In volo sopra il mondo

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Copertina

titolo: In volo sopra il mondo

autore: Angelo D’Arrigo

editore: Mondadori

anno di pubblicazione:  2005

ISBN: 2005978880454601





Ormai volo da più di quarant’anni. Gli episodi di cui sono stato protagonista o testimone sono già innumerevoli e tante sono le persone straordinarie che ho conosciuto. Qualcuno non l’ho conosciuto, ma in qualche modo i nostri sentieri si sono incrociati e comunque ho saputo di loro.

Uno di questi è Angelo D’Arrigo.

Ero venuto in possesso di una videocassetta da lui prodotta tanti anni fa, era una specie di video corso di pilotaggio del delta a motore.

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Retro
La splendida retrocopertina di “In volo sopra il mondo”. Difficile dire quanti uccelli siano ritratti in questa foto

Negli anni ’80 facevo l’istruttore sugli ultraleggeri tubi e tela e, parallelamente, prendevo lezioni di deltaplano a motore, una macchina molto interessante per l’epoca. Il video-corso mi fu molto utile.

Considero questo il primo contatto con la generosità di Angelo D’Arrigo, che aveva voluto diffondere e condividere una parte del suo sapere con altri appassionati della materia.

Quando decollavo dalla nostra pista di erba per i voli scuola, sorvolavo spesso una querciola dove stavano appollaiate alcune cornacchie. A volte volavano via per il rumore del motore e per qualche istante mi trovavo a volare insieme a loro, cosa questa che mi riempiva di gioia.

Ma poi seppi che qualcuno volava con un gruppo di uccelli nati in cattività, sottoposti all’imprinting studiato dall’etologo Konrad Lorenz e condotti lungo un percorso di migrazione da un ragazzo a bordo di un deltaplano a motore e questa vicenda mi interessò molto.

Era Angelo D’Arrigo.

Altro che qualche attimo di volo con un paio di cornacchie.

Premesso che ho letto quasi tutti i libri di Konrad Lorenz, cercai con ogni mezzo di sapere tutto su questo pilota straordinario. Internet non c’era, ma a volte leggevo qualcosa sulle riviste di settore. Comunque seppi del volo sopra l’Everest, anzi, su questo episodio trovai perfino un DVD con i filmati effettuati in quell’occasione.

Angelo D'Arrigo in volo con le gru in Siberia nel 2002 (foto Wikipedia)
Angelo D’Arrigo in volo con le gru in Siberia nel 2002 (foto Wikipedia)

Avrei voluto incontrare Angelo, ma non ne ebbi mai occasione, sebbene in una almeno ci andai molto vicino.

Al lavoro, al controllo del traffico aereo, avevo notato un notam che chiudeva lo spazio aereo sopra Guidonia e il monte Terminillo fino ad un livello altissimo, a semplice richiesta di un pilota di deltaplano che si trovava nell’aeroporto di Guidonia, in attesa che le condizioni meteo fossero favorevoli ad un tentativo di record o qualcosa del genere.

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Copri Copertina
Il risguardo interno del bel libro di Angelo D’Arrigo. Sintetizzare il contenuto di questo libro non deve essere stato facile.

Come controllore la cosa mi riguardava fino ad un certo punto, ma come istruttore di aliante, proprio della sezione di volo a vela di Guidonia, ne ero coinvolto appieno. Infatti passai un pomeriggio a fare scuola a Guidonia, pronto a smettere di volare e a richiamare a terra i miei allievi e gli altri piloti non appena il notam fosse stato attivato. Ad ogni decollo vedevo un delta con ala rigida allungata, parcheggiato di fronte ad un piccolo hangar quasi al centro del campo. Mi dissero che si trattava di Angelo D’Arrigo.

Purtroppo quel giorno non ebbi tempo di andare a conoscerlo. Pensavo di farlo in seguito. Ma il giorno dopo il notam fu attivato ed Angelo fece il suo volo.

Il racconto è contenuto nel libro.

Il libro racconta tante altre cose e consiglio vivamente ogni appassionato di volo di leggerlo. Molte vi sorprenderanno, vi sembreranno incredibili, ma ci sono le documentazioni inconfutabili ed i filmati a confermarvi che è tutto vero. Perfino l’Aeronautica Militare effettuava studi insieme ad Angelo su un argomento che leggerete. Non ne parlo qui. Non mi credereste. Leggete il libro.

Angelo progettava di sorvolare le Ande insieme ad un condor, il più grande veleggiatore del mondo. Il pulcino era stato imprintato secondo gli insegnamenti di Konrad Lorenz e cresceva in attesa del grande giorno.

Insieme sarebbero saliti nelle correnti ascendenti della catena delle Ande fin sulla cima dell’ Aconcagua, senza ossigeno, utilizzando tecniche speciali messe a punto per l’occasione.

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Copertina
La spettacolare copertina di “In volo sopra il mondo”. Questa impresa, in cui ha superato l’altezza dell’Everest, ha richiesto una preparazione di oltre due anni.

Nell’ultima pagina del libro Angelo scrive:

“Molti mi chiedono che cosa mi spinga ad andare sempre oltre. Non è agonismo: con le sfide ho smesso da anni. Non è nemmeno il bisogno di misurarmi con i miei limiti, come a volte ho creduto. No, è qualcosa di più semplice ed intimo: l’istinto di essere nella natura a modo mio. Un istinto che mi domina, che mi tiene sveglio la notte, che mi illumina e mi entusiasma. Non seguirlo sarebbe tradire me stesso”.

Purtroppo qualcosa è riuscito a tradire lui. Un piccolo aereo, pilotato da un generale dell’Aeronautica in pensione, durante una manifestazione aerea, esegue un basso passaggio e una virata sfogata. All’apice della manovra si avvita e cade al suolo, mettendo fine alla vita del generale e a quella del suo passeggero: Angelo D’Arrigo.

Ora potrei scrivere tante parole inutili su questo fatto e sul grande dolore che ha provocato. Due sole sono sufficienti: stupore ed incredulità.

Angelo aveva un progetto, anzi, più di uno. Progetti rimasti incompiuti. E come tutte le cose incompiute restano nella mente umana molto a lungo, fino a quando, in qualche modo, qualcuno non le riprende e non le porta a termine.

Nel libro è anche contenuto il racconto di un volo dell’inizio anni novanta, in deltaplano a motore, dalla Sicilia all’Egitto. Per un disguido Angelo finisce nelle mani dei libici. Viene fatto prigioniero e per oltre un mese subisce ogni genere di privazione e violenza. Ma qui compare un’altra persona, degna di un grande come lui: sua moglie Laura Mancuso. Lei non si dà pace e lavora instancabilmente attraverso tutti i canali diplomatici. Riesce a dimostrare che suo marito non è una spia come creduto dai soldati di Gheddafi, ma soltanto uno sportivo impegnato in un’impresa pianificata e pubblicata. Ci vuole tempo e il tempo manca.

In volo sopra il mondo - Angelo D'Arrigo - Retro Copertina ritagliata
La breve biografia di Angelo D’Arrigo presente nel retro del libro. Ovviamente si ferma al giorno in cui è stato stampato il libro … ciò che è accaduto dopo è cronaca, purtroppo.

Da un momento all’altro Angelo potrebbe essere giustiziato insieme ad altri prigionieri come lui. Laura arriva in tempo. Un diplomatico riesce a parlare con Gheddafi, a convincerlo a rilasciarlo e poi a prendere Angelo per i capelli e a tirarlo fuori dall’orlo dell’abisso. E’ libero e può tornare a casa da sua moglie e dai suoi figli.

Ora non occorre spiegare quanto sia ingiusto che dopo un salvataggio così magistrale, possa bastare un banale voletto locale a mettere fine alla vita di un personaggio così grande.

Questo libro deve essere presente nella libreria di ogni appassionato di volo. E’ moralmente obbligatorio conoscere Angelo D’Arrigo. Conoscere le sue gesta.

Perchè fra tutti i futuri lettori del suo libro potrebbe essercene un altro simile a lui, che riprenda il filo dove lui, suo malgrado, ha dovuto lasciarlo cadere.



Recensione a cura di Evandro Detti

Didascalie delle foto a cura della Redazione


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Vittoria tra le nuvole

Vittoria tra le nuvole - V.M. Yeates - Copertina

titolo: Vittoria tra le nuvole

autore: Victor Maslin Yeates

editore: Elliot 

anno di pubblicazione: giugno 2013

ISBN versione cartacea: 978-8861923508





Tanti anni fa, ma proprio tanti, comprai un libro su una bancarella. Il titolo era: “Alta quota” e per questo aveva attratto la mia attenzione. Ad una prima occhiata avevo visto che si trattava di un libro sulla I Guerra Mondiale, scritto da un pilota vero, che vi aveva combattuto veramente come pilota di un biplano inglese Sopwith Camel.

Vittoria tra le nuvole - V.M. Yeates - Retro
La retrocopertina del libro di memorie  di un pilota sopravvissuto ai caccia tedeschi ma non alla tubercolosi. Un ringraziamento speciale va a Domenico Tarizzo, traduttore, che ci ha permesso  di leggere questo volume in lingua italiana.

Lessi quel libro più di una volta, ma questa è una prassi normale per me. Se un libro mi piace lo rileggo, ogni tanto.

Forse fu per questo motivo che un giorno, parlandone con un amico pilota, ebbi un momento di debolezza e glielo regalai. Un errore che commetto difficilmente. Di solito, se regalo un libro a qualcuno, glielo compro, non gli regalo un libro mio. Forse pensai che lo avrei potuto ricomprare, prima o poi.

Invece, nel corso degli anni seguenti, per quanto cercassi sulle bancarelle, non l’ho più ritrovato. Oltretutto quell’amico, dopo poco tempo lo regalò a un altro pilota. Non so se prima lo abbia letto o no, ma almeno l’altro pilota disse che gli era piaciuto moltissimo.

Non ho mai dimenticato quel titolo e neanche la copertina. Ero pronto a comprarlo a vista se lo avessi trovato, ma niente.

Non è facile vedere un Sopwith Camel in volo nel 2018 … ma se vi foste trovati allo Shuttleworth Evening Air Show assieme al fotografo che ha colto questa inquadatura, avreste potuto osservare con i vostri occhi questa splendida replica recante i colori della Prima Guerra Mondiale. Questo Camel costituisce parte della Shuttleworth Collection che trova ospitalità nell’Old Warden Airfield, nella regione dello Bedfordshire, ovviamente in Gran Bretagna (foto proveniente da www.flickrc.com)

L’era di internet ha reso possibili anche questo genere di cose. Un giorno scrissi il nome dell’autore, Yeates, su Google e … paf! Trovai un libro diverso, ma che ricordava tanto quello che avevo avuto. Lessi la descrizione e ritrovai la storia intera. Il titolo, ora, era cambiato. Si intitolava: “Vittoria tra le nuvole”.

Lo ordinai online e mi arrivò a stretto giro di posta.

Sempre su Google ho trovato la storia dell’autore,  nato a Dulwich, Inghilterra, nel 1897 e morto nel 1934. Era un amante della poesia e della natura. Nel 1917 entrò nel Royal Flying Corps, come pilota e andò in Francia a combattere contro i tedeschi. Volò per 248 ore su un biplano Sopwith Camel. Ebbe quattro incidenti, fu ferito due volte, conseguì cinque vittorie, il numero minimo per diventare un asso.

Un Sopwith Camel visto da vicino, molto da vicino. Il velivolo ebbe diverse motorizzazione sebbene quella standard è individuata nel motore rotativo a singola stella Clerget-Blin 9B capace di erogare 130 hp di potenza e in grado di fargli raggiungere la favolosa velocità massima di 180 km/h. Il velivolo ritratto è conservato nel National Museum della U.S. Air Force sito a Dayton negli Stati Uniti. (foto proveniente da www.flickr.com)

Alla fine della guerra tornò in Inghilterra, profondamente provato e distrutto, sia dal punto di vista psicologico che fisico. Infatti di lì a poco si ammalò di tubercolosi. Provò a curarsi per uscirne, ma all’epoca era difficile salvarsi da quella malattia. Tuttavia, per racimolare i soldi necessari alle cure, scrisse con fatica le sue memorie di guerra, un libro, questo libro, che fu pubblicato, ma non ebbe subito il successo sperato.

Yeates morì di tubercolosi prima che i proventi del libro gli consentissero di curarsi.

Il titolo originale era “Winged Victory”. In qualche manifesto ho trovato anche “Winged Victor”, una leggera deviazione per giocare con il suo nome, Victor.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, questo libro fu recuperato dall’oblio nel quale era caduto. I piloti della Royal Air Force lo riscoprirono e ne decretarono un enorme successo, perché era uno dei rarissimi racconti che riportava fedelmente i fatti e la quotidianità della vita del pilota di guerra. Yeates infatti non aveva inventato nulla. Aveva descritto le azioni militari come pure la vita di tutti i giorni e i discorsi, le feste, gli scherzi, le paure, le ansie e i momenti di relax nelle lunghe giornate in cui il maltempo li costringeva a terra. Li costringeva, cioè, a vivere senza rischiare di morire.

Yeates non aveva cambiato i fatti, ma neanche i nomi dei protagonisti con i quali aveva condiviso il periodo di guerra in Francia. I loro nomi sono tutti nel racconto, semmai, in qualche caso, aveva omesso il nome di battesimo o il cognome, designandoli semplicemente con uno dei due.

Un’elaborazione pittorica di una fotografia già di per sè da incorniciare. Ritrae un Sopwith Camel con la livrea della I Guerra Mondiale … ma il luogo dello scatto è l’aeroporto Wright-Patterson a Dayton, Ohio, negli Stati Uniti d’America ed è stata scattata “solo” nel 2016. Gli USA utilizzarono ampiamente il Camel durante il conflitto e contribuirono a fare in modo che questo velivolo conseguisse il mirabolante record di quasi 1300 apparecchi nemici complessivamente abbattuti, ossia più di ogni altro aeroplano da caccia in forza presso le Aviazioni degli Alleati durante il conflitto. Eppure non era una macchina proverbialmente facile da pilotare tanto che, a detta dei piloti alleati, il Camel offriva due opportunità: la morte o la Victoria Cross, onorificenza riservata agli assi (foto proveniente da www.flickr.com)

Il teatro di guerra è quello della Somme. Amiens, Arras, Vignancourt, Morlancourt, etc, nomi famosi di un teatro tragico. La Francia rievoca spesso quella zona, anche durante il Tour de France, quando vediamo i ciclisti scorrere su un paesaggio bellissimo, ma segnato qua e là da mausolei, monumenti, cippi e cimiteri che rievocano la guerra mondiale, sia la prima che la seconda.

La copertina del libro di Victor Maslin Yeates nella sua edizione in italiano del 1969 recante il titolo: “Alta quota”. All’epoca il grafico dell’editore Rizzoli non si profuse granchè in termini di originalità e inventiva tuttavia, il testo che si trova all’interno permette facilmente  di dimenticare lo squallore del contenitore esterno

Vittoria tra le nuvole” si trova online anche con il vecchio titolo di: “Alta quota”. Basta ordinarlo per avere tra le mani uno dei migliori libri scritto da un pilota per un pubblico che non deve essere necessariamente costituito da piloti. Ma questi ultimi troveranno interessantissimo leggere anche le impressioni di pilotaggio del Camel, un aereo scorbutico, che entrava in vite all’improvviso, volava storto e scappava di mano alla prima minima distrazione. Ma, come dice Yeates, ci si abitua a tutto e alla fine questo carattere del Camel, non solo diventa familiare e non costituisce più un problema, ma aiuta il pilota a sottrarsi di colpo ai proiettili delle mitragliatrici dei caccia avversari. Una cosa non da poco.

Leggendo il libro si resta sorpresi di quanto, a quei giorni, i piloti fossero consapevoli degli interessi internazionali che avevano portato loro a dover combattere e morire. Nelle conversazioni compaiono spesso analisi ben precise della situazione politica del momento.





Recensione a cura di Evandro Detti



La Coda di Minosse – La verità sulla spedizione Nobile

La Coda di Minosse - La verità sulla spedizione di Nobile - Felice Trojani - Copertina

titolo: La coda di Minosse – La verità sulla spedizione Nobile

autore: Felice Trojani

editore: Mursia

anno di pubblicazione: 1964

ISBN: 88425310499788842531043





Nel 1928 l’aviazione mondiale, non solo quella italiana, impiegava aerei terresti, idrovolanti e dirigibili allo stesso tempo, in quanto non era ancora ben chiaro quale fra questi mezzi avrebbe preso il sopravvento sugli altri nel futuro.

La Coda di Minosse - La verità sulla spedizione di Nobile - Felice Trojani - Retro
La retrocopertina del libro che, pubblicato per la prima volta nel 1963, era giunto alla bellezza della sua ottava edizione nel 2007 e dunque, occorre ricordarlo, costituisce a tutti gli effetti un classico della letteratura aeronautica italiana. Che sia il morboso desiderio di conoscere la vera storia del dirigibile Italia ad attirare così tanti lettori? In realtà la stesura di questo libro si deve fondamentalmente allo psichiatra statunitense George Simmons che nel 1960 contattò Felice Trojani allo scopo di raccogliere informazioni per il suo volume “Target: arctic”, dedicato alla storia della corsa verso il Polo Nord. Simmons riuscì a convincerlo a scrivere la sua versione dei fatti che accaddero prima, durante e dopo la sua partecipazione alla sfortunata spedizione polare. Così facendo “La coda di Minosse” divenne di fatto una sorta di autobiografia di Felice Trojani di cui, inevitabilmente, la missione del dirigibile Italia costituisce un’episodio molto saliente, anche e soprattutto in termini di estensione di pagine impegnate. Per inciso, Trojani fu l’ultimo, tra tutti i sopravvissuti ai 48 giorni sul pack, a rivelare le sue verità circa la drammatica esperienza polare.

Il pallone libero aveva ormai ceduto il posto ad altre forme di volo. Il motivo principale stava nella sua quasi nulla “dirigibilità”. Viceversa, proprio dall’intuizione che un pallone libero di forma allungata e più aerodinamica si potesse “dirigere”, scaturisce il nome di dirigibile.

Molti degli aviatori dirigibilisti, negli anni a venire, sarebbero passati all’aeroplano, conseguendo il brevetto per aeromobili ad ala fissa e diventando personaggi storici per eccellenza.

Umberto Nobile, però, era un ingegnere e cominciò con il costruire i primissimi dirigibili. Nel quartiere Prati, a Roma, nella stessa area che alcuni anni prima si era chiamata Piazza d’Armi e che era costituita essenzialmente da campi pianeggianti lungo il corso del Tevere, c’erano grandi capannoni dove parecchie persone svolgevano la loro opera quotidiana. Erano operai, impiegati, tecnici, ingegneri.

Uno di questi, neolaureato, si era presentato al capo dello stabilimento con la speranza di essere assunto. Si chiamava: Felice Trojani e ad assumerlo fu Umberto Nobile in persona.

Trojani portava gli occhiali da vista e all’epoca questo costituiva un handicap per chi avesse voluto volare come pilota di qualsiasi mezzo volante o anche come semplice equipaggio di volo.

Negli anni, però, lo sviluppo del dirigibile fu rapido e inesorabile. Uno dei primi dirigibili costruito in quelle officine da Umberto Nobile, da Trojani e dalla loro squadra, arrivò a sorvolare il Polo Nord, con a bordo il capo della spedizione Roald Amundsen. Il dirigibile era il N1-Norge.

L’eco dell’impresa portò al secondo tentativo con un altro dirigibile, stavolta con Nobile come capo spedizione e Felice Trojani come ingegnere membro dell’equipaggio, a dispetto del suo problema visivo.

Era il dirigibile Italia che si schiantò sul ghiaccio nel percorso di ritorno. La navetta si staccò e rimase sulla banchisa con alcuni uomini. Gli altri, quelli che in quel momento si trovavano all’interno dell’involucro del dirigibile, si dispersero nel cielo e non furono mai più ritrovati.

La Coda di Minosse - La verità sulla spedizione di Nobile - Felice Trojani - Copertina
La copertina del libro con foto, in primo piano, delle gondole motore del dirigibile Italia. Siamo certi che, salvo che per i cultori della mitologia greca, il titolo del libro apparirà alquanto ermetico. In effetti “La coda di Minosse” riporta in primo piano un personaggio legato alla mitologia greca, o meglio, Trojani si riferisce al personaggio dantesco che, giudice infernale, arrotolava più volte la coda per indicare ai dannati il numero del girone al quale erano destinati. Questo per far comprendere ai propri lettori che solo un essere soprannaturale avrebbe potuto esprimere un sereno giudizio su quanto accadde sulla banchisa polare. In realtà il volume, nella sua prima stesura, aveva per titolo: “Gli occhiali” ma l’editore Ugo Mursia, ben più navigato e assennato di Felice Trojani circa gli aspetti di carattere editoriale, fece notevoli pressioni sull’autore affinchè lo sostituisse con qualcosa di più consono ed evocativo. Il libro fu un successo, sancito anche dal Premio di Cultura della Presidenza del Consiglio. A distanza di tanti anni risulta uno dei tanti documenti che narra e dunque ricorda quell’episodio glorioso e al contempo tragico delle missioni polari effettuate a mezzo di dirigibili. Un pezzo di storia dell’aviazione italiana e non.

Una tragedia.

I superstiti restarono sul ghiaccio e furono salvati dopo tanti giorni da una nave rompighiaccio russa, dopo che alcuni aerei li ebbero avvistati, tra cui un idro italiano con a bordo due piloti del gruppo di Italo Balbo.

Felice Trojani, che era tra i superstiti, negli anni successivi, scrisse questo libro nel quale narra la storia intera. Una storia sensazionale che consiglio a tutti di leggere.

Il suo racconto inizia proprio dalla Piazza d’Armi, da Delagrange che annuncia il suo primo balzello con un aereo di legno e tela e prosegue fino a quando non andò in pensione, dopo aver progettato e collaudato altre macchine aeree, dirigibili e aerei. Narra la storia del naufragio e del recupero, le conseguenze che tutto ciò ebbe negli anni successivi, quando Nobile soprattutto dovette misurarsi con il regime fascista di Mussolini. Dal libro si può respirare l’atmosfera di quei giorni.

Occorre tenere presente che Trojani, in qualità di ingegnere, aveva progettato tutto quanto fu utilizzato durante la missione al Polo Nord, compresi gli hangar aperti e i piloni necessari all’attracco del dirigibile lungo le tappe del percorso. Anche la tenda, dove trovarono rifugio i superstiti dell’Italia, la famosa “tenda rossa” (che rossa non era affatto, come si apprenderà durante la lettura del libro), era stata progettata da lui.

Consiglio questo libro a tutti gli studenti di ingegneria. Ci troveranno soprattutto la mentalità di un ingegnere. Oggi, nell’era dei computer, conoscere quella mentalità è ancora determinante.

Nel libro c’è molto, molto di più di queste cose essenziali che ho appena detto.

Sul naufragio del dirigibile Italia di Umberto Nobile esistono metri cubi di libri; Nobile stesso ne ha scritti diversi … ma questo è veramente, se non il migliore come penso io, uno dei migliori.

Esistono sul mercato diverse ristampe e non dovrebbe essere difficile trovarlo.



Recensione a cura di Evandro Detti

Didascalie delle foto a cura della Redazione


L'ultimo volo

Ali e Poltrone

Ali e Poltrone - Copertina
Copertina di Ali e Poltrone

titolo: Ali e poltrone

autore:  Giuseppe D’Avanzo

editore: Ciarrapico editore

anno di pubblicazione: 1976

ISBN: non disponibile





Ecco il libro dei libri.

Per quanto riguarda la storia della nostra aviazione, questo libro, alto più di tre dita e parecchio pesante, contiene ogni passo di un lungo cammino, dagli albori del 1900 e anche da prima, fino alla fine degli anni 70. Dentro c’è la storia di tanti personaggi, la storia di tanti mezzi aerei, dal pallone libero, al dirigibile, ai primi aerei ed idrovolanti fino ai jet dei giorni nostri. Ci sono avvenimenti di cui nessuno di noi ha mai sentito parlare, ma che hanno portato a decisioni cruciali che hanno determinato gli sviluppi di cui siamo invece bene a conoscenza. Anche quelli che riguardano le guerre, la prima e la seconda, e al loro esito.

Ali e Poltrone - Copertina
La copertina di “Ali e Poltrone” di un profondo azzurro avio che, nelle intenzioni di chi ha curato la veste editoriale del volume, avrebbe dovuto mettere in risalto l’aquiletta dorata dell’Aeronautica Militare.

D’Avanzo non racconta semplicemente la sua versione dei fatti. Il libro è pieno zeppo di documenti e fotografie, tabelle, resoconti, decreti, organici, etc.

Per un appassionato di storia, questo libro è una miniera.

Vi sono riportati fatti, riunioni, discussioni, manovre politiche, decisioni, litigi e avvenimenti, non sempre emblematici, che hanno piegato il corso della storia, non sempre nella migliore maniera per raggiungere gli obiettivi più ottimali. Anzi.

Il mio collega Alfredo Stinellis, l’autore del libro “Storia di un aeroporto”, nel consigliarmi questo libro, mi disse una frase che non ho più dimenticato: “Leggendo qua e là, in alcune parti, ci sono discussioni e litigi che mi sembra di sentire echeggiare per le sale e i corridoi del Ministero dell’Aeronautica”.

Confermo. A volte pare proprio di sentirle quelle urla, quelle voci, nei locali del Ministero.

La copertina del libro di Giuseppe D’Avanzo nell’edizione pubblicata nel 1981

Il Ministero lo conosco molto bene. Ci ho fatto servizio per nove anni, conosco quei locali e alla mia epoca ho assistito anche a certi tipi di discussioni.

Dalle pagine del libro sembra di sentire uscire le voci di tanti, ufficiali, gerarchi o politici che in quei locali hanno determinato la storia, nel bene e nel male.

Ma naturalmente l’autore non parla soltanto del Ministero. Parla di tutto il teatro immenso dove si è svolta la storia, il Mediterraneo, l’Africa, orientale ed occidentale, l’Europa, L’America … il mondo intero.

Ora voglio aggiungere un’aspetto importante.

D’Avanzo ha un modo suo di scrivere. Le sue frasi sono lunghe, a volte lunghissime. Spesso bisogna tornare indietro per rivedere l’inizio della frase allo scopo di comprendere il resto. Sa usare la punteggiatura, ma non la usa se non è strettamente necessario. Diciamo che un libro di queste dimensioni, dove si è costretti a rileggere le frasi più di una volta per capirle, dovrebbe essere pesante. Invece no. Non è mai pesante. Gli avvenimenti che riporta sono talmente avvincenti che tutto diventa leggero. E’ un piacere leggerlo.

Ali e Poltrone - Retro
La retrocopertina del volumone di ben 939 pagine dal titolo eloquente (per non dire sibillino): ” Ali e Poltrone”. Retrocopertina essenziale – non c’è che dire -, forse anche fin troppo scarna rispetto a ciò che contiene. Qui infatti potrete trovare la storia dell’Aeronautica Militare italiana (ex Regia Aeronautica) dai suoi primordi fino al 1976, data di pubblicazione del libro.

Noi conosciamo solo alcuni pezzi della nostra storia aeronautica, quelli che più hanno stimolato la nostra attenzione perché messi in rilievo dai media. Ebbene, qui troviamo la loro genesi. Finalmente possiamo sapere perché le cose sono andate così.

Per chi non sia particolarmente ferrato in storia, sarà sorprendente vedere delinearsi un diverso profilo di personaggi che conosciamo sotto una luce diversa. La propaganda presentava tutto nel modo più ottimale per il regime, ma i fatti, dei quali possiamo ormai conoscere l’intero sviluppo dall’inizio alla fine, sono diversi. E diversi, sorprendentemente diversi, appaiono oggi quei personaggi.

Così, vedremo emergere la bassezza di coloro che pensavamo fossero grandi. E la grandezza di coloro che erano grandi davvero, ma che il regime teneva nell’ombra, per timore del confronto.

Le trame di questo tipo erano una costante e lo sono anche oggi.

C’è un altro elemento in questo libro. La connessione tra la politica, l’ambiente militare e l’industria.

“Ali e poltrone”, pur riguardando essenzialmente l’aeronautica, andrebbe utilizzato come libro di testo in molti corsi per aspiranti manager. Sarebbe utilissimo anche a chi frequenta il corso di laurea in Scienze politiche. Nulla è cambiato, il suo contenuto è assolutamente attuale, in linea di principio.

Una nota dolente: il libro è quasi introvabile. Tuttavia si può riuscire ad averlo frequentando i soliti mercatini, oppure su internet. Ogni tanto ne spunta uno a qualche asta online. Il mio l’ho avuto così.



Recensione a cura di Evandro Detti

Didascalie delle foto a cura della Redazione

Il catrame di Tirana

La tratta da Roma a Tirana, nel 94’, era un volo di circa un’ora e venti minuti circa. Si atterrava attorno a mezzogiorno e, il tempo di imbarcare i passeggeri ed eseguire i controlli di transito, si ridecollava subito alla volta di Roma.

Dal punto di vista delle difficoltà del volo … beh, non ce n’erano granché, salvo le radioassistenze piuttosto scarsine che si limitavano ad un semplicissimo ADF. Fortunatamente l’aeroporto di Tirana godeva sempre di ottima visibilità ed era facile individuarlo già da molto lontano.

Anche quel giorno era stata semplice routine portare a terra il DC9-30 della compagnia di bandiera e, a parte un caldo afoso che ci aveva asfissiato a Roma, durante l’imbarco passeggeri, il volo era scivolato tranquillo.

Il tempo di rullare in pista, percorrere il raccordo e recarci davanti alla piccola aerostazione, che l’apertura del portellone ci confermò una calura albanese ben più rovente di quella romana. Pensare di trovare ristoro nella minuscola aerostazione del piccolo aeroporto di Tirana era pressoché impensabile: le infrastrutture erano rimaste quelle dell’epoca fascista e modernità come l’aria condizionata, nel ’94, a Tirana … erano troppo progressiste. Tanto valeva rimanere in cabina. Ma il mio I ufficiale fece svanire ogni dubbio sul da farsi quando mi pregò di scendere per mostrarmi un “piccolo problema” ai carrelli.

Piccolo problema? pensai … a Tirana avevamo solo pochi tecnici che si occupavano dei controlli di transito, non avevamo un’area tecnica e ogni più piccola avaria avrebbe comportato solo “grossi problemi”. Altro che piccolo problema!

“Speriamo bene” sussurrai a denti stretti, scendendo a terra.

Un capannello di tecnici, compreso il caposcalo – lo conoscevo da anni -, erano attorno alle grandi ruote dell’aeroplano e, per un istante, non capii quale potesse essere l’avaria. Poi, osservando meglio, mi venne naturale esclamare un sincero: “Porca paletta!”

I pneumatici del povero DC9 sembravano la pelle dell’Uomo Roccia, quello dei Fantastici 4, per intenderci. Erano costellati di ciottoli di piccole e medie dimensioni, una specie di cingolo formato da sassi che ricopriva buona parte del battistrada.

Non so perché … ma nella mia mente si visualizzò l’immagine di un croccantino, il gelato che aveva contrassegnato tutte le estati della mia infanzia: il tipico stecco di legno, il ripieno di crema con il cuore di amarena e soprattutto la superficie, anziché liscia, costellata da una miriade di micropalline di zucchero e nocciole sminuzzate. Volendo lo stelo dei carrelli poteva costituire lo stecco di un enorme croccantino tondo mentre i sassi non avrebbero sfigurato come copertura …

Da adulto assennato, sentenziai che la presenza dei sassi addosso al pneumatico, contrastava le leggi della gravità. Dunque, istintivamente, provai a staccarne uno.

“Fossi in lei, non li toccherei, comandante” mi apostrofò il caposcalo. Prima che potessi abbozzare una replica mi mostrò le sue dita nere e cosparse di un fluido vischioso. Poi aggiunse: “Si è sciolto l’asfalto della pista!”

In effetti la calura era davvero insopportabile. Mi resi conto che la mia camicia, seppure di cotone leggero, si era letteralmente attaccata alla mia pelle. In pochi istanti. Era bagnata ovunque da un sudore copioso. Benché fossimo all’ombra sotto la pancia dell’aeroplano, la temperatura era torrida, complice le vampate di calore che venivano dall’asfalto, appunto, e dall’aria rovente e immobile.

Sapevo che il fondo della piste degli aeroporti è in grado di resistere ai forti carichi localizzati delle ruote degli aeroplani mentre le piste vengono asfaltate con catrame speciale resistente alle alte temperature … ma, probabilmente, il primo era ancora quello realizzato dagli italiani nell’epoca fascista mentre il secondo, era tutto fuorché resistente al calore.

Certo, la temperatura era altissima … ma i sassi? Da dove provenivano?

Sapevo altrettanto bene che le piste, i raccordi e anche i parcheggi degli aeroporti vengono regolarmente “spazzati” per evitare che corpi estranei possano essere ingeriti dai motori dei velivoli … un po’ come nelle portaerei quando, al mattino, tutto l’equipaggio addetto al ponte di volo lo percorre da un capo all’altro alla ricerca anche del più minuzioso oggetto pericoloso.

A ripensarci bene, lì a Tirana, non avevo mai visto delle macchine spazzatrici all’opera, né potevo immaginare che il personale aeroportuale – poco a dire il vero – percorresse la pista al mattino come nelle portaerei. Ma allora il mistero dei sassi?

Il caposcalo sembrò leggermi i pensieri e dipanò il mistero: “E’ il raccordo che si sta sgranando!”.

In effetti, a ripensarci bene, rullando fuori dalla pista, avevo notato che il cemento del raccordo era irregolare, fratturato da crepe a chiazze e stranamente rugoso. Era molto probabile che le elevate temperature avessero in parte liquefatto l’asfalto della pista e che i pneumatici, come un enorme rullo compressore – ma impregnato di colla moschicida – avessero raccolto i piccoli sassi che formavano il fondo del raccordo. Ecco come era andata!

Ora erano lì, attaccati al nostro DC-9. Anzi, il tempo di elaborare tutte queste elucubrazioni che i bravi tecnici avevano già staccato una buona metà dei ciottoli. Purtroppo il catrame dell’asfalto, nonostante tutti i loro sforzi, rimaneva caparbiamente attaccato al battistrada dei pneumatici.

“Fermi tutti!” esclamai, quasi folgorato dalla soluzione del problema. Il caposcalo e i tecnici, madidi di sudore, mi guardarono speranzosi. Spiegai loro la mia idea e, presi dall’entusiasmo, per poco non mi abbracciarono con le mani sporche di catrame misto a solvente.

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Atterrammo felicemente a Fiumicino. La temperatura era leggermente più fresca di quella di Tirana. Forse era una mia impressione … ma la leggera brezza del mare mitigava la calura romana cosicché l’asfalto del Leonardo da Vinci era ancora lì dove doveva rimanere: sulla pista.

Appena terminate le operazioni a bordo, mi recai in tutta fretta nella sala equipaggi per stendere un rapporto del’accaduto. Trovai il capo pilota indaffaratissimo: era in riunione con altri due colleghi, il cellulare in mano e la cornetta del fisso all’orecchio. Quando mi vide mise tutti in attesa e ascoltò il mio racconto senza dire nulla.

Uomo di poche parole e ottimo pilota, il capo pilota era assai pragmatico. Appoggiò il cellulare sul tavolo mentre ricominciava a trillare e mi chiese: “Avvisi tu i colleghi?”

“Veramente …”

“ … l’idea è tua. Così spieghi loro come devono comportarsi” replicò asciutto.

Mi rassegnai all’istante e, agguantato il telefono della segreteria equipaggi, cominciai a chiamare il primo della lista dei colleghi che avrebbero coperto la tratta nei tre giorni successivi, il quarto giorno ci sarei tornato io …

“Sì, esatto” replicai con tono convincente, “una volta imbarcati i passeggeri sul piazzale dell’aerostazione, dovrai portare il velivolo oltre il raccordo e lì i tecnici ti ripuliranno i pneumatici dai ciottoli … motori al minimo, certo … a quel punto, per evitare ingestione di eventuali sassetti o di catrame, abbasserai i flap al MAXIMUM TAKE-OFF FLAPS, entrerai in pista e poi normale decollo … alla peggio si sporcheranno i flap ma ai motori non arriverà niente”

Dall’altro capo del telefono avvertii l’incredulità e la sorpresa del mio collega. La stessa che avevo provato io quando il catrame di Tirana si era sciolto sotto le ruote del mio DC9 e il cemento del raccordo aveva deciso di sgranarsi.

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L’ondata di calore durò per una altra decina di giorni poi una violenta perturbazione atlantica irruppe nel Mediterraneo e allentò la morsa dell’anticiclone africano che aveva attanagliato l’Europa meridionale per tutto il mese di agosto.

A casa mia, sopra il camino, conservo un ciottolo di Tirana. E’ il ricordo di un enorme croccantino che non ho mai avuto il tempo di addentare.







Fotografie del Com.te Antonino Desti

Testo liberamente tratto dal racconto

del Com.te Antonino Desti

e scritto dalla Redazione di Voci di hangar

L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.