titolo: Dove il tempo non era mai stato
autore: Hugo Christensen
editore: Logisma
anno di pubblicazione: 2016
ISBN: 978-88-97530-74-9
I libri sono come piccoli scrigni. Ce ne sono alcuni apparentemente modesti che custodiscono invece degli splendidi diamanti come pure esistono quelli molto prestigiosi che, solo una volta aperti, svelano alla vista della semplice bigiotteria. E pure di qualità scadente.
Dove il tempo non era mai stato, il romanzo di esordio di Hugo Christensen pubblicato nell’estate 2016 dall’editore Logisma, rientra nella logica del forziere piccolo e onesto. Piccolo perché è composto di sole 325 pagine e onesto perché, apparentemente, si mostra come un portagioielli tutt’altro che appariscente. L’immagine di un sottomarino in emersione rapida con una vistosa stella rossa dipinta sulla torretta, il mare in tempesta e una forte luminescenza in cielo che non può essere confusa con la Luna, costituiscono infatti un valido rivestimento esterno di questo forziere – ma nulla di più -. Per inciso, si tratta della piacevole copertina che ritrae l’opera pittorica realizzata dall’artista Allan O’Mill cui si aggiunge – ma è una nostra congettura – anche l’immagine della IV di copertina con una barca a vela in navigazione sotto un cielo notturno a dir poco fantasmagorico.
Ad ogni modo, è solo scorrendo la nota dell’autore e poi il prologo di questo libro, che comincerà a svelarsi ai nostri occhi il vero contenuto di questo forziere: un grazioso diamante. Magari non del tutto formato, magari un po’ irregolare … ma pur sempre delizioso.
Proseguendo poi la lettura, pagina dopo pagina, nascerà in noi la consapevolezza che, quello che abbiamo sotto lo sguardo, a osservarlo bene, non è un singolo diamante bensì una quaterna di diamanti più piccoli che si confondono in un tutt’uno. Il volume si articola infatti in quattro diversi flussi narrativi che si sviluppano, si avvolgono e si attorcigliano tra di loro fino a formare, nelle ultimissime pagine, il flusso primario del testo. Quello stesso filo conduttore che, in modo molto flebile, unisce il titolo e tutti i capitoli.
Come sapientemente sintetizzato nella sinossi della IV di copertina, le vicende narrate vedono muoversi i vari protagonisti nientemeno che in tutte e tre le dimensioni: spazio, terra e mare. In quest’ultimo caso, addirittura sia “sul” che “sotto” il mare. E non solo – aggiungiamo noi – perché c’è poi la dimensione temporale. Già perché uno dei flussi narrativi prende avvio in piena II Guerra Mondiale mentre gli altri tre potrebbero essere associati ad un recentissimo passato o, volendo, addirittura alla contemporaneità.
Per comprendere poi il pretesto sul quale l’autore ha costruito il romanzo … rimandiamo sempre alla stessa sinossi; ci preme invece spendere qualche parola in più circa i quattro flussi narrativi di cui dicevamo.
Ebbene, in ordine rigorosamente di apparizione, il primo flusso, quello quantitativamente più corposo, lo definiremo “subacqueo”.
Come lascia bene intuire il termine e come anticipa la copertina, il protagonista indiscusso è il Ryklys (tradotto letteralmente dal lituano: squalo), formidabile sottomarino della Voenno-Morskoj Flot SSSR (Marina Militare dell’URSS) di base a Murmansk. E, ovviamente, il comandante di questa unità di eccellenza: il Capitano di Vascello Yuri Ivanov.
Gli fanno poi da contorno gli uomini del suo equipaggio tra cui spiccano: il monoculare nostromo Palin, il marinaio Skunkas (letteralmente Puzzola) dalla vista aquilina, l’operatore sonar Mirko Mikoyan soprannominato “il grande orecchio” e, non ultimo, il commissario politico Boris Kozlov che, suo malgrado, veste il ruolo immancabile dello spione ottuso.
Cosa accade in questo primo flusso? Ebbene, senza svelarvi troppi dettagli, vi anticiperemo che: la II Guerra Mondiale è terminata da appena qualche anno; il Ryklys sta facendo il rientro trionfale a Murmansk dopo una difficile missione che lo ha lo visto navigare – non senza difficoltà – sotto la banchisa polare. Neanche il tempo di scendere a terra ed ecco che il capitano Ivanov viene prelevato dagli agenti della polizia politica e condotto al cospetto del braccio destro di Stalin: il famigerato e temutissimo compagno Beria. Da par suo, il capitano Ivanov, veterano di mille battaglie e per nulla impaurito dall’aureola di terrore che aleggia attorno a Beria, accetterà di buon grado la nuova missione, segretissima e ben più difficile della precedente il cui esito potrebbe cambiare il futuro del paese nonché ridisegnare gli equilibri internazionali negli anni a venire.
Un’avventura in cui il capitano dovrà dare fondo a tutte le sue capacità, di marinaio esperto e di stratega fantasioso, mettendo a dura prova la lealtà dei suoi uomini e le doti tecniche del suo eccellente battello.
Tornando invece a parlare di flussi, a quello subacqueo si aggiunge il flusso acquatico ma di superficie.
Anche in questo flusso, molto corposo in termini quantitativi, sono gli equipaggi a farla da padroni. Stavolta si tratta dei membri di ben due equipaggi – uomini e donne -, delle barche a vela oceaniche che portano il nome di: Golfinho e Savannah.
Ovviamente, anche in questo filone spiccano i due capobarca: Malcom Ranieri, affascinante skipper di successo che corrisponde perfettamente all’immagine stereotipata del “lupo di mare”, e la mascolina Tina Gaillard, bretone vigorosa eppure dal cuore tenero.
Le loro tormentate vicende prendono avvio quando Malcom e il suo amico di vecchia data, Tobia, si ritrovano a Porto Cervo, in Sardegna, nella sede del prestigioso Yacth Club Costa Smeralda. Si è appena conclusa la cerimonia di premiazione di una difficile regata in cui Malcom è stato incoronato quale vincitore. E’ lui la persona giusta – ritiene Tobia – per far compiere al Club un salto di qualità: la traversata atlantica in barca a vela, da Gibilterra via Canarie fino alle Azzorre e ritorno.
Sembra cosa fatta quando Tobia, colpito da un grave malore, dovrà cedere il posto all’unica skipper che può sostituirlo: la muscolare Tina … e allora sì che ne leggeremo delle belle!
E’ invece assolutamente extra-atmosferico, anzi – diremmo -, proprio spaziale, il terzo flusso narrativo. Anche in questo caso è sempre un altro equipaggio, ma stavolta quello della ISS (la Stazione Spaziale Internazionale) in orbita a 400 km dalla superficie terrestre, a occupare un po’ di pagine di avventure. O disavventure? … a voi il giudizio.
In quell’ambiente assai ristretto, ovviamente, non c’è da aspettarsi un gran numero di occupanti ma, tra loro, i protagonisti indiscussi sono: il comandante della missione, lo statunitense Brad Callagher e soprattutto l’affascinante astrofisica nonché cosmonauta (attenzione!… non astronauta) Iryna Alessandrovna, di evidente provenienza sovietica.
In questo filone le sorprese non mancheranno anche se – perdonerete il gioco di parole – nello spazio, gli spazi sono limitati e dunque non aspettatevi una grande dinamicità della trama. Ad ogni modo non mancheranno le sorprese e le vicende rocambolesche.
Che il cosmo sia un luogo ostile eppure di incommensurabile bellezza è cosa nota, che la Terra sia un pianeta unico … beh, l’autore del romanzo ce lo ricorda attraverso gli occhi dei suoi astronauti e cosmonauta. Nello specifico, diventa un punto di osservazione privilegiato dello strano fenomeno luminoso di cui parlavamo a proposito della copertina e dunque anche l’avamposto umano più “esposto”.
Infine il quarto flusso che, con un’ambientazione prettamente terricola, è quello più frammentato e anche più denso di personaggi. Per questo motivo ci troveremo catapultati, per esempio, a Bruxelles nella sede europea della Nato o al cosmodromo di Bajkonur, passando per la Casa Bianca a Washington – USA, finendo addirittura in uno talk-show televisivo in terra svizzera. Avremo modo di conoscere il Comandante Supremo delle Potenze Alleate in Europa, generale William Braddock, o il vegliardo direttore dell’osservatorio di Arecibo. Ma non temete perché avrete anche l’occasione di scorrazzare – si fa per dire – per i cieli di mezzo mondo a bordo del mastodontico quadrigetto C-5 Galaxie per un volo rischiosissimo dalla base di Vandenberg in California – USA, fino a Wheeler nell’isola di O’Hau – Hawaii. Ah, per inciso, con a bordo la più temibile bomba termonucleare mai costruita dall’umanità.
Quanto al tema di questo flusso, beh … potremmo confidarvi solo l’antefatto: la politica internazionale è in fermento, gli apparati militari in allarme, la comunità scientifica mondiale si interroga circa lo strano evento che si è manifestato nella costellazione di Orione. Si tratta di una strana luminescenza che è apparsa dal nulla e sembra avvicinarsi inesorabilmente alla Terra. Che si tratti di Nibiru, il fantomatico pianeta che ciclicamente appare nel Sistema Solare? Di alieni ostili? Di un banale fenomeno naturale? O c’è qualcosa di senziente che si nasconde dentro a quella nube anomala? … lo scoprirete solo leggendo!
Lo ammettiamo: così sintetizzata, l’idea narrativa di questo romanzo sembra un guazzabuglio di eventi scollegati, di personaggi che nulla hanno in comune se non costituire un vero e proprio rompicapo per il potenziale lettore. Ma non dubitate: proprio questo è il gioco – perverso, non c’è che dire – cui ricorre l’autore per tenerci incollati al volume, pagina dopo pagina, fino all’epilogo. Epilogo che, ovviamente, non potremo svelarvi. Neanche sotto tortura.
E nel gestire questa perversione – occorre ammetterlo – Hugo Christensen ci fornisce prova di grande abilità. Perché non è assolutamente facile né scontato unire l’azione al sentimento, l’avventura allo stato puro con i momenti di tenerezza, le imprese audaci (in cui la sopravvivenza dei personaggi è appesa a un filo) agli incontri carnali che, inevitabilmente, uniranno i vari protagonisti … ebbene in questo romanzo l’amalgama è perfetta e nulla è scontato.
La narrazione fila via liscia liscia che è uno splendore. Anzi, benché alcuni momenti di pausa concedano un po’ di respiro ad un ritmo incalzante, ci si ritrova facilmente in fondo al libro con l’unico rammarico che sia già terminato.
La trama non è affatto prevedibile né scontata mentre l’intreccio è – come dire? – davvero molto intrecciato. Forse troppo.
Fortunatamente capitoli e flussi narrativi sono contrassegnati. Ora, non ci è dato sapere se si sia trattata di una scelta dell’autore per scopi umanitari o un espediente strategico dell’editore … certo è che, fornire la collocazione geografica e una telegrafica anteprima di quanto leggeremo, costituisce un ausilio fondamentale per il lettore. Quel povero e spaurito lettore che, diversamente, risulterebbe disorientato dal frequente cambio di scenario. Sarà stato un caso … ma noi non ci siamo mai persi!
I personaggi di questo romanzo sono numerosissimi, molti marginali, alcuni fondamentali nel respiro generale delle vicende narrate. La connotazione che l’autore ha cucito loro addosso è spesso sintetica, forse troppo essenziale. Così facendo, l’immagine che si crea nella mente dei lettori è più legata alle loro azioni che non a una lunga e noiosa descrizione fisica o interiore.
La maggior parte di personaggi ha comunque una caratterizzazione originale e credibile anche se – occorre ammetterlo – sono numerosi gli uomini duri, belli e intelligenti. Forse troppi. Ecco perché sarà praticamente impossibile non identificarsi almeno nel capitano Ivanov o nel pilota istruttore Andrej Eltsin. Ma questa – lo ammetterete anche voi – è proprio la magia della finzione narrativa, non trovate? Chi non è stato mai Sandokan, la Tigre della Malesia, o Tremal-Naik, re della jungla nera infestata dai Tugs? … appunto!
In verità, alcuni personaggi come Marione o come la coppia Gruber/Skunkas, avrebbero meritato più respiro. E magari il romanzo ne avrebbe giovato in leggerezza. La loro componente è infatti tragicomica, quasi grottesca, ispira simpatia. E se Marione fosse stato più sguaiato, magari con la battuta dialettale – compresa qualche parolaccia – anche se un po’ gretta … beh, lo avremmo apprezzato ancor di più. Non perché avrebbe confermato lo stereotipo del metalmeccanico ignorante e rude, no, quanto perché avrebbe conferito una connotazione più realistica ad un romanzo pieno di primedonne e di superuomini perfettini.
I due marinai del Ryklys sono protagonisti di un siparietto spassosissimo che allenta la tensione e strappa un sorriso distensivo nel lettore. Eppure l’episodio ha lo scopo di sottolineare l’altissima pressione emotiva cui è sottoposto l’equipaggio del sottomarimo durante la missione e, non ultimo, anche il cieco rispetto per quel padre severo ma equo che è il loro capitano. Forse una presenza più odorosa della Puzzola e dell’omone Gruber avrebbe reso letteralmente strepitoso il flusso subacqueo del romanzo. Peccato!
Le ambientazioni dei vari flussi narrativi sono verosimili e mai eccessive. In molti casi si comprende che il buon Hugo ha visitato – sarebbe meglio dire: frequentato – certi luoghi; alcuni ce li descrive con dovizia di particolari ma senza mai esagerare, altri li accenna appena, frutto di racconti di terze persone o di ricerche documentali.
Certo, alcune parti, specie quelle che riguardano gli aspetti tecnico-scientifici dell’entità radiante, li riteniamo un filino eccessivi per un lettore che predilige l’azione alla congettura astrofica. D’altra parte, fondamentalmente, questo è un volume di movimento in cui storia, fantascienza e dinamismo si uniscono in un tutt’uno. Se poi alla componente scientifica fosse stato concesso meno spazio, beh … siamo certi che nessun lettore ne avrebbe sofferto né avrebbe tolto lustro al testo.
Dunque, per essere il libro di esordio, lo scrittore romano con origini danesi, minaccia di fare un gran bene per il futuro. L’augurio che possiamo formulare – usando un termine marinaresco – è che continui “alla via così”. Chissà che, alla distanza, non germogli davvero un nuovo virgulto della narrativa italiana. Noi glielo auguriamo di cuore.
Ma se alle lodi – tanto per riciclare un famoso enunciato della dinamica – non possono che corrispondere delle critiche uguali e contrarie, ecco allora che non possiamo esimerci dal far notare alcune similarità tra il personaggio del capitano Yuri Ivanov con quello del capitano Marko Ramius, protagonista del celebre best-sellers di Tom Clancy nonché di quel film intitolato: Caccia a Ottobre Rosso che, grazie a un’icona della cinematografia mondiale come l’attore Sean Connery, è divenuto un vero e proprio classico del genere spy story-avventuroso-sommergibilistico.
Come pure ci tornano alla mente alcune scene della recente pellicola cinematografica Gravity o del più datato Mission to Mars per quanto riguarda alcune situazioni relative al filone spaziale. Ma attenzione: non stiamo parlando di plagi o scopiazzamenti vari, tutt’altro. Vogliamo intendere che, come in quelle pellicole hollywooddiane, anche nel romanzo Dove il tempo non era mai stato certe emergenze spaziali hanno delle dinamiche identiche. E questo perché, al momento, così vengono realmente gestite o risolte dagli enti spaziali. Dunque, niente di più verosimile. Certo un po’ di assonanza occorre ammetterla …
Inoltre, sempre in tema di critiche, non cesseremo mai di bacchettare l’editore nella reiterata scelta di stampare i suoi volumi con caratteri troppo minuti, dimentico che l’età media dei suoi potenziali lettori è sempre più avanzata. Un euro in più sul prezzo di copertina val bene la lettura senza l’ausilio della lente d’ingrandimento!?
Sempre all’editore, rimproveriamo poi di non aver sfruttato pienamente la grande potenzialità dei fonts tipografici oppure del semplicissimo carattere in corsivo per incorniciare alcune parti del romanzo. Quali? … per esempio quelle in cui avvengono le numerose digressioni temporali vissute dai vari personaggi oppure quella che riporta il diario del comandante dell’U-boot. Uno stacco grafico tra la contemporaneità e il passato non l’avremmo disdegnato. Magari nella seconda ristampa qualcuno provvederà, vero?
Infine qualche ingenuo svarione di verosimiglianza, onestamente del tutto evitabile. Esempio? … forse il più grossolano è quello di aver sostenuto che un aeroporto militare statunitense possa rimanere senza illuminazione della pista di atterraggio a causa di lavori in corso sul relativo impianto. Avete letto bene: statunitense, non italiano. Se questo non è uno svarione!?
A questo punto, occorre puntualizzare – come spesso facciamo – che, nell’opera prima di un qualsiasi autore, c’è sempre una forte componente autobiografica, nelle vicende narrate come pure nei personaggi che la animano. E anche questo romanzo non viene meno alla sacra regola, ovviamente “non scritta”.
In questo nulla di male – per carità – tuttavia, se da un lato ci possiamo concedere un atteggiamento moderatamente benevolo nei confronti dell’opera di esordio, dall’altro si innesca in noi una sorta di aspettativa per quanto riguarda un eventuale seguito dell’opera di esordio, se ci sarà. Della serie: questo libro è stata una mera casualità o l’autore ha davvero le capacità – nonché la materia prima – per un secondo romanzo? E poi un terzo e così via? … beh, noi ce lo auguriamo. E pure molto egoisticamente perché – di sicuro – saremo noi lettori a beneficiarne.
Tornando alla questione autobiografica, sulla base delle informazioni raccolte dal nostro servizio d’intelligence redazionale, siamo certi che l’autore non abbia faticato granché a inventare o a sviluppare il filone nautico di superficie e aeronautico. Egli infatti, è un provetto velista, volovelista nonché pilota di velivoli. Con secolare esperienza, per giunta. Dunque – immaginiamo – abbia raccontato nient’altro che una serie di disavventure in cui, inevitabilmente, è incappato in prima o, al massimo, in terza persona.
La creazione del personaggio di Andrej Eltsin, ad esempio, siamo certi che abbia comportato per l’autore una fatica letteraria pari pressoché allo zero.
Anche le vicende legate alle prime esperienze di volo in aliante della cosmonauta Iryna Alessandrovna, siamo certi che siano state redatte dall’autore con estrema scioltezza. Per non parlare poi del filone nautico di superficie in cui l’immagine di Malcom si sovrappone e diventa un tutt’uno con quella slanciata, nordica e carismatica proprio di Hugo Christensen in carne e ossa.
E infine, vogliamo parlare di tutte le vicende erotico-sentimentali vissute dai vari personaggi? L’autore vorrebbe farci credere che sono il mero frutto della sua fantasia? … giù la maschera, Hugo!
A questo punto anche noi vi dobbiamo una confessione: abbiamo il piacere e il privilegio di conoscere di persona – e pure da un quarto di secolo, se è per questo – il signor Christensen. Non solo: abbiamo seguito da presso la genesi lunghissima di questo romanzo. Altro che servizio d’intelligence!?
Svelata la tresca – penserete voi – potrebbe essere del tutto inutile continuare a leggere la nostra recensione … faziosa e per nulla equa … per carità, liberi di farlo, tuttavia permetteteci di testimoniare con forza, a chi non ha avuto la fortuna di conoscere di persona Mr Christensen né ha avuto modo di leggere le prime versioni del manoscritto, che questo volume è il frutto di un lavoro immane, minuzioso e paziente, soprattutto sotto il profilo dello stile e della tecnica narrativa. Stile e tecnica che l’autore ha definito e affinato enormemente proprio lavorando sul testo in una sorta di training autogeno.
Ci spiegheremo meglio: se per motivi professionali siete avvezzi a compilare relazioni e documenti a carattere amministrativo, insomma a “verbalizzare”, ciò non implica automaticamente la capacità di saper scrivere narrativa, anzi. E questo pur avendo già in mente trama, intreccio e personaggi di un potenziale libro.
A Hugo, è accaduto proprio questo: la fraseologia settoriale, la metodica e la capacità ormai acquisita di redarre il tipico documento ad uso giudiziario non sono stati per lui un aiuto nella stesura di un manoscritto che aveva in mente per buona parte. Anzi. Semmai hanno costituito un vero e proprio impedimento, una sorta di handicap che lui ha dovuto vincere affinché la sua creatura potesse prendere vita. Viceversa Hugo ha avuto la grande umiltà e anche l’intelligenza necessaria per mettere da parte la sua professione e lasciare spazio al proprio talento narrativo, alla naturale (e mai svelata) attitudine alla scrittura creativa.
Insomma, nulla accade per caso. L’autore ha voluto fortemente questo libro e noi gliene siamo grati perché ci concede di spaziare per mare cielo e terra ad un costo – tutto sommato – abbastanza ragionevole: 15 euro. Se poi considerate che lo scrigno che ci verrà concesso conterrà quattro piccoli diamanti al prezzo di uno … beh, è andata di lusso, non trovate?
Qui giunto, il visitatore più arguto di VOCI DI HANGAR, si domanderà infine perché mai abbiamo voluto concedere un angolino del nostro hangar al libro Dove il tempo non era mai stato nonostante – è evidente – il romanzo non sia prettamente aeronautico.
In effetti ci siamo posti anche noi questo quesito … ma poi ci siamo convinti che questo volume ha dei contenuti aeronautici consistenti anche se – dobbiamo ammetterlo – non preponderanti.
D’altre parte non possiamo ancora pretendere che Hugo Christensen – scrittore in erba – segua le orme squisitamente aeronautiche di Richard Bach. Diciamo che, in questo suo primo libro, Hugo si è ispirato all’autore del Il gabbiano Jonathan Livingston ma, contemporaneamente, ha strizzato l’occhiolino al thrillerista Ken Follett e all’aggrovigliatore storico Glenn Cooper … diciamo pure che sta ancora cercando una sua vera dimensione.
Nessuno è perfetto, men che meno il nostro “giovane” autore; alla prima uscita, egli ha scritto molto di mare, poco di donne e pochino di cielo … ma avrà tempo per redimersi. Nel prossimo romanzo solo donne e cielo! Promesso?
Scherzi a parte, vi assicuriamo che l’aspetto aeronautico è presente nel romanzo, eccome! Sarà sufficiente rivelare – udite, udite – che due capitoli, sebbene adattati, hanno partecipato a due diverse edizioni del nostro Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”. E con buoni risultati, per giunta. Questo prima ancora che tutto il romanzo fosse completato, s’intende. Inoltre, con lo speudonimo Ahug, il nostro Hugo è già da tempo una delle nostre VOCI, ospite del nostro hangar con alcuni racconti che riportano le sue imprese volovelistiche:
e – chicca delle chicche – proprio uno dei racconti partecipanti al Premio intitolato:
Ecco spiegato il perché, avendo tenuto a battesimo le velleità scrittorie di Hugo, ci siamo sentiti in obbligo, una volta dato alle stampe, di recensire o comunque fornire la nostra opinione su questo libro. Serena e distaccata, si spera. E se proprio così non vi sembrasse … saremo lieti di conoscere la vostra opinione sul libro. Dopo averlo letto, s’intende. Chissà che non costituisca un viatico utile per l’autore o – perché no? – un motivo valido per farlo tornare rapidamente alla vela e al volo? Dove non siamo riusciti noi chissà che non possano arrivare i nostri lettori!?
Attendiamo i vostri responsi.
Recensione a cura della Redazione
titolo: Dove il tempo non era mai stato
autore: Hugo Christensen
editore: Logisma
anno di pubblicazione: 2016
ISBN: 978-88-97530-74-9
L’autore, Hugo Christensen, alla sua prima opera ha osato molto, concentrando in un unico romanzo: eventi storici, scienza e fantascienza, mitologia, realtà e immaginazione, mare-terra-aria, l’universo, presente e passato, odio e amore, vita e morte. E’ lo stesso autore, nella nota ad inizio del libro, che ci svela il vero protagonista del romanzo: “il tempo”.
Il lettore all’inizio potrà avere un attimo di smarrimento, ma poi si abituerà rapidamente ai salti temporali e a seguire più storie contemporaneamente.
Siì, perché si tratta di tre storie più una. Tre storie tra di loro separate ma percorse da quella storia unica del sottomarino Ryklys con il suo misterioso carico.
L’intreccio è solo apparente e viene generato dalla disposizione dei capitoli, creando così nel lettore l’illusione e l’aspettativa che le tre storie si andranno a riunire prima o poi.
Questo voler mettere troppe tematiche tutte insieme non ha permesso di sviluppare più profondamente i personaggi e ha portato qualche problema anche all’autore:
– il capitolo 4 sembra quasi una bozza di un qualcosa che poi non si è più sviluppato, o addirittura dimenticato;
– esagerato il racconto del volo del C-5C Galaxy, in cui l’autore ha concentrato in un’unica missione tutto quello che poteva, forse, capitare a un comandante in 40 anni di servizio.
Fa pensare poi il fatto che in tutto il romanzo ci sono tre personaggi che perdono la vita, due anche drammaticamente, e tutte e tre sono donne … qualche problema!!??
E’ evidente un piacere nello scrivere di storie di azione o di eventi storici. La descrizione del ritrovamento dell’U-Boot è un omaggio a tutti i sommergibilisti, di qualunque bandiera, morti nell’adempimento del loro dovere.
Mentre traspare un disagio nel trattare di sentimenti, quasi un fastidio, che decade in stereotipi come l’allieva che si innamora dell’istruttore o il fascino del comandante; o in amori contrastati, difficili e tragici, che purtroppo decadano in un finale surreale degno della peggiore delle soap opera.
Peccato perché le capacità narrative non mancano. Lo stile è molto fluido, anche accattivante e appassionante in molti tratti. Sarebbe stato sufficiente ampliare di più la storia di Savannah e Golfinho con il loro carico di umanità, senza andare a scomodare la Stazione Spaziale e le relazioni tra Americani e Russi.
Fortunatamente la lettura scorre piacevole, anche se la scelta tipografica, da vecchia macchina da scrivere con nastro consumato, dei caratteri per l’intestazione dei capitoli ed in alcuni passi del testo risulta alla fine sgradevole e non se ne capisce l’utilità né quale apporto vorrebbe portare al testo.
L’immagine di copertina è molto bella e suggestiva.
La biografia dell’autore è inesistente: non ha nemmeno i requisiti da minimo sindacale.
Che dire…!!
Quando leggiamo un libro ci chiediamo: perché è stato scritto? Che messaggio vuole inviare? Su cosa vuole fare riflettere? Cosa vuole trasmettere?
Una presentazione, degna di questo nome, all’inizio con riferimenti alla vita dell’autore avrebbe aiutato a capire il senso di questo romanzo anche se è evidente che Hugo Christensen scrive molto della propria esperienza e passione per il mare e per la vela. Ma se voleva scrivere di questa sua passione perché andarsi ad impelagare con le altre storie?
Recensione a cura di Franca Vorano