Tempest pilot



titolo: Tempest pilot

autore: Cornelius James Sheddan e Norman Franks

editore: Grub Street

ISBN: 9781906502959

ePUB ISBN: 9781909166561

anno di pubblicazione: 1993

Prefazione a cura di: “Johnnie” Johnson (Air Vice Marshall)

Seconda prefazione a cura di: Johnny Iremonger (Group captain OC 486 – New Zeland – Squadron nel 1944)



Qui in Italia siamo abituati a pensare alla Seconda Guerra Mondiale come ad un conflitto fra Germania e Gran Bretagna. Si sa che erano coinvolte altre nazioni, come la Russia e il Giappone. E, ovviamente il resto dell’Europa. Solo in un secondo tempo vennero coinvolti gli Stati Uniti d’America.

Il progetto dell’Hawker Tempest
Il progetto dell’Hawker Tempest nacque marzo 1940 sul tavolo da disegno di sir Sydney Camm e del suo gruppo di lavoro come naturale evoluzione migliorativa dell’Hawker Typhoon (all’epoca in serie difficoltà di sviluppo). L’ingegnere aeronautico dell’azienda britannica aveva già ideato il ben più famoso Hurricane che, assieme al Supermarine Spitfire, sono considerati universalmente, gli aeroplani britannici più celebri della II Guerra Mondiale, forse eguagliati solo dal Tempest. Qui ritratti i velivoli in perfetta formazione a scalare intenti a effettuare una missione a lungo raggio (notare i serbatoi supplementari dalla riuscita forma aerodinamica “a goccia”) – Foto proveniente da www.flick.com

 

Nelle scuole non si tratta questo argomento con sufficiente cura, come purtroppo accade anche per altri argomenti. Infatti, basterebbe fare quattro domande ad un certo numero di persone e avremmo conferma di quanto poco si sappia di Storia in questo Paese.

Peccato.

Anche quando si parli in maniera approfondita della Seconda Guerra Mondiale, difficilmente si arriverebbe a prendere in considerazione il coinvolgimento di nazioni come la Cecoslovacchia, la Romania, ecc.

Figuriamoci se emergono nomi come Australia e Nuova Zelanda.

Ma il conflitto era mondiale. Tutti erano coinvolti, anche se c’erano paesi neutrali, come la Spagna e la Svizzera.

La somiglianza del Tempest con lo Spitfire
Il Tempest, in effetti, condivideva con lo Spitfire la forma a pianta ellittica dell’ala, chiaro segno di una contaminazione della matita del suo ideatore che, noto nell’ambiente aeronautico per il suo tagliente umorismo, ammise: “Lo staff della RAF non avrebbe voluto acquistare niente che non somigliasse a uno Spitfire” . – Foto proveniente da www.flick.com

Quando ho cominciato a leggere “Tempest pilot” conoscevo già le vicende che riguardavano Johnnie Johnson, quello che ha scritto la prima prefazione di questo libro.

Nel proseguire la lettura mi sono però trovato parecchio spiazzato da qualcosa di nuovo, mai incontrato prima.
Intanto ho capito che qui si parlava di un gruppo di piloti che erano basati in Inghilterra, ma non erano né britannici né statunitensi.
Erano Neozelandesi.

Inoltre, sin dalle prime pagine avevo avuto una notevole difficoltà a leggere il testo, scritto in inglese, ma con frasi talmente inusuali, a volte così ermetiche, da farmi persino dubitare che fosse inglese davvero.

Il libro comincia, come quasi tutti gli altri libri scritti da piloti, dalla prima esperienza di volo. E comunque dall’infanzia. E questo non fa eccezione. Solo che qui l’autore, dopo aver detto di essere cresciuto in una fattoria, in una famiglia di sei figli e amorevoli genitori, precisa subito che il luogo si trovava in una remota area della Nuova Zelanda …

“L’avversario più pericoloso del Messerschmitt Me 262 era il British Hawker Tempest: estremamente veloce a basse altitudini, altamente manovrabile e armato fino ai denti.”

(Hubert Lange, pilota Me262)

Ah, ecco! Questo particolare spiegherà, più avanti, il motivo per cui l’inglese del testo appare tanto arcano e insolito. Avevo già sperimentato una stranezza del genere in Canada, dove il francese parlato da quelle parti era altrettanto arcano e insolito. Infatti, spesso preferivo usare l’inglese.

Non che non ci si capisse, ma … venivo dagli Stati Uniti e dopo poche frasi in francese, con la mia evidente pronuncia italiana e il loro idioma antico, mi usciva automaticamente qualche frase in inglese.

L'Hawker Tempest V è riconoscibile tra i mille velivoli della sua epoca per la caratteristica  presa d'aria del radiatore  dell'olio motore denominata affettuosamente: "a mento". Questo scatto, che ritrae frontalmente un'esemplare conservato in un museo dell'aria (in posizione appesa), esalta  la peculiarità in questione. Gli Hawker Tempest furono gettati nella mischia verso la fine della II Guerra Mondiale con lo scopo di attaccare le linee di collegamento e di rifornimento nemiche, ossia la specialità che oggi chiameremmo “attacco al suolo” ma dimostrarono in diverse occasioni di avere la capacità di tenere testa ai caccia tedeschi anche nel combattimento manovrato o “dogfight”.  Inoltre la storia dell’aviazione annovera i Tempest come ottimi velivoli intercettori delle “bombe volanti” le V1, i primi missili da crociera mai costruiti, costituendo il primo anello di difesa del sud dell’Inghilterra. - Foto proveniente da www.flick.com
L’Hawker Tempest V è riconoscibile tra i mille velivoli della sua epoca per la caratteristica presa d’aria del radiatore dell’olio motore denominata affettuosamente: “a mento”. Questo scatto, che ritrae frontalmente un esemplare conservato in un museo dell’aria (in posizione appesa), esalta la peculiarità in questione.
Gli Hawker Tempest furono gettati nella mischia verso la fine della II Guerra Mondiale con lo scopo di attaccare le linee di collegamento e di rifornimento nemiche, ossia la specialità che oggi chiameremmo “attacco al suolo” ma dimostrarono in diverse occasioni di avere la capacità di tenere testa ai caccia tedeschi anche nel combattimento manovrato o “dogfight”.
 Inoltre la storia dell’aviazione annovera i Tempest come ottimi velivoli intercettori delle “bombe volanti” le V1, i primi missili da crociera mai costruiti, costituendo il primo anello di difesa del sud dell’Inghilterra.

– Foto proveniente da www.flick.com

Così si continuava in inglese. Per loro era lo stesso.

L’autore, Sheddan, parla subito della scuola di volo in Nuova Zelanda. L’aereo era un Tiger Moth.

Dopo la scuola basica in Nuova Zelanda, Sheddan andò in Canada a continuare la scuola e qui l’aereo utilizzato era il “T6 Texan, un aereo che ha dato le ali a generazioni di piloti.

 

Dopo un addestramento adeguato sul T6 si poteva passare abbastanza agevolmente ad altri aerei più performanti, come gli Hurricane, gli Spitfire e perfino i Typhoon e, appunto, i Tempest, che erano un’ evoluzione del Typhoon.

Forse pochi sanno che il Canada ha sempre avuto eccellenti scuole di volo, dalle quali uscivano piloti talmente ben addestrati, specialmente nel volo strumentale, da essere nettamente al di sopra della media degli altri piloti.

 

Un Tempest in Florida
Del Tempest esistono ben sei varianti principali (le famose “Mark”) per un totale di circa 1700 esemplari costruiti, tuttavia la versione più facilmente riconoscibile – e dunque più famosa – è la Mark V caratterizzata dalla particolarissima presa d’aria; quello ritratto nell’immagine è invece un Tempest Mark II che, stranezza della numerazione delle versioni, apparve cronologicamente ben dopo la Mark V. Si trova oggi conservato nel Florida Air Museum, in Florida (USA) – Foto proveniente da www.flick.com

In Canada, ad esempio, l’addestramento al volo cieco veniva eseguito dall’allievo dal sedile posteriore, chiuso da una tendina in modo che non potesse vedere fuori, mentre l’istruttore stava davanti e vedeva tutto.
In questo modo si svolgeva tutto il programma di volo, acrobazia compresa.

E anche la vite.

L‘istruttore metteva in vite l’aereo e l’allievo, solo con gli strumenti del cruscotto, doveva uscirne.

I piloti addestrati in Canada si trovavano molto avvantaggiati in un clima come quello inglese, o nord-europeo in genere, nella foschia densa, dentro le nuvole e nella pioggia, condizioni tipiche e quasi una costante in Gran Bretagna, specialmente in inverno.

Di questi esempi ce ne sono moltissimi in tutto il libro.

Già dal secondo capitolo, intitolato “England“, troviamo ampie descrizioni di queste giornate uggiose.

Nei primi capitoli ho riscontrato un’altra stranezza. Avevo la netta impressione di avere già letto esattamente gli stessi avvenimenti. Una cosa del genere capita quando si leggono tanti libri scritti da piloti diversi ma che raccontano la stessa guerra aerea.

Splendida immagine di una pattuglia di tempest Mark V. Non osiamo pensare quanto fosse vicino il velivolo in primo piano rispetto a quello da cui i plota ha scattato la foto: qualche metro? … facciamo una manciata di centimetri! … o piedi? Alcune settimane dopo l’operazione Overload (lo sbarco alleato in Normandia), i tedeschi presero a bersagliare Londra e il sud dell’Inghilterra con le “Vergeltungswaffen” (armi di rappresaglia), ossia le famigerate V1. Il nuovo ordigno senza pilota divenne presto l’incubo dell’Air Defense of Great Britain in quanto, decollando incessantemente dalle rampe di lancio sulla costa francese, le V1 cominciarono a fioccare oltremanica in numero sempre crescente. La RAF aveva quasi il dominio incontrastato nei cieli britannici … ma le “bombe volanti” (antesignane dei moderni missili da criociera) non avevano certo velleità di rientrare alla base, semplicemente perchè erano  senza pilota, appunto, ed erano a pedere … Le missioni dei Tempest furono allora convertite cosicché i potenti velivoli della Hawker divenissero la punta di diamante del sistema di intercettazione, affiancati in verità, anche dagli Spitfire, Mustang e Mosquito. Così, tra il 13 giugno ed il 5 settembre del 1944, ai piloti dei Tempest che facevano base nell’aeroporto di Newchurch nel Kent, furono attribuite più di un terzo di tutte le “bombe volanti” abbattute dalla RAF per un totale di circa 638 abbattimenti (altre fonti sostengono numeri diversi tuttavia l’ordine di grandezza rimane inalterato). Appartiene a questo tipo di missioni, peraltro avvolta nel mito, la vicenda di un pilota (di Tempest?) che, avendo già terminato i proiettili per abbattere alcune V1, rincorse l’ultima e ne deviò la traiettoria mortale mentre ormai sorvolava l’isola britannica e minacciava di colpire Londra. Come fece? … appoggiò l’estremità alare del suo velivolo sull’ala della V1 deviandone la traiettoria. Insomma; un tamponamento a fin di bene! – Foto proveniente da www.flick.com

 

Poi mi sono accorto che c’era un libro in particolare dove erano state raccolte parti di altri libri, compreso questo. Si tratta di; “Raise against Eagles“, che ho letto solo a metà e devo ancora finirlo.

Ma le vicende di quegli anni, sempre le stesse per tutti coloro che le hanno vissute e raccontate, sono quelle che ho letto anche nel libro di Pierre Clostermann, di Johnnie Johnson, di Chuck Yeager e di Anderson.

Davvero ho la netta impressione di averle vissute io stesso, quelle vicende.

Il contenuto dei capitoli fa sentire il lettore come se fosse davvero lì.

E a questo proposito vorrei riportare un’altra caratteristica particolare di questo libro, anche se un po’ difficile da presentare in maniera adeguata, senza il rischio di urtare la sensibilità di chi leggerà questa recensione.

Un Hawker Tempest Mk V del 501mo Squadron nella piazzola decentrata dell’aeroporto della RAF a Bradwell Bay, in Essex. Splendida foto a colori scattata nell’ottobre 1944. A titolo di informazione tecnico/storica riportiamo i dati relativi alla versione Mark V del Tempest. Velocità max: 702 km/h alla quota di circa 5’600 m; velocità di salita: 24 m/sec, tangenza massima: 11’100 m; armamento: 4 cannoncini Mark II Hispano calibro 20 mm (con 150 colpi per arma), 2 bombe da 230 kg o una da 450 kg, 8 razzi RP-3 da 76 mm). – Foto proveniente da www.flick.com

La natura neozelandese dell’autore non ha remore nel descrivere scene scabrose tipiche del periodo e forse anche dei luoghi e forse di ogni teatro di guerra, anche se, secondo me, in tempo di pace succede la stessa cosa. Nessuno prende l’iniziativa di riportare certe faccende su un libro. Si preferisce ometterle, oppure semplicemente accennarle, lasciarle vagamente sottintese.

Lui no. Lui le descrive con tutti i particolari del caso, anche se l’inglese neozelandese è più difficile da capire e le frasi idiomatiche che usa costringono ad uno sforzo ulteriore.

Alla fine, però, è tutto chiaro.

Si tratta delle ubriacature sistematiche di ogni giornata nella quale non si è di servizio, o delle feste, ovunque queste avessero luogo, anche a casa di ospiti illustri, delle conseguenze successive e degli incidenti di automobile nella fase di rientro alla base e così via.

Questa è una di quelle fotografie che, inevitabilmente, vengono consegnate alle pagine di storia della II Guerra Mondiale. Si tratta dell famoso stormo neozelandese al completo, il 486mo Squadron RNZAF (o Royal New Zealand Air Force) di cui fu membro l’autore del libro e, dal maggio all’ottobre 1945, addirittura comandante. In particolare, egli fu l’ultimo dei suoi comandanti: lo Squadron fu infatti sciolto il 12 ottobre 1945 presso l’aeroporto di Dunsford, in Inghilterra; era stato ufficialmente formato il 7 marzo 1942 presso l’aeroporto di Kirton in Linsday, nel Lincolnshir. In questo arco di tempo, il 486mo Stormo volò effettuando oltre 11.000 sortite, rivendicando l’abbattimento di 81 aerei nemici, (e tra questi due dei famossisimi jet Messerschmitt 262) nonchè la ragguardevole mole di 2231 esemplari di V-1 “bombe volanti”, oltre a 323 veicoli a motore, 14 motori ferroviari e ben16 navi. Niente male per dei neozelandesi! Lo scatto è stato fornito da Ian Calderwood che annota come, per qualche motivo, il padre fosse da qualche altra parte dell’aeroporto quando tutto lo stormo si mise in posa. Per chi volesse saperne di più a proposito, esiste anche una pagina Facebook dedicata al 486 Squadron RNZAF . – Foto proveniente da www.flick.com

 

Chi è ubriaco deve spesso espletare altre funzioni fisiologiche e allora viene descritto il modo in cui queste venivano espletate, nelle scarpe, oppure dalla finestra, anche quando sotto di essa si trova qualcuno steso a smaltire la propria sbornia.

Ma questo non è ancora il peggio.

Perché viene descritto, in maniera altrettanto cruda ed esplicita, anche come si muore.

Ci sono moltissime descrizioni di mitragliamenti di obiettivi al suolo. Un Typhoon scende a mitragliare un treno, gli sparano, cade in pochi istanti, esplode e fine della storia.

Tizio non rientra dalla missione. Punto.

Questo splendido scatto ritrae un Hawker Tempest MkV che divenne famoso in quanto, con ai comandi quattro diversi piloti, ebbe la meglio su tre Bf109 e un Fw 190. Il velivolo britannico apparteneva al 80mo squdron di stanza a Volkel. L’aspetto peculiare che rese il Tempest uno degli aeroplani con motori alternativo tra i più veloci dei belligeranti della II Guerra Mondiale fu l’adozione di una geniale ala con profilo a flusso laminare, sebbene a pianta ellittica, tanto cara ai britannici. Era tecnicamente lo stesso profilo laminare che lo studio di progettazione della North American Aviation adottò per il proprio velivolo da caccia: il famosissimo P-51 Mustang. E sappiamo con quali risultati. Ricordiamo infine che il Tempest Mark V, equipaggiato di un motore tipo Napier Sabre IIB (con 24 cilindri disposti a “H” ed eroganti quasi 2200 cv), toccava la ragguardevole velocità di 700 km/h. Oggi lo chiameremmo “intercettore”., – Foto proveniente da www.flick.com

Tutti hanno sentito parlare del famoso caccia inglese Spitfire. Anche l’Hurricane è conosciuto, come l’americano P 51, il tedesco Messerschmitt o il FW 109.

Pochi conoscono il Typhoon e il Tempest.

Ho scoperto in questo libro che il Typhoon, caratterizzato da un’ala spessa e da una grande presa d’aria sotto il muso, era molto pericoloso in caso di ammaraggio. Nessuno si era mai salvato da un evento simile.

Sheddan fu costretto ad ammarare e fu il primo a salvarsi, sebbene a costo di ferite al corpo e al viso. Poi rimase tante ore in mare, prima di essere salvato.

Il Tempest aveva l’ala diversa, molto più sottile. Per ragioni dinamiche il Tempest ammarava molto meglio.

Nonostante Pierre Clostermann, nel suo libro “La grande giostra“, parli abbondantemente delle differenza fra i due aerei, sui quali anche lui aveva fatto la guerra, tante caratteristiche non erano emerse.

Sheddan ne rivela molte altre e questo è davvero interessante per un appassionato di cose aeronautiche in generale e di guerra aerea in particolare.

Ma non fu l’unico incidente. Ce ne sono diversi, narrati nel libro.

Uno in particolare, molto grave, avvenuto in Danimarca quando la guerra era già finita, era stato descritto anche da Pierre Clostermann, proprio a conclusione del suo libro.

Sheddan descrive questo incidente, poi aggiunge ben poco. La guerra è finita e tutti tornano ai loro paesi di origine.

Voglio aggiungere un altro episodio, che mi ha lasciato interdetto, ma che forse non è neppure tanto inusuale come potrebbe sembrare.

Questo ufficiale ha dimostrato la massima qualità nell’esecuzione del suo dovere. Ha partecipato a un numero molto elevato di missioni di un’ampia varietà di tipi durante le quali ha causato danni significativi a obiettivi come locomotive, chiatte, veicoli o infrastrutture industriali.

Durante un volo sopra la Francia, l’ufficiale di volo Sheddan fu costretto ad atterrare in mare con il suo aereo danneggiato. Ha quindi dovuto aspettare 19 ore nel suo gommone prima di essere salvato. Al suo ritorno in operazione, Sheddan ha dimostrato rapidamente che questa esperienza non aveva in alcun modo influenzato la sua determinazione a combattere e rimane un esempio di coraggio e spirito combattivo. Tra i suoi successi c’è la distruzione di tre aerei nemici in combattimento aereo.

Tornato in Nuova Zelanda, un gruppo di piloti vengono a sapere che uno di loro ha un ristorante in un certo luogo e pensano di andare a fargli visita.

Dopo tutte le vicende vissute insieme in guerra è lecito credere che sarà una rimpatriata, con successiva grande festa eccetera.

La forza armata indiana e quella pakistana furono le ultime a utilizzarli fino al 1953 sebbene dall’intuizione progettuale che era stata la base del Tempest, l’ing Sydney Camm prese ampiamente spunto per disegnare un altro velivolo davvero notevole: il Sea Fury, l’ultimo aereo da combattimento con motore a pistoni impiegato dalla Fleet Air Arm e, probabilmente, il più veloce aereo con motore a pistoni mai prodotto in serie. Il Tempest rimane tuttavia il velivolo più “maschio” della famiglia Camm. I velivoli al parcheggio appartengono proprio al 486mo Stormo della Royal New Zealand Air Force di “Jimmy” Sheddan. Sono faclmente riconoscibili dalla sigla “SA” applicate sulla fiancata della fusoliera. – Foto proveniente da www.flick.com

Ma quando si presentano al loro amico, dopo il primo approccio, lui si distacca dalla compagnia e si allontana, preso dalle proprie faccende. Come se avesse dimenticato il passato e contasse solo il presente e i propri affari.

Come ho detto, questo è un libro diverso.

La lingua è l’inglese, ma diverso.

Le vicende di guerra sono le stesse, ma riportate in maniera diversa.

Diversi Hawker Tempest sono sopravvissuti alla II Guerra Mondiale e, come questo esemplare conservato a Caen, all’interno del War Memorial, fanno bella mostra di sè a beneficio delle giovani generazioni. Si tratta di un Mark V equipaggiato con il classico amamento da attacco al suolo e, ancora oggi, incute un certo timore. Figuriamoci all’epoca vederselo passare sopra la testa o incrociandolo in volo col rischio di un “dogfight”. – Foto proveniente da www.flick.com

Gli aerei sono gli stessi, ma presentati in una diversa maniera, molto più completa.

Le persone sono le stesse, ma anche di queste si scopre molto di più.

Anche il teatro di guerra è lo stesso. Noi lo conosciamo bene, non solo per aver letto le descrizioni di piloti europei o americani. Lo conosciamo perché è il nostro ambiente. Noi ci viviamo.

Tuttavia, il nostro ambiente europeo, visto dagli occhi di un neozelandese, in parecchie descrizioni del libro, appare diverso.

 

 

Recensione a cura di Evandro A. Detti (Brutus Flyer)

Didascalie a cura della redazione di VOCI DI HANGAR

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