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Good luck, Ugo




Ugo Paolillo ci ha lasciato per sempre a causa di un tragico incidente di volo avvenuto ieri, 11 luglio 2023, nei cieli di Rieti a bordo del suo amato “Papero” – come affettuosamente lo avevamo soprannominato -, il suo Fournier RF-3 ultraleggero.

Ci ha lasciato alla veneranda età di 83 anni, 60 dei quali vissuti volando ovunque e indifferentemente con aeroplani, alianti, motoalianti e ultraleggeri vari, biplani compresi.

Nonostante il suo vigore fisico e intellettuale, letterariamente parlando era assai timido tanto che aveva deciso di celarsi dietro uno pseudonimo, A-hug, e poi dietro il cognome della mamma danese firmandosi con un anonimo Hugo Christensen.

E’ stato autore di alcuni pezzi giornalistici di notevole fattura, peraltro pubblicati nella rivista VOLO A VELA, ma lo ricordiamo con particolare affetto per aver partecipato – dietro minacce neanche troppo velate – alla prima e alla seconda edizione del nostro Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE. Al primo tentativo si era classificato al X posto con uno stralcio del romanzo – allora inedito – intitolato “Dove il tempo non era mai stato” che poi pubblicherà con l’editore Logisma dopo una lunga e faticosa elaborazione cui abbiamo avuto l’onore e il privilegio di collaborare.

E’ con questo racconto, “Good luck, Pesciolino“, inserito nella I antologia del Premio della I edizione del Premio,  che intendiamo ricordare Ugo. Perché da questo testo si evince non solo la sua conoscenza enciclopedica del mondo del volo ma anche e soprattutto quella sottile ironia molto “british” nonché la sua promettente capacità narrativa che aveva solo necessità di maturare accresciuta dall’esercizio.

Proprio  il giorno prima del suo ultimo decollo ci eravamo confrontati sulla riedizione del suo romanzo che Ugo voleva più snello, più cinematografico … 

Non amava parlare di sé ma siamo certi – e non avevamo mancato di comunicarglielo – aveva tutte le carte in regola per diventare un giovane talento letterario alla Camilleri maniera.

Deteneva il record di volo con aliante – ancora oggi imbattuto – di oltre 1000 km con punti di partenza e di volo prefissati svolto interamente in territorio italiano, lungo la dorsale appenninica e in termica. E ha compiuto questa impresa lungamente cercata e poi concretizzata con un aliante neanche di ultimissima generazione (Nimbus 2).

Da questa esperienza ha tratto il racconto: “La prima termica del mattino” che è ospitato nel nostro hangar e che ha firmato con lo pseudonimo A-HUG.

Con il medesimo pseudonimo aveva  firmato invece i racconti : “La Daunia brucia! ” e “Imprese inutili“, ugualmente ospitati nel nostro hangar.

Non ultimo aveva già messo mano a un secondo romanzo del genere thriller-poliziesco ispirato e sostenuto da quell’enorme bagaglio materiale accumulato nel corso della sua lunga carriera di magistrato. Chissà …

Vola alto e lontano, Ugo. E, parafrasando il titolo del tuo racconto di esordio: “Good luck, Ugo”!





Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:


Nel cielo di Cecenia


La Daunia brucia!

Imprese inutili

La prima termica del mattino

Good luck, Pesciolino!




Il decollo del C-5 Galaxy dalla Vandeberg Air Force Base alle 03:00, ora locale della California, si era svolto senza problemi. I vertici del Comando Strategico avevano preferito alleggerire il più possibile di carburante l’aereo anche se, per completare la sua delicata missione, si sarebbero dovuti effettuare almeno due rifornimenti in volo.

Nella capiente stiva del cargo militare erano stati allocati, dopo uno scrupoloso disassemblaggio, i detonatori della bomba e i contenitori del materiale nucleare, separati adeguatamente gli uni dagli altri per evitare pericolose interazioni.

Il trasporto aereo del carico, coperto da codice di segretezza livello 5, era proseguito normalmente secondo il piano di volo. Nel punto stabilito il Galaxy aveva completato il primo rifornimento di carburante portandosi progressivamente poco sotto la coda dell’aereo cisterna, un KC-10 Extender. Il rifornimento era avvenuto tramite la sonda rigida collegata ad un bocchettone ubicato sopra la cabina di pilotaggio del grosso aeromobile. Al termine dell’operazione, quando le segnalazioni luminose avevano confermato al sottufficiale addetto al controllo della sonda che i serbatoi del Galaxy erano pieni, il tubo era stato ritirato e gli aerei si erano separati.

“Certo che ne è passato di tempo da quando, negli anni venti, sono stati realizzati i primi tentativi di rifornimento in volo!” aveva osservato il comandante del Galaxy, capitano Ronald Driver, rivolgendosi al secondo pilota, tenente Frankie Tarantino.

“Eh già” annuì il tenente pensando al Boeing B50, chiamato Lucky Lady II, che trent’anno dopo, avrebbe effettuato il giro del mondo senza scali intermedi, a dimostrazione dell’efficienza del sistema di rifornimento in volo, grazie anche all’affidabilità di macchine ed equipaggi dell’USAF.

Nelle ore successive, la conversazione tra i due piloti si era dilungata sull’utilizzo che sarebbe stato fatto della bomba più potente mai costruita: “A giudicare dalle dimensioni e dalla voci che circolano”, aveva detto il tenente, “lo scoppio di questa bomba sarebbe in grado di mettere in crisi l’intero territorio degli Stati Uniti”

“Sbalorditivo!”aveva esclamato il comandante, poi però aveva aggiunto: “… ma quanto a potenza distruttiva, caro Frankie, le forze naturali non hanno rivali: terremoti, maremoti, tsunami e uragani sono insuperabili … a proposito … vedi anche tu quello che vedo io nel radar meteo?”

“Gesù, comandante, la formazione di cumuli nembi che abbiamo davanti è enorme! Il suo fronte deve estendersi fino ad una cinquantina di miglia (circa centinaio di chilometri, ndA) … per non parlare dell’altitudine … trentamila piedi (circa diecimila metri, ndA) o forse più.”

“Accidenti!”, era stata la replica preoccupata di Driver: “proprio ora che dobbiamo fare un nuovo rifornimento! … a proposito, Frankie, com’è che l’aereo cisterna non si è fatto ancora sentire? Prova a farlo contattare con il nominativo concordato”.

“Ci penso io, se non ha niente in contrario, comandante; il marconista, sergente Cooper è sceso nel ponte di carico per concedersi un caffè.” L’attrazione del sergente verso la corroborante bevanda, che consumava di continuo in tazze proporzionate alla sua stazza, era nota, pertanto al copilota non erano state mosse obiezioni, anche perché il suo hobby per la radiotecnica non era da meno rispetto alla passione di Cooper per le tazzone di caffè bollente. Indossate le cuffie, Frankie aveva impostato la frequenza e il codice di crittografia digitale sul computer delle comunicazioni.

“Pellicano, Pellicano, da Pesciolino, over”

“Avanti, Pesciolino, qui Pellicano, over”

“Pellicano, cominciamo ad essere un po’ a corto di carburante, over”

“Quanto a corto? Over”

“Abbiamo poco più di un’ora di autonomia, over”

“Pesciolino, siamo nel pieno di una tempesta, l’aereo cisterna non ha potuto decollare dalla base Wheeler. Al momento stanno cadendo chicchi di grandine da 4 pollici (circa 10 cm, ndA), un evento eccezionale per la contea di Honolulu! Over”

“Roger, Pellicano. Qui Pesciolino … allora non abbiamo altra scelta: se non ci sono novità ci dirigiamo all’atteraggio per Wheeler, over”

“Ok, Pesciolino, good luck. Out”

Le notizie ricevute da terra, erano state accolte a bordo del C-5 con una buona dose di apprensione. Il cargo stava trasportando una bomba termonucleare ad altissimo potenziale nel quadro di una serie di operazione NATO top secret. Se la missione non fosse stata portata a termine perché la bomba era finita in fondo all’Oceano Pacifico con il Galaxy, era prevedibile che i mass media di tutto il mondo, venuti prima o poi a conoscenza dell’accaduto, si sarebbero scatenati in una campagna denigratoria delle forze militari NATO senza precedenti. Inoltre se si fosse saputo che la causa dell’incidente aereo era da attribuirsi alla mancanza di carburante, l’intera catena di comando sarebbe saltata senza sottilizzare troppo sulle singole responsabilità.

“Certo che il clima sta impazzendo” aveva osservato il tenente, “Chi l’avrebbe mai detto che alle Hawaii, in questo periodo, sarebbe caduta tanta grandine da imbiancare queste favolose isole!?”. Evidentemente il secondo pilota era più preoccupato della situazione meteo nelle isole che delle conseguenze che sarebbero potute derivare dal mancato compimento della missione.

“Frankie?! … ma ci stai di testa?”, era stata la domanda di Driver, accompagnata da un moto di stizza, “siamo a corto di carburante … tra noi e la base dove dovremmo posare questo pachiderma alato, c’è un fronte temporalesco di violenza inaudita … non possiamo permetterci di girare in tondo in attesa che passi, non abbiamo autonomia sufficiente neppure per raggiungere un altro aeroporto fuori della tempesta … ti pare che sia il caso di stupirti perché le Hawaii sono colorate di bianco?”

Il tenente Tarantino, strette le spalle, aveva chiesto contrito: “E allora cosa si fa, comandante?”

“Tu che ne dici, Frankie?”

Il tenente ci aveva pensato un istante, ed aveva risposto con l’aria di chi la sa lunga: “Alla mala parata, sganciamo tutto il carico, bomba compresa e guadagniamo un altro po’ di autonomia”

La replica del comandante non si era fatta attendere: “Frankie, dimmi la verità”

“Dica, comandante”

“Quando parli … sei in contatto costante col cervello, oppure no?”

Il tenente aveva abbozzato delle scuse, ma il comandante implacabile aveva aggiunto: “ Sai dove siamo? … certo che lo sai … converrai con me che siamo in prossimità di Pearl Harbour. Questo nome ti dice niente?”

“Ehmm …” aveva farfugliato, mentre si affollavano in lui immagini di navi alla fonda centrate dalle bombe come birilli, accompagnate da altre con sciami di aeroplani giapponesi rassomiglianti a cavallette fameliche che assaltavano l’isola …“Non è forse il luogo dove i nostri nonni presero una delle più grandi batoste della storia americana?”

“Bravo, Frankie! … e pensa che bello se, grazie alla tua testa bacata, la storia si ripetesse!? … ma questa volta sarebbe un aereo americano a bombardare Pearl Harbour, e per giunta con una bomba progettata da fisici giapponesi. Almeno in parte”.

Frankie aveva deviato il discorso: “Insomma ha deciso di prendere di petto la tempesta? … che Dio ce la mandi buona!”

“Abbiamo altra scelta, Frankie?”

D’improvviso, il possente Galaxy era passato dalla luce del sole al buio pesto dei cumuli nembi, rischiarato a brevi intervalli da lampi accecanti; il comandante e il suo copilota avevano la sensazione di trovarsi sotto il fuoco di una contraerea furibonda. A tratti era sembrato che una mano gigantesca afferrasse la fusoliera del cargo militare scagliandola verso l’alto e verso il basso, come se il più grande aereo da trasporto dell’arsenale USAF fosse un giocattolo.

“Ma oggi che abbiamo fatto a Madre Natura per renderla tanto incazzata con noi, eh comandante?”

“Chiudi quella boccaccia, dannazione, Frankie … rischiamo di perdere il controllo dell’aereo! Riduco potenza, escludo l’autopilota e passo a comandi manuali! … se ci rovesciamo abbiamo chiuso: la bomba potrebbe sganciarsi dai sostegni, sfondare il ponte di carico e uscire dalla fusoliera!”

“E anche se non ci rovesciamo” aveva rincarato il copilota, “questa fottutissima grandine finirà col bucherellarci tanto da ridurre l’aereo ad una sorta di scolapasta volante!”

In effetti, se i piloti avessero potuto osservare la scena dall’esterno, oltre a sentire l’assordante rumore dei proiettili di ghiaccio che colpivano incessantemente l’aereo, avrebbero notato, con orrore, le lamiere del Galaxy infossarsi sotto la pressione della grandine che si scagliava contro il metallo alla velocità relativa di 600 km/h.

“Porca puttana, comandante!” aveva esclamato il tenente, non senza apprensione, “Gli anemometri sono impazziti! Le velocità indicate sono in contrasto con le spie di stallo! Alla velocità con cui stiamo procedendo non dovrebbero essere accese. Ammesso che vogliamo credere alle indicazioni del GPS”

“Una volta tanto ti do ragione, Frankie … il ghiaccio deve aver ostruito i tubi di pitot. Nonostante i riscaldatori. E va bene: freghiamocene dell’anemometro e degli avvisatori di stallo. Cerchiamo di tenere l’assetto con l’orizzonte artificiale e con l’indicatore dell’angolo di attacco”

Ad un certo punto, inspiegabilmente, la fortissima turbolenza si era attenuata, anche la grandine era diminuita. Il sottufficiale armiere ne aveva approfittato per salire nella cabina di pilotaggio ed informare il comandante che “Minnie” – appellativo affibbiato affettuosamente all’ordigno nucleare – era ben assicurata e non aveva subito danni. Il sergente, Bobby per gli amici, era un ragazzone del Texas, rossiccio e muscoloso, cresciuto a bistecche al sangue alte due pollici (circa 5 cm, ndA) che a malapena entrava nella la divisa. Non capitava spesso di avere a bordo uno specialista in armi nucleari.

Stavano ancora parlando quando, preceduto da uno schianto terrificante, uno dei finestrini del parabrezza, dal lato del copilota, era volato via causando l’inarrestabile decompressione con il caratteristico risucchio dell’aria pressurizzata verso la più rarefatta atmosfera esterna.

Il sottufficiale che si trovava in piedi, alle spalle del copilota, era stato letteralmente aspirato in direzione della piccola apertura come un piombino sparato da un fucile ad aria compressa. Fortunatamente era rimasto incastrato con il busto fuori della cabina e il resto del corpo all’interno, con le gambe che scalciavano alla ricerca di un appiglio.

Istintivamente il tenente Tarantino, aveva accennato alla mossa di sganciarsi le cinture di sicurezza che lo tenevano ancorato al posto di pilotaggio, nel nobile intento di soccorrere il sergente.

“Frankie, per Dio!” aveva urlato Driver, “Cerca di trattenere il sergente ma resta legato! Indossa la maschera!”. L’ordine, dovuto alla professionalità del pilota, era stato pronunciato senza pensarci su due volte. Anche nel C-5, come negli aeroplani commerciali, era previsto che, in caso di depressurizzazione, i piloti indossassero immediatamente le maschere ad ossigeno poste sotto ciascun sedile, per scongiurare l’anossia e la conseguente perdita di sensi. Ma il tenente, nel tentativo di sottrarre Bobby dalla difficile situazione in cui si trovava, era troppo occupato per dargli retta.

“Comandante, sto tenendo il sergente per le caviglie, non me lo lascio scappare anche a costo di volare fuori con lui!”

Nel frattempo la turbolenza aveva ripreso a strapazzare il gigante dell’aria provocando balzi e scuotimenti incessanti, mentre l’aereo perdeva velocemente quota. Le caviglie di Bobby erano sfuggite alla presa di Frankie che cominciava a sentirsi in debito d’aria. Ormai solo le gambe del malcapitato si trovavano all’interno della cabina  Ma il tenente non si era dato per vinto e aveva spostato la presa sui pantaloni mimetici del sottufficiale. Lentamente l’indumento aveva iniziato a sfilarsi …

Con una rapida giravolta, dopo essersi liberato dalle cinture di sicurezza, Frankie aveva trovato rifugio nel vano della pedaliera, riuscendo senza capacitarsene, a tirarsi appresso il sottufficiale, in apparenza morto e nudo dalla cintola in giù mentre torrenti di acqua gelida si riversavano nella cabina di pilotaggio. Con la coda dell’occhio, al comandante era parso che la postura assunta dai due evocasse una posizione da Kamasutra. Incredibilmente Bobby si era ripreso, un po’ intontito, mezzo assiderato ma vivo.

Il Galaxy era sceso di diverse migliaia di piedi tanto che l’aria, meno rarefatta, era di nuovo respirabile mentre la pressione in cabina si era riequilibrata con quella esterna. L’effetto risucchio era scemato. Anche la turbolenza e la pioggia si erano attenuate. Il tenente ne aveva approfittato per caricare di peso lo sventurato sergente e condurlo nel sottostante ponte di carico. Alla loro apparizione i commilitoni avevano applaudito a lungo. Comunque le battute sulla perdurante nudità del sottufficiale non si erano lasciate attendere, alcune decisamente oscene.

Rientrando di corsa in cabina, il tenente aveva ammirato l’impegno e l’abilità del comandante nel manovrare il Galaxy. Per tutta risposta, il superiore lo aveva fissato negli occhi con l’aria di uno che deve comunicare una decisione importante, suo malgrado. Poi, con enfasi, aveva sentenziato: “Accidenti, Frankie, ti ho visto sai, e ti farò rapporto …”.

Il tenente, non credendo alle proprie orecchie, aveva ascoltato le parole che avrebbero figurato nel rapporto a suo carico: “Nel mezzo di una tempesta, incurante del pericolo, il tenente pilota Frankie Tarantino afferrava per le gambe il sergente Bobby McKenzy, finito quasi interamente fuori dalla cabina di pilotaggio a seguito della rottura di uno dei finestrini. Nel corso dell’audace manovra, approfittando dello stato d’incoscienza del sottufficiale, rimasto privo di indumenti nella parte inferiore del corpo, si lasciava andare ad atti di indubbia turpitudine sessuale, protetto alla mia vista dal vano della pedaliera. Ma solo in parte”

Frankie era stato al gioco. “Grazie, comandante … ho fatto come si suole dire: di necessità virtù …”

“Frankie … d’ora in poi chiamami Ronald, questa volta una menzione d’onore – e forse una medaglia – non te la toglie nessuno … ma ora cerchiamo di portare a terra questo pachiderma … e se ce la caviamo … giuro che ti proporrò per un avanzamento di grado”.

“Ronald, possibile che la prima volta che ti chiamo per nome mi debba sentire commosso?”

“Risparmia le lacrime Frankie …”, era stata la risposta il comandante, “ci attendono momenti difficili”.

La grandine aveva smesso di flagellare il Galaxy, ma la pioggia era diventata di nuovo fittissima al punto da ridurre quasi totalmente la visibilità. Ad aggravare la situazione c’era l’afflusso continuo di acqua che penetrava con violenza all’interno della cabina di pilotaggio. Frankie, costretto ad abbandonare il suo posto per evitare di passare alla storia come il primo pilota annegato in volo, aveva trovato rifugio sul sedile del marconista, dietro a quello del comandante.

“Per fortuna” aveva confidato Ronald a Frankie, “che al Wheeler sono attrezzati con il GCA (Ground controller Approach, ndA); in mezzo a questo casino, sapere che il nostro avvicinamento avverrà con il controllo del radar e che ci verranno fornite tutte le opportune istruzioni per l’atterraggio mi rende quasi euforico.”

Il tenente aveva fatto un cenno di assenso, ma, al contrario del suo superiore, era tutt’altro che propenso all’euforia.

In quell’istante, era arrivata la comunicazione della torre di controllo di Wheeler che dirottava il Galaxy sull’aeroporto internazionale di Honolulu.

Non ci si poteva credere: un trasporto militare coperto dal massimo livello di sicurezza atterrare in un aeroporto civile! Per giunta con le piste intasate da emergenze e lo spazio aereo zeppo di aeroplani

La risposta del Galaxy non si era fatta attendere  “Roger, qui Pesciolino … non abbiamo alcuna intenzione di buttarci nella mischia di Honolulu in assenza di visibilità e con la strumentazione in avaria! Pesciolino conferma atterraggio di emergenza su Wheeler, over”.

“Negativo, Pesciolino … l’aeroporto Wheeler sarà inservibile per molte ore. Dobbiamo rimuovere un traffico che ha rotto il carrello in atterraggio e ora ingombra la pista!”

Frankie era rimasto esterrefatto: l’aeroporto Wheeler era dell’Army (Esercito, n.d.A.), loro erano dell’AirForce (Aeronautica, n.d.A.), Pesciolino era un nome tipico della Navy (Marina, n.d.A.) e dovevano atterrare in un aeroporto civile: che bella contraddizione!

Come se fosse nei suoi pensieri, il comandante aveva chiesto al copilota: “Frankie, chi cazzo ci ha affibbiato il nominativo Pesciolino?”

“Per quanto ne so, caro Ronald, è stato un pezzo grosso dell’Ammiragliato, noto per il suo strano umorismo”.

“Beh, sarà contento di aver trovato un nome che, in mezzo a tutta quest’acqua, sembra particolarmente appropriato al Galaxy, se non fosse per le dimensioni. Però se finiamo in mare non ci sarà militare che, incontrandolo, non si toccherà le palle! Come gli è venuto in mente di chiamare Pesciolino un gigante come il Galaxy?”

“Ronald, credo che sia un vezzo femminile. Quello di attribuire diminutivi a cose di grosse dimensioni. Ho visto un film porno in cui lei, forse per rincuorarsi, chiamava pesciolino l’attrezzo di lui, benché misurasse a dir poco, trenta centimetri!”

“Vuoi dire che l’Ammiraglio è una donna?” aveva domandato il comandante.

“Perché no?”

“Già, perché no? … cazzo Frankie, portiamo questa balena all’asciutto!”

Infatti, poco dopo il sole, prendendosi la rivincita sulle nubi, riaccendeva i colori del cielo e dei campi nella contea di Honolulu e sull’isola di Ohau.





Narrativa / Medio-Breve

Pubblicato nell’antologia della I edizione del Premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2012;  classificatosi al X posto, in esclusiva per VOCI DI HANGAR



Attenzione: Non esiste il Tag Good luck Pesciolino

Dove il tempo non era mai stato

dove il tempo non era mai stato copertinatitolo: Dove il tempo non era mai stato

autore: Hugo Christensen

editore: Logisma

anno di pubblicazione: 2016

ISBN: 978-88-97530-74-9





I libri sono come piccoli scrigni. Ce ne sono alcuni apparentemente modesti che custodiscono invece degli splendidi diamanti come pure esistono quelli molto prestigiosi che, solo una volta aperti, svelano alla vista della semplice bigiotteria. E pure di qualità scadente.

Dove il tempo non era mai stato, il romanzo di esordio di Hugo Christensen pubblicato nell’estate 2016 dall’editore Logisma, rientra nella logica del forziere piccolo e onesto. Piccolo perché è composto di sole 325 pagine e onesto perché, apparentemente, si mostra come un portagioielli tutt’altro che appariscente. L’immagine di un sottomarino in emersione rapida con una vistosa stella rossa dipinta sulla torretta, il mare in tempesta e una forte luminescenza in cielo che non può essere confusa con la Luna, costituiscono infatti un valido rivestimento esterno di questo forziere – ma nulla di più -. Per inciso, si tratta della piacevole copertina che ritrae l’opera pittorica realizzata dall’artista Allan O’Mill cui si aggiunge – ma è una nostra congettura – anche l’immagine della IV di copertina con una barca a vela in navigazione sotto un cielo notturno a dir poco fantasmagorico.

Dove il tempo non era mai stato IV di copertina
La retrocopertina del volume di Hugo Christensen. Da notare la bella immagine della barca a vela – Golfinho o Savannah – che navigano sotto un cielo magico

Ad ogni modo, è solo scorrendo la nota dell’autore e poi il prologo di questo libro, che comincerà a svelarsi ai nostri occhi il vero contenuto di questo forziere: un grazioso diamante. Magari non del tutto formato, magari un po’ irregolare … ma pur sempre delizioso.

Proseguendo poi la lettura, pagina dopo pagina, nascerà in noi la consapevolezza che, quello che abbiamo sotto lo sguardo, a osservarlo bene, non è un singolo diamante bensì una quaterna di diamanti più piccoli che si confondono in un tutt’uno. Il volume si articola infatti in quattro diversi flussi narrativi che si sviluppano, si avvolgono e si attorcigliano tra di loro fino a formare, nelle ultimissime pagine, il flusso primario del testo. Quello stesso filo conduttore che, in modo molto flebile, unisce il titolo e tutti i capitoli.

Come sapientemente sintetizzato nella sinossi della IV di copertina, le vicende narrate vedono muoversi i vari protagonisti nientemeno che in tutte e tre le dimensioni: spazio, terra e mare. In quest’ultimo caso, addirittura sia “sul” che “sotto” il mare. E non solo – aggiungiamo noi – perché c’è poi la dimensione temporale. Già perché uno dei flussi narrativi prende avvio in piena II Guerra Mondiale mentre gli altri tre potrebbero essere associati ad un recentissimo passato o, volendo, addirittura alla contemporaneità.

Per comprendere poi il pretesto sul quale l’autore ha costruito il romanzo … rimandiamo sempre alla stessa sinossi; ci preme invece spendere qualche parola in più circa i quattro flussi narrativi di cui dicevamo.

Ebbene, in ordine rigorosamente di apparizione, il primo flusso, quello quantitativamente più corposo, lo definiremo “subacqueo”.

sottomarino classe akula fronte
Il moderno sottomarino nucleare russo classe Aula che, nella parte finale del romanzo, darà una caccia spietata al Ryklys.

Come lascia bene intuire il termine e come anticipa la copertina, il protagonista indiscusso è il Ryklys (tradotto letteralmente dal lituano: squalo), formidabile sottomarino della Voenno-Morskoj Flot SSSR (Marina Militare dell’URSS) di base a Murmansk. E, ovviamente, il comandante di questa unità di eccellenza: il Capitano di Vascello Yuri Ivanov.

Gli fanno poi da contorno gli uomini del suo equipaggio tra cui spiccano: il monoculare nostromo Palin, il marinaio Skunkas (letteralmente Puzzola) dalla vista aquilina, l’operatore sonar Mirko Mikoyan soprannominato “il grande orecchio” e, non ultimo, il commissario politico Boris Kozlov che, suo malgrado, veste il ruolo immancabile dello spione ottuso.

Cosa accade in questo primo flusso? Ebbene, senza svelarvi troppi dettagli, vi anticiperemo che: la II Guerra Mondiale è terminata da appena qualche anno; il Ryklys sta facendo il rientro trionfale a Murmansk dopo una difficile missione che lo ha lo visto navigare – non senza difficoltà – sotto la banchisa polare. Neanche il tempo di scendere a terra ed ecco che il capitano Ivanov viene prelevato dagli agenti della polizia politica e condotto al cospetto del braccio destro di Stalin: il famigerato e temutissimo compagno Beria. Da par suo, il capitano Ivanov, veterano di mille battaglie e per nulla impaurito dall’aureola di terrore che aleggia attorno a Beria, accetterà di buon grado la nuova missione, segretissima e ben più difficile della precedente il cui esito potrebbe cambiare il futuro del paese nonché ridisegnare gli equilibri internazionali negli anni a venire.

Un’avventura in cui il capitano dovrà dare fondo a tutte le sue capacità, di marinaio esperto e di stratega fantasioso, mettendo a dura prova la lealtà dei suoi uomini e le doti tecniche del suo eccellente battello.

Tornando invece a parlare di flussi, a quello subacqueo si aggiunge il flusso acquatico ma di superficie.

Anche in questo flusso, molto corposo in termini quantitativi, sono gli equipaggi a farla da padroni. Stavolta si tratta dei membri di ben due equipaggi – uomini e donne -, delle barche a vela oceaniche che portano il nome di: Golfinho e Savannah.

Ovviamente, anche in questo filone spiccano i due capobarca: Malcom Ranieri, affascinante skipper di successo che corrisponde perfettamente all’immagine stereotipata del “lupo di mare”, e la mascolina Tina Gaillard, bretone vigorosa eppure dal cuore tenero.

Le loro tormentate vicende prendono avvio quando Malcom e il suo amico di vecchia data, Tobia, si ritrovano a Porto Cervo, in Sardegna, nella sede del prestigioso Yacth Club Costa Smeralda. Si è appena conclusa la cerimonia di premiazione di una difficile regata in cui Malcom è stato incoronato quale vincitore. E’ lui la persona giusta – ritiene Tobia – per far compiere al Club un salto di qualità: la traversata atlantica in barca a vela, da Gibilterra via Canarie fino alle Azzorre e ritorno.

Sembra cosa fatta quando Tobia, colpito da un grave malore, dovrà cedere il posto all’unica skipper che può sostituirlo: la muscolare Tina … e allora sì che ne leggeremo delle belle!

ISS dopo distacco navicella
L’ISS – International Space Station è una stazione spaziale finalizzata alla ricerca scientifica nello spazio. E’ talmente grande – circa 100 metri di struttura – da rendersi visibile dalla Terra

E’ invece assolutamente extra-atmosferico, anzi – diremmo -, proprio spaziale, il terzo flusso narrativo. Anche in questo caso è sempre un altro equipaggio, ma stavolta quello della ISS (la Stazione Spaziale Internazionale) in orbita a 400 km dalla superficie terrestre, a occupare un po’ di pagine di avventure. O disavventure? … a voi il giudizio.

In quell’ambiente assai ristretto, ovviamente, non c’è da aspettarsi un gran numero di occupanti ma, tra loro, i protagonisti indiscussi sono: il comandante della missione, lo statunitense Brad Callagher e soprattutto l’affascinante astrofisica nonché cosmonauta (attenzione!… non astronauta) Iryna Alessandrovna, di evidente provenienza sovietica.

In questo filone le sorprese non mancheranno anche se – perdonerete il gioco di parole – nello spazio, gli spazi sono limitati e dunque non aspettatevi una grande dinamicità della trama. Ad ogni modo non mancheranno le sorprese e le vicende rocambolesche.

Che il cosmo sia un luogo ostile eppure di incommensurabile bellezza è cosa nota, che la Terra sia un pianeta unico … beh, l’autore del romanzo ce lo ricorda attraverso gli occhi dei suoi astronauti e cosmonauta. Nello specifico, diventa un punto di osservazione privilegiato dello strano fenomeno luminoso di cui parlavamo a proposito della copertina e dunque anche l’avamposto umano più “esposto”.

c5 galaxie parcheggio
Il C5 Galaxie, il velivolo cargo più grande dell’arsenale statunitense e secondo, per capacità di carico, solo al russo Antonov An-225 Mriya, versione esareattore dell’ Antonov An-124 Ruslan molto simile al C5

Infine il quarto flusso che, con un’ambientazione prettamente terricola, è quello più frammentato e anche più denso di personaggi. Per questo motivo ci troveremo catapultati, per esempio, a Bruxelles nella sede europea della Nato o al cosmodromo di Bajkonur, passando per la Casa Bianca a Washington – USA, finendo addirittura in uno talk-show televisivo in terra svizzera. Avremo modo di conoscere il Comandante Supremo delle Potenze Alleate in Europa, generale William Braddock, o il vegliardo direttore dell’osservatorio di Arecibo. Ma non temete perché avrete anche l’occasione di scorrazzare – si fa per dire – per i cieli di mezzo mondo a bordo del mastodontico quadrigetto C-5 Galaxie per un volo rischiosissimo dalla base di Vandenberg in California – USA, fino a Wheeler nell’isola di O’Hau – Hawaii. Ah, per inciso, con a bordo la più temibile bomba termonucleare mai costruita dall’umanità.

c5 galaxie carico
Ancora una bella immagine del C5 Galaxie che, confrontato alla due persone vicino al musone, rende vagamente l’idea di quanto sia immenso.

Quanto al tema di questo flusso, beh … potremmo confidarvi solo l’antefatto: la politica internazionale è in fermento, gli apparati militari in allarme, la comunità scientifica mondiale si interroga circa lo strano evento che si è manifestato nella costellazione di Orione. Si tratta di una strana luminescenza che è apparsa dal nulla e sembra avvicinarsi inesorabilmente alla Terra. Che si tratti di Nibiru, il fantomatico pianeta che ciclicamente appare nel Sistema Solare? Di alieni ostili? Di un banale fenomeno naturale? O c’è qualcosa di senziente che si nasconde dentro a quella nube anomala? … lo scoprirete solo leggendo!

Lo ammettiamo: così sintetizzata, l’idea narrativa di questo romanzo sembra un guazzabuglio di eventi scollegati, di personaggi che nulla hanno in comune se non costituire un vero e proprio rompicapo per il potenziale lettore. Ma non dubitate: proprio questo è il gioco – perverso, non c’è che dire – cui ricorre l’autore per tenerci incollati al volume, pagina dopo pagina, fino all’epilogo. Epilogo che, ovviamente, non potremo svelarvi. Neanche sotto tortura.

E nel gestire questa perversione – occorre ammetterlo – Hugo Christensen ci fornisce prova di grande abilità. Perché non è assolutamente facile né scontato unire l’azione al sentimento, l’avventura allo stato puro con i momenti di tenerezza, le imprese audaci (in cui la sopravvivenza dei personaggi è appesa a un filo) agli incontri carnali che, inevitabilmente, uniranno i vari protagonisti … ebbene in questo romanzo l’amalgama è perfetta e nulla è scontato.

La narrazione fila via liscia liscia che è uno splendore. Anzi, benché alcuni momenti di pausa concedano un po’ di respiro ad un ritmo incalzante, ci si ritrova facilmente in fondo al libro con l’unico rammarico che sia già terminato.

La trama non è affatto prevedibile né scontata mentre l’intreccio è – come dire? – davvero molto intrecciato. Forse troppo.

Fortunatamente capitoli e flussi narrativi sono contrassegnati. Ora, non ci è dato sapere se si sia trattata di una scelta dell’autore per scopi umanitari o un espediente strategico dell’editore … certo è che, fornire la collocazione geografica e una telegrafica anteprima di quanto leggeremo, costituisce un ausilio fondamentale per il lettore. Quel povero e spaurito lettore che, diversamente, risulterebbe disorientato dal frequente cambio di scenario. Sarà stato un caso … ma noi non ci siamo mai persi!

I personaggi di questo romanzo sono numerosissimi, molti marginali, alcuni fondamentali nel respiro generale delle vicende narrate. La connotazione che l’autore ha cucito loro addosso è spesso sintetica, forse troppo essenziale. Così facendo, l’immagine che si crea nella mente dei lettori è più legata alle loro azioni che non a una lunga e noiosa descrizione fisica o interiore.

blanik russo
L’aliante modello LET Blanik che verrà pilotato dall’allieva Irina Alessandrovna durante il corso di volo a vela tenuto dal capitano Andrej Eltsin

La maggior parte di personaggi ha comunque una caratterizzazione originale e credibile anche se – occorre ammetterlo – sono numerosi gli uomini duri, belli e intelligenti. Forse troppi. Ecco perché sarà praticamente impossibile non identificarsi almeno nel capitano Ivanov o nel pilota istruttore Andrej Eltsin. Ma questa – lo ammetterete anche voi – è proprio la magia della finzione narrativa, non trovate? Chi non è stato mai Sandokan, la Tigre della Malesia, o Tremal-Naik, re della jungla nera infestata dai Tugs? … appunto!

blanik e wilga
Nella finzione narrativa, l’aeroplano da traino polacco PZL Wilga porta in volo l’aliante cecoslovacco LET Blanik. Non è finzione, è realtà. Questa foto lo testimonia

In verità, alcuni personaggi come Marione o come la coppia Gruber/Skunkas, avrebbero meritato più respiro. E magari il romanzo ne avrebbe giovato in leggerezza. La loro componente è infatti tragicomica, quasi grottesca, ispira simpatia. E se Marione fosse stato più sguaiato, magari con la battuta dialettale – compresa qualche parolaccia – anche se un po’ gretta … beh, lo avremmo apprezzato ancor di più. Non perché avrebbe confermato lo stereotipo del metalmeccanico ignorante e rude, no, quanto perché avrebbe conferito una connotazione più realistica ad un romanzo pieno di primedonne e di superuomini perfettini.

I due marinai del Ryklys sono protagonisti di un siparietto spassosissimo che allenta la tensione e strappa un sorriso distensivo nel lettore. Eppure l’episodio ha lo scopo di sottolineare l’altissima pressione emotiva cui è sottoposto l’equipaggio del sottomarimo durante la missione e, non ultimo, anche il cieco rispetto per quel padre severo ma equo che è il loro capitano. Forse una presenza più odorosa della Puzzola e dell’omone Gruber avrebbe reso letteralmente strepitoso il flusso subacqueo del romanzo. Peccato!

Le ambientazioni dei vari flussi narrativi sono verosimili e mai eccessive. In molti casi si comprende che il buon Hugo ha visitato – sarebbe meglio dire: frequentato – certi luoghi; alcuni ce li descrive con dovizia di particolari ma senza mai esagerare, altri li accenna appena, frutto di racconti di terze persone o di ricerche documentali.

Certo, alcune parti, specie quelle che riguardano gli aspetti tecnico-scientifici dell’entità radiante, li riteniamo un filino eccessivi per un lettore che predilige l’azione alla congettura astrofica. D’altra parte, fondamentalmente, questo è un volume di movimento in cui storia, fantascienza e dinamismo si uniscono in un tutt’uno. Se poi alla componente scientifica fosse stato concesso meno spazio, beh … siamo certi che nessun lettore ne avrebbe sofferto né avrebbe tolto lustro al testo.

Dunque, per essere il libro di esordio, lo scrittore romano con origini danesi, minaccia di fare un gran bene per il futuro. L’augurio che possiamo formulare – usando un termine marinaresco – è che continui “alla via così”. Chissà che, alla distanza, non germogli davvero un nuovo virgulto della narrativa italiana. Noi glielo auguriamo di cuore.

marko ramius
Yurij Ivanov come Marco Ramius? Difficile immaginare il volto del comandante del RYKLYS diverso da quello del mitico Sean Connery che rese memorabile il personaggio del comandante del sommergibile OTTOBRE ROSSO

Ma se alle lodi – tanto per riciclare un famoso enunciato della dinamica – non possono che corrispondere delle critiche uguali e contrarie, ecco allora che non possiamo esimerci dal far notare alcune similarità tra il personaggio del capitano Yuri Ivanov con quello del capitano Marko Ramius, protagonista del celebre best-sellers di Tom Clancy nonché di quel film intitolato: Caccia a Ottobre Rosso che, grazie a un’icona della cinematografia mondiale come l’attore Sean Connery, è divenuto un vero e proprio classico del genere spy story-avventuroso-sommergibilistico.

Come pure ci tornano alla mente alcune scene della recente pellicola cinematografica Gravity o del più datato Mission to Mars per quanto riguarda alcune situazioni relative al filone spaziale. Ma attenzione: non stiamo parlando di plagi o scopiazzamenti vari, tutt’altro. Vogliamo intendere che, come in quelle pellicole hollywooddiane, anche nel romanzo Dove il tempo non era mai stato certe emergenze spaziali hanno delle dinamiche identiche. E questo perché, al momento, così vengono realmente gestite o risolte dagli enti spaziali. Dunque, niente di più verosimile. Certo un po’ di assonanza occorre ammetterla …

Inoltre, sempre in tema di critiche, non cesseremo mai di bacchettare l’editore nella reiterata scelta di stampare i suoi volumi con caratteri troppo minuti, dimentico che l’età media dei suoi potenziali lettori è sempre più avanzata. Un euro in più sul prezzo di copertina val bene la lettura senza l’ausilio della lente d’ingrandimento!?

Sempre all’editore, rimproveriamo poi di non aver sfruttato pienamente la grande potenzialità dei fonts tipografici oppure del semplicissimo carattere in corsivo per incorniciare alcune parti del romanzo. Quali? … per esempio quelle in cui avvengono le numerose digressioni temporali vissute dai vari personaggi oppure quella che riporta il diario del comandante dell’U-boot. Uno stacco grafico tra la contemporaneità e il passato non l’avremmo disdegnato. Magari nella seconda ristampa qualcuno provvederà, vero?

sottomarino classe akula
Ancora una splendida immagine di un moderno sommergibile classe AKULA. Da notare i due membri dell’equipaggio che si trovano sulla torretta e che rendono l’idea delle dimensioni davvero notevole di questa macchina da guerra

Infine qualche ingenuo svarione di verosimiglianza, onestamente del tutto evitabile. Esempio? … forse il più grossolano è quello di aver sostenuto che un aeroporto militare statunitense possa rimanere senza illuminazione della pista di atterraggio a causa di lavori in corso sul relativo impianto. Avete letto bene: statunitense, non italiano. Se questo non è uno svarione!?

A questo punto, occorre puntualizzare – come spesso facciamo – che, nell’opera prima di un qualsiasi autore, c’è sempre una forte componente autobiografica, nelle vicende narrate come pure nei personaggi che la animano. E anche questo romanzo non viene meno alla sacra regola, ovviamente “non scritta”.

In questo nulla di male – per carità – tuttavia, se da un lato ci possiamo concedere un atteggiamento moderatamente benevolo nei confronti dell’opera di esordio, dall’altro si innesca in noi una sorta di aspettativa per quanto riguarda un eventuale seguito dell’opera di esordio, se ci sarà. Della serie: questo libro è stata una mera casualità o l’autore ha davvero le capacità – nonché la materia prima – per un secondo romanzo? E poi un terzo e così via? … beh, noi ce lo auguriamo. E pure molto egoisticamente perché – di sicuro – saremo noi lettori a beneficiarne.

Tornando alla questione autobiografica, sulla base delle informazioni raccolte dal nostro servizio d’intelligence redazionale, siamo certi che l’autore non abbia faticato granché a inventare o a sviluppare il filone nautico di superficie e aeronautico. Egli infatti, è un provetto velista, volovelista nonché pilota di velivoli. Con secolare esperienza, per giunta. Dunque – immaginiamo – abbia raccontato nient’altro che una serie di disavventure in cui, inevitabilmente, è incappato in prima o, al massimo, in terza persona.

blanik al tramonto
Un immagine splendida del BLANIK immerso nel chiaroscuro del tramonto. Viene da domandarsi se Hugo Christensen si sia ispirato ad essa per raccontare il primo volo volo della sua eroina russa. L’atterraggio avverrà proprio al tramonto, non senza difficoltà

La creazione del personaggio di Andrej Eltsin, ad esempio, siamo certi che abbia comportato per l’autore una fatica letteraria pari pressoché allo zero.

Anche le vicende legate alle prime esperienze di volo in aliante della cosmonauta Iryna Alessandrovna, siamo certi che siano state redatte dall’autore con estrema scioltezza. Per non parlare poi del filone nautico di superficie in cui l’immagine di Malcom si sovrappone e diventa un tutt’uno con quella slanciata, nordica e carismatica proprio di Hugo Christensen in carne e ossa.

E infine, vogliamo parlare di tutte le vicende erotico-sentimentali vissute dai vari personaggi? L’autore vorrebbe farci credere che sono il mero frutto della sua fantasia? … giù la maschera, Hugo!

A questo punto anche noi vi dobbiamo una confessione: abbiamo il piacere e il privilegio di conoscere di persona – e pure da un quarto di secolo, se è per questo – il signor Christensen. Non solo: abbiamo seguito da presso la genesi lunghissima di questo romanzo. Altro che servizio d’intelligence!?

Svelata la tresca – penserete voi – potrebbe essere del tutto inutile continuare a leggere la nostra recensione … faziosa e per nulla equa … per carità, liberi di farlo, tuttavia permetteteci di testimoniare con forza, a chi non ha avuto la fortuna di conoscere di persona Mr Christensen né ha avuto modo di leggere le prime versioni del manoscritto, che questo volume è il frutto di un lavoro immane, minuzioso e paziente, soprattutto sotto il profilo dello stile e della tecnica narrativa. Stile e tecnica che l’autore ha definito e affinato enormemente proprio lavorando sul testo in una sorta di training autogeno.

Ci spiegheremo meglio: se per motivi professionali siete avvezzi a compilare relazioni e documenti a carattere amministrativo, insomma a “verbalizzare”, ciò non implica automaticamente la capacità di saper scrivere narrativa, anzi. E questo pur avendo già in mente trama, intreccio e personaggi di un potenziale libro.

Ryklys
Ve lo immaginate così il Ryklys?

A Hugo, è accaduto proprio questo: la fraseologia settoriale, la metodica e la capacità ormai acquisita di redarre il tipico documento ad uso giudiziario non sono stati per lui un aiuto nella stesura di un manoscritto che aveva in mente per buona parte. Anzi. Semmai hanno costituito un vero e proprio impedimento, una sorta di handicap che lui ha dovuto vincere affinché la sua creatura potesse prendere vita. Viceversa Hugo ha avuto la grande umiltà e anche l’intelligenza necessaria per mettere da parte la sua professione e lasciare spazio al proprio talento narrativo, alla naturale (e mai svelata) attitudine alla scrittura creativa.

Insomma, nulla accade per caso. L’autore ha voluto fortemente questo libro e noi gliene siamo grati perché ci concede di spaziare per mare cielo e terra ad un costo – tutto sommato – abbastanza ragionevole: 15 euro. Se poi considerate che lo scrigno che ci verrà concesso conterrà quattro piccoli diamanti al prezzo di uno … beh, è andata di lusso, non trovate?

Qui giunto, il visitatore più arguto di VOCI DI HANGAR, si domanderà infine perché mai abbiamo voluto concedere un angolino del nostro hangar al libro Dove il tempo non era mai stato nonostante – è evidente – il romanzo non sia prettamente aeronautico.

In effetti ci siamo posti anche noi questo quesito … ma poi ci siamo convinti che questo volume ha dei contenuti aeronautici consistenti anche se – dobbiamo ammetterlo – non preponderanti.

D’altre parte non possiamo ancora pretendere che Hugo Christensen – scrittore in erba – segua le orme squisitamente aeronautiche di Richard Bach. Diciamo che, in questo suo primo libro, Hugo si è ispirato all’autore del Il gabbiano Jonathan Livingston ma, contemporaneamente, ha strizzato l’occhiolino al thrillerista Ken Follett e all’aggrovigliatore storico Glenn Cooper … diciamo pure che sta ancora cercando una sua vera dimensione.

Nessuno è perfetto, men che meno il nostro “giovane” autore; alla prima uscita, egli ha scritto molto di mare, poco di donne e pochino di cielo … ma avrà tempo per redimersi. Nel prossimo romanzo solo donne e cielo! Promesso?

Scherzi a parte, vi assicuriamo che l’aspetto aeronautico è presente nel romanzo, eccome! Sarà sufficiente rivelare – udite, udite – che due capitoli, sebbene adattati, hanno partecipato a due diverse edizioni del nostro Premio fotografico/letterario “Racconti tra le nuvole”. E con buoni risultati, per giunta. Questo prima ancora che tutto il romanzo fosse completato, s’intende. Inoltre, con lo speudonimo Ahug, il nostro Hugo è già da tempo una delle nostre VOCI, ospite del nostro hangar con alcuni racconti che riportano le sue imprese volovelistiche:

La prima termica del mattino,

La Daunia brucia,

Imprese inutili,

e – chicca delle chicche – proprio uno dei racconti partecipanti al Premio intitolato:

Nel cielo di Cecenia

blanik neve
Ecco come ci immaginiamo i decolli del Blanik russo utilizzato dal capitano Andej Eltisin per addrestare i suoi allievi di volo a vela.

Ecco spiegato il perché, avendo tenuto a battesimo le velleità scrittorie di Hugo, ci siamo sentiti in obbligo, una volta dato alle stampe, di recensire o comunque fornire la nostra opinione su questo libro. Serena e distaccata, si spera. E se proprio così non vi sembrasse … saremo lieti di conoscere la vostra opinione sul libro. Dopo averlo letto, s’intende. Chissà che non costituisca un viatico utile per l’autore o – perché no? – un motivo valido per farlo tornare rapidamente alla vela e al volo? Dove non siamo riusciti noi chissà che non possano arrivare i nostri lettori!?

Attendiamo i vostri responsi.



Recensione a cura della Redazione





 

dove il tempo non era mai stato copertinatitolo: Dove il tempo non era mai stato

autore: Hugo Christensen

editore: Logisma

anno di pubblicazione: 2016

ISBN: 978-88-97530-74-9





L’autore, Hugo Christensen, alla sua prima opera ha osato molto, concentrando in un unico romanzo: eventi storici, scienza e fantascienza, mitologia, realtà e immaginazione, mare-terra-aria, l’universo, presente e passato, odio e amore, vita e morte. E’ lo stesso autore, nella nota ad inizio del libro, che ci svela il vero protagonista del romanzo: “il tempo”.

Il lettore all’inizio potrà avere un attimo di smarrimento, ma poi si abituerà rapidamente ai salti temporali e a seguire più storie contemporaneamente.

Siì, perché si tratta di tre storie più una. Tre storie tra di loro separate ma percorse da quella storia unica del sottomarino Ryklys con il suo misterioso carico.

L’intreccio è solo apparente e viene generato dalla disposizione dei capitoli, creando così nel lettore l’illusione e l’aspettativa che le tre storie si andranno a riunire prima o poi.

Questo voler mettere troppe tematiche tutte insieme non ha permesso di sviluppare più profondamente i personaggi e ha portato qualche problema anche all’autore:

– il capitolo 4 sembra quasi una bozza di un qualcosa che poi non si è più sviluppato, o addirittura dimenticato;

– esagerato il racconto del volo del C-5C Galaxy, in cui l’autore ha concentrato in un’unica missione tutto quello che poteva, forse, capitare a un comandante in 40 anni di servizio.

Fa pensare poi il fatto che in tutto il romanzo ci sono tre personaggi che perdono la vita, due anche drammaticamente, e tutte e tre sono donne … qualche problema!!??

E’ evidente un piacere nello scrivere di storie di azione o di eventi storici. La descrizione del ritrovamento dell’U-Boot è un omaggio a tutti i sommergibilisti, di qualunque bandiera, morti nell’adempimento del loro dovere.

ISS sud Italia
La ISS ripresa sullo sfondo di una Terra che mostra un tacco di stivale a noi ben noto e una – apparentemente – vicinissima Grecia

Mentre traspare un disagio nel trattare di sentimenti, quasi un fastidio, che decade in stereotipi come l’allieva che si innamora dell’istruttore o il fascino del comandante; o in amori contrastati, difficili e tragici, che purtroppo decadano in un finale surreale degno della peggiore delle soap opera.  

Peccato perché le capacità narrative non mancano. Lo stile è molto fluido, anche accattivante e appassionante in molti tratti. Sarebbe stato sufficiente ampliare di più la storia di Savannah e Golfinho con il loro carico di umanità, senza andare a scomodare la Stazione Spaziale e le relazioni tra Americani e Russi.

Fortunatamente la lettura scorre piacevole, anche se la scelta tipografica, da vecchia macchina da scrivere con nastro consumato, dei caratteri per l’intestazione dei capitoli ed in alcuni passi del testo risulta alla fine sgradevole e non se ne capisce l’utilità né quale apporto vorrebbe portare al testo.

L’immagine di copertina è molto bella e suggestiva.

La biografia dell’autore è inesistente: non ha nemmeno i requisiti da minimo sindacale.

Che dire…!!

Quando leggiamo un libro ci chiediamo: perché è stato scritto? Che messaggio vuole inviare? Su cosa vuole fare riflettere? Cosa vuole trasmettere?

Una presentazione, degna di questo nome, all’inizio con riferimenti alla vita dell’autore avrebbe aiutato a capire il senso di questo romanzo anche se è evidente che Hugo Christensen scrive molto della propria esperienza e passione per il mare e per la vela. Ma se voleva scrivere di questa sua passione perché andarsi ad impelagare con le altre storie?



Recensione a cura di Franca Vorano





 

Nel cielo di Cecenia

hh3f“Con Andrej si erano incontrati in un campo di volo militare non distante da Mosca, lei appena sedicenne, selezionata con un numero limitato di ragazze per un corso di pilotaggio, lui pilota ed istruttore di volo, più avanti negli anni, ma non di molto.”

Comincia così lo splendido racconto di Hugo Christensen, un racconto di amore e di volo, di guerra e di patriottismo che vede come protagonisti due piloti: il capitano Andrej Eltsin, capitano dell’aviazione  russa e Irina Alessandrovna, futura astronauta della SSI, la stazione spaziale internazionale.

Grazie ad un lungo flashback li conosceremo nelle vesti di istruttore di volo a vela il primo e di allieva pilota la seconda. Vivremo con loro le missioni di addestramento, il volo solista della bella Irina e lo sbocciare della passione. Ma le vie del cielo, come si suol dire, sono infinite e i due si rivredanno solo diversi anni, mentre  la guerra in Cecenia imperversa in tutta la sua crudeltà fino al terribile epilogo.

Il racconto, estratto dal romanzo “Dove il tempo non era mai stato” pubblicato dall’editore Logisma, partecipò al Premio letterario RACCONTI TRA LE NUVOLE senza giungere però tra i racconti finalisti.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

Nel cielo di Cecenia

Con Andrej si erano incontrati in un campo di volo militare non distante da Mosca, lei appena sedicenne, selezionata con un numero limitato di ragazze per un corso di pilotaggio, lui pilota ed istruttore di volo, più avanti negli anni, ma non di molto. Era rimasta colpita dalla espressività del suo volto; gli occhi, scuri e profondi, non celavano la sua interiorità, consentendo a chi lo volesse, di leggervi determinazione, stupore, ilarità commozione a seconda delle circostanze. Le piacque la disinvoltura con cui portava la tuta di volo, una o due taglie più del necessario. Le stellette di tenente dell’aviazione militare russa, cucite sull’indumento, le ricordarono il padre elicotterista, abbattuto durante il conflitto in Afghanistan. L’occasione per ritrovare il suo ex istruttore di volo si verificò diversi anni dopo. Irina aveva appreso da un’amica, “stretta” collaboratrice del generale responsabile delle operazioni in territorio ceceno, che Andrej era tornato a combattere sul fronte caucasico nel nuovo conflitto contro i separatisti ceceni. Approfittò del rapporto dell’amica con il generale per ottenere l’autorizzazione a recarsi nella zona dei combattimenti. Quante volte aveva fantasticato su quell’incontro! Andrej l’avrebbe presa tra le braccia e si sarebbero amati. Andò diversamente. Lì per lì non lo riconobbe, neppure quando lo incontrò nei locali del Comando Strategico. Mio Dio, quanto era dimagrito, pensò Irina. Gli occhi di Andrei tradivano una stanchezza più interiore che fisica. Lui non l’aveva abbracciata, le era sembrato assente, l’aveva sorpresa per l’amarezza che traspariva dai suoi racconti. “Irina questa guerra non finirà mai”, le confessò appena rimasero soli, “sono stanco di uccidere e al tempo stesso di assistere ogni giorno alla morte dei miei compagni, per non parlare degli stupri e delle torture denunciate da entrambe le parti”. Lo lasciò parlare a lungo. Andrej le confidò aspetti della sua interiorità che solo ora lei era in grado di capire profondamente. Poi lui volle informarsi sulla sua carriera e le chiese la ragione della sua presenza in quel luogo insanguinato dalle ostilità in corso. Irina sentì che era venuto il momento di aprirsi ma doveva creare l’occasione per realizzare il suo sogno. Azzardò una proposta, perché le parole non dette quando si erano lasciati anni prima, erano tuttora nel suo cuore: “Andrej”, esordì con fermezza, “non esiste solo la guerra”, poi addolcendo il tono della voce aggiunse: “hai bisogno di allontanarti da queste terribili esperienze. Ho una piccola dacia sulle sponde del mare d’Azov … potremmo andarci insieme, ci faremo compagnia. Anche io desidero un po’ di riposo. Dimmi di sì!” Infine,certa che la sua amica se ne sarebbe occupata, senza dubbio con successo, concluse: “Troverò il modo di farti avere una licenza” . “Irina dici sul serio?!” “Ne dubiti capo?” disse Irina convinta. Andrej non accettò subito l’invito, la proposta lo attraeva e Irina era ormai una donna molto affascinante ma il senso del dovere gli creava problemi. A risolverli sopraggiunse la convocazione del suo comandante che lo sorprese comunicandogli che era venuto il momento di godersi qualche giorno di riposo. “Allora si va?! compagna Alessandrovna”, le disse la sera a cena dopo il colloquio con il superiore. “E’ un ordine capo?” chiese lei. “Ne dubiti?” fu la risposta di Andrej. Così erano partiti. La casa ad un piano con ampie vetrate, vicino al mare, piacque ad Andrej. Trascorsero le giornate nuotando, facendo lunghe passeggiate e leggendo romanzi la sera davanti al caminetto acceso. Nei primi giorni, la grande stanchezza accumulata da Andrej sottrasse Irina dall’imbarazzo di scegliere se dormire insieme o separati. Nessuno dei due ebbe voglia di forzare i tempi. Una volta si erano addormentati vicino alla fiamma del caminetto; un’altra, lei sull’ampio divano, lui sulla morbida pelle d’orso che copriva parte del pavimento di legno; un’altra ancora, interamente vestiti, sul letto matrimoniale, un tempo occupato dai genitori di Irina. La scoperta di provare un sentimento diverso e più intenso dell’amicizia non sorprese Andrej, più volte in passato era andato con il pensiero al suo incontro con la giovane allieva, ai voli fatti insieme e alla notte dell’addio quando lei si era stretta forte forte a lui. Una sera, dopo aver recuperato le reti che ogni tanto stendevano all’imboccatura del porticciolo nei pressi della dacia di Irina, si accorsero che un solo grosso pesce dagli occhi peduncolati era rimasto prigioniero, dovettero tagliare la rete per liberarlo, prima di metterlo in un secchio mentre si dimenava più vivo che mai. “Andrej che vuoi fare?” gli chiese. “Divorarlo Irina! è un pesce saporitissimo e raro” “Quanti anni avrà?” “Tanti Irina … ma è venuto il suo momento” “Mi sta guardando con gli occhi imploranti!” “Ma che dici?! Corri in casa e fai bollire la pentola, sarà una cena con i fiocchi!” “Sei senza cuore … lui mi ha guardata davvero …” e corse via. Dopo aver riordinato la barca, Andrej salì al loro nido. La porta della cucina era aperta, la lampada a petrolio illuminava il piccolo locale, nella stanza si diffondevano il calore e il borbottio dell’acqua che bolliva. Ed anche il profumo di Irina. “Andrej”, esordì lei a bruciapelo con aria accattivante, “saresti capace di fare l’amore con me, mentre la nostra preda agonizza nell’acqua bollente?”Non diede tempo al compagno di rispondere e prese a spogliarsi … maglione, reggiseno, i lunghi pantaloni che le aderivano al corpo come una seconda pelle, calze e mutandine caddero sul pavimento rivelando lo splendore della sua nudità. Era la prima volta che Andrej guardava il corpo di Irina senza alcun indumento, neppure quelli intimi: stupore, ammirazione ed eccitazione si succedettero in pochi istanti, depose delicatamente il secchio con il grosso pesce, sollevò Irina con entrambe le braccia, lei gli cinse il collo con le sue, un lampo le balenò negli occhi. Andrej capì che a provocarlo non era stata la soddisfazione di Irina per averla spuntata con il pesce, ma la consapevolezza di lei di averlo conquistato. “Pensi che il tuo orrido pesce occhiuto sia più impaziente di tornare nel suo elemento di quanto lo sia io di fare l’amore con te?” le chiese. “Credo che siate impazienti tutti e due, ma dei tre la più impaziente sono io”. Si amarono donandosi reciprocamente con naturalezza, senza inibizioni, senza esibizioni, né finzioni. Dopo aver fatto l’amore si addormentarono. Irina non subito e neppure Andrej; si guardarono a lungo lasciando che i loro sguardi più ancora che le parole parlassero della loro felicità. Nei giorni successivi risero tanto, ma spesso gli occhi di Irina si riempivano di lacrime e Andrej si commuoveva. Erano consapevoli che per i militari in guerra la vita poteva essere effimera, quanto non avrebbero voluto che lo fosse il loro amore. Il tempo trascorse in fretta. Il dovere li costrinse ad interrompere quel periodo magico sulle sponde del mare d’Azov. Al termine della terza settimana si presentò una pattuglia con un messaggio urgente per Andrej. “Irina non ce lo siamo mai detto in questi giorni, ma sapevamo bene che poteva accadere. Devo rientrare subito per un’importante missione in Cecenia, All’aeroporto di Rostov sul Don mi attende un aereo militare, ho appena il tempo di riempire lo zaino con i miei indumenti!” “Certo, Andrej capisco …” Irina fece uno sforzo enorme per trattenere le lacrime. Non voleva turbare ulteriormente l’uomo che ormai era parte della sua vita e aggiunse: “Ti do una mano a riporre le tue cose …”. Non avrebbe dovuto, perché ogni indumento le ricordava i momenti felici trascorsi nella dacia “Andrej non farti ammazzare, ti prego, ti prego …” gli sussurrò mentre si abbracciavano un’ultima volta sulla porta. Nell’attesa, fuori dalla dacia i militari non si erano astenuti dal fare qualche commento. “Si tratta bene il nostro bel Capitano!” “Bene è dir poco! Le fighe, più o meno, sono tutte uguali, ma questa ha davvero tanta roba dietro e davanti!” “Bravo stronzo, fatti sentire! Guarda che Lei è un ufficiale della nostra aviazione militare, e lui è stato promosso al grado superiore per meriti di guerra; parla un po’ più forte e finirai a lavare le latrine per il resto dei tuoi giorni” “Lo prendo come un augurio: meglio i cessi che finire accecato e castrato dai ceceni con i miei preziosi attributi cacciati in bocca!” All’uscita di Andrej dalla dacia i militari si precipitarono a prendere il suo bagaglio per caricarlo sulla UAZ. Irina con grande disappunto della pattuglia rimase in casa. Da dietro la finestra seguì sino a perderlo di vista il veicolo militare che a forte andatura si diresse verso l’aeroporto. In quell’istante le riaffiorò alla mente il ricordo del loro primo incontro, vivido e reale come mai le era capitato in quegli anni di attesa …

Alla presentazione del corso,il comandante dell’aeroporto si era dilungato sulle qualifiche degli istruttori ai quali lei e le altre allieve sarebbero state affidate. Si era distratta ma si riscosse quando sentì pronunciare il suo nome: “Alessandrovna, avrai come istruttore uno dei nostri più valorosi piloti militari il tenente Andrej Eltsin” Gli occhi del giovane ufficiale si erano fissati sui suoi provocandole un turbamento insospettato. Sperò ardentemente che non se ne fosse accorto … La notte precedente alla prima lezione pratica, le allieve rischiarono di trascorrere ore insonni, eccitate dalla prospettiva di volare l’indomani. Anche Irina aveva preso sonno con difficoltà, non per l’ansia di ciò che l’aspettava il giorno seguente, ma per la voglia di conservare l’immagine di Andrej nella sua mente il più a lungo possibile prima di addormentarsi. Si era svegliata che albeggiava ed era uscita dalla camerata. Si sedette sull’erba umida, al bordo di una delle piste di decollo e atterraggio, assaporando gli odori del mattino, incurante dell’umidità che dal terreno si trasferiva ai suoi indumenti; ma presto i primi raggi del sole le regalarono un piacevole tepore. Alcuni militari aprirono le grandi porte di uno degli hangars facendole scorrere rumorosamente sulle guide. Ne era uscito l’aliante su cui avrebbe volato tra breve. Era grande, tutto di metallo, sembrava impossibile che potesse mantenersi in volo in mancanza del motore. Subito dopo venne spinto all’esterno anche l’aereo destinato al traino, una macchina dalla forma molto più goffa e sproporzionata, con la cabina di pilotaggio che dava l’impressione di una gobba; sul davanti la prua tozza e rotondeggiante dell’aeromobile, contrastava con la fusoliera lunga e sottile. La voce dell’istruttore la fece sobbalzare. “Dormito bene Irina” “Mica tanto tenente” “Poco male, i piloti sono lucidi e pronti a reagire anche con qualche ora di sonno in meno, un po’ come i marinai” “Cos’altro avete in comune con i marinai?” “Gli spazi aperti, le stelle e …” “… donne in ogni porto, anzi in ogni aeroporto …” “Anche quelle, perché?!” “Le mie amiche, quasi tutte più grandi di me, mi hanno messo in guardia quando hanno saputo che il mio ragazzo era entrato nella nostra valorosa marina”. “Dunque Irina vuoi diventare pilota anche tu …” “Non sarei qui, tenente” “La mia più che una domanda era un’affermazione, Irina, se ti riesce chiamami Andrej, è il mio nome, nel caso lo avessi dimenticato dopo le presentazioni. Per cominciare voleremo su un aliante biposto. Il volo a vela è ideale per acquisire sensibilità e coordinazione sui comandi. Dopo circa sei o sette ore di pilotaggio, in doppio comando, dovresti essere pronta per il tuo decollo da sola, se hai la stoffa”. Si avvicinarono all’aliante, un modello di produzione cecoslovacca un po’ datato, tuttavia ideale per la scuola. Andrej si dilungò mostrando ad Irina le superfici di comando del velivolo, alettoni, flaps, impennaggi di coda e diruttori. Precisò che gli alettoni e gli impennaggi di coda orizzontali erano governati dalla cloche, mentre quello verticale era attivato dalla pedaliera; diruttori e flaps venivano messi in funzione tirando apposite leve. Nozioni che Irina conosceva per averle lette e studiate sul libro che si era procurata prima della partenza per la scuola di volo; ma evitò di confessarlo ad Andrej, perché le piaceva l’impegno che metteva in quei primi insegnamenti, diretti a lei e non ad altre compagne del gruppo, alle quali erano stati assegnati altri istruttori. “Toglimi una curiosità Andrej, come mai gli altri istruttori hanno tre allieve ciascuno e tu hai solo me?” “Se non ti va si può rimediare …” “Ma no, va benissimo! Figurati, se rinuncio ad avere l’istruttore personale. Piuttosto a cosa è dovuto questo trattamento privilegiato?” “Dimentichi che a tuo padre è stato riconosciuto il titolo di Eroe dell’Unione Sovietica, la più alta onorificenza militare. La propaganda dell’epoca dette molto risalto alle sue imprese durante la guerra afghana.” “Lo so Andrej nell’ultima missione salvò un elicottero stracarico di combattenti facendo da scudo con il proprio elicottero contro un missile terra aria, trasformandosi in una palla di fuoco” Irina si pentì di aver rivolto ad Andrej la domanda che l’aveva costretta a ricordare l’eroica morte del padre. Era ancora turbata a distanza di anni. Non avrebbe voluto che Andrej si accorgesse delle lacrime che le stavano colmando gli occhi ma non era riuscita a trattenerle. Le tamponò con il dorso della mano mentre scorrevano lungo le guance. Il desiderio di stringere a sé l’allieva fece irruzione prepotentemente nell’animo dell’istruttore, “Irina non sono certo che avrei fatto lo stesso” si limitò a dire. “Può darsi che mio padre avrebbe avuto le tue stesse incertezze se glielo avessero chiesto in anticipo” rispose Irina, riprendendosi dalla forte commozione in cui era sprofondata,“eppure, in quei millesimi di secondo, ha preso la decisione che più corrispondeva alla sua natura di uomo e di combattente. L’alternativa di salvarsi non deve essergli passata per la mente, benché potesse immaginare che molti dei militari da lui salvati non sarebbero sopravvissuti al termine della lunga guerra in Afganisthan.” Andrej la guardò restando a lungo in silenzio, Irina rimase impressionata, notando che gli occhi del giovane tenente rivelavano l’accettazione serena della fine, in qualunque momento si fosse verificata. Si era riscosso quasi subito: “Irina tu siedi al posto di pilotaggio anteriore, l’assistente di volo aggancerà il cavo di traino all’aliante e si porterà al terminale dell’ala sinistra, l’alzerà solo quando gli comunicherai che sei pronta per il decollo ritraendo i diruttori. Nel frattempo avrai regolato l’altimetro a quota zero, quella cioè del campo da cui stiamo per decollare, acceso la radio, controllata la tensione del cavo, abbassati i flaps e accertato che i tuoi piedi riescano a spingere a fine corsa la pedaliera. Pronta?!” “Andrej posso chiamarti capo?” “Certo!” “Allora sono pronta capo!” Irina chiuse i diruttori, sentì la sua schiena premere contro il sedile, quando il Wilga, iniziò la corsa di decollo, spinto dal potente motore. Vedendo il traino più alto rispetto a lei, Irina tirò a sé la cloche, non riuscì a portarsi alla sua stessa altezza ed iniziò a pendolare ora sopra ora sotto ed anche a sinistra e a destra, avvertendo ogni volta gli strattoni del cavo che la teneva avvinta all’aereo. “Capo, ce la sto mettendo tutta, non riesco a seguire il traino!” esclamò non senza apprensione. “Irina, non preoccuparti degli spostamenti laterali, perché se sono poco accentuati, sarà la stessa tensione del cavo ad allineare l’aliante con il traino. Se fossero eccessivi, interverrò io sulla pedaliera, tu continua con la cloche cercando di non trovarti più alta o più bassa del Wilga … è importante che quando cabri, tirando a te la cloche delicatamente, la devi subito dopo riportare al centro, altrimenti l’aliante continuerà ad alzarsi rispetto al traino; se sei più alta picchia spingendo avanti la cloche per poi richiamarla al centro, se no ti troverai più bassa rispetto all’aereo.” Il traino continuò a salire, le oscillazioni dell’aliante diminuirono, ed Irina iniziò a familiarizzarsi con le manovre. Raggiunta la quota di mille metri, Andrej comunicò al traino di proseguire in volo livellato. “Ora viene il bello Irina, tira la leva di sgancio e metti i flaps a zero” Eseguito l’ordine, Irina vide il potente aereo da traino scendere bruscamente in picchiata. Si sentì libera e a suo agio. Andrej le aveva spiegato che per virare a sinistra doveva spingere la pedaliera con il piede sinistro, accompagnando il movimento con una lieve pressione della mano sulla cloche verso sinistra. Lo stesso doveva fare virando a destra. “Ricordati di riportare sempre i comandi al centro, diversamente l’aliante si inclinerà sempre di più e noi ci troveremo capovolti in volo rovescio”. Effettuarono numerose virate sino a trovarsi alla quota di 250 metri per l’inizio della procedura di atterraggio. “In prossimità del suolo si devono evitare errori, perché a questa altezza non c’è molto tempo per rimediare. Guarda la pista! … è alla nostra sinistra, dovrai volare parallela al suo asse. Non devi essere troppo vicina lateralmente, né troppo distante; le prime volte per regolarti puoi guardare l’estremità dell’ala facendo in modo che scorra sul bordo esterno della pista; prosegui fin quando sarai scesa alla quota di centro metri, poi vira a sinistra, per allinearti con l’asse pista; a questo punto dovrai estrarre flaps e diruttori, mantieni la velocità di novanta chilometri orari, lascia che l’aliante scenda fino a lambire il terreno, effettua una leggera cabrata e il gioco è fatto!”. Nei giorni successivi i progressi dell’ allieva furono costanti e sorprendentemente rapidi. Eseguirono anche manovre acrobatiche, nel corso delle quali cielo e terra si alternavano in una avvincente mescolanza di colori;Irina prese confidenza con le sensazioni causate dalle variazioni della forza di gravità; senza peso a testa in giù nel volo rovescio, schiacciata al suo posto di pilotaggio nelle cabrate successive alle forti picchiate. Dopo cinque ore di doppio comando era pronta per il decollo. “Penso che tu ne abbia abbastanza di volare in doppio comando, perciò oggi, prima del tramonto, volerai da sola, ti traino io”, le disse Andrej. “Capo, portami sino a 1000 metri e, possibilmente, anche più in alto” gli rispose Irina. “Gli standards della scuola prevedono, per il primo decollo dell’allievo, lo sgancio a 600 metri, per te farò un’eccezione, tuttavia non fino al punto di superare la quota di 1000 metri” “Va bene, Capo” Irina si concentrò sui comandi. Era eccitata dall’idea che tra breve sarebbe stata la sola padrona dell’aliante, libera, dopo lo sgancio dal traino di manovrare come voleva, salire, scendere in picchiata, virare a destra o a sinistra. Eppure nell’effettuare i controlli pre-volo si stupì dalla propria freddezza. “Cavo teso, pronta al decollo!” comunicò ad Andrej. Il traino nella tranquilla aria serale si svolse senza problemi. “Siamo a 1000 metri sganciati!” Irina eseguì l’ordine a malincuore, avrebbe voluto salire ancora più in alto. Da quell’altezza poté osservare a perdita d’occhio i campi di grano e di erba medica alternati a vaste zone brulle. Si sentì tutt’uno con l’aliante, pilotandolo con dolcezza, quasi ad accarezzare l’aria con le lunghe ali metalliche che riflettevano i raggi rossi del sole al tramonto. Immedesimata nelle sensazioni che l’avevano completamente catturata si dimenticò dello scorrere del tempo. “Irina da Andrej!” “Ci sono, Capo” “Dove ti trovi? Ti ho persa di vista! Torna sul campo e atterra, a quest’ora il terreno restituisce il calore assorbito durante il giorno, l’aria sale, se non apri gli aerofreni per scendere finirai con l’effettuare un atterraggio notturno, cosa assolutamente da scongiurare. “ Già, il campo di volo? Irina guardò un po’ dappertutto, ma … il campo non lo vedeva più! Come era possibile? I capannoni e gli hangar della base non potevano essersi dissolti nel nulla! L’angoscia per essersi persa si impossessò di lei provocandole una morsa allo stomaco. Più ancora la tormentava l’idea di comunicare ad Andrej di essersi smarrita, dopo che lui si era assunto la responsabilità di consentirle lo sgancio a 1000 metri, oltre la quota di sicurezza stabilita per gli allievi al primo decollo. Vedeva in lontananza le luci della città dove era stata giorni prima con le compagne di corso. Gli strumenti di bordo assunsero una strana fosforescenza … non poteva aver sorvolato quel centro urbano senza accorgersene. Effettuò una virata fermando la prua dell’aliante verso le luci, la bussola segnava nord, dunque lei doveva trovarsi a sud della città. Riflettendo le alternative erano due. Se aveva superato l’area aeroportuale, la pista non poteva essere che alle sue spalle, verso sud; se non l’aveva oltrepassata, la pista era davanti a lei, verso nord. Persa per persa aveva scelto la seconda … Un attimo prima di chiedere aiuto ad Andrej riconobbe le costruzioni ai lati dell’aeroporto e individuò la lunga striscia asfaltata sulla quale avrebbe posato l’aliante. “Arrivo Capo!” Irina eseguì un atterraggio perfetto, quando ormai non le restava che il chiarore della luna ad indicarle la pista di atterraggio. L’euforia del volo, la soddisfazione di aver pilotato da sola l’aliante, furono attenuate dal timore di creare ad Andrej problemi. Non si era aspettata elogi dal suo istruttore, ma neppure la durezza con cui la trattò, appena scesa dall’aliante. “Dopo questa bravata, dubito che otterrai l’ammissione alla Scuola Superiore di Aviazione Militare! Nella sicurezza del volo la disciplina riveste un ruolo determinante, Irina”. “Hai ragione Capo. Ma, credimi, ora sono soprattutto preoccupata per te; e mi addolora l’averti deluso”. Il suo sincero stato d’animo fece presa sui sentimenti di Andrej e ne attenuò l’inflessibilità tipica dei militari. Nella relazione di fine corso, l’istruttore evidenziò l’abilità non comune dimostrata dall’allieva nel pilotaggio e ne caldeggiò l’avvio alla carriera nella aviazione militare. La sera successiva all’atterraggio notturno, durante la festa di fine corso, Irina si incamminò tutta sola verso la pista degli aerei. Non era stato facile allontanarsi perché molti giovani piloti militari si erano avvicendati per invitarla a ballare o per offrirle da bere. I più audaci non avevano esitato a proporle con frasi allusive una passeggiata notturna, ma i suoi occhi non avevano lasciato un solo istante Andrej. Vedendolo allontanarsi avvertì una morsa allo stomaco. Se ne andava senza neppure rivolgerle un saluto! Si accorse che una delle allieve si era assentata dalla festa quasi contemporaneamente. Si sentì gelosa e stupida allo stesso tempo. Non sarebbe rimasta un solo minuto di più! Invece Andrej la sorprese comparendo all’improvviso. Un attimo prima era nei suoi pensieri, ora le stava davanti con quel suo sguardo intenso. Il cuore prese a batterle come non le era mai accaduto. “Irina ti ho spaventata?” senza darle il tempo di risponderle proseguì “devo partire questa notte stessa. In Cecenia è scoppiato un conflitto. Domani la notizia sarà di dominio pubblico”. “Come farò senza il mio istruttore?!” mentre pronunciava la frase, Irina si sforzò di esprimere con parole appropriate ciò che sentiva realmente, ma non le trovò, prevalse in lei il timore di apparire come la solita studentessa infatuata del suo professore. Del resto non era neppure sicura che Andrej ricambiasse il suo sentimento. “Ormai non ne hai più bisogno … hai imparato a volare da sola” le rispose Andrej. Gli si avvicinò spinta da un impulso al quale non tentò neppure di resistere, sperando che lui la stringesse a sé. Non rimase delusa, Andrej la prese tra le braccia e le accarezzò i lunghi capelli. “Ciao pilota.” le sussurrò. In quegli istanti Irina si sentì donna, la sua donna, non la ragazzina di qualche mese prima. Poi Andrej si sciolse dall’abbraccio e scomparve nella notte …

La UAZ sollevò grandi nugoli di polvere che le nascosero, diluendola nelle lacrime, l’immagine dell’uomo. Ebbe un presentimento che la sconvolse: Andrej non l’avrebbe più tenuta tra le braccia. Un mese dopo, l’amica, collaboratrice del comandante delle forze anti sommossa, le comunicò, con la voce rotta dall’emozione, che Andrej era caduto nel corso di un’azione bellica. Irina seppe solo in seguito che, finite le munizioni, il pilota del caccia abbattuto, poi identificato in Andrej, aveva intenzionalmente intercettato un missile che stava per abbattere un aereo da trasporto truppe, pieno di militari. Come il padre di lei … ma nel cielo della Cecenia.


Narrativa / Medio-Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”