“Insomma!”
Mauro battè il pugno sulla scrivania, come se l’interlocutore all’altro capo del filo avesse potuto vederlo ed essere quantomeno intidimidito dal gesto.
“Come sarebbe, un ritardo di mezz’ora? Abbiamo delle tabelle di marcia, ve ne rendete conto?”
La risposta gli arrivò come un ronzio vago e lontano, mentre si detergeva la fronte sudata e rifletteva che no, non conveniva farsi alzare la pressione in pieno agosto, nel caldo afoso di quel casottino di lamiera.
Ascoltò distrattamente discorsi confusi sulle difficoltà di stampa e sul corriere partito in ritardo, premurandosi di afferrare con la mano libera una bottiglia di acqua e di versarsene un generoso bicchiere, che trangugiò aspettando che il tipografo la finisse con le scuse.
“Va bene, va bene” disse infine, “ma che sia qui entro mezz’ora, non più tardi. E non voglio più sapere di simili disguidi!”
Senza attendere risposta, buttò giù il telefono con gesto impaziente e si passò una mano fra i capelli.
“Buongiorno! Tutto bene?”
Mauro sobbalzò, al rumore della porta e alla voce squillante di Moreno, che, come ogni mattina, esibiva un sorriso a trentadue denti. Ma come accidenti faceva, si chiese, a essere sempre così entusiasta e positivo? Lo squadrò dalla testa ai piedi, prima di alzare le spalle.
“Mah!” rispose. “Tutto bene non direi, lo striscione è in ritardo di mezz’ora.”
Moreno non smise di sorridere.
“Poco male, vuol dire che, nell’attesa, ci prendiamo un caffè. Avanti, metti sù quella macchinetta!”
Mauro, non del tutto convinto, accese il fornello elettrico e iniziò a riempire la moka, mentre Moreno si accomodava tranquillamente su di una sedia. Mauro lo guardò di sghimbescio.
“Sicuro che lo vuoi, questo caffè?” chiese.
Moreno rise. “Se ti fa fatica, faccio io.”
“No, no… E’ che mi chiedo come tu faccia a non essere nervoso, all’idea di decollare. Io tremerei come una foglia dalla paura.”
“E infatti tu non voli, organizzi.” Mauro fece una leggera risata. “E sono nervoso lo stesso, con tutti i casini che vengono fuori.”
“Vedi?” sorrise Moreno. “Io me ne frego, dei casini. Mi basta salire sull’aereo, farlo partire, ed ecco che sono libero nel cielo, senza pensieri e senza altra preoccupazione se non quella di mantenere la rotta! Anzi” sospirò, “ti dirò che a volte questo lavoro mi sembra fin troppo tranquillo. Sempre lo stesso volo, avanti e indietro davanti alla spiaggia, un giro e via da capo, sempre con quella coda svolazzante dietro. Ma non importa: sempre meglio delle scartoffie di un ufficio” concluse, con aria canzonatoria.
“Saranno anche scartoffie, ma quantomeno sono sicure” sottolineò Mauro.
“Mi fai sorridere, con la tua assurda paura di volare. Nemmeno fossi un bambino! Anzi, i bambini sono più coraggiosi. E poi non sai cosa ti perdi! Non hai mai provato la sensazione di fendere il vento, fiaccarne la resistenza, fluttuare nell’aria come senza peso…”
“E neppure ci tengo a provare!”
“Bah! Sei proprio un coniglio!” Mauro fece per ribattere, ma il gorgoglio del caffè lo trattenne. “Pronto!” sospirò, tirando fuori da un mobiletto due tazzine.
Sorseggiarono in silenzio per alcuni minuti.
“Che cosa pubblicizziamo oggi?” chiese poi Moreno. “Gelati? Un amaro? Passata di pomodoro?”
“Il solito analcolico” alzò le spalle Mauro.
“Ma come?” si stupì l’altro. “E a cosa serve lo striscione nuovo, quindi?”
“Cambio di slogan, ma il prodotto è sempre quello.”
“Che pizza” sbuffò Moreno. “Ma non hanno paura che il pubblico si stufi e finisca per averlo in antipatia?”
Mauro scosse la testa. “Evidentemente non è così, visto che hanno prenotato il nostro servizio per le prossime due settimane.”
“Sarà. Io, personalmente, ho smesso di berlo.”
Mauro allungò le gambe, pensieroso.
“Eppure mi piacerebbe fare di meglio… Spesso mi chiedo se non sarebbe possibile gettare alle ortiche gli striscioni pubblicitari e far volare nel cielo qualche messaggio più importante. Che so, una poesia, una frase celebre, uno slogan pacifista…”
Mauro scoppiò a ridere. “Ma che idea! Sei sempre il solito romanticone, eh? Ma almeno la fidanzata, quando te la trovi?”
Moreno fece per ribattere, quando la porta del casotto si spalancò.
“Buongiorno, dottò! Lo striscione!”
“Alla buon’ora!” Mauro si trattenne dallo sbottare: non c’era tempo da perdere. “Posizionatelo, fra dieci minuti al massimo bisogna decollare.”
Moreno si alzò stirandosi. “Bene, mi preparo anch’io. Ci vediamo alla fine del giro!”
Accensione, riscaldamento del motore, decollo e aggancio dello striscione con il consueto passaggio basso e relativa cabrata per l’aggancio.
Moreno conosceva a memoria la procedura; tuttavia, ogni volta che si alzava in volo, la sensazione di quella striscia colorata che fendeva l’aria dietro al velivolo gli dava l’impressione di assomigliare a uno di quei pesci dalla coda variopinta e fluttuante. Betta splendens, si chiamavano, ma tutti li conoscevano come pesci ballerina. Ecco, lui era un pesce ballerina nella grande distesa d’acqua del cielo. Certo, era un cielo un po’ limitato: avanti e indietro, avanti e indietro nello stesso percorso per innumerevoli volte al giorno. Chissà: se si fosse impegnato di più, se avesse seguito un corso di addestramento, avrebbe potuto diventare un pilota di linea, ma era troppo pigro. L’idea di viaggiare da un capo all’altro del globo, passare le nottate in hotel sempre diversi e avere a malapena un paio di settimane l’anno da trascorrere con la famiglia, a gustarsi l’aria di casa, lo angosciava. Non era fatto per quel tipo di vita raminga: aveva bisogno delle sue certezze, dei suoi punti fermi.
Già, si disse, con una punta di amarezza: certezze, punti fermi? Ma se non era neppure fidanzato! Eppure era un bel ragazzo, la scelta non gli sarebbe certo mancata: era troppo selettivo, dicevano gli amici. Chissà che cosa voleva, facevano eco le ragazze, storcendo il naso. Dopo di che, gli uni e le altre si scambiavano sguardi divertiti e perplessi, chiedendosi se, per caso, dietro a tutta quella ritrosia, non ci fosse qualcosa di strano. Ma la verità era un’altra.
Moreno guardò giù, accarezzando con lo sguardo la spiaggia e chiedendovi quale di quei puntini colorati si chiamasse Marina. Marina, Marina, sempre quel nome e solo quello: non gli usciva di testa né di giorno né di notte, era la sua ossessione, il suo chiodo fisso. Un solo sorriso di lei bastava a illuminargli la giornata, il suono della sua voce era la migliore colonna sonora dei suoi sogni. Eppure, con lei non gli riusciva che di comportarsi amichevolmente: era terrorizzato dall’idea di essere respinto, e che una sua eventuale dichiarazione non gradita potesse porre fine anche alla loro amicizia. Ultimamente, poi, lei era sempre più nervosa: non lo ascoltava più pendendo dalle sue labbra come prima, ma sbuffava dopo due minuti, e trovava sempre una scusa per alzarsi e andare a giocare a pallavvolo con gli amici, o a prendersi un gelato. Ma non al bar dello stabilimento, no: preferiva spostarsi di diversi metri, sostenendo che il baracchino di Giorgio aveva gelati migliori. Eppure erano della stessa marca, pensava Moreno, perplesso. Probabilmente Marina aveva discusso con Luisa, la barista: ogni volta che la vedeva, faceva certe smorfiette che arrivavano a renderla sgradevole, addirittura brutta. Chissà che torto le aveva fatto, quella poverina.
Moreno sospirò. Come fare per dichiararsi a Marina? Se solo avesse potuto portarla in volo con sé: le avrebbe mostrato la bellezza del cielo, il brivido dell’assenza di peso, l’ebbrezza del fluttuare nell’aria, e allora avrebbe potuto esprimerle tutto quello che provava. Ma era assolutamente escluso far salire un passeggero su quel leggerissimo aereo pubblicitario.
Perso nei suoi pensieri, quasi non si accorse che l’orologio segnalava già la fine del turno. Concluse il giro, poi virò dolcemente dirigendosi verso il campo di atterraggio. Scorse un puntino accanto alla baracchina: era Mauro, che guardava verso di lui. Lo immaginò con le labbra tirate in una vaga espressione di preoccupazione, e non poté impedirsi di sorridere dell’irrazionale paura del volo che affliggeva l’amico. Non sapeva che cosa si perdeva. Peccato non poter portare in volo neppure lui.
“Ciao Luisa, che cosa mi dai da bere oggi?”
Un paio di occhi neri e profondi si voltarono e si fissarono nei suoi, mentre sotto di loro si accendeva un sorriso radioso e sensuale.
“Quello che vuoi, Moreno” fece una voce suadente, carica di sottintesi.
Moreno si appoggiò al bancone, vagando con lo sguardo in direzione del mare, e Luisa capì di avere, una volta di più, scoccato invano le sue frecce.
“Fai tu, Luisa… basta che non sia quell’analcolico che non voglio più neppure nominare.”
Suo malgrado, la ragazza si trovò a ridere. “Ne hai abbastanza, eh? Però ti capisco, essere obbligato a portare in giro sempre la stessa pubblicità… ma non ti andrebbe di mostrare qualche messaggio un po’ più importante? Una dichiarazione d’amore, per esempio” suggerì, avvicinandosi.
Moreno non lo notò neppure.
“Eh, sapessi quante volte ci ho pensato! Ma poi, chi mi pagherebbe?”
Luisa lo guardò stupita. “Chiunque volesse mandare un messaggio importante a una persona cara! Un compleanno, un anniversario… pensa che ressa per San Valentino! Potresti lavorare tutto l’anno, non solo durante l’estate. Natale, Pasqua, Festa della Mamma… E pensa a tutti i ragazzi che ti noleggerebbero per le loro dichiarazioni! Puoi immaginare niente di più bello, per una ragazza, che leggere il suo nome nel cielo, magari con contorno di cuoricini?” sospirò Luisa, sbattendo gli occhi.
Moreno la guardò interdetto: dichiarazioni d’amore in cielo? Riflettè un attimo: ma sì!
D’un tratto scattò in piedi. “Grazie, Luisa, sei un angelo!” esclamò, correndo via. “Ma… non hai più sete?”
Non ci fu risposta. Luisa lo guardò andare, poi, scuotendo la testa, si rimise a lavare bicchieri.
“Ma scusa, ti rendi conto? Così mi fai saltare una giornata di lavoro! E io come mi giustifico con il nostro cliente?”
Mauro scuoteva la testa. Ma che cosa era saltato in mente a Moreno?
“E dai, Mauro, te l’ho detto: gli spieghi la situazione e gli offri una giornata in più. Te la faccio gratis, te lo giuro. Lo striscione l’ho commissionato e pagato io, lo consegnano già domattina. Si tratta solo di una giornata, che tu oltretutto non mi paghi, quindi, in definitiva, io lavoro gratis due giorni. Non mi sembra che sia un così grande sacrificio, per te…”
Mauro lo guardò negli occhi, con le braccia conserte. “E che cosa hai fatto scrivere, sullo striscione?”
“La cosa più semplice del mondo: Moreno e Marina, e un paio di cuoricini intorno.”
“Ma è davvero così importante, per te, questa Marina?”
Moreno sì morse le labbra, annuendo.
“E va beh!” Mauro alzò le spalle. “Del resto, ti ho sempre detto che volevo vederti sistemato… Ma guarda che poi voglio la bomboniera, eh!”
Moreno sorrise. “Altro che bomboniera! Mi farai da testimone, stanne certo!”
Mauro lo guardò di sbieco. “Furbo, tu! Così poi devo farti il regalo…”
Scoppiarono a ridere.
Accensione, riscaldamento del motore, decollo, aggancio dello striscione. Niente di nuovo, in teoria, ma quel giorno era come se fosse la prima volta.
Moreno non aveva neppure guardato lo striscione, temendo che quei due nomi scritti così, uno accanto all’altro, potessero emozionarlo a tal punto da fargli mancare il coraggio.
Cercò di non pensare ad altro che non fosse il rumore del motore, il soffio gentile dell’aria sulla carlinga, il suono un poco nervoso del vento che scuoteva la sua coda colorata e densa d’amore.
Come avrebbe reagito Marina? Un attimo di incertezza si fece largo nei suoi pensieri: e se quell’azione così plateale avesse offeso la sua riservatezza? E se si fosse vergognata davanti ai suoi amici? E se…
Moreno scosse la testa: era tardi per i ripensamenti. Ormai era già in volo, con lo striscione che svettava dietro di lui, come una confessione pubblica, un impegno serio e senza tentennamenti.
Si rilassò, pur mantenendo il controllo del velivolo e la mente lucida, prendendo quota. La sua mente, come sempre gli succedeva quando imboccava la sua strada d’aria, si aprì, pronta ad accogliere il sole e l’aria salmastra che arrivava fin lassù a solleticare le sue narici.
Gli sembrava di essere lui stesso l’aereo, o di essersi mutato in un gabbiano, un’aquila o chissà quale altro animale del cielo, di una razza indefinita, intento solo a volare con le ali ferme, dolcemente aperte verso il vento. In quei momenti, avrebbe voluto davvero volare via lontano, lasciandosi tutto e tutti alle spalle, per non scendere mai più sulla terra. Ogni volta, solo pure questioni pratiche riuscivano a convincerlo a terminare il suo giro e a tornare a terra come stabilito, restituendo il suo aereo, le sue ali, al legittimo proprietario, e riscuotendo la necessaria paga del giorno.
Ora, però, c’era un nuovo motivo, molto più importante degli altri, a trattenerlo: Marina. Ora il suo volo aveva un altro senso, diverso, forse più profondo, sicuramente più importante per la sua vita: comunicarle quello che sentiva.
Guardò, come sempre, verso la spiaggia, cercando di immaginarsi la sua reazione, quando avesse visto il messaggio sullo striscione. Ne sarebbe stata felice? Avrebbe accettato di salire a bordo e volare insieme a lui? Oppure gli avrebbe riso in faccia, spezzandogli le ali e mandando il suo aereo in picchiata?
No, si disse, non era possibile. Era così chiaro che Marina lo ricambiava: aspettava solo che lui si facesse avanti, e, se fino a quel momento non era successo niente, era solo colpa della sua assurda timidezza. Si vedeva a occhio nudo: lei non voleva altro che un passo da parte sua. E se non era un passo quello! Altro che passo, era un vero e proprio volo!
La sua mente prese a correre, e iniziò a immaginarsi Marina che saliva insieme a lui su di un aereo noleggiato appositamente per loro due: dietro alla coda, al posto dello striscione pubblicitario, un enorme velo bianco da sposa, disseminato di boccioli di rosa, avrebbe annunciato al mondo la loro felicità. Vedeva il sorriso di lei accanto a lui, sentiva la sua mano leggermente nervosa per una leggera paura del volo, e immaginava di stringerla per darle conforto, nel condurla attraverso i sentieri del cielo.
Si morse le labbra. Stava correndo troppo. Per il momento c’era da portare bene a termine il suo compito, e far sì che lei fosse fiera di lui. Si concentrò sulla rotta, pensando che proprio il suo essere sempre la stessa poteva causargli facilmente qualche distrazione, e si impegnò a mantenere saldamente il controllo del velivolo.
Un giro, due giri, tre giri… Avanti e indietro, finché il suo messaggio non fosse stato chiaro a tutti i villeggianti sparpagliati per la spiaggia, finché non fosse stato recepito anche dai neonati urlanti in braccio alle mamme cosparse di sabbia e di resti di gelato. Dovevano saperlo i bagnini e i gruppi di ragazzi impegnati nelle loro partite di pallavvolo, i venditori di cocco e quelli di collanine, le ragazze in bikini e le signore anziane coperte dai loro vestiti a fiori. Tutti dovevano sapere che era innamorato di Marina, e che quello striscione era il suo regalo per lei. C’è chi regala rose, e chi regala messaggi nel cielo…
Guardò l’orologio e i televel: il tempo a disposizione era terminato. Bisognava rientrare alla base: del resto, anche il carburante non era certo eterno. Con un’ultima, elegante virata, Moreno guidò il velivolo verso l’atterraggio. Mauro, come sempre, lo aspettava accanto al casottino.
“Tutto a posto?” gli chiese, con aria perplessa.
“Certo! Non poteva andare meglio!” rispose Moreno, con un ampio sorriso.
Mauro lo guardò esitando. “Sicuro?”
“Certo! Perché? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Mi sembra di avere fatto del mio meglio come al solito, no? Anzi, forse più del solito!”
“Ah sì, certo, certo” si affrettò a rispondere Mauro.
“Marina sarà contenta…”
“L’hai vista? E’ venuta qui?”
Mauro scosse la testa. “No, no, qui non s’è vista, ma di sicuro sarà in spiaggia, come ogni giorno. Anzi, se fossi in te mi affretterei a raggiungerla. Vorrai pure conoscere la sua opinione riguardo al tuo… exploit, non è vero?”
Sì, certo che era vero. Non vedeva l’ora di raggiungerla e di leggere nei suoi occhi la sua reazione.
“Ciao Mauro, ci vediamo domattina!”
Moreno si allontanò correndo, impaziente di raggiungere la spiaggia.
Mauro lo seguì con lo sguardo, senza perdere la sua espressione corrucciata. Si voltò a guardare ancora una volta lo striscione, che giaceva abbandonato sulla pista, ancora attaccato al velivolo. Poi, con un’alzata di spalle, rientrò nel casottino e si rimise al lavoro.
Moreno scansò intenzionalmente il bar: non aveva voglia di venire invischiato nella solita chiacchera di Luisa. Ogni volta che lo vedeva gli attaccava un tale bottone, quella! E chissà poi cosa voleva da lui. Ma come faceva, il suo amico Franco, a morirle dietro? A lui non sembrava proprio niente di speciale. E, del resto, davanti a Marina tutte le altre impallidivano. No, davvero, non aveva tempo per Luisa, quel giorno.
La sabbia che scottava sotto i suoi piedi aumentava il suo senso di urgenza. Rispondeva vagamente ai saluti degli altri bagnanti, che lo guardavano con aria canzonatoria e con dei sorrisetti ironici. Certo, si diceva lui, una dichiarazione d’amore attira sempre le prese in giro degli estranei: ma di che cosa si trattava, se non di invidia? Avrebbero avuto meno da ridere, quando Marina gli si fosse fatta incontro buttandosi fra le sue braccia e coprendolo di baci! Sì, ma intanto lei non si vedeva. Dove accidente si era cacciata?
Eccola finalmente, proprio laggiù, in fondo alla fila delle cabine. Stava avanzando verso di lui, con il gruppo degli amici a seguirla da vicino: ovviamente non volevano perdersi lo spettacolo, pensò Moreno. Beh, non li avrebbe delusi, ne era certo: che preparassero canzonature e prese in giro, se era il prezzo da pagare per avere lei.
Che strano, però: man mano che si avvicinava, l’espressione sul volto di Marina sembrava tesa, scura. Sicuramente era solo un effetto dell’ombra sul suo viso: non poteva essere diversamente. Oppure?
Moreno si sentì un attimo vacillare: forse aveva davvero esagerato, forse si era sentita imbarazzata, ma se era così le avrebbe chiesto scusa. In fondo l’aveva solo fatto a fin di bene, in fondo era stato solo il suo modo per dichiararsi…
I suoi pensieri si interruppero quando Marina si arrestò di fronte a lui: aveva le braccia conserte e una smorfia truce sul viso.
A Moreno si asciugarono le parole in gola. Lei, invece, parlò, secca, incisiva, lapidaria.
“Complimenti,” disse, “complimenti vivissimi. Auguri e figli maschi!”
Dopo di che, voltò le spalle e filò via impettita, inseguita dalle risatine degli amici, invano nascoste dalle mani premute sulle bocche alla ricerca di un vano senso di decenza.
Tutti guardarono Moreno con maligno divertimento, prima di defilarsi a loro volta. “Bravo, eh!” commentò qualcuno.
Solo Franco lo squadrò con un’espressione triste, quasi impotente. “Bene, bene” gli disse. “Povera ragazza, chissà che soddisfazione ti sei preso, a deluderla in questo modo! Neppure non avessi capito quanto teneva a te: era evidente! Beh, auguri anche da parte mia.”
E con quello anche Franco si allontanò, lasciando Moreno alla propria perplessità. Che cosa aveva fatto di male? Va bene, aveva messo in imbarazzo Marina, ma quantomeno le aveva detto pubblicamente quanto anche lui teneva a lei, no? E allora? Che cosa c’era di così tragico? Per quanto si lambiccasse il cervello, Moreno non riusciva a capacitarsene. Insomma, la riservatezza andava bene, ma in quel modo gli sembrava troppo.
Deluso, tornò sui suoi passi, in aeroporto, fino al baracchino di Mauro, che se ne stava lì, davanti alla porta, quasi lo stesse aspettando.
“Senti,” esordì, “ho già provveduto a fare due urli a Gino della tipografia. Alla prossima che mi fa, è fuori: ritardi di stampa, ritardi del corriere, e adesso sbaglia pure i nomi…”
“Sbaglia i nomi? Come sarebbe?” Mauro si morse le labbra.
“Senti, prima non ho avuto il coraggio di dirtelo, ti ho visto così entusiasta che non ho avuto cuore di fermarti… Vai un po’ a dare un’occhiata allo striscione.”
Moreno sgranò gli occhi, poi, con un brutto presentimento, si avviò verso la pista. E fu lì che lo vide, ancora abbandonato sul prato, come uno straccio usato disteso per terra, in tutto lo splendore dei cuoricini e dei due nomi che vi troneggiavano.
“Moreno e Marisa”
Marisa? In un attimo, tutto gli fu chiaro. Ecco spiegata la rabbia di Marina: credeva che lui l’avesse snobbata, messa da parte in favore di una fantomatica Marisa! Ma chi era quella Marisa? Non esisteva nessuna Marisa!
Non c’era un attimo da perdere: doveva rincorrere Marina e spiegarle tutto. Se necessario, l’avrebbe anche fatta parlare con Gino, il tipografo: ci avrebbe pensato lui a giustificarsi! Una bella professionalità, sbagliare il nome della destinataria di un messaggio così importante. Ma non c’era tempo per pensarci: bisognava correre, tornare alla spiaggia.
Non fece in tempo ad arrivare davanti al bar prima di arrestarsi a bocca spalancata. Non poteva essere, aveva le traveggole: Marina che usciva dal bar? Non era possibile, non sopportava Luisa! E soprattutto non era possibile che se ne stesse abbracciata stretta a Franco! Eppure erano proprio loro due, con due bei coni gelati in mano, e avanzavano verso di lui.
Franco aveva l’espressione quasi ebete di chi ha raggiunto un traguardo insperato, mentre Marina esibiva una smorfia sfrontata di sfida aperta.
Lo superarono: lui gli fece un cenno di saluto, lei girò la testa dall’altra parte, col naso per aria. Moreno li guardò allontanarsi, incapace di reagire.
“Lo sapevo, che eri soltanto timido!”
Moreno sobbalzò e si voltò di scatto, chiedendosi chi avesse parlato.
Dietro a lui, sorridente, con una mano languidamente appoggiata sul fianco, Luisa lo guardava come se volesse mangiarselo.
“Scusa?” chiese lui, confuso. Lei eluse la sua domanda retorica.
“E ti sei anche ricordato il mio diminutivo…”
Un pensiero improvviso colpì la testa di Moreno: era vero! Tutti lo sapevano, in spiaggia: Maria Luisa, detta Luisa, per gli intimi Marisa!
Maledette coincidenze, ecco perché Marina aveva creduto… Ma non era troppo tardi.
“Scusami, Luisa, c’è un equivoco” iniziò, ma venne immediatamente bloccato da un bagnante appena entrato nel bar.
“Mi perdoni, ha un minuto? Splendida idea davvero, quella della dichiarazione d’amore con l’aereo! Senta, fra qualche giorno è il compleanno di mia moglie, quanto costerebbe fare una cosa del genere?”
“Ma, io, veramente…”
“Ah, eccola qua! Senta” si fece avanti un altro, “io vorrei augurare Buon Ferragosto alla mia famiglia, c’è ancora posto per quel giorno?”
“Ma…”
“O non fa servizio, nei festivi?”
“Io ho bisogno prima possibile” si affrettò un terzo, con un sorrisetto di scusa. “Sa, anch’io troppo timido per dichiararmi… Ma con un’idea come la sua, impossibile fallire! Se è riuscito a conquistare Marisa!”
Moreno scosse la testa. “Ma guardi che io…”
“Scusateci un attimo” disse, decisa, Luisa, prendendolo per un braccio e portandolo sul retro.
“Senti,” esordì, “non sono una stupida, e immagino che lo striscione, in realtà, non fosse diretto a me, ma non è il momento di scandagliare i perché e i percome: in un modo o nell’altro, ha fatto un successo strepitoso.”
Moreno si fermò a riflettere. “Adesso tutti credono che tu mi abbia conquistata semplicemente portando in volo quella frase, e sono impazienti di imitarti per rendere felici i loro affetti più cari. Non ti pare che valga la pena di reggere il gioco? Non era questo che volevi, portare nel cielo messaggi più consistenti di uno striscione pubblicitario?”
Certo, si disse Moreno, Luisa non aveva torto… Ma Marina?
“Del resto” continuò lei, come se gli avesse letto nel pensiero, “hai chiaramente visto che Marina non ci ha messo molto a consolarsi. Vale la pena di rovinare tutto per correre dietro a una così?”
Caspita, pensò lui, era vero. Marina non gli aveva neppure chiesto spiegazioni, si era solo defilata appiccicandosi a Franco che, fino al giorno prima, non guardava neppure di striscio. Che delusione!
Sì, era il caso di lasciarla perdere, e pensare a inseguire l’attività che aveva sempre sognato. Avrebbe potuto parlarne con Mauro, iniziare ritagliandosi un’ora o due al giorno, e poi, col tempo, formare una vera e propria società… E sarebbe stato possibile volare tutto l’anno, non solo in estate per pubblicizzare una bibita o un gelato. Certo, però, che fingere una relazione per farsi pubblicità…
Ancora una volta Luisa indovinò i suoi pensieri. “Ovviamente non dovremo fingere per sempre: solo per qualche mese, giusto il tempo di iniziare e consolidare la tua nuova attività. Poi saremo liberi di andare a cercarci altre persone.”
“Scusate” li interruppe un signore con al collo una macchina fotografica, affacciandosi alla porta, “sono Giacomo Cosi, della Gazzetta. E’ lei l’artefice della bellissima idea dello striscione? Vorrei intervistarla. E lei deve essere la fortunata… Permette, una foto o due con il suo fidanzato?”
Con un sorriso a trentadue denti, Luisa si avvinghiò letteralmente al braccio di Moreno, prestandosi a diverse pose.
“Bene, ora mi deve scusare, Signorina, dovrei iniziare l’intervista. Mi dica…” esordì, rivolgendosi a Moreno, che, beché ancora un poco perplesso, si dispose a rispondere alle sue domande.
Luisa si fece da parte, sorridendo sorniona e annuendo. Era stata lei a chiamare Giacomo, raccontandogli tutta la storia prima ancora che Moreno atterrasse e si rendesse conto della gaffe. Ma questa era stata solo la ciliegina sulla torta: aveva dovuto dare fondo ai suoi risparmi per corrompere Gino, che le aveva riferito le intenzioni di Moreno, e convincerlo a sostituire quella trascurabile letterina, quella “N” con quella “S”: sapeva bene che Moreno, troppo eccitato, non ci avrebbe fatto caso.
Sarebbe servito a qualcosa? Chissà. Intanto si era tolta di mezzo quella gatta morta di Marina, che, come aveva previsto, era stata troppo orgogliosa per andare in fondo alla questione, e allo stesso tempo, aveva dato a Moreno la spinta giusta per dare una svolta alla sua attività. Un giorno, lo sapeva bene, l’avrebbe ringraziata.
E poi, non si sa mai: a volte, a forza di fare finta, si finisce per credere al castello di carte che si è costruito… Chissà se, un giorno, Moreno l’avrebbe guardata finalmente con occhi diversi.
Magari, prima o poi, appeso dietro all’aereo, ci sarebbe stato il suo velo da sposa.
§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§
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