Rise Against EagleS

titolo: Rise Against Eagles – Stories of RAF airmen in the Battle of Britain

autore: Christopher Yeoman & Adrian Cork

Editore: Fonthill (www.fonthillmedia.com – office@fonthillmedia.com)

data di pubblicazione:  2012 (nel  Regno Unito)

ISBN libro cartaceo) : 978-1-78155-085-4

ISBN ebook: 978-1-78155-161-5




Durante oltre mezzo secolo di vita aeronautica che ormai grava sulle mie spalle ho sentito un numero immenso di racconti da parte di un altrettanto immenso numero di persone. Piloti, soprattutto. Molti dei quali avevano fatto la guerra, avevano combattuto, avevano riportato ferite. E avevano visto accadere tante cose tremende, davanti ai loro occhi. O, magari, tante cose bellissime.

Sin da ragazzino ho sempre ascoltato i racconti dei veterani con grande interesse. E sono certo di aver esortato ognuno di loro a scriverle, queste loro avventure. Sin da sempre mi sono sentito fortunato ad aver avuto accesso a tanti eventi che altrimenti non avrei mai neanche sospettato potessero essere avvenuti, ma allo stesso tempo mi convincevo che tutti avrebbero dovuto essere altrettanto fortunati da sentirli. Perciò, chiunque avesse avuto qualcosa da raccontare, avrebbe fatto meglio a scriverla. E subito. Prima di correre il rischio di dimenticare.

Una fantasmagorica immagine che ritrae un Supermarine Spitfire ripreso frontalmente in volo. Il velivolo, assieme all’Hawker Hurricane, costiuì il nerbo del Fighter Command britannico posto a difesa dell’isola nel corso della famosa Battaglia d’Inghilterra (foto proveniente da www.flickr.com)

Neanche a dirlo, ancora oggi non perdo occasione di esortare tutti coloro che incontro e che hanno storie da raccontare, di non raccontarle solamente, ma di scriverle, perché non vadano perdute.

Ben pochi, però, mi hanno dato ascolto.

Tuttavia qualcuno lo ha fatto. E di ciò mi sento piuttosto fiero.

Per fortuna molti personaggi che non conosco, che hanno vissuto lontano da me, in altre realtà e in altri paesi, hanno scritto le vicende della loro vita operativa, senza che a spingerli siano state le mie esortazioni.

Per gli amanti delle statistiche e/o dei numeri sarà utile ricordare che alla Battaglia d’Inghilterra (virtualmente cominciata il 10 luglio e terminata il 31 ottobre 1940) parteciparono circa 2300 piloti di cui ben 574 piloti provenienti da paesi diversi dal Regno Unito, alcuni facenti parte delle nazioni ex colonie britanniche e altri ancora esiliati oppure rifugiati originari dei paesi dell’Europa allora occupata dalle truppe tedesche. Il gruppo più numeroso era costituito dai piloti polacchi con ben 145 unità, a seguire i neozelandesi con 135 piloti, quindi i canadesi con 112 e 88 di cecoslovacchi. Belgi, australiani e sudafricani in ordine decrescente. Potremmo continuare poi con i francesi, gli irlandesi e via discorrendo. In effetti anche i piloti statuntensi parteciparono in ragione di 11 uomini sebbene sotto mentita nazionalità: gli USA erano allora ancora ufficialmente neutrali e, per non compromettere la loro neutralità, il governo statunitense minacciò i suoi connazionali di cancellare loro il passaporto e ventilò addirittura la prigione. Fu allora che i piloti a stelle e strisce si dichiararono di nazionalità canadese … e i reclutatori della RAF non indagarono oltre. Tornando alle statistiche, a testimoniare la bontà dell’operato dei piloti “stranieri” della RAF, occorre precisare che, dopo i primi tre piloti britannici, nell’albo d’oro degli assi della Battaglia d’Inghilterra si annoverano immediatamente dopo il sergente cecoslovacco Josef František con 17 velivolo abbattuti, il neozelandese Brian Carbury con 15 e 1/3 aeroplani accreditati, quindi il polacco Witold Urbanowicz con 15 abbattimenti accertati e un’altro neozelandese Colin Falkland Gray con 14 e 1/2 e così via scorrendo l’elenco… ciò anche a dimostrazione che i britannici non rimasero mai soli a contrastare gli agguerriti piloti della Luftwaffe. Nella stupenda foto anticata (scatto del 2013) possiamo ammirare un pilota con indosso la combinazione di volo dell’epoca utilizzata dai piloti polacchi. Egli è seduto sul bordo d’attacco di uno Spitfire Mk Vb utilizzato dai reparti polacchi appunto. (foto proveniente da www.flickr.com)

Esistono infatti molti libri (non solo le autobiografie o le biografie scritte da storici o studiosi vari) che raccolgono testimonianze, racconti, relazioni ufficiali o personali. Ed esistono perché qualcuno, dalla mente brillante e lungimirante, ha pensato di raccogliere tutti questi pezzi di Storia prime che andassero perduti per sempre.

Il libro di cui mi accingo a parlare è nato così.

La prefazione, scritta dal Flight Lieutenant Charles “Tich” Palliser, pilota pluridecorato che ha combattuto nella Battaglia d’Inghilterra, non è altro che una sorta di ringraziamento agli autori, proprio per aver raccolto tante storie e per averle pubblicate. Molti dei piloti, le cui vicende sono narrate nel libro, erano già ben conosciuti da Palliser, che aveva combattuto con loro. Uno di questi è Tom Neil, autore di altri libri, alcuni dei quali ho recensito per Voci di Hangar. Neil era stato il comandante di Palliser.

Un altro pilota, Terry Crossey, sud africano, è particolarmente caro a Palliser, perché attraverso di lui ha conosciuto una ragazza che poi è divenuta sua moglie.

Ancora una bella immagine di uno Spitfire recante livrea e insegne di un reparto polacco che partecipò attivamente alla Battaglia d’Inghilterra. Mentre Winston Churcill, nel suo celebre aforisma, definì “few” – pochi i piloti che difesero l’isola britannica, lo storico Dennis Richards, sempre a proposito di coloro che combatterono nei cieli britannici nel 1940, espresse questo toccante commento: “La Battaglia d’Inghilterra fu combattuta dalla più allegra brigata di gente che mai dovette sparare le proprie armi con rabbia” e concluse con: “… i piloti di Dowding avevano qualcosa di più che non il solo coraggio”

Qualcun altro gli aveva donato un dipinto, che ancora fa bella mostra di sé su una parete della sua abitazione.

Ma, alla fine della prefazione, Palliser aggiunge qualcosa che mi trova particolarmente d’accordo:

“This work also pays tribute to the pilots from New Zealand, Poland and Czechoslovakia – a wonderful band of men. Of course, there are many wonderful pilots  in this book who I never knew and never met but I very much enjoyed reading about them all. I offer my congratulations to Christopher and Adrian on producing a wonderfully written book”.

“Questo lavoro costituisce anche un tributo ai piloti neozelandesi, polacchi e cecoslovacchi – un gruppo di uomini meravigliosi. Naturalmente, ci sono altri meravigliosi uomini in questo libro, che non ho mai conosciuto né incontrato, ma mi è molto piaciuto leggere di tutti loro. Porgo le mie congratulazioni a Christopher e Adrian per aver prodotto un libro meravigliosamente ben scritto”.

Il velivolo qui ritratto è uno Spitfire Mk LF Mk XVI gelosamente conservato nel Muzeum Lotnictwa Polskiego (Museo dell’Aviazione polacco) situato a Krakòw (Cracovia) a testimonianza fisica e indelebile del contributo enorme – e forse determinante – che i piloti polacchi prestarono nel corso della II Guerra Mondiale nella difesa della Gran Bretagna durante la  Battle of Britain (come la chiamano gli anglosassoni) o Battaglia d’Inghilterra. Sottolineiamo “gelosamente conservato” perché questo esemplare costruito nel 1944 ed ex RCAF (abbreviazione della Royal Canadian Air Force – Reale Forza Aerea canadese) fu acquisito, dopo diverse peregrinazioni – non ultimo la partecipazione a un film intitolato “Battle of Britain” – dal Museo polacco di Cracovia solo nel 1977. In effetti già in passato il Museo dell’Esercito polacco di Varsavia aveva ricevuto in dono ben due esemplari di LF Mk XVI E ma con delle vicissitudini dal risvolto distruttivo. Andò cosi: al termine della guerra la RAF organizzò una manifestazione aerea internazionale proprio a Varsavia e, ovviamente si esibirono i due spitfire. In seguito i due velivoli rimasero in Polonia (non era certo il caso di riportarseli in Gran Bretagna) tuttavia, a causa dell’ostracismo e dell’atteggiamento manifestatamente ostile nei confronti di qualunque simbolo capitalista da parte delle autorità comuniste polacche, i due esemplari finirono letteralmente rottamati. L‘esemplare oggi musealizzato mostra la livrea e le sigle che furono di un velivolo realmente appartenente al 308° Fighter Squadron “Città di Cracovia”, reparto soprannominato in polacco “Zefiry” (zefiro) che faceva parte del 131° Polskim Skrzydłem Myśliwskim (Stormo Caccia polacco). Il velivolo originale prestò servizio in combattimenti aerei, attacchi al suolo, alle vie d’acqua e alle basi di lancio delle V1 e V2 tedesche. Vi invitiamo perciò a visitare fisicamente lo splendido Museo di Cracovia e, se proprio impossibilitati, il sito web del Museo all’indirizzo: http://muzeumlotnictwa.pl/muzeum/en/

Ecco, due sono i contenuti salienti di questo libro: una raccolta di racconti fatti da personaggi diversi, piloti attivi nel periodo della battaglia d’Inghilterra e, sempre attraverso racconti, un contributo al giusto proposito di portare a conoscenza del mondo l’esistenza di altre squadriglie di volo della RAF che erano però costituite da piloti stranieri. E, posso aggiungere in accordo alla dichiarazione di Palliser, un tributo al valore di questi equipaggi non inglesi che non hanno trovato, finora, un posto adeguato nella luce della Storia.

Eppure, il loro valore non era stato secondo a nessuno. Anzi. Il numero totale degli abbattimenti di aerei nemici da parte delle squadriglie di non inglesi è, molto verosimilmente, addirittura superiore a quello del resto della RAF.

Allora perché non sono mai usciti alla ribalta delle cronache dell’epoca e ancora oggi la Storia tiene le loro gesta in una certa oscurità?

Forse per una serie di motivi, non ultimo proprio il fatto che non si sia voluto mettere in ombra il prestigio nazionale. Conoscendo il carattere degli inglesi, mi pare poco probabile che potessero essere lieti di dichiarare al mondo che degli stranieri avessero avuto il merito di aver fatto meglio di loro. Gente che non parlava neanche bene l’inglese! Un buon motivo per considerare una persona come se fosse di un lignaggio inferiore.

Oggi come allora la messa in moto di uno Spitfire produce … fiamme! (foto proveniente da www.flickr.com)

E’ mia opinione personale che proprio la scarsa conoscenza della lingua abbia operato una sorta di separazione inesorabile. Una lingua difficile da imparare subito, almeno al punto da evitare che un inglese possa capire senza storcere il naso. Senza che gli venisse subito sul volto la classica espressione semi disgustata e rispondesse, con il labbro tirato (Stiff upper lip, per il quale gli inglesi sono famosi), in maniera classica ed inevitabile:

“I can’t understand you. Speak english, please”!

I piloti di lingua slava restarono in disparte. Nonostante la loro bravura e il loro valore. Erano parte dello stesso mondo, stavano dalla stessa parte, combattevano contro lo stesso nemico, ma erano divisi da un muro di difficile comunicazione. Perciò restarono inevitabilmente ai margini della RAF.

Inoltre, dopo la guerra questi stranieri se ne sono andati. Sono tornati ai loro paesi di origine, nelle loro aviazioni. E sono scomparsi dalla scena.

Alcuni di loro si sono impegnati in altre professioni. Altri hanno continuato a volare.

Qualcuno ha scelto di continuare la carriera militare, mentre altri hanno preferito entrare nelle compagnie aeree civili, che stavano nascendo ovunque in quegli anni e hanno dato un contributo notevole al loro sviluppo.

Comunque sono pressoché svaniti. E la storia ha appena accennato alla loro esistenza.

Vorrei anche ricordare un fenomeno ricorrente che si è verificato dopo la fine delle tragedie belliche. Si è sviluppato un certo rifiuto a ricordare. E’ intervenuta una forte ritrosia a raccontare episodi tanto dolorosi. Spesso le mogli, i figli, gli amici non sapevano quasi nulla di ciò che erano state le vicende attraverso le quali erano passati i loro cari, prima di fare ritorno.

Non capita spesso di vedere uno Spitfire biposto al tramonto (o all’alba?). L’occhio sintetico del fotografo ha invece immortalato questo istante magico regalandoci in chiave moderna quello che molti piloti vissero realmente prima e durante la Battaglia d’Inghilterra. A proposito della lunga cappottina trasparente di questo raro velivolo biposto ci viene in mente quanto disse lord Hugh Caswell Tremenheere Dowding, capo supremo della Difesa Aerea britannica durante la II Guerra Mondiale a proposito della necessità di dotare i “suoi” caccia di vetrature in blindo-vetro. Ebbene, di fronte ai burocrati ottusi dello Stato Maggiore che ridacchiavano sotto i baffi (lasciando intendere che la richiesta era grottescamente impraticabile), Dowding disse loro con fermezza: “Se i gangster di Chicago possono disporre di vetri a prova di pallottole per le loro vetture non riesco a vedere per quale ragione anche i miei piloti non debbano esserne provvisti”. I piloti ringraziarono a posteriori per le tante vite salvate da Dowding e i suoi gangster. (foto proveniente da www.flickr.com)

Infatti non ne sappiamo granché neanche noi, oggi. Difficile capire, con la nostra mentalità moderna. Arduo rappresentarci una realtà tanto diversa, che era la vita quotidiana negli anni di guerra.

“From a modern perspective it is difficult to appreciate what Second World War pilots went through when they saw their collegues’ aircraft fall from the sky in combat, when they witnessed friends collide with other aircraft and when parachutes failed to open. Such sights occurred on a daily basis as young men from all over the world fought for their respective countries”.

“Da una prospettiva moderna è difficile apprezzare cosa hanno dovuto attraversare i piloti della Seconda Guerra Mondiale quando vedevano gli aerei dei loro colleghi cadere dal cielo durante i combattimenti, quando vedevano gli amici scontrarsi con altri aerei e quando i paracadute non si aprivano. Questi fatti accadevano giornalmente mentre uomini giovani provenienti da ogni parte del mondo combattevano per i loro rispettivi paesi”.

Sì. Molti hanno preferito tacere. Dimenticare e andare avanti.

E invece avrebbero dovuto fare proprio il contrario. Raccontare. Condividere, come diciamo oggi. La parola “condivisione” dilaga ormai in tutti i cosiddetti “social“.

Rise Against Eagles è importante proprio per questo motivo.

I vari racconti, di autori diversi, vanno a riempire le quattro sezioni dell’opera e si leggono, come sempre, con estremo interesse.

Uno di questi autori, tanto per fare un esempio, parla di Tom Neil.

Il velivolo qu ritratto reca le insegne che furono del sergente pilota cecoslovacco Josef Frantisek appartenente al 303° Polish Squadron basata a Northholt. Josef Frantisek è ricordato come l’asso che abbattè il maggior numero di velivoli tedeschi durante la Battaglia d’Inghilterra e per questo gli fu attribuita la DFC, la Distinguished Flying Medal, con una Bar. Ghirlande e omaggi floreali continuano a essere deposti ogni anno nel giorno del suo compleanno al monumento fuori dalla casa di famiglia a Otaslavice nell’attuale Repubblica Ceca.  La foto è stata scattata nell’ottobre del 2020 nel corso del Duxford Showcase Airshow. Così si espresse lord Dowding a proposito dei piloti polacchi che presero parte alla battaglia: “Se non fosse stato per il magnifico materiale (umano) fornito dagli Squadron polacchi e la loro insuperabile galanteria, esito a dire che l’esito della battaglia (d’Inghilterra) sarebbe stato lo stesso”. (foto proveniente da www.flickr.com)

Ed è straordinario, dopo aver letto i suoi libri e visto il mondo dal suo punto di vista, vedere ora lui con gli occhi di un altro.

Il nome di Tom Neil appare in vari racconti. Così come le descrizioni delle battaglie aeree e delle vicende quotidiane nelle quali i protagonisti si muovevano, anche i protagonisti stessi finiscono per riapparire qua e là nei racconti che costituiscono le quattro sezioni del libro.

Ma vorrei soffermare l’attenzione soprattutto su alcuni capitoli.

Il capitolo cinque, il sei, il sette e il dieci parlano proprio dei piloti polacchi e di altri paesi, come ad esempio l’Ucraina, ma qualcuno viveva in Cecoslovacchia prima dell’inizio della guerra. Tutti sono accomunati dal fatto che parlano, sì, lingue diverse, ma sono tutte lingue slave e tra loro si capiscono benissimo.

La loro storia è di grandissimo interesse.

Tutti, alle prime avvisaglie di aggressione da parte della Germania, decidono di partire. E di raggiungere l’a gran Bretagna per combattere contro i tedeschi invasori.

Qualcuno fugge in aereo, altri con mezzi terrestri, ma il loro percorso conduce infine alla Gran Bretagna, sebbene con tappe intermedie di diverso tipo.

Un Supermarine Spitfire, pietra angolare del Comando Caccia britannico. Qui mostra le bande d’invasione applicate ala vigilia del D-Day, ossia l’operazione con la quale gli Alleati lanciarono l’invasione della Normandia e dunque la riconquista dell’Europa. La strategia di sir Dowding, artefice della vittoria della Battaglia d’Inghilterra, era chiara e lineare. La spiegò con queste poche parole: “I tedeschi dovevano cercare di facilitare il trasferimento delle loro forze di terra attraverso la Manica per invaderci il paese e così porre termine alla guerra. Io, invece, non stavo cercando di vincere la guerra per mezzo del mio Comando caccia; dovevo soltanto cercare disperatamente d’impedire ai tedeschi di raggiungere il successo nella loro preparazione per un’invasione. Il mio era un ruolo puramente difensivo per cercare di fermare la possibilità dell’occupazione e dare così alla nazione un periodo di respiro perché, dopo averlo ottenuto, avremmo potuto vincere o perdere la guerra o avremmo potuto accordarci per una sospensione delle ostilità: nel futuro tutto sarebbe potuto accadere. […] Dovevo farlo impedendo loro di prendere il controllo del cielo”. Ma la scelta più lungimirante di Dowding fu di divulgare fin da subito questa sua semplice strategia a tutti i suoi uomini lasciando ai suoi diretti subalterni la necessaria autonomia nelle scelte tattiche o nelle tecniche di combattimento più appropriate (foto proveniente da www.flickr.com)

Le tappe possono essere, ad esempio, Praga – Francia – Gibilterra – Scozia – Inghilterra.

Oppure Praga – Polonia – Francia – Algeria – Gibilterra – Scozia – Inghilterra.

Il percorso scelto dipendeva dal particolare momento e dagli avvenimenti che caratterizzarono gli spostamenti tedeschi nella loro opera di aggressione alle varie nazioni europee.

Era una fuga, non una gita di piacere.

Dall’Algeria, ad esempio, molti andarono via mare verso Gibilterra perché la Spagna e il Portogallo erano neutrali. Tuttavia, specialmente dopo Gibilterra, il resto del viaggio li esponeva all’attacco dei sottomarini tedeschi che infestavano l’Atlantico. Appena i tedeschi cominciarono ad invadere gli stati limitrofi il pericolo rappresentato dai sottomarini era già presente.

Come ho detto, nella RAF combatterono piloti di ogni nazione. C’erano gruppi di neozelandesi, di australiani, di francesi, di polacchi, di cecoslovacchi e di altri stati. La Francia, al comando del generale De Gaulle era presente in Inghilterra con una sigla divenuta abbastanza famosa: FAFL, Forse Armate Francesi Libere. Di queste faceva parte Pierre Clostermann, che combatté nella RAF pilotando uno Spitfire e poi un Tempest. Ho recensito il suo libro “La grande Giostra” qui su Voci di Hangar.

Allora, perché mi voglio soffermare proprio sui piloti che venivano da Polonia e Cecoslovacchia?

Perché nel leggere il libro ho notato una certa somiglianza con le vicende di un film.

Si tratta di “Dark blue World“. Un film uscito alcuni anni fa, che mi era piaciuto moltissimo.

Si trova facilmente in DVD, ma è possibile vederne alcune parti anche su You Tube.

La famosa frase di Winston Churchill adorna gli altorilievi dedicati ai “few” – “i pochi” del memoriale dedicato alla Battaglia d’Inghilterra. Il monumento riporta infatti i nomi dei 2.936 aviatori e personale di terra di 14 paesi che presero parte alla battaglia  (foto proveniente da www.flickr.com).

Nel cuore di Londra, sulle rive del Tamigi, nei pressi Westminster ha trovato collocazione il memoriale inaugurato nel 2005. A noi piace pensare che fossero semplicemente “piloti” coloro che si trovavano a bordo degli Spitfire oppure dei Bf-109, degli Hurricane come pure degli Heinkel He-111 e così via. Tutti indistintamente equipaggi di velivoli che svolsero il loro dovere di soldati a prescindere dalla livrea, le insegne e la bandiera disegnata sulla loro ala e sulle fiancate delle fusoliere. (foto proveniente da www.flickr.com)

Nel libro si parla di un istruttore che insegna a volare ai suoi allievi. Il vento di guerra comincia a spirare. L’istruttore decide di partire, seguito da alcuni allievi.

Anche nel film viene rappresentata questa scena.

Chissà che gli autori del film non abbiano tratto spunto da qualche racconto di questi?

Lascio la lettura del libro a chi lo vorrà leggere. Ma invito tutti anche a vedere il film che ho appena menzionato.

Una scena che si può  cercare su YouTube e che ricalca quanto ho detto sopra, mostra un gruppo di piloti cecoslovacchi della RAF che partono su allarme. Salgono sui loro Spitfire e decollano.

Dopo il decollo salgono nel cielo, ad intercettare i bombardieri e i caccia nemici.

In altre parole, salgono contro le Aquile, come venivano chiamati gli aerei del terzo Reich.

Questo è appunto il titolo del libro: Rise Against Eagles.

Basta digitare “dark blue world – Spitfire and Bf 109 Scene“, ma anche solo “dark blue world“, nella stringa di You Tube. E’ il primo video che appare.

E’ una scena bellissima. Mostra i giovanissimi piloti che corrono verso gli aerei e mettono subito in moto. Una volta in volo si sente la voce del controllore radar che li guida verso le formazioni nemiche.

La locandina del film dedicato ai piloti polacchi che contribuirono al successo nella Battaglia d’Inghilterra

La locandina del film che racconta la storia del famosissimo 303° Squadron polacco

Si sentono le loro risposte rapide. Ed è subito evidente la loro diversa pronuncia delle parole inglesi.

Segue qualche frase concitata in lingua slava.

Immancabilmente, la voce del controllore, tra il seccato e il severo, interviene subito:

“I don’t understand. Speak English, please”!




Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer),

Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR



The Great Rat Race For Europe – La grande corsa della conquista per l’Europa

titolo: The Great Rat Race For Europe” – Stories of the 357th Fighter Group.

autore: Joey Maddox

editore: Xlibris Corporation

anno di pubblicazione: giugno 2011

ISBN libro: 978-1-4628-8629-6

ISBN ebook: 978-1-4628-8630-2




Questo libro è dedicato al Museo del 357° Gruppo Caccia intitolato al Capitano Fletcher E. Adams, con sede nella città di Ida, Louisiana.

Si tratta di un piccolo museo, ma con la strada aperta per diventare, un giorno, Museo Nazionale.

Il libro comincia subito con un paio di pagine di ringraziamento a un gran numero di persone che hanno reso possibile la realizzazione del Museo.

L’emblema del 357° Fighter Group che ha in bella mostra il motto del reparto. Fu costituito il 1 dicembre 1942 e fu sciolto il 20 agosto 1946 dopo aver svolto complessivamente 313 missioni di guerra e aver conseguito l’invidiabile primato di aver abbattuto il più alto numero di velivoli nemici (595,5 aerei tedeschi in volo e 106,5 a terra) durante il conflitto mondiale fra tutti i Fighter Group della VIII Air Force dell’USAAF che avevano in dotazione i P-51 Mustang. Tra questi velivoli si annoverano anche alcuni dei famigerati Messershmitt Me-262 a reazione. Il reparto fu inizialmente equipaggiato dai P-39 Aircobra ma poi, una volta dislocato in Gran Bretagna, fu riequipaggiato con i P-51 Mustang. A distanza di tanti anni, la memoria di questo glorioso reparto viene rinnovata in una pagina Facebook all’indirizzo: https://www.facebook.com/357th-Fighter-Group-98503185962 ove ha trovato un’agevole collocazione a beneficio di ammiratori e appassionati.Viceversa gli onori, il lignaggio e la breve storia del 357° Fighter Group sono stati trasferiti a un Group della Ohio Air National Guard – Aviazione della Guardia Nazionale dell’Ohio che ne mantiene sempre viva l’eredità acquisita. (foto proveniente da:http://www.americanairmuseum.com/unit/301)

Il 357° Gruppo Caccia è quello, per intenderci, che era basato a Leiston, Inghilterra, e del quale hanno fatto parte personaggi molto famosi, come Chuck Yeager e Clarence E. Anderson. Questi ultimi, in particolare, hanno scritto libri che ho già recensito su VOCI DI HANGAR.

E, ovviamente, del 357° Gruppo ha fatto parte anche il capitano Fletcher Adams.

Questo reparto di cacciatori statunitensi, stanziati in Gran Bretagna dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro la Germania, avevano il compito di scortare le formazioni di bombardieri per tutto il viaggio di andata e ritorno verso gli obiettivi militari dell’intero continente europeo. Avevano in dotazione il P-51 Mustang, una macchina meravigliosa, non solo per le sue straordinarie caratteristiche di volo, ma soprattutto perché il P-51 poteva montare uno o più serbatoi ausiliari sganciabili. Aveva quindi l’autonomia necessaria per volare con i bombardieri tutto il tempo necessario e li poteva proteggere dagli attacchi dei caccia avversari, compresi, verso la fine della guerra, i temibili jet tedeschi Me-262.

Il giorno dell’inaugurazione di questo museo, Chuck Yeager in persona, accompagnato dalla moglie Victoria, aveva fatto un lungo viaggio per essere presente. Era il 24 Luglio 2010.

Fin dal giorno prima erano cominciati gli arrivi di tantissime persone, che si erano poi distribuite nei vari alberghi della zona per essere pronti il giorno dopo alla cerimonia dell’inaugurazione.

Fletcher Eugene Adams era uno dei tanti giovani piloti di nazionalità statunitense che partecipò, tra le file dello USAAF – United States Army Air Forces (l’Aviazione dell’Esercito degli Stati Uniti d’America), alla Seconda Guerra Mondiale sul fronte tedesco. La sua vicenda – riportata nel web dal sito da cui è stata prelevato il suo ritratto – è davvero tragica e al contempo amara: nel maggio 1944, nel corso di un combattimento aereo contro un caccia tedesco Messerschimtt Bf 109, fu abbattuto vicino a Bernburg, in GermaniaRiuscì ad abbandonare miracolosamente incolume il suo P-51 Mustang soprannominato “Southern Belle” e, lanciandosi con il paracadute, a raggiungere indenne il suolo nemico. Fu catturato e giustiziato sommariamente dal capo di una milizia civile locale in sfregio alla Convenzione di Ginevra in virtù della quale, in quanto prigioniero di guerra, andava certamente fatto prigioniero, semmai internato in un campo di prigionia ma certo non assassinato a sangue freddo. Il suo carnefice, a guerra terminata, fu  inizialmente condannato a morte ma, successivamente, gli fu comminata una pena ridotta a 25 anni di reclusione. Il corpo del capitano Adams fu invece sepolto per la prima volta in Germania nel 1945 per poi essere riesumato e, una volta trasferito in madrepatria, ricevette una degna sepoltura nel cimitero di Bethsaida a Ida, in Louisiana, sua città natale. A lui (e al reparto in cui servì fino al suo ultimo volo) è dedicato per l’appunto il museo cittadino. Nel libretto di volo di questa vittima delll’odio dei civili tedeschi (esasperati dai continui bombardamenti alleati, plagiati dalla propaganda nazista e smaniosi di rivalersi sul primo nemico alla loro portata) si annoverano: 10 abbattimenti confermati e 685 ore di volo in missioni di guerra di cui ben 472 volate nei cieli del fronte di guerra. “Fletch”- questo il suo soprannome – era nato nel 1921 e aveva solo 23 anni al momento della sua dipartita. (foto proveniente da http://www.americanairmuseum.com). Negli annali del reparto egli fu classificato: “killed in action” ma in realtà fu tristemente annoverato nella storia della Seconda Guerra Mondiale come il primo pilota statunitene a essere ucciso dai civili a terra sul fronte tedesco. Avremo modo di ricordare Fletcher Eugene Adams in occasione di una prossima recensione del libro a lui dedicato scritto dal medesimo autore di “The great rat race for Europe” 

Chuck Yeager era stato l’ultimo. Il suo aereo aveva subito un ritardo in partenza da Dallas. Quindi era arrivato tardi, poi aveva affittato un’ automobile, si era spostato dall’aeroporto di arrivo fino a Ida e finalmente, dopo le dieci di sera, aveva varcato la porta del museo tra uno scroscio di applausi e addirittura una standing ovation.

Il museo era anche dedicato al 357° gruppo della VIII Forza aerea e conteneva oggetti, dipinti, modellini di aerei e ogni altro genere di reliquie sopravvissute alla guerra. C’erano documenti e foto dell’epoca.

E poi c’erano i piloti.

I piloti erano tutti anziani, come dice l’autore:

“All of them were in there late eighties or early nineties”…

“Tutti loro erano oltre gli ottant’anni o sui novanta”…

Una splendida immagine che ritrae una formazione di P-51 Mustang appartenenti al 357° Fighter Group. Dalla pagina Facebook del Group apprendiamo che lo scatto fu opera di un membro dell’equipaggio di un bombardiere B-17 cui i Mustang facevano da scorta durante le lunghe missioni sulla Germania. In verità non è dato sapere granchè di questa e di molte altre foto giunte oggi sino a noi in quanto, salvo rare eccezioni, solo le annotazioni presenti nel retro della fotografia consentono di attribuire una specifica collocazione spazio-temporale. (foto proveniente da http://www.americanairmuseum.com/media/447 ove potrete osservare altre numerose immagini corredate da utili didascalie … ovviamente in lingua inglese)

Ma c’era un altro genere di documentazione che sarebbe stata perfettamente al posto giusto in un museo di questo genere. In fondo, a cosa serve un museo? A mantenere memoria di una realtà che era stata importante nel tempo, che aveva avuto un ruolo di primo piano nella Storia.

La memoria, appunto.

E quale memoria avrebbe dovuto far parte a pieno diritto di un museo?

Quella di coloro che di quella Storia erano stati i protagonisti: gli uomini che avevano combattuto in quel Gruppo di volo, primi fra tutti i piloti.

“For these reasons and others, these pilots and the crewmen who supported them have always been and will forever be my personal heroes. They all deserve to have their stories recorded in print in order that every generation of Americans can read about their history and never forget the sacrifices they made in order to ensure our freedom today. It is for these reasons that I wrote this book, and I hope that it serves its purpose”.

“Per questa e altre ragioni, questi piloti e i loro specialisti di supporto erano sempre stati e per sempre saranno i miei eroi personali. Tutti loro meritano che le loro storie siano stampate in modo tale che ogni generazione di Americani possa leggerle e non dimentichino mai i sacrifici che hanno fatto per assicurare la nostra libertà di oggi. E’ per questo motivo che ho scritto questo libro, e spero che raggiunga questo scopo”.

A guerra ormai quasi terminata, il Maggiore Donald H Bochkay sembra quasi mettersi in posa per il fotografo  – probabilmente un suo compagno di volo – del  363° Fighter Squadron che costituiva, assieme al 362° e al 364° Squadron il 357° Fighter Group. Bochkay fu l’ultimo comandante dello Squadron (poi scioltosi) e al contempo uno dei veterani del reparto. Gli sono state accredite 13,83 abbattimenti di aerei nemici gli ultimi due dei quali proprio su Me -262. Conseguiì queste vittorie volando su due P-51 Mustang, il primo soprannominato “Alice in wonderland” e il secondo “Speedball Allice”. Insignito di vari decorazioni al merito, al termine della guerra lasciò l’USAAF per poi riarruolarsi nel ’56 e congedarsi definitivamente nel ’70 con il grado i tenente Colonnello. E’ uno dei tanti assi di un reparto composti da assi (foto proveniente da: https://www.facebook.com/357th-Fighter-Group-98503185962)
Ancora un ritratto del Maggiore Donald H Bochkay mostra il suo ruolino abbattimenti e missioni affisso sulla fiancata del suo P-51 Mustang (foto proveniente da https://www.americanairmuseum.com)

Ma l’autore era anche sicuro che tantissime altre storie fossero ancora tutte da scrivere.

Esistono tanti libri sul 357° Gruppo Caccia. Molti hanno scritto per profitto personale o per ragioni professionali, ma l’autore dichiara di volersi inserire nel numero di coloro, come Bud Anderson, Chuck Yeager e altri che hanno scritto libri sul Gruppo, per preservare la sua Storia (History) e per documentare il coraggio e l’altruismo di centinaia di piloti e specialisti (il gruppo di non piloti che si occupava della manutenzione e delle riparazioni degli aerei) che avevano contribuito a sconfiggere il dominio di Hitler sull’Europa durante la Seconda Guerra Mondiale.

“Stiamo cadendo come mosche, ormai”,

dichiara. L’età avanza e sono sempre di meno coloro che queste storie possono ancora raccontarle. E’ urgente raccoglierle, e scriverle, e stamparle, pubblicarle in uno o più libri, per consegnarle ai posteri così che siano per sempre disponibili per chi vorrà conoscerle.

Così cominciò a chiedere a tante persone di collaborare al reperimento di tutte le storie possibili.

Un altro pilota, Joseph “Joe” Shea, gli mandò un pacco di queste storie da lui raccolte e scritte. Erano venti, tutte inedite. E tutte interessanti.

“It is funny how quickly a moundane, boring moment in a combat pilot’s life may change into a hair-raising experience with the snap of a finger”.

“E’ divertente quanto rapidamente un banale, noioso momento, nella vita di un pilota combattente, possa cambiare in un’esperienza da far rizzare i capelli in uno schiocco di dita”.

Nel 2011, in una delle tante manifestazioni aeree che si tengono abitualmente negli USA, ha fatto bella mostra di sè questo P-51 Mustang, replica moderna e soprattutto volante di uno dei Mustang  – soprannominato “Gentleman Jim” – in forza al 363° Squadron del 357°  Fighter Group. Come abbiamo fatto a riconoscerlo? Come abbiamo potuto essere così precisi? … semplice: i velivoli di quello Squadron avevano il timone di direzione verniciato di rosso, l’anello della cofanatura adiacente l’ogiva adornato di scacchi rossi e gialli e infine, non ultimo, la sigla B6 dipinta sui fianchi della fusoliera come sigla del reparto. Facile no? Il vero “Gentleman Jim” fu pilotato dal capitano James W. Browning che, secondo i registri del reparto fu dichiarato “killed in action” – ucciso in azione, ossia  fu abbattuto nel febbraio 1945 (foto proveniente da www.flickr.com)

Così, l’autore e Joseph Shea unirono gli sforzi e cominciarono a contattare i piloti ancora reperibili, oppure i loro discendenti, figli, mogli parenti o amici, per mettere insieme racconti e testimonianze.

Tutti furono ben lieti di dare il loro contributo.

Furono sommersi da “tons of material“, tonnellate di materiale. Da scrivere non uno ma letteralmente tre volumi.

Questa è stata la genesi di:

The Great Rat Race for Europe: Stories of the 357th Fighter Group“.

Dalla ricerca di tante storie è nato un altro libro:

Bleeding Sky: The Story of Capitan Fletcher E. Adams and the 357th Fight Group“.

Ma di questo parleremo in un altro momento.

Tutti questi racconti mantenevano viva la memoria di fatti e avvenimenti storici, di persone, macchine e perfino animali che avevano vissuto quel periodo, di usi e consuetudini, metodi, mentalità, disciplina, sentimenti, tutto…

E naturalmente non poteva mancare la foto-ricordo di rito che ritrae tutti i membri del 362° Fighter Squadron (foto proveniente dal sito del museo del 357° Fighter Group.http://357th.idamuseums.org/omeka-1.4.2)

Per i posteri, certo, ma anche per i discendenti dei protagonisti dei racconti. Così da portarli a conoscenza del valore e dell’eroismo dei loro cari, molti dei quali scomparsi. Ma anche di quelli ancora in vita, perché molti di loro non amavano parlare dei tragici episodi della guerra, di un tempo fortunatamente ormai andato.

Durante la permanenza a Leiston, il 357° Gruppo aveva anche un altro appellativo.

Vicino a Leiston c’era una cittadina che si chiamava Yoxford. Probabilmente tutti quelli del Gruppo vi andavano spesso durante le ore di libertà.

Perciò cominciarono a riferirsi a loro stessi come gli “Yoxford Boys”.

“So this book and the others that will surely follow are dedicated to you Muff, and Hibbie and Butch and Arch and Aline and Jerry, and so on and so on and so on. Your loved ones will never be forgotten as long as I can hold a pen in my hand. I thank each and every one of you for allowing me to tell the stories of these eroic Yoxford Boys“.

“Così questo libro e gli altri che sicuramente seguiranno sono dedicati a te Muff, e Hibbie e Butch e Arch e Aline e Jerry, e così via e così via e così via. I vostri cari non saranno mai dimenticati finché potrò tenere una penna in mano. Ringrazio ognuno di voi per avermi permesso di raccontare le storie di questi eroici Yoxford Boys“.

In questo libro, di storie, ce ne sono tante. E tutte interessantissime. Storie di combattimenti aerei, piantate motore a quote stratosferiche e anche raso terra, lanci con il paracadute, sul mare, sulla terra inglese, sulla Francia occupata, su paesi liberati e perfino sulla Germania.

Storie di prigionia, storie di piloti che si sono lanciati su città occupate dai tedeschi, subito dopo un bombardamento o dopo una missione di mitragliamento al suolo. In questi casi il pilota veniva catturato e ucciso.

Il 14 gennaio 1945 fu un giorno che sarà per sempre universalmente conosciuto come: “The Great Rat Race” e “The Big Day” in quanto il 357° Fighter Group statunitense abbattè 55 e ½ caccia tedeschi in poco più di due ore di combattimenti. Stabilì così un record nell’aviazione militare che non è mai stato eguagliato e che probabilmente non sarà mai eguagliato  – speriamo, perchè vorrà dire che non ci saranno altri conflitti mondiali -. Tra i membri di questo fantastico gruppo di piloti di caccia c’erano: Chuck Yeager, Bud Anderson, , solo per citarne alcuni … ma anche Kit Carson, John England, Donald Bochkay, lo stesso Fletcher Adams e molti altri destinati alla fama nonchè a lasciare un segno indelebile nella storia dell’aviazione. Sopra riportiamo la IV di copertina del libro di Joey Maddox che è caratterizzata sui contorni dalla classica livrea a quadrati giallo/rosso tipica della cofanatura motore dei velivoli che appartennero al 357° Fighter Group.

C’è una storia di queste, infatti. Ma quella città venne subito dopo riconquistata dagli alleati, venne trovato il luogo di sepoltura del pilota. I responsabili della sua uccisione, in totale dispregio dei trattati di Ginevra, vennero individuati, processati e imprigionati. Il materiale esecutore dell’omicidio venne impiccato.

Ci sono un paio di racconti sullo sbarco in Normandia.

Il primo giorno i soldati alleati uccisi furono circa diecimila.

Nemmeno un caccia tedesco si fece vedere, quel giorno.

Ma una coppia di P-51 Mustang partirono dall’Inghilterra prima dell’alba, sorvolarono il canale della Manica e penetrarono nell’interno della Francia per mitragliare a bassissima quota i treni in movimento, che probabilmente trasportavano truppe o armi.

Durante un passaggio radente su un obiettivo il leader della coppia venne colpito e qualche istante dopo si schiantò al suolo.

Il gregario rimase da solo. E’ lui che racconta la storia. E la racconta con una tale vividezza che ci sentiamo coinvolti totalmente. Si percepisce lo sconcerto per ciò che è successo, per il senso di abbandono, per la solitudine e lo sconforto. Deve tornare in Inghilterra, ma non sa bene neanche dove si trova. Era arrivato lì seguendo il leader, ha soltanto una vaga idea della prua da mantenere per tornare verso casa.

Ogni tanto qualcuno gli spara.

Sale a quota abbastanza alta da sperare di evitare i colpi della contraerea nel momento di attraversare la linea della costa. Assume una prua approssimativa e si allontana sul mare.

In un unico scatto ecco riuniti gli assi più talentuosi del 357° Fighter Group. Partendo da sinistra verso destra si tratta di: – Maggiore Richard A Peterson, con all’attivo 15,5 abbattimenti a bordo del suo “Hurry Home Honey”, – Maggiore Leonard “Kit” Carson, in assoluto il miglior pilota del reparto che con i suoi quattro P-51 Mustang chiamati tutti “Nooky Booky” abbattè la bellezza di 18,5 velivoli nemici – Maggiore John B. England, pilota del “U’ve Had It” e di “Missouri Armada” con 17,5 abbattimenti registrati nel suo libretto di volo. – Sottotenente Clarence “Bud” Anderson, e il suo celebre “Old Crow” di cui abbiamo parlato a proposito del libro a lui dedicato con “solo” 16,25 velivoli abbattuti.

E’ interessante anche quello che dice delle cinquemila imbarcazioni di ogni tipo, con palloni frenati di difesa, che vede di sfuggita mentre li sorvola.

Uno spettacolo unico. E irripetibile.

Lui sa bene di essere un privilegiato, perché essere in quel punto e in quel momento gli consente di essere testimone di un fatto epocale che pochissimi possono aver visto.

E in una visione d’insieme, come non può fare nessun altro partecipante allo sbarco.

Ognuno vede vicino a sé. Vede solo ciò che lo circonda. E spesso neanche quello perché per la maggior parte del tempo ognuno deve stare riparato il più possibile, con la testa protetta, il viso a contatto con il suolo.

Leonard K. “Kit” Carson entrò a far parte del 357° fighter Group nell’aprile del ’43 e in modo piuttosto rapido divenne un asso. Memorabile, ad esempio, l’abbattimento di 5 velivoli nemici nel corso di una sola missione tanto da divenire, a conflitto terminato, il pilota con il più alto numero di abbattimenti effettuati fra tutti i membri del suo reparto. A Group smobilitato, rimase in servizio nell’USAAF e poi nell’USAF raggiungendo l’età del congedo nel 1968 con il grado di Colonnello, tuttavia rimase nell’ambiente aeronautico lavorando ancora per le industrie aeronautiche statunitensi.

Lo sbarco, specialmente il primo giorno, avvenne sotto un fuoco feroce.

Molti videro solo pochi metri di acqua e di spiaggia disseminati di ostacoli e cadaveri.

Ancora una bella foto di Leonard “Kit” Carson appena fuori della cabina del suo “Nooky Booky”. Chissà se il famoso disegnatore italiano Sergio Bonelli si è ispirato a questo Kit Carson per attribuire il nome al suo personaggio fumettistico Kit Carson, appunto, amico di mille avventure del ranger Tex Willer. Probabilmente no … semplicemente perchè il Kit italiano ha i capelli d’argento, è un ottimo pistolero e vive – si fa per dire – nel Far West. ma l’assonanza c’è, indiscutibilmente. 

Un pilota no. Lui vede tutto, per chilometri e chilometri da un orizzonte all’altro.

Privilegio di chi vola. Se non viene abbattuto.

Finalmente riesce a ritrovare l’aeroporto di Leiston e atterra.

Il racconto si conclude con un’amara considerazione: quel giorno, secondo i resoconti del primo giorno dello sbarco, il sei giugno 1944, solo un pilota del 357° perse la vita, quello del presente racconto.

Che fu anche il primo pilota di caccia a morire.

Ecco il genere di racconti che si trovano in questo interessantissimo libro. Oggi possiamo conoscere meglio cos’è stata la guerra aerea di quei giorni famosi, ma terribili, ai quali dobbiamo la libertà di adesso.

E’ bene conoscerla questa Storia. Mai come nel presente periodo storico ci servirebbe fare riferimento al passato per capire quanto stiamo rischiando di dover ripetere quei momenti.

Esorto, quindi, tutti coloro che sono interessati all’argomento e conoscono un po’ l’inglese, a scaricare questo libro per il Kobo e a leggerlo. Altrimenti è possibile visitare il sito web del Museo di Ida dedicato al 357° Gruppo Caccia e intitolato al Capitano Fletcher E. Adams all’indirizzo:

http://357th.idamuseums.org/omeka-1.4.2/




Recensione a cura di Evandro Aldo Detti (Brutus Flyer),

Didascalie a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR




Bleeding Sky

Pubblicazione antologia VIII edizione -2020

VIII edizione Premio letterario “Racconti tra le nuvole



COMUNICATO STAMPA

nr 8 del 13 dicembre 2020



         Con sommo piacere – sebbene venato da un sincero rammarico –

gli organizzatori del Premio, l’HAG – Historical Aircraft Group e VOCI DI HANGAR, in sinergia con VR MEDICAL,

comunicano la pubblicazione dell’antologia della VIII edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE contenente i 20 racconti finalisti corredati dalle note biografiche degli autori e dei giurati nonché dalle prefazioni degli organizzatori e sostenitori.

         Il rammarico deriva invece dall’impossibilità di consegnare fisicamente a ciascun autore/autrice (previo baci, abbracci, e congratulazioni affettuose) la medesima antologia in occasione della cerimonia di premiazione che, per i motivi purtroppo noti, non è stato possibile tenere e che – ci auguriamo – sarà possibile organizzare in primavera.

         Ad ogni modo, informiamo i 20 autori finalisti/e che, compatibilmente con le tempistiche delle Poste Italiane, nei prossimi giorni riceveranno presso il proprio domicilio (a titolo squisitamente gratuito) una copia dell’antologia.

         Per coloro che intendessero acquistarne altre copie per farne dono ad amici, parenti e conoscenti, ricordiamo loro che sarà possibile farlo direttamente presso l’editore Logisma (logisma@tin.it oppure mail@logisma.it) ad un prezzo scontato riservato appunto agli autori/autrici. Altrimenti presso tutte le librerie on-line, ivi compresa la libreria

Cogliamo l’occasione per ringraziare tutti gli autori/autrici che hanno animato la VIII edizione di RACCONTI TRA LE NUVOLE e, in particolare, per i loro racconti che riempiono di sentimenti e di storia le pagine dell’antologia … la migliore strenna per salutare questo 2020 certo non prodigo di regali.



Per qualsiasi informazione:                                www.raccontitralenuvole.it

                                                                           



Chuck Yeager Ha spiccato il suo ultimo volo



Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre di un anno da dimenticare (come il 2020), ha preso il volo per il cielo infinito il pilota che è ricordato nella storia dell’Aviazione come il primo essere umano ad aver superato la barriera del suono. Il suo nome è:

Chuck Yeager

Ci ha lasciato alla veneranda età terrena di 97 anni ma il suo spirito indomito e le sue eccellenti capacità di pilotaggio sono divenute leggenda già prima del suo trapasso terreno.

Dopo quel fatidico 14 ottobre 1947 in cui superò la folle velocità di Mach 1, Chuck è assurto a patrimonio di tutta la comunità umana (e non solo aeronautica). 

Lo ricorderemo nei giorni futuri giovane e impavido rileggendo la recensione del suo libro  ospitata nel nostro hangar e con le sue parole che oggi dovrebbero essere prese a modello:



Vivere fino a un’età molto avanzata non è di per sè la fine: il segreto sta nel godersi gli anni che restano […]

Anche se non mi sono ancora cavato tutte le voglie, quando me ne andrò, non avrò perso molto. […]

Mi sono divertito molto

(Chuck Yeager

da: An Autobiografy – Una vita in cielo)



Riposi in pace in cieli azzurri e sereni.

La Redazione



Parlare con l’aereo prima del decollo


A partire dalla fine della II Guerra Mondiale, attentato alle Twin Towers e pandemia del Covid 19 permettendo, l’umanità ha utilizzato il trasporto aereo in un crescendo vertiginoso fino a farne un uso di massa, quasi universale. Eppure viaggiare in aereo anziché con navi, treni o automobili conserva ancora un suo fascino, quasi un alone di magia.

Ci sono persone che lo ritengono un mero mezzo di trasporto e dunque lo utilizzano con distacco, con un fare sfacciatamente disinvolto; alcune che, dotate di una maggiore sensibilità o di un arguto spirito di osservazione, vedono e sentono nel grande aeroplano commerciale ben di più e ben oltre la semplice macchina volante che consente loro di recarsi dall’altra parte del mondo per lavoro come pure per diletto. Per questo genere di passeggeri, del tutto inconsciamente, volare è esso stesso parte del viaggio. C’è poi quella frangia di viaggiatori, assidui utenti dei velivoli da trasporto passeggeri che, pur avendo vissuto alcune esperienze traumatiche, trovano talmente piacevole visitare luoghi lontani ed esotici che accettano di buon grado la “purga” di un lungo quanto noioso volo transcontinentale.

“Cerco di dormire, ma non è facile. Ho troppa adrenalina in corpo, mista ad ansia e preoccupazioni, non riesco a rilassarmi. Mi son sempre chiesta come facciano gli altri a riposare beati e, a russare pure!” racconta la voce narrante Barbara alias Liza Binelli. Nello scatto la splendida vista a disposizione del passeggero seduto accanto al finestro di un moderno aeroplano commerciale – foto proveniente da www.flickr.com –

E’ proprio a questa schiera di irriducibili giramondo che appartiene Barbara, la protagonista del racconto di Liza Binelli: la classica donna indipendente e curiosa, inizialmente impaurita dagli aeroplani ma poi divenuta accanita consumatrice di voli infiniti verso le più disparate località del mondo civilizzato e non. Complice un incontro salottiero con due sue amiche all’indomani dell’ennesimo viaggio, ci troveremo catapultati nei suoi andirivieni alla scoperta di culture diverse e lontanissime dalla nostra.

Ecco allora che, come sintetizza l’autrice:

Le euforiche emozioni in volo alimentano i sogni di tre amiche. Cosa significhi trovarsi tra le nuvole, soprattutto la prima volta, è l’argomento di discussione della protagonista, la quale, nei panni di una passeggera di aerei di linea esprime con arguzia il suo punto di vista, quello di chi trascorre molte ore a bordo, ma non in cabina di pilotaggio.

Un osservatorio su cosa succede prima, durante e dopo la crociera, senza trascurare nulla: ambiente, persone, equipaggio, paesaggi notturni e costumi italiani. Sulle ali della fantasia l’autrice porta a far sorridere il lettore usando parole genuine e frasi brevi. Fra riti scaramantici, timori e passioni, questo racconto vi delizierà per la chiarezza d’esposizione e la profondità d’espressione.

Quello che per molti è una banalità, ciò che ai più sfugge durante la trasvolata, dopo questa lettura, forse, ci faranno più caso.

Salendo a bordo di un Airbus A-380, nella sezione “Economy Class” potrebbe essere questa l’immagine a materializzarsi di fronte ai vostri occhi e che, di sicuro ha osservato l’autrice del racconto. Così infatti racconta la sua esperienza: “Ma appena la lucina delle cinture di sicurezza s’illumina e diventa verde, si sente un “cla clak cla clak” frenetico, a ripetizione, i membri dell’equipaggio si alzano, iniziano il turno e si scatena l’inferno. Tutti che chiamano, tutti che chiedono qualcosa, chi corre in bagno, chi prende qualcosa dalla cappelliera. E ogni volta resto a bocca aperta: ma se siamo appena partiti, ma se fino a un secondo fa non fiatavate, adesso avete tutte queste esigenze?” – foto proveniente da www.flickr.com –

Naturalmente il racconto ha un forte taglio autobiografico, peraltro confermato dalle note biografiche dell’autrice e dunque è fin troppo facile vedere sovrapposta l’immagine e la voce di Barbara con la calda voce e l’affascinante aspetto della nostra Liza.

Il testo è abbastanza breve, con numerosi spunti di riflessione tuttavia non è stato preferito dai giudici della VIII edizione del premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE in quanto – e non ci concediamo certo un azzardo o una critica gratuita – minato drammaticamente da una punteggiatura singolare per non dire assente. Ne consegue un testo monolitico in cui il lettore – i giudici come noi – rimane interdetto su chi dei tre personaggi stia parlando oppure se si tratti di un pensiero intimo o con piena voce.

Siamo certi che l’autrice non ce ne vorrà … ma il racconto era praticamente illeggibile nella versione fornita alla Segreteria del Premio e dunque ai giudici, faticosa e incerta la sua lettura. Da qui la forte penalizzazione sebbene l’argomento sia scritto in modo piacevole e mai banale.

A bordo di un aeroplano adibito al trasporto passeggeri c’è sempre una serie di poltroncine riservate all’equipaggio. Il personale di bordo, per quanto avvezzo all’ambiente aereo, ha comunque l’obbligo d “allacciare le cinture” durante le fasi di decollo/atterraggio del velivolo . – foto proveniente da www.flickr.com –

Siamo certi che anche in questo caso l’autrice non ce ne vorrà … ma, in qualità di Redazione e dunque di editori di queste pagine e al fine di renderlo fluido e godibile a beneficio dei nostri visitatori, ci siamo visti costretti a porre noi quei punti a capo e quelle virgolette inglesi del discorso diretto che l’autrice non ha posto. Perché la narrazione, anche la più serrata, ha bisogno di respiro; perché un testo ha bisogno di stendersi su un foglio di carta (o il video di un pc o di un tablet) e incontrare la sua naturale estetica dattilografica, per quanto prevedibile o convenzionale

Da parte nostra non c’è stata alcun tentativo di ergerci a censori di un ottimo testo sebbene “aggomitolato” su sé stesso né vorremmo apparire i classici bigotti abbarbicati su posizioni indifendibili di una narrativa antiquata irrigidita da regole vetuste. Giammai. A noi piace leggere e siamo altresì sensibili alle fatiche e all’impegno profuso da un autore/autrice nel stendere il testo di un racconto. Siamo rispettosi del lavoro altrui e non ci sogneremmo mai di alterare una composizione letteraria … ma – credeteci – il racconto originale era davvero zoppicante e non rendeva merito alle capacità indubbie dell’autrice. Quasi illeggibile. Come la sabbia nelle cozze, come la gramigna negli spinaci, come il fiore di aglio selvatico tra i gigli candidi.

Ancora un’immagine della cabina di un velivolo passeggeri con le sue luci suffuse – foto proveniente da www.flickr.com –

Sul perché di questa scelta originale della sig.ra Liza non ci è dato sapere. Forse aveva timore di superare il numero di battute massime previste da regolamento? E’ stata lontanissima! Forse ha adottato una nuova tecnica narrativa in cui l’imperativo assoluto è l’uso assai parco della punteggiatura? Missione compiuta: ci ha procurato un bel mal di testa! Forse pensava di conferire più ritmo alla narrazione? Ci siamo persi alla quarta riga e al primo cambio di voce narrante. Insomma … provare per credere!

Chiudiamo questa modesta recensione con una considerazione che conforterà Liza Binelli e molti altri viaggatori aeronautici: ebbene … anche i piloti parlano con gli aeroplani. Anche i manutentori. E gli addetti ai bagagli, i controllori di volo e tutti coloro che consentono ai passeggeri di giungere dove, fino a non molti anni orsono, era possibile recarsi solo con i racconti di Salgari.

Chissà se i fratelli Wright – quelli che nel 1903 effettuarono il primo volo documentato di una macchina volante più pesante dell’aria dotata di organo propulsore – si siano mai resi conto della portata della loro invenzione!? Loro di certo ci parlavano con il Flyer!



Narrativa / Lungo

Inedito

Ha partecipato alla VIII edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole” – 2020




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