Se dovessi spiegare com’è nata in me la passione per l’aviazione anziché per il calcio o per altri hobbies, più comuni e banali, dovrei confessare che non esiste una sola causa, ma diverse, distribuite nell’arco di trent’anni. E’ come se l’interesse per gli aeroplani fosse cresciuto assieme al sottoscritto, partecipando alla mia formazione intellettuale e rappresentando, al tempo stesso, la metafora della libertà: andare ovunque, annullando la distanza tra le persone. Sì perché, fino ad oggi, la mia vita è stata contrassegnata da questa continua contrapposizione tra vicino e lontano, in senso geografico e umano. Ma di tutto questo sono diventato consapevole in modo graduale, come in un viaggio, un volo lungo trent’anni, che ha come primo scalo una cabina telefonica, quella della Pan Am.
Si trovava a Santa Marinella (sul litorale laziale, ndA), lungo la via Aurelia, vicino alla strada che portava alla stazione. Avrò avuto pochi anni, quelli sufficienti a saper leggere, ma non era tanto il significato delle parole, quanto il messaggio che veniva diffuso con le immagini, a colpirmi. Un globo azzurro e una frase ad affetto che spiegava come il mondo, grazie alla Pan Am, fosse a portata di mano.
Quella pubblicità e quella cabina colpirono molto la mia immaginazione, quella di un bambino, perché simboleggiavano qualcosa di molto lontano, moderno, esotico, diventato improvvisamente molto vicino; due mezzi di comunicazione (aerei e telefoni) messi insieme dal caso in una cittadina di provincia, quanto di più periferico potesse esistere allora.
Oggi, da adulto, potrei dire che quell’apparizione provocò in me lo stesso effetto che fece il monolite nero alle scimmie del film “2001 Odissea nella Spazio”: mise in moto qualcosa. A livello inconscio avevo compreso che esistevano posti lontani, raggiungibili solo in due modi o facendo una telefonata o prendendo un aeroplano.
E quell’aeroplano per gli Stati Uniti, qualcuno lo prese davvero e per un viaggio di sola andata. Si chiama Vittorio, era il mio amico del cuore e compagno di classe nei primi due anni della scuola elementare. Suo padre era tornato dagli Stati Uniti per trovare moglie e un lavoro, ma trovò solo la prima e dopo aver fatto due figli, tornò in America a Baltimora.
Per un po’ di tempo ci scrivemmo lettere che attraversavano l’Atlantico in aeroplano, ma ben presto ci perdemmo di vista.
Comunque io non lo dimenticai tanto presto e un giorno, sfogliando un libro di Richard Scarry (sarà stato il 1973 o il 1974), notai un racconto illustrato che descriveva in viaggio in aereo di Sandrino, uno di personaggi più cari al celebre disegnatore. Sul piazzale di un aeroporto, ai comandi di un caccia a reazione c’era lui! A essere precisi era una volpe disegnata … ma a otto anni non si va tanto per il sottile, Volpe l’uno, volpe l’altra… l’associazione era fatta.
E fu così, che, per non dimenticare una persona lontana, iniziai a interessarmi agli aeroplani, militari per l’esattezza.
Ma presto sarebbe venuto il mio turno di volare davvero.
Era il Natale 1975 e l’aeroplano era un Lockheed L-1011 Tristar della British Airways, o almeno così lo identificò mio padre, osservandolo nella piazzola di sosta a Fiumicino. Allora non esistevano i finger e si saliva a bordo utilizzando una scaletta, un metodo che permetteva di ammirare un velivolo da vicino, rendendosi conto di come fosse fatto, di quanto fosse grande: un titano ai miei occhi. Avevo undici anni e volare su un aeroplano di una prestigiosa compagnia aerea diretto a Londra, una delle più importanti città del mondo, costituì per il sottoscritto un’esperienza indimenticabile. Fiumicino mi apparve come un posto enorme, luccicante, pieno di belle cose e con il mio primo decollo prese il volo anche la mia fantasia …
Da allora ho volato molte altre volte, ma, oltre a quel viaggio, memorabili ne restano altri due. Il primo avvenuto durante le ferie natalizie del 1976 a Tangeri (con cambio a Madrid) in Marocco, dove, sballottati dalle raffiche di vento e d’acqua dell’Oceano, atterrammo, infine, su una pista che ci apparve all’ultimo istante, poiché questa terminava praticamente sulla spiaggia. Io non ebbi paura, ero troppo giovane per provarla, ma i grandi non erano affatto tranquilli e due anziane sorelle si misero a pregare. Ad ogni modo andò tutto bene, altrimenti non starei qua a raccontarvelo, ovviamente.
Il secondo effettuato con i miei genitori nell’agosto del 1978 da Atene a Roma a bordo di un velivolo della TWA del quale conservo un simpatico gadget (Sorry, but this seat is occupied). Una piccola consolazione per un decollo brusco: il velivolo si alzò rapidamente in cielo ed ebbi la sensazione che con la coda avesse toccato la pista – una cosa impossibile! -, un’affermazione detta ad alta voce e criticata aspramente da mia madre.
Due voli che, al di là del contingente, rafforzarono in me la fiducia nelle macchine volanti. Insomma, grazie agli aeroplani avevo raggiunto posti lontani, fino allora visti sulle pagine dei libri o solo immaginati … se vi par poco!
Negli anni successivi ho continuato a volare, seppure in modo sporadico, ma in compenso ho divorato libri e riviste, ho costruito modelli di apparecchi militari, mantenendo così vivo in me questo interesse e riuscendo, grazie al modellismo, a crearmi una rete di amicizie, unite da una simile passione. Insomma un hobby aggregante, socializzante, a dispetto di tanti altri. Devo, invece, confessare che non ho mai tentato la strada dell’Accademia Militare Aeronautica, consapevole dei miei limiti umani ed emotivi che non mi avrebbero mai consentito di superare la selezione, i famosi tre giorni, che si svolgevano proprio nella caserma dove ho svolto il servizio militare come aviere a Vigna di Valle, sul lago di Bracciano, e dove si trova il Museo Storico dell’Aeronautica Militare.
Ultimo scalo, il 1995, l’anno della liberalizzazione del trasporto aereo in Italia. Si aprivano nuovi spazi e il trasporto aereo diventava un settore interessante sotto tutti gli aspetti, anche lavorativo. Mi sarebbe piaciuto tanto lavorare in una compagnia aerea, come addetto stampa, ho tentato più volte questa strada, e anche per questa ragione i miei interessi aeronautici hanno compiuto una correzione di rotta, abbandonando il settore militare a favore di quello civile. Non è stato così, le mie speranze hanno preso il volo senza di me. Pazienza. La passione per l’aeronautica è rimasta come un sano hobby e forse è stato un bene che sia andata così.
Ancora oggi, a cinquant’anni d’età, quando la mattina presto, disteso sul mio letto, avverto il rumore dei motori degli aeroplani (un fischio profondo di libertà), mi capita di sentire lo stomaco chiudersi a pugno … ma un attimo dopo mi calmo, me ne faccio una ragione.
Dopotutto, qualcosa (la passione per il volo), deve pur restare immutata perché tutto il resto possa cambiare serenamente.
E’ nato nel 1964 a Roma, dove vive con la moglie e due figli. Dopo la maturità classica ha intrapreso l’attività giornalistica, occupandosi di varie tematiche: dall’equitazione al turismo, dalla ristorazione ai trasporti. Attualmente lavora in una società di telefonia.
Nel 2004 ha pubblicato un libro di fantascienza/fantapolitica con la casa editrice Delos Books “Operazione Arca di Noè”, che ha ricevuto il 3° Premio Assoluto, sezione letteratura di Genere – Premio Internazionale “Anco Marzio” edizione 2005.
Nel 2006 ha contribuito all’organizzazione e gestione di un concorso di fantascienza NASF 2 “Utopia, Distopia ed Ucronia” organizzato dal sito web “Nuovi Autori.org”, concorso che si è concretizzato nella pubblicazione dell’omonimo libro. L’iniziativa è stata replicata nel 2007 con il terzo concorso NASF 3 “Robot vs Alien”.
Tra il 2005 e il 2011 ha pubblicato alcuni racconti di fantascienza sulla rivista Futuro Europa (“Elara Libri”, già “Perseo Libri”) e sulla rivista “IF”, edita dal Gruppo Editoriale Tabula Fati di Chieti.
Nel 2008 su “M – Rivista del mistero” è uscito un suo romanzo breve noir, “Doppio inganno”, mentre 2013 ha curato una raccolta di racconti noir “Le Vendicatrici” pubblicata dalla casa editrice Cut Up, di cui è anche autore di una storia.
Infine, nel 2014, ha pubblicato un racconto nell’antologia Matrix Anthology edita da Homo Scrivens e nel 2015 è uscito un altro racconto per l’edizione del decennale di NASF (Nuovi Autori di Science Fiction).
Per inviare impressioni, minaccie ed improperie all’autore:
Un racconto che spiega, attraverso significativi episodi, come la nasce la passione per l’aviazione civile e militare e questa rappresenti uno strumento di formazione umana e professionale.
Narrativa / Breve
Inedito; ha partecipato alla III edizione del Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole” – 2015; in esclusiva per “Voci di hangar”
Occorre dirlo chiaramente: in Italia, l’aviazione generale, sportiva e non, annovera una sparuta schiera di praticanti e/o sostenitori … figuriamoci il settore della letteratura aeronautica. Dunque come catalizzare l’attenzione dei potenziali autori e, soprattutto, di lettori acquirenti di volumi? … ma certo! … un concorso letterario.
Deve essere stata questa la lungimirante intuizione che ha indotto Valeria Napoleone nel voler organizzare nel 2009, sotto la bandiera della casa editrice di famiglia, l’IBN (Istituto Bibliografico Napoleone), la I edizione del concorso letterario Penna alata.
Ebbene, il volumetto oggetto della presente recensione contiene appunto i vincitori di quel lodevole concorso.
Valeria Napoleone, curatrice anche del volume, nella prefazione al libro confessa che:
“L’idea del concorso “Penna alata” è nata così per caso, in libreria, la nostra Aviolibri, divenuta un ritrovo di appassionati” e aggiunge: “[…] A questo punto, ho sentito quasi il dovere di trasformare questo salotto virtuale in qualcosa di cartaceo […]”.
Beh – replichiamo noi – l’intento è stato ampiamente raggiunto giacché i testi contenuti nel volume non lasciano adito a dubbi circa l’aspetto qualitativo nonché meritocratico. In “Bomba a bordo e altri racconti …” troverete 11 modi diversi di fare narrativa aeronautica, 11 storie diversissime per stile, ritmo e inventiva, oltre che per contenuti. Semmai l’unico obiettivo che non è stato centrato sono le dimensioni di questo libricino fin troppo “ino”. Possibile che non ci fossero altri testi degni di essere premiati e dunque pubblicati? Possibile che l’editore potesse concedersi un investimento economico pari a solo 106 pagine? E sia! … d’accordo, meglio di niente. Per stavolta la perdoniamo, anche in virtù delle belle foto presenti a commento dei testi che ritraggono i soggetti protagonisti dei testi medesimi.
Bomba a bordo – I edizione concorso letterario Penna Alata – La retrocopertina del volume che non si può dire certo prodigo di accattivanti dettagli e informazioni utili all’acquisto da parte di un poteziale acquirente.
Sempre nella prefazione, la visionaria Valeria Napoleone dichiara: “[…] tra i molti partecipanti, sia autori noti che alle prime armi, sono stati selezionati dalla Giuria quei racconti che, per vari motivi, sono sembrati più significativi” […].
Premesso che non ci è dato sapere da chi fosse composta la Giuria, né quali siano stati i nomi/testi dei molti partecipanti, certo è che, scorrendo i nomi degli autori premiati, non stupisce la presenza di penne alate assai note come quella di:
– Evandro Detti (autore di “Zingari del cielo” e del tuttora validissimo “Manuale di pilotaggio dell’aliante veleggiatore”),
o di:
– Gian Piero Milanetti (che ha firmato l’ottimo volume “Le Streghe della Notte”, dedicato alle vicende storiche delle aviatrici russe),
oppure di:
– Nicola Malizia (prolifico scrittore di monografie e di volumi dal notevolissimo valore storico),
e ancora del poliedrico:
– Michele Raffaele Gagliani (autore di innumerevoli pubblicazioni a carattere aeronautico) fino a giungere a quella di:
– Eugenio Vecchione (impagabile divulgatore delle sicurezza del volo e del fattore umano in aviazione).
A conferma della totale bontà dell’idea alla base del concorso, invece, viene da chiedersi se un autore perfettamente sconosciuto, tale Marco Forcina, avrebbe mai goduto dell’opportunità, al di fuori del concorso letterario Penna alata, di partecipare, vincere e vedersi pubblicati, ben tre racconti. Siamo di fronte ad un nuovo exploit letterario? Finalmente un nuovo virgulto della narrativa italiana si è svelato a noi? … vedremo!
Completano lo stormo degli autori: Marco Zuccadelli, pilota in erba a soli 17 anni (ma che poi le vicissitudini della vita hanno allontanato dall’aviazione) e l’unica gentildonna, Agnese Roda che scrive per diletto poesie e racconti (molto più vicina al mondo della musica e dell’arte in generale che all’aviazione).
Elencati gli autori non ci resta che passare in esame i racconti.
Ebbene il primo racconto è quello dal quale ha preso il titolo l’intera raccolta “Bomba a bordo”, proprio di quel Marco Forcina di cui sopra. La scelta è stata assai felice – aggiungiamo noi – perché si tratta di un racconto leggero, piacevole quasi confidenziale. Fin dall’inizio si avverte un alone sottilmente ironico che poi deflagra in un finale a sorpresa strappa sorriso – fenomeno assai raro per un racconto di aviazione -.
L’antefatto vede il comandante di un aereo di linea della compagnia di bandiera italiana che è intento nei controlli pre-volo sul piazzale dell’aeroporto di Amburgo. La collocazione temporale non è meglio definita ma, a naso, siamo all’incirca intorno alla fine degli anni ’70.
La noia della routine pervade la cabina pilotaggio finché il secondo pilota irrompe dichiarando che c’è un emergenza: una bomba a bordo!
Ovviamente non vi sveleremo il prosieguo della vicenda … possiamo solo aggiungere che il pragmatico pilota, più che altro preoccupato di aver speso inutilmente del tempo a recitare l’odiosa check list, disinnescherà la “bomba non bomba” mostrando quel genuino disincanto e pragmatismo tipico di noi italiani.
Per inciso, secondo la nota in calce al racconto, pare che si sia trattato di un episodio realmente accaduto. Mah … ci crediamo sulla fiducia.
Il secondo racconto, sempre a firma di Marco Forcina, ha per titolo: “Lasciami lassù” e, al contrario del primo, vi procurerà un senso di tristezza e, ai più sensibili, addirittura un moto di pianto – e non stiamo esagerando: a noi è accaduto -.
Il testo prende spunto da un episodio realmente verificatosi, in quanto documentato dal diretto protagonista, Charles Lindbergh (il primo trasvolatore oceanico in solitaria), nel suo libro autobiografico “We”, pubblicato nel 1928.
Attorno ad un semplice flash di Lindergh, l’autore ha creato una vicenda verosimile che vede quali protagonisti un’anziana balia asciutta di colore e il futuro trasvolatore. Al termine di una delle sue esibizioni in una sperduta località del Mississipi, l’Aquila solitaria (questo uno dei soprannomi di Lindbergh) verrà avvicinato dalla donna, provata da anni di fatiche e di soprusi, minata nel corpo e nell’anima, beh … cosa pensate che possa aver chiesto la vegliarda al bel pilota biondo, a colui che può salire in cielo a suo piacimento tra gli angeli bianchi? … a voi svelarlo.
“Là dove volano i cetrioli” è invece una fiaba mascherata da racconto. Una fiaba che, come tutte le quelle che si rispettino, si contraddistingue per il tipico testo destinato ai bambini, apparentemente, ma che in realtà, con la dovuta chiave di lettura, è diretto invece agli adulti, specie quegli adulti – come recita la nota finale dell’autore – che rivestono incarichi istituzionali in quegli enti locali desiderosi di dotare il proprio territorio di un aeroporto, possibilmente internazionale.
Anche in questo caso non vi vogliamo svelare il contenuto della fiaba bensì la sua morale. Proprio ad assessori comunali, consiglieri provinciali, amministratori regionali e politici non meglio identificati l’autore lancia il seguente monito: meglio avere un campo di cetrioli succosi e saporiti che un aeroporto deserto e inutile alla collettività.
E non aggiungiamo altro … se non l’autore del racconto che, qualora non l’abbiate intuito, è sempre quel Marco Forcina – ancora lui – che, con la sua terza composizione, dimostra di saper scrivere di tutto e con qualsiasi formula narrativa, dai contenuti strappalacrime a quelli giocosi ma sempre sorprendendo piacevolmente il lettore per originalità mista a buoni sentimenti.
Nell’antologia del concorso “Penna alata”, Evandro Detti è presente invece con due racconti: “I simboli perduti” e un “Merlo da marciapiede”.
Nel primo, il cronografo, la spilla con l’aquiletta dorata e tanti altri simboli tipici del mondo dell’aviazione, costituiscono il pretesto per l’autore per raccontare un po’ di sé e soprattutto di quel mondo che ha frequentato, attraversato in lungo e largo e che, nel corso degli anni, è mutato anche nei suoi simboli. Alcuni sono stati ormai tralasciati, altri ne sono stati acquisiti ma ciò che risulta invariato, pur con l’avvicendarsi delle generazioni di piloti, è il piacere puro ed unico del volo. Ebbene – senza possibilità di essere smentiti – questo piacere è rimasto inalterato e traspare nell’autore che, con tono fraterno ed una prosa semplice, ce ne rende partecipi.
Questo del buon Evandro non è dunque un vero e proprio racconto quanto piuttosto un rimuginare ricordi misti a considerazioni personali amalgamati in un testo molto scorrevole e piacevole che, per taluni aspetti, ha il sapore divulgativo del saggio. Osando un paragone … il nostro Detti potrebbe essere il Piero Angela del cielo, ossia un fine divulgatore di un mondo che rimane, nonostante tutto, assai distante dalla grande massa.
E’ più o meno sulla stessa lunghezza d’onda anche il secondo racconto di Detti che, pur essendo incentrato su un personaggio animale (un merlo che vive nell’albero di fronte all’abitazione dell’autore), è un ottimo testo divulgativo circa la fauna aerea che popola e spesso condivide il cielo con i piloti. Con la differenza – e questo l’autore ben lo sottolinea – che gli uccelli si trovano nel loro habit naturale mentre noi umani siamo solo ospiti.
Molti gli spunti di riflessione che scaturiscono da questo testo che, beninteso, non deve essere considerato un trattato di ornitologia … certo non stonerebbe affatto all’interno di riviste blasonate come l’illustre National Geographic o l’italianissimo Airone. Di sicuro la sua lettura colma quelle lacune di conoscenza che minano indifferentemente l’uomo della strada quanto i piloti più navigati. E di questo siamo riconoscenti al Detti.
Il sesto raccontonell’antologia del concorso “Penna alata” è: “L’aviere” di Marco Zuccadelli e ammettiamo che Valeria Napoleone non avrebbe potuto trovargli migliore collocazione giacché si tratta di un racconto di fantasia allo stato puro.
Il pretesto narrativo è costituito dal ritrovamento in un casolare del Monferrato del diario di un certo Marco Arcuri alla fine dell’agosto 2008 e dunque la vicenda si dipana secondo la cadenza delle registrazioni quotidiane tipiche di un diario.
Chiunque viva o abbia vissuto nella pianura Padana sa bene quanto possa essere torrida l’estate e dunque non si stupirà di leggere di “sudore che esce da tutti i pori” o di “pareti che grondano sudore” oppure di “aria che frigge”. Ciò che invece vi stupirà – e non poco – sarà la visione in cui incapperà il protagonista, prologo di un’allucinazione ben più articolata quanto sorprendente dall’esito già preannunciato.
Il testo si legge tutto d’un fiato perché la prosa ha un ritmo incalzante che ben si addice alla dinamica della trama … insomma un ottimo racconto tanto che quella di Marco Zuccadelli riteniamo essere una delle “penne” più promettenti del concorso Penna alata.
E bravo Zuccadelli!
Che il mondo del volo fosse contraddistinto da persone alquanto eccentriche … beh, non avevamo dubbio alcuno ma che il racconto di Michele Gagliani ce ne fornisca la conferma, non lo avremmo mai creduto.
“Un eremita alato” ci introduce già il suo protagonista: un ex allievo dell’autore soprannominato: “Mani d’oro” che ha scelto di vivere un esistenza fatta di un camper, un aeroplano e il volo.
La “penna alata” di Gagliani – qualora fosse necessario – si conferma validissima, basata su una prosa schietta, non incline ad alcuna forma retorica e che trae dalla realtà le fonti d’ispirazione, quasi fosse un reportage giornalistico.
Un racconto fin troppo breve, purtroppo.
Ha invece il taglio tipico del racconto storico la composizione di Nicola Malizia dal titolo: “Estate 1943” e sottotitolo: “Un atto di umana pietà per un pilota tedesco”.
Sulle capacità narrative dell’autore non avevamo dubbi e questo racconto sembra far parte di un libro di storia. Rimane il dubbio se la vicenda narrata sia realmente accaduta: se lo è stata, Malizia dà prova di grande narratore e se non lo è stata … pure, giacché, oltre a dare dimostrazione di essere un sapiente narratore, egli denota una notevole dose di fantasia.
La vicenda si snoda sulle montagne del casentino, nell’estate del ’43, in pieno conflitto mondiale. Nel corso di un combattimento aereo, in condizioni di forte inferiorità numerico, un giovanissimo pilota tedesco viene abbattuto e, seppure ferito, riesce a portare a terra il suo caccia crivellato di colpi. A quel punto non esistono più colori e nazionalità, c’è solo un uomo in pericolo di vita ed ecco da qui l’atto di grande umanità compiuto dai pastori italiani, intere famiglie di sfollati che lottano per la propria sopravvivenza e che pure hanno ancora la forza di un grande gesto.
E’ ambientato più o meno nello stesso periodo ma a migliaia di chilometri di distanza, ovverosia nei desolati e grigi cieli del fronte russo, il nono racconto di questa antologia. E’ intitolato: “La steppa” e l’autore è Gian Piero Milanetti.
Di questo racconto adrenalinico è davvero difficile fare un sunto … vi diremo solamente che è la videocronaca di un duello aereo tra un Macchi MC200 Saetta italiano e uno Yakovlev Yak-1 russo. Dunque isolatevi dal resto del mondo e prendetevi tre minuti tutti per voi … perché salirete a bordo del Macchi e vivrete questa esperienza indimenticabile in cui da cacciatore diverrete cacciato e di lì fino al finale a sorpresa.
Un racconto palpitante scritto in modo magistrale in cui Milanetti dà prova di grande capacità descrittiva, oltre che di storico. Davvero splendido.
Il racconto che qualunque appassionato di storia dell’ Aviazione militare vorrebbe leggere. Un mirabile esempio di narrativa aeronautica.
Molto più pacato nello svolgimento, seppure attraversato da una sottile e crescente tensione emotiva, è invece il racconto di Eugenio Vecchione dal titolo “L’Allocchio Bacchini” che ha per protagonista, appunto, il famigerato apparato radio frutto dell’italico ingegno e che è stato il mezzo di comunicazione di un’intera generazione di piloti da diporto i quali, per alcuni versi, hanno inaugurato una nuova categoria di velivoli dell’Aviazione Generale dotata – fa quasi tenerezza a dirlo – di apparati radio VHF per le comunicazioni bordo-bordo e bordo-terra. Una vera rivoluzione.
In realtà la composizione del buon Vecchione scivola tranquilla e quasi serena perché siamo in volo, assieme all’autore, a bordo di un bel Aermacchi MB308, confidenzialmente chiamato “Macchino”, per svolgere un raid, ossia un volo di trasferimento in solitaria dall’aeroporto del’Urbe di Roma fino a quello di Napoli – Capodichino che consentirà al pilota in erba di accedere all’esame del brevetto di secondo grado .
Un racconto piacevole, cronaca di un’esperienza importante per l’autore, all’epoca all’incirca diciottenne.
Ultimo, ma solo in ordine di impaginazione, il racconto di Agnese Roda intitolato: “Baracca”.
Un racconto blandamente aeronautico che vuol essere più che altro un’occasione di riflessione partendo da elementi legati al mondo aeronautico come il cavallino rampante, Lugo di Romagna e lo stesso “Asso degli Assi”.
Tutto nasce dall’incontro infantile con la statua di Baracca appunto, che adorna la piazza principale della cittadina di Lugo di Romagna e da qui partono le diversioni verso argomentazioni che, apparentemente, nulla hanno di aeronautico e che invece hanno contenuti autobiografici.
Un racconto breve, talvolta criptico, se vogliamo psicologico.
In definitiva si tratta di un’antologia che copre diversi gusti e generi dell’ambito narrativo e dunque lascia ben sperare in una II edizione cui – ci auguriamo – ai cinque autori della scuderia IBN – in quanto abitualmente editi da quell’editore -, vadano ad aggiungersene molti altri ugualmente talentuosi. Ciò affinché venga scongiurato il rischio che la prossima edizione del concorso rimanga pressoché “in famiglia” o quasi.
L‘incidente nel quale ha perso la vita Angelo D’Arrigo ha lasciato tutti senza respiro. A distanza di anni, era il 26 marzo 2006, il vuoto incolmabile è ancora presente nei cuori di chi lo aveva conosciuto ed anche in quello di chi, come me, non lo aveva neanche conosciuto.
La vita di Laura venne sconvolta il 26 Marzo 2006. Assai singolare la sua scelta – e quella dell’editore – di apparire nella sezione con le sue note biografiche in uno scatto in cui indossa gli occhiali
All’epoca, ricordo, avevo subito rivolto il pensiero verso la sua famiglia. Soprattutto pensavo a sua moglie, Laura Mancuso. Una donna che non conosco, ma della quale avevo conosciuto, attraverso la storia di Angelo, il coraggio senza fine con il quale si era opposta al destino ed era riuscita, lavorando senza sosta, a salvarlo dalla prigionia in Libia, dove ogni giorno poteva essere quello della sua esecuzione.
Lei aveva subito reagito, aveva sollevato il mondo, coinvolto gente importante, personaggi potenti. Attraverso di loro, idealmente, aveva esteso le sue mani oltremare, raggiunto suo marito nella squallida prigione dove era recluso, lo aveva afferrato, sollevato e riportato a casa.
Lei. Era stata lei a salvarlo.
Poi l’incidente. Una cosa assurda e irreversibile.
La retrocopertina del libro che è un tutt’uno con la copertina
Un giorno mi è capitato tra le mani il suo libro. “In volo senza confini” sembrava la continuazione dell’altro: “In volo sopra il mondo”.
Ho comprato il libro.
Le prime parole sono: Questo è il libro che non avrei mai voluto scrivere.
Né io avrei mai voluto recensire.
Ma anche questo libro va letto. Ed è un dovere morale averlo. Fa parte di una storia che deve vivere per l’eternità. Ricordare è l’unica cosa che possiamo fare, visto che indietro non si torna.
Ovviamente Laura comincia con il ricordo dell’incidente e di quello che è accaduto dopo.
Nella copertina una splendida foto di Angelo mentre spicca il volo assieme ai suoi Condor
Ma poi parla della sua storia, ovvero della stessa storia che conosciamo già, ma vista attraverso i suoi occhi. Parla dei falchi, dei voli, dell’imprinting degli uccelli con i quali Angelo compiva le sue imprese. Racconta i voli, quello sull’Everest del 24 maggio 2004.
La sinossi del libro che ne anticipa i contenuti: una storia di amore e di coraggio.
Poi riprende anche il discorso dei progetti che si erano interrotti e di come potrebbero essere continuati …
Laura parla della vita quotidiana, della vita familiare e di tante altre cose.
Ho letto questo libro. Quasi tutto. Anzi tutto, fino alla fine.
Però, devo ammettere che in parecchi punti ho dovuto, diciamo così … guardarlo.Ho dovuto scorrere con gli occhi, velocemente il testo, allo stesso modo di chi, a piedi nudi, dovesse camminare sulle braci. Veloce, per non scottarsi troppo.
Troppe volte viene fuori dalle pagine scritte la profonda ingiustizia che ha colpito questa straordinaria famiglia, questa donna eccezionale.