoni, ha un minuto? Splendida idea davvero, quella della dichiarazione d’amore con l’aereo! Senta, fra qualche giorno è il compleanno di mia moglie, quanto costerebbe fare una cosa del genere?”

“Ma, io, veramente…”

“Ah, eccola qua! Senta” si fece avanti un altro, “io vorrei augurare Buon Ferragosto alla mia famiglia, c’è ancora posto per quel giorno?”

“Ma…”

“O non fa servizio, nei festivi?”

“Io ho bisogno prima possibile” si affrettò un terzo, con un sorrisetto di scusa. “Sa, anch’io troppo timido per dichiararmi… Ma con un’idea come la sua, impossibile fallire! Se è riuscito a conquistare Marisa!”

Moreno scosse la testa. “Ma guardi che io…”

“Scusateci un attimo” disse, decisa, Luisa, prendendolo per un braccio e portandolo sul retro.

“Senti,” esordì, “non sono una stupida, e immagino che lo striscione, in realtà, non fosse diretto a me, ma non è il momento di scandagliare i perché e i percome: in un modo o nell’altro, ha fatto un successo strepitoso.”

Moreno si fermò a riflettere. “Adesso tutti credono che tu mi abbia conquistata semplicemente portando in volo quella frase, e sono impazienti di imitarti per rendere felici i loro affetti più cari. Non ti pare che valga la pena di reggere il gioco? Non era questo che volevi, portare nel cielo messaggi più consistenti di uno striscione pubblicitario?”

Certo, si disse Moreno, Luisa non aveva torto… Ma Marina?

“Del resto” continuò lei, come se gli avesse letto nel pensiero, “hai chiaramente visto che Marina non ci ha messo molto a consolarsi. Vale la pena di rovinare tutto per correre dietro a una così?”

Caspita, pensò lui, era vero. Marina non gli aveva neppure chiesto spiegazioni, si era solo defilata appiccicandosi a Franco che, fino al giorno prima, non guardava neppure di striscio. Che delusione!

Sì, era il caso di lasciarla perdere, e pensare a inseguire l’attività che aveva sempre sognato. Avrebbe potuto parlarne con Mauro, iniziare ritagliandosi un’ora o due al giorno, e poi, col tempo, formare una vera e propria società… E sarebbe stato possibile volare tutto l’anno, non solo in estate per pubblicizzare una bibita o un gelato. Certo, però, che fingere una relazione per farsi pubblicità…

Ancora una volta Luisa indovinò i suoi pensieri. “Ovviamente non dovremo fingere per sempre: solo per qualche mese, giusto il tempo di iniziare e consolidare la tua nuova attività. Poi saremo liberi di andare a cercarci altre persone.”

“Scusate” li interruppe un signore con al collo una macchina fotografica, affacciandosi alla porta, “sono Giacomo Cosi, della Gazzetta. E’ lei l’artefice della bellissima idea dello striscione? Vorrei intervistarla. E lei deve essere la fortunata… Permette, una foto o due con il suo fidanzato?”

Con un sorriso a trentadue denti, Luisa si avvinghiò letteralmente al braccio di Moreno, prestandosi a diverse pose.

“Bene, ora mi deve scusare, Signorina, dovrei iniziare l’intervista. Mi dica…” esordì, rivolgendosi a Moreno, che, beché ancora un poco perplesso, si dispose a rispondere alle sue domande.

Luisa si fece da parte, sorridendo sorniona e annuendo. Era stata lei a chiamare Giacomo, raccontandogli tutta la storia prima ancora che Moreno atterrasse e si rendesse conto della gaffe. Ma questa era stata solo la ciliegina sulla torta: aveva dovuto dare fondo ai suoi risparmi per corrompere Gino, che le aveva riferito le intenzioni di Moreno, e convincerlo a sostituire quella trascurabile letterina, quella “N” con quella “S”: sapeva bene che Moreno, troppo eccitato, non ci avrebbe fatto caso.

Sarebbe servito a qualcosa? Chissà. Intanto si era tolta di mezzo quella gatta morta di Marina, che, come aveva previsto, era stata troppo orgogliosa per andare in fondo alla questione, e allo stesso tempo, aveva dato a Moreno la spinta giusta per dare una svolta alla sua attività. Un giorno, lo sapeva bene, l’avrebbe ringraziata.

E poi, non si sa mai: a volte, a forza di fare finta, si finisce per credere al castello di carte che si è costruito… Chissà se, un giorno, Moreno l’avrebbe guardata finalmente con occhi diversi.

Magari, prima o poi, appeso dietro all’aereo, ci sarebbe stato il suo velo da sposa.



§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§

# proprietà letteraria riservata #


Cristina Giuntini

Pensieri sospesi … in mongolfiera


Sebbene il processo evolutivo gli abbia negato la dimensione aerea, quello del volo è un sogno che accompagna da sempre il genere umano tuttavia, l’ingegno che lo contraddistingue gli ha consentito di elevarsi comunque al di sopra della dimensione terricola e di guadagnare con dei congegni volanti un mondo che, per sua natura, non gli è congeniale.

Così, benché nel corso dei secoli della storia dell’umanità si annoverino molteplici tentativi di ascendere e solcare gli spazi sconfinati dell’atmosfera – alcuni più probabili, altri avvolti letteralmente dalla leggenda – la conquista dell’aria è avvenuta in epoca abbastanza recente. Se infatti consideriamo una macchina più pesante dell’aria (annuari della storia dell’aviazione alla mano) sappiamo per certo si è involata solo agli inizi del ‘900 mentre una più leggera dell’aria verso la fine del ‘700. Dunque una conquista agognata eppure sfuggente, tecnicamente assai complessa da conseguire.

Oggi sono milioni i passeggeri che viaggiano in lungo e largo attraversando la dimensione aerea a tutte le quote e latitudini, per motivi di lavoro o di piacere, con il risultato che il volo ha perso un po’ del suo fascino ancestrale.

Di sicuro questo scatto non è dell’autrice del racconto ma l’intenzione c’era di sicuro. E lo testimonia: “Mi estranio da tutto e ammiro il panorama. Tuttavia non posso esimermi dallo scattare qualche foto. Voglio immortalare nel tempo questa sensazione di sospensione, di attesa, d’immobilità.”

Esistono tuttavia diversi modi di volare: con gli autobus dell’aria, appunto, o con improbabili agglomerati di metalli leggeri assemblati in garage passando per minutissimi gusci d’uovo ma in materiali compositi o per finire ai grandissimi lenzuoli colorati pieni di funi e cordicelle … certo è che il volo rimane un’esperienza unica nel suo genere. E lo è tal punto che per alcune persone mantiene inalterato il suo fascino unico. Forse si tratta dei soggetti più sensibili oppure di quelli meno corrotti dall’abitudine o magari quelli più riflessivi. Semplicemente perché il volo comunica loro un senso di pace, è l’occasione per ritrovarsi di fronte alla visione della Terra dall’alto, per rimuginare sul proprio vissuto o pianificare il proprio futuro con rinnovato slancio.

C’è poi un altro aspetto di cui occorre tenere conto. Esistono molti luoghi sul pianeta Terra in cui ci si può involare. Dal Polo Nord, percorrendo i due emisferi fino a giungere all’altro Polo, è ormai possibile volare pressoché ovunque ma è pur vero che ci sono dei luoghi cosiddetti “speciali” dove l’esperienza di volo – già di per sé speciale – assume dei connotati davvero unici quanto memorabili.

Il volo in mongolfiera, “i camini delle fate”, il cielo … occorre altro?

Ebbene uno di questi luoghi è senz’altro la Cappadocia in Turchia e, in particolare, il parco nazionale di Goreme, una sorta di museo all’aperto che – non a caso – gode dello status di Patrimonio dell’umanità dell’Unesco.

In quel luogo, la presenza di particolari formazioni rocciose denominate: “camini delle fate” e di una moltitudine di mongolfiere che svolgono voli turistici all’alba rende possibile a moltissimi visitatori l’opportunità di vivere un’esperienza memorabile che segnerà loro l’esistenza.

Non ci credete? … beh, allora leggete il racconto di  Paola Trinca Tornidor e di Agnese Pelliconi che – incredibile a dirsi – hanno descritto minuziosamente – ciascuna a suo modo, s’intende – la medesima situazione.

Non sappiamo dire se Agnese e Paola abbiamo partecipato assieme allo stesso viaggio, tuttavia entrambe hanno descritto il loro volo in mongolfiera con la medesima vividezza. Così, se la prima ci ha regalato un racconto di più ampio respiro e dal taglio più intimista, la seconda ha preferito un breve racconto dai toni giornalistici piuttosto più che da quelli psicologici; eppure entrambe incuriosiscono il lettore e lo inducono a documentarsi oltremodo.

Di fronte a un simile spettacolo, queste sono i sensazioni che attraversano la protagonista del racconto di Paola Trinca Tornidor: “Da quassù i pensieri sono diversi, rarefatti. Forse non penso nemmeno ma lascio emergere solo le sensazioni. È incredibilmente affascinante.” Sottoscriviamo!

Poco male, cara Agnese e Paola perché ci è stato concesso l’onore di ospitarvi entrambe nel nostro grande hangar. Perciò ci permettiamo di affermare: grazie giuria!Un altro aspetto le accomuna: hanno partecipato entrambe alla VII edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE e, purtroppo, entrambe non hanno ricevuto un giudizio benigno da parte della giuria giacché non sono state ritenute meritevoli di accedere alla fase finale del Premio. Peccato.

E’ la prima volta che accade ma, a questo punto, con un’unica recensione vorremmo accennare contemporaneamente al racconto “L’alba delle fate” e a “Pensieri sospesi … in mongolfiera”. Come metterle a fattor comune.

 

“Nell’aria frizzante di un’aurora primaverile in Cappadocia, imbaccuccata negli unici abiti caldi trovati nello zaino, salgo …” comincia così il racconto di Paola Trinca Tornidor e, con l’aiuto di questo scatto, preveremo a esserci anche noi

La mongolfiera è un aerostato, ossia una macchina volante più leggera dell’aria, evoluzione di quella che i fratelli Mongolfier fecero volare nel 1783 e rimane ancora oggi un aeromobile non direzionabile, alla mercé dei venti e capace solo di ascendere o discendere a discrezione del pilota. Il volo della mongolfiera è morbido, il suo distacco da terra è dolce e anche la salita in quota avviene nel più completo silenzio (fatto salvo il rumore del bruciatore che provvede a immettere nell’involucro aria calda e i prodotti della combustione del propano) con una fluidità che è tutta una sua prerogativa.

Se questo volo si svolge alle prime luci dell’alba sopra un territorio come quello della Cappadocia con lo sfondo dei “camini delle fate” la magia è compiuta, E se poi ai colori dei primi raggi del sole riflessi sulle rocce si unisce una distesa a perdita d’occhio di mongolfiere multicolori che s’innalzano tutte assieme e tutte attorno, beh … la magia si amplifica a dismisura.

A questo punto però, la recensione si biforca e quella che segue è relativa solo al racconto “Pensieri sospesi … in mongolfiera” di Paola Trinca Tornidor.

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Così come nella musica esistono sette note per creare una melodia, allo stesso modo nella narrativa esistono le parole – decisamente molto più di sette, è vero – per creare un racconto. Altro discorso è poi nutrire una personale preferenza per un melodia piuttosto che per un’altra e, in parallelo , per un racconto piuttosto che per un talaltro.

Racconta la protagonista del racconto di Paola Trinca Tornidor: “È ancora buio e s’intravvedono dei bagliori. Non sono fuochi, ma le fiammate che fuoriescono dalle mongolfiere, come scopriamo giungendo nella vasta radura.”

Ora, mettendo a fattor comune con una moltitudine di scrittori e scrittrici l’esperienza di volo in mongolfiera nonché la fantasmagorica vista di una miriade di mongolfiere sopra i camini delle fate nel parco dell’aria di Goreme, è ovvio che Paola Trinca Tornidor ci ha regalato un racconto – il suo – diverso da chiunque altro faccia parte di quel fattor comune.

Il suo talento narrativo è sintonizzato sul canale giornalistico. Il suo racconto è più vicino ad una cronaca che ad un tentativo di riflessione introspettiva della protagonista. D’altra parte sarebbe stata nient’altro che la fotocopia del racconto “L’alba delle fate” di Agnese Pelliconi, non trovate?

La sua prosa è ponderata, non necessariamente essenziale ma neanche poetica; è semplice, diretta. Si comprende che l’autrice – donna di mondo rotta alle forti emozioni e dunque non facilmente impressionabile – non rimane affatto folgorata dalla lenta ascesa, dai riflessi dei raggi solari e dal roboante silenzio del cielo della Cappadocia. Sì, non è indifferente a quanto le accade e a quanto vede attorno a sé, questo è certo …  ma non è quel genere di autrice che si scortica i polpastrelli sulla tastiera per descrivere quanto vissuto in prima persona.

Il suo scrivere è misurato, la sua narrazione non si lascia andare a sbrodolamenti romantici o a considerazioni profondamente esistenziali. E di questo non possiamo certo fargliene una colpa.

Paola è così, è così che lei mescola le sette note. Questa è la sua melodia.

Quale migliore commento a questo scatto se non le parole che esprime la protagonista del racconto “Pensieri sospesi … in mongolfiera”? Eccole: “Siamo sospesi nel vuoto, in un caleidoscopio di 150 palloni aerostatici che popolano il cielo. È l’alba: il sole si alza e rischiara il cielo rosato e azzurro, delicato acquerello di un pittore innamorato. Sotto di noi, lo spettacolo della Natura si rinnova in un’alternanza di verde e di rocce, e avvistiamo i Camini delle Fate, coi loro comignoli e tetti aguzzi, nei colori sabbiosi del tufo.”

Arriviamo a dire che, se la sua cronaca non fosse stata genuinamente inedita, avremmo giurato di averla letta in qualche guida turistica o in qualche blog di viaggi del parco di Goreme o della Turchia. Forse è per questo che la giuria l’ha relegata fuori dalla rosa dei finalisti della VII edizione. D’altra parte il contenuto a carattere aeronautico abbastanza blando deve aver ugualmente pesato nella valutazione generale.

Pazienza, Paola, avrai occasione di rifarti.

A noi, in tutta verità, il racconto è piaciuto sebbene si tratti di un flash, di un’istantanea di dimensioni ridotte come quelle che scattavano tanti anni fa certe macchinette fotografiche, un cameo di buona fattura che – speriamo – sia il prologo di qualcosa di più sostanzioso per la prossima edizione del Premio.

Paola, vogliamo provare con un lancio con il paracadute?

 


Recensione  a cura della Redazione


Narrativa / Breve

Inedito;

ha partecipato alla VII edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2019;

§§§§ in esclusiva per “Voci di hangar”§§§


NOTA: le foto di copertina e quelle presenti nella recensione sono di proprietà esclusiva dei proprietari e provengono da Flickr.com