Emanuele Finardi

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Emanuele Finardi  è veronese di nascita ma milanese di adozione.

Ha lavorato come giornalista e pubblicitario e attualmente lavora per la televisione.

Ha pubblicato nel 2009 la raccolta di racconti “Bassa Macelleria Sentimentale” per Coniglio Editori, Roma, nella collana “I Lemming”. Alcuni racconti sono stati anche inseriti all’interno di raccolte per le case editrici Formiche Rosse, Damster e Senso Inverso.

Qualcuno, non ricordo chi e in quale libro, diceva che la letteratura e’ fatta per dare voce alle cose semplici, quasi dimenticate. Ebbene, penso che quello che scrivo parta proprio da questa maniacale attenzione per le briciole, dalla volontà di chiarire cosa c’è dietro certe realtà considerate, a torto, marginali.

Indifesi, impotenti, inefficienti, poco scattanti, scarsamente produttivi, debolmente sorridenti… i protagonisti sono in fondo tutti dei perdenti. Ma chi ha detto che non esiste poesia in esistenze come queste?

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emanuele.finardi(chiocciola)zodiakactive.com


 

Nel sito sono ospitati i seguenti racconti:


I francesi la sanno lunga

Preghiera di un uomo che cade tra le nuvole

Dio mio, perdonami … Perdonami se ho osato più di quanto avrei potuto, più di quanto avrei voluto … Ho deciso di prendermi un secondo per parlarti, penso che sarà l’ultima volta, son quasi certo … Sto morendo, Dio mio, o meglio stavo già morendo prima di essere qui ora, a parlare con te … Qualcuno potrebbe dire che stavo morendo sin da quando son nato, morendo lentamente magari, ma non sono filosofo e non ho il tempo per diventarlo … Il cancro mi ha prosciugato, mi ha portato via tutta la forza che avevo. La prima volta che l’ho visto, il cancro, dico, era solo una macchiolina su una lastra luminosa. Pensai che non fosse nulla, che sarebbe passato in un colpo di tosse. Invece quello era un seme: nei miei polmoni è germogliato, e presto è diventato una piantina, e poi un fiore e alla fine mi aveva preso tutto, polmoni, sangue, carne e bile. Io e il cancro siamo diventati un’unica cosa, io e quel fiore, e ho capito che presto sarei appassito insieme a lui … Ho iniziato a vivere la vita che avevo, a non lasciarla scivolare via tra le dita, ma a prendere tutta la vita che c’è. Prenderla con forza, afferrarla con la rabbia di chi ha fame, con l’avidità di chi ha sete. Ho viaggiato, ho fatto surf, ho fatto sub, e poi trekking, campeggio, arrampicata … La gente mi guardava con occhi perplessi cercare di spremere sempre di più da quel tempo che avevo ormai quasi per caso … Sono andato oltre il tempo che mi avevano pronosticato i dottori, sono già fortunato, direbbe qualcuno, ma non sono così pazzo da pensarlo davvero … So solo che volevo di più, e se non potevo vivere come volevo, almeno volevo morire come volevo … Per questo mi trovo qui adesso, tra le nuvole, a parlare con te … Sono appena saltato da un aereo in quota, intorno a me sento le urla dei miei compagni. Qualcuno ha già aperto il paracadute, quelli più cauti. I più spavaldi aspetteranno ancora, per gustarsi meglio l’adrenalina. Non sanno che io non l’aprirò mai, quel paracadute. Io me lo gusterò fino in fondo quel brivido, me lo sentirò scorrere dentro prima di chiudere gli occhi per sempre. Ho deciso di morire qui, dove ho sempre voluto essere, nel cielo, non sulla terra. Tutti i morti stanno sottoterra, io immagino di essere sepolto qui, sotto banchi di nuvole chiare, un intero camposanto che piange per me. Il cielo mi ha sempre ispirato, fosse stato per me sarei diventato un pilota. Ma la verità è che non mi sarebbe bastato stare rinchiuso in un aeroplano: era questo che volevo, tuffarmi nel cielo come ci si tuffa nel mare, perdermi in questo orizzonte sempre nuovo e sempre uguale, sentire il sapore freddo delle nuvole sulle labbra e la pioggia confondersi con le lacrime. Non c’è bisogno che te lo dica io, Signore, che spettacolo è tutto questo visto da qui … Io e te non parliamo spesso, ma ho sempre invidiato la casa che ti sei scelto: panorama davvero eccellente .. Sto attraversando il banco più fitto ora, mi tuffo in un mare bianco, un vortice di panna, il freddo pungente entra nelle ossa, l’acqua mi inzuppa i vestiti. Chissà se sentirò freddo quando questo sarà tutto finito … Dio mio, ah, se ne è valsa la pena: guarda adesso che luce, il mondo che si schiude in un abbraccio leggero, e il mare che brilla sotto l’orizzonte. Così deve essere vivere come un uccello, ah Signore se mi avessi fatto uccello … Dio santo, se mi avessi fatto nuvola o vento o goccia di pioggia … Ora non avrei così paura, ora non vorrei che finisse … Una goccia di pioggia che cade da una nuvola non ha paura, si gode lo spettacolo del mondo, la sua vita dura meno di niente e non si lamenta … Signore dammi la forza, perché di fronte a tanta bellezza vorrei che tutto questo non finisse mai … Non so perché ti parlo Dio mio, quasi volessi chiederti di salvarmi quando io son venuto qui a morire … No, non è così: son venuto qui a volare! In fondo ti parlo per tenermi compagnia, per non essere solo proprio ora … Tra le nuvole di certo non trovi compagnia, non c’è con chi parlare, la pace qui fa quasi paura … Non è che mi aspetti una risposta, intendiamoci, né un segno o altro … La mia scelta l’ho fatta, è qui che finisce, tra meno di niente … Vedo la terra che si avvicina, mi accorgo solo ora di quanto sono in alto. Sembrava quasi un sogno visto da lassù, come se non dovessi mai smettere di cadere … Non so quanto sia passato da quando ho lasciato l’aereo, forse neanche un minuto, e mi sembra passata una vita, forse perché una vita sta per passare … I miei compagni devono aver capito che il mio paracadute non si aprirà, forse penseranno a un incidente, qualcuno penserà a un suicidio … Non sanno che il mio tempo era già finito prima di saltare, prima di volare. Loro possono ancora restare in cielo, possono ancora godersi quel panorama, quel cielo splendente, possono ancora riempirsi d’aria i polmoni e inspirare dentro tutto il mondo … Nei miei polmoni di spazio non ce n’è, e il mio volo ormai è finito. E’ stato bello, Signore, parlarti. Non che mi aspetti che tu fossi lì ad ascoltarmi, ascoltare me, un uomo qualsiasi che cade tra le nuvole, ma almeno ora … Ora che vorrei scappare, vorrei correre e gridare, vorrei uccidere, piangere e fare l’amore … E’ così che immaginavo che fosse volare, un po’ come morire, solo morire un po’ di meno … Amen.


§§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§ # proprietà letteraria riservata #


Elio Errichiello

Preghiera di un uomo che cade tra le nuvole

rapaceIl racconto ha un soggetto insolito: si tratta degli ultimi istanti di vita di un uomo che ha deciso di morire cadendo dalle nuvole.

La vicenda tratta di un uomo malato di cancro che ha deciso di morire a modo suo, cercando almeno di realizzare il suo sogno: volare.

Il racconto è strutturato come una preghiera, l’ultima preghiera che l’uomo rivolge a Dio nella consapevolezza che il suo tempo è finito. Il volare è visto come una metafora della morte, come un atto trascendente che porta l’uomo a identificarsi con la natura.

La composizione, necessariamente breve, ha una forte carica introspettiva e si basa essenzialmente sul monologo interiore del protagonista alle prese con le paure, le ansie e il senso di attesa di chi sta per affrontare la fine del proprio volo.


Narrativa / Breve Inedito; ha partecipato alla II edizione del premio letterario “Racconti tra le nuvole”, 2013-2014; in esclusiva per “Voci di hangar”

 

Elio Errichiello

p38 lightningNato a Napoli nel ’90, ha studiato Giurisprudenza presso l’Università di Napoli Federico II.  La sua professione è: giornalista, dunque collabora presso varie redazioni sia a Napoli che a Vienna, scrivendo sui temi più diversi, spaziando dalla politica all’arte, dal cinema ai viaggi, dall’attualità all’economia.

La sua grande passione resta la letteratura: il suo amore per la scrittura lo ha portato a partecipare con successo a molti concorsi letterari nazionali e internazionali.

Tra gli altri è stato premiato per due anni di fila nel concorso di scrittura internazionale “Europa e Giovani” indetto dall’IRSE.

Nel Marzo 2013 ha vinto il Premio della Giuria “Giallo Classico” con il racconto “Testamento in bottiglia”, pubblicato nell’antologia “Giallo in cantina” nell’ambito del Premio Nazionale Letterario omonimo indetto da Luna Rossa.

E’ stato finalista nel Premio Contemporanea 2013 dell’Alexandria Scriptori Festival con l’articolo “Internet e nuovi media: la rivoluzione della comunicazione nel terzo millennio”.

Nel Giugno 2013 è stato il quarto classificato nel Premio Letterario “Racconti tra Le Nuvole” indetto dall’Historical Aircraft Group e dal nostro sito con il racconto: “Sad-u-bist Ruz”, pubblicato in un’antologia a cura di Sarasota.

La sua poesia “Sinfonia in blu” è stata pubblicata nell’antologia “Il Federiciano – volume Indaco”, di recente edita da Aletti Editore nell’ambito del Premio Internazionale di Poesia “Il Federiciano”.

Nel 2014 un suo racconto è stato premiato nella XVII Edizione del Premio Letterario Carlo Ulcigrai.

Altri racconti e poesie sono pubblicati in ebook e disponibili sul web.

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Preghiera di un uomo che cade tra le nuvole

Lei … Lui in Aeroclub

Piazzale di un Aeroclub. Il sole del mattino scalda un uomo che sonnecchia in una sedia a sdraio. Da un portone dell’hangar parzialmente aperto egli scorge alcuni aeroplani a riposo anche loro. Se lo meritano. E’ giorno di chiusura: i meccanici stanno a casa. Oggi non si lavora; ma lui c’è andato ugualmente, come fa ogni lunedì, per controllare e sistemare i conti della settimana appena trascorsa; infatti, anche se fa il pilota istruttore, ha quest’altro compito, avendo il Presidente assunto a “mezzo servizio” una sola segretaria, Lucy, che non s’intende di numeri! Ha dormito poco, stanotte, pensando e ripensando a quell’allievo un po’ duro di testa che, pur desiderando di volare, apprende poco e trema quando si trova ai comandi dell’aeroplano. Deve decidere se tentare un altro metodo o dirgli di cambiare mestiere! Intanto, s’è preso una breve pausa volendo recuperare quel po’ di sonno perduto. Ma mentre sta per addormentarsi, avverte la presenza di qualcuno: perciò socchiude un occhio e scorge avvicinarsi un omone col naso camuso e mancante della mano sinistra; costui si ferma a gambe aperte e, con voce roca, l’apostrofa: “Mi sente, lui? Volessi parlare con chi comanda qua.” Un po’ scocciato da quell’intrusione e costretto ad alzarsi, a fatica gli porge la mano presentandosi: “Io sono Mike, il comandante. Lei chi è? E cosa desidera?” L’omone gira la testa a sinistra e a destra, ignora la mano tesa del comandante e parla al vento che, intanto, s’è levato leggero e comincia a frusciare fra le palme vicine. “Mi disse Lei? Con chi sta parlanno? Masculo sono, non sono ‘na femminuccia, e a chi mi disse LEI ci ho dato un cazzotto in bocca e non pò parlare chiù! LUI mi deve chiamare! Per nome e cognome, o meglio Coso Incazzoso, il pisseudonomo che mi davano i fans e il Mister quando facevo a cazzotti sul ringo! “Va bene, Coso, ho capito. Lei … Lui di professione era pugile. E ora, mi dica Coso, cosa fa?” E Coso, sforzandosi di parlare in corretto italiano, dopo qualche esitazione gli risponde: “Che ci posso dire, non faccio più niente, mi hanno imputato ’sta mano e dicono che devo cangiare mestiere. Per il Mister io sono sonato come ‘na campana. E perciò … ora volessi volare col coso ariaplano … e fare la patente.” Imbarazzato, Mike, ancora sonnacchioso stenta a frenare uno sbadiglio, realizza che qualcosa non va e con voce flebile gli risponde: “Già, Coso, mi dispiace; ma non vedo il nesso! Comunque, il “coso” che vola si chiama aeroplano; la patente, brevetto. Ma Lei … Lui non può pilotare con una mano sola!” E Coso, di rimando, alzando il braccio destro come se volesse dare un pugno all’istruttore che si scansa: “E io ci dico che posso. Il coso che dice lui vola nell’aria e perciò io lo chiamo ariaplano. Ora mi serve la patente! Ci l’ho lu brevetto … quello di cazzettatore brevettato!” Il povero istruttore, mentre arretra di un passo, si fa scuro in volto perché la giornata, che sembrava buona, di colpo si è annuvolata … pur essendo il cielo di un limpido azzurro. Si guarda intorno, non c’è nessuno cui chiedere aiuto, gira la testa di lato e mormora fra sé e sé: Attento Mike, costui è tanto pazzo quanto sciocco ed è molto forte! Coso, che ha sentito qualcosa, chiude a pugno la mano sinistra: “Che disse lui, ah? Non sentii bene, parlassi a voce alta!” Mike arretra di un altro passo e si scusa sostenendo di aver detto che: “Intanto c’è puzza di scirocco forte e perciò oggi non si può volare”! Perplesso, Coso, si pulisce il naso col dito indice, poi se lo ficca in bocca, lo tira fuori dopo averlo umettato ben bene, lo guarda e lo alza in alto: “Ooooo! Uuuuu! Ventu di scirocco? Ma lui chi sta dicenno, quali ventu… venticello è! Oggi la giornata è bbona!” Mike, nauseato, alza a sua volta l’indice della mano destra a indicare il cielo: “Guardi, Coso, lassù in alto, dove ci sono quelle nubi lenticolari … ce n’è tanto!” Poi, volendo allontanare quell’uomo massiccio e fastidioso, garbatamente gli dice: “Comunque, Lui non lo può fare il volo; UNO, deve prima pagare alla segretaria la quota di ammissione; DUE, deve sottoporsi a visita medica, quella psicofisica; TRE, se scrivono che Lei … Lui è idoneo, per volare deve pagare altri soldi alla segretaria; QUATTRO … A questo punto Coso lo interrompe: “Come sarebbe che ci devo dare soldi alla segretaria? Donna di malaffare è? Pissi fisica, idoneo … ma lui che mi sta dicenno?! Mi scrivono la cartolina che sto bene? Non c’è bisoooogno! Io bene sto, lo disse il dottore che m’aggiustò il naso!” Non c’è verso di liberarsene. Mike adesso è totalmente sveglio e, anche se stanco di quella manfrinata, alza un po’ il tono della voce, ma arretra ancora di qualche passo. “Senta, Coso, facciamo una cosa, non insista, oggi non si vola. Su, entriamo in hangar per vedere gli aeroplani! Vada, vada prima Lei … Lui! Ma insomma, si può sapere perché vuole volare?” “Deve sapere che ci voglio buttare ’na bomba sulla casa del Mister che non mi fece più combattere!” Coso, adesso, è rosso in faccia e nessuno, cioè Mike, si azzarda a dirgli qualcosa. Ma che cavolo gli si può dire?! “Quel brutto figlio di cana mi disse che sono monco-sonato! E perciò deve morire con tutti i figlistei!” Finalmente, entrando in hangar si guarda in giro e perplesso esclama: “Ma dove stanno gli ariaplani? Quelli, ariaplani sono? Piccolini, pesi piuma sono! E la bomba non ci sta. Neanche io ci sto! Lui ragione c’ha. E sai che faccio, ora che ci sto pensando? Ci vado a casa, con un cazzotto ci sfondo la porta e ce la metto deeentro … la cucina quando mangiano!” Parla, parla e fa un gesto apparentemente osceno con la mano destra sul braccio leso! Coso, stavolta davvero Incazzoso (ecco perché lo chiamavano così), aggiunge gridando: “Ce la metto, sì, ce la metto, ho il cazzotto duro io … glielo rompo, ci metto ‘sta bomba in cuuu…” “Ehilà, Coso, zitto … stia zitto! Non gliela metta in cucina … non gliela deve mettere proprio!” Bruscamente Mike, facendosi coraggio, l’ha interrotto perché in hangar c’è la segretaria, china in avanti per guardare dentro un aeroplano. “Ciao, Lucy.” Anzianotta e grassottella, Lucy è rimasta china, ma girando la testa aveva visto il gesto dell’omone e sentito le sue parole. Raddrizzandosi e stiracchiandosi, guarda fisso l’estraneo mentre parla al comandante: “Chi è ‘sto bel signore?” E continua a fissare l’omone: “C’è poca luce e non riesco a leggere nell’orametro i tempi dell’ultimo volo di ieri. La prego, può farlo lei?” Coso, convinto che stia parlando a lui, la fissa a sua volta negli occhi e (gong!) riattacca: “Mi disse lei a me? Io lui sono. Ci lo dica, comandante, ci lo dica che non sono ‘na femminuccia, io! Qua di femmina c’è solo lei, che mi pare pure bbona. Calata, era tonda dietro e sporgente davanti!” La donna non capisce la faccenda del lei … lui e per ringraziarlo dei complimenti gli dice a bassa voce: “Mai nessuno qua dentro mi aveva detto una cosa così carina!” Poi, alzando la voce, aggiunge: “M’inchino, m’inchino a Lei!” E si china di nuovo. Coso, che ha sentito solo il lei e la parola minchino, che nel suo dialetto vuol dire “minchione” (ops! al contrario!), ribatte violentemente: “Minchino e femminuccia a me? Bonazza, offeso mi hai! Tu sei femmina e ti devo rispettare. Però, se insistisci e mi fai incazzare ti do un cazzottone senza guanto che non te lo scordi proprio chiù! E l’ammissione non te la pago!” Che bella giornata, ma che bella giornata! Adesso Mike si fa coraggio volendo difendere la segretaria, afferra Coso Incazzoso per il braccio buono, rischiando di prenderselo lui il cazzotto, e gli dice gridando: “Ehi, Coso, non si dicono e non si fanno certe cose alle signore! E l’ammissione non la paga se non deve volare! Venga, andiamo fuori, discutiamone sul piazzale”. Lo strattona inutilmente, perché quello non si sposta d’un centimetro! Lucy, fingendo d’essere impaurita, interviene pregando Mike di calmarsi: “Che può farci, comandante, certe cose a volte si fanno alle signore! A me nessuno finora ha dato un cazzotto, lo sa? Intanto rimango china, così vediamo se s’incazza davvero e me lo dà!” Sconcertato, Mike, tenta ancora di trascinare fuori dall’hangar quel bestione, che però resta ben piantato sulle gambe … (break!), si sgancia in posizione di guardia e, arretrando verso l’uscita, alza il braccio come per parare l’eventuale colpo. “Ma siete impazziti tutt’e due? Lucy, t’avverto, se per te è la prima volta che ti prendi un cazzotto, t’assicuro che ti farà tanto, ma tanto male! Io me ne vado!” Vigliaccamente esce dall’hangar, socchiude la porta scorrevole e telefona col suo cellulare: “Pronto, 113? Venite subito in Aeroclub … qui c’è un pazzo furioso … un pugile sonato come una campana che dice di chiamarsi Coso Incazzoso e sta cazzottando la segretaria!” Nervosissimo, passeggia in tondo sul piazzale e ogni tanto va verso l’hangar per sbirciare da uno spiraglio: “Cose da pazzi … sono cose da pazzi! Stanno cazzottando sul serio!” Lui fa tiè, tiè, tiè … e Lucy prima grida, poi ride … dice “ahi” e grida … ma ride pure! Finalmente arrivano due poliziotti, con la volante a sirena spiegata, e due infermieri, con l’ambulanza a sirena spiegata. Si fermano sbandando sul piazzale e spengono quelle petulanti sirene. Scendono e, mentre un infermiere parla al comandante, l’altro lo prende sotto braccio: “Vieni con noi, sta tranquillo, non ti vogliamo fare del male!” Mike cerca di divincolarsi mentre urla: “MA CHE FATE, LASCIATEMI! IL PAZZO È IN HANGAR, SI CHIAMA COSO INCAZZOSO E CAZZOTTA LA SEGRETARIA … IO SONO QUELLO CHE VOOOLA, IL COMANDAAANTE! Intanto i due infermieri, che l’hanno afferrato entrambi tenendolo ben saldo, lo legano in una lettiga e uno dei due replica: “Sì, sì, io sono Napoleone … e quest’altro qui è Garibaldi! Vieni … andiamo a fare l’Italia! Mike urla e si dimena mentre l’infilano da dietro nell’ambulanza coi piedi in avanti; uno dei due gli tappa la bocca con una mano ed entra anche lui; poi parla al collega: “Se questo non sta bbono, il cazzotto glielo do io in bocca! … Giovà, questo dice di volare! Ma quanti pazzi che ci stanno in giro! Bah! Metti in moto e segui la volante … via terra, mi raccomando …” e con l’altra mano chiude gli sportelli. Anche i poliziotti, che sorridenti hanno osservato la scena, mentre stanno per rientrare nella volante sentono voci provenire dall’hangar: “Hai sentito? Andiamo a vedere se c’è davvero la segretaria col coso incazzato?” “E se poi è vero che quello fa a pugni avrà il cazzotto duro! E se ce l’ha duro, potremmo prendercelo noi da qualche parte!” “Ccà nisciuno è fesso, chi pò fotterci deve ancora nascere!” “Ma sì, annamo via! Se ci dovrebbero chiamare ancora, intervenissimo immantinente!” Mettono in moto e partono rombando a sirene spiegate. L’ambulanza segue a sirene spiegate. E di Mike non si è saputo più nulla!


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Michele Gagliani

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