Un aliante

Non hai bisogno di un motore perché per motore c’è il vento. Non hai bisogno di grandi ruote perché sei piccolo e leggero.

Hai un corpo sottile e delle lunghe ali, ma non sei un uccello. Giri spesso sopra le montagne e da lassù guardi le case sotto di te.

Una mano forte ti guida in mezzo alle nuvole e non hai paura di cadere. Puoi rimanere su per ore senza mai stancarti, chissà quante cose belle puoi vedere!

Vieni a prendermi, voglio volare anch’io fin lassù! Voglio immergermi in quelle nuvole così dense da sembrare panna montata.

Piano piano scendi, atterri sulla pista, hai finito anche oggi il tuo giro ed ora vai a riposare.

Domani ti alzerai ancora, trainato da un aereo a motore e volerai sopra le cime montuose per ore ed ore…

18 luglio 1999


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Sabina

Quant’è bello volare

L’aria tersa e pungente del mattino si insinuava turbinando tra le fronde degli alberi resi multicolori dai primi brividi dell’autunno. Il verde carico e intenso delle foglie più forti si sposava col rossiccio di quelle che iniziavano ad avvizzire, e risaltava sul fondo di quelle marroncine che avevano ormai portato a compimento il loro ciclo di vita. Al di sotto del bosco la montagna digradava con un declivio né dolce né irto, che dopo un po’ si interrompeva bruscamente, offrendo lo spettacolo di una ripida scoscesa su cui gli edelweiss faticosamente si abbarbicavano. Era l’ambiente ideale per gli amanti degli ultraleggeri e dei deltaplani che, infatti, in quella zona avevano installato la loro pista di lancio. Molti erano gli appassionati che si spingevano appena possibile a quella base di partenza che la Natura, nella sua magnanimità, aveva voluto offrire a quanti prediligevano le distese del cielo alle lunghe code in colonna, inscatolati come sardine, per raggiungere i più rinomati ed affollati luoghi di villeggiatura. Del resto, le correnti d’aria che rotolavano a valle rimbalzando nella profonda conca in cui correvano gorgogliando e spumeggiando le acque chiare del fiume, tornavano a risalire potenti, garantendo, a tutto ciò che incontravano nel loro percorso, la possibilità di un duraturo sostentamento che poteva durare anche parecchie ore. Il tempo era dunque ideale. Occorreva aspettare l’attimo giusto. Quand’ecco … un colpo di vento più intenso degli altri si precipitò giù per la china, la strappò dal suo sostegno e la sollevò di colpo. Era libera e librante, sospesa nel cielo azzurro, sostenuta dal vento e dalle correnti che, graziosamente, parevano condurla secondo il suo desiderio. Era felice: il vento la percuoteva, ma con delicatezza, mentre si muoveva ondeggiando secondo le correnti, sorvolando picchi aguzzi e scoscesi, dove erano tornate a nidificare le grandi aquile bianche, dove muschi e licheni a fatica contendevano lo spazio al gelo ed alla neve. Più in basso, sui pascoli alti, il bestiame, impegnato nel suo monotono ruminare, costituiva un insieme di chiazze chiare e biancastre tra il verde del trifoglio; ma si trattava di uno spettacolo che durava solo un breve fiato: le correnti ascensionali la portarono su, molto più su, a quote in cui l’aria stava diventando particolarmente fresca, nella trasparenza assoluta dei cristalli di ghiaccio che iniziavano a condensarsi. Una bianca nuvola, simile a un insieme di batuffoli di cotone, si avvicinava rapidamente. Penetrò in quella nebulosità tenue, in cui lo splendore del Sole si affievolì mostrando il disco di un giallo pallido dell’astro la cui esistenza garantiva la permanenza della vita sul pianeta. L’umidore delle goccioline che si condensavano la appesantì di quel tanto che bastava a provocare un inizio di discesa verso livelli più convenienti. Il velo che si opponeva alla forza del Sole divenne sempre più tenue e, dopo poco, si diradò completamente facendola ripiombare in mezzo ad una luce abbagliante. Il calore e l’aria asciutta aiutarono l’evaporazione del sottile strato liquido che si era formato e il vento tornò ad essere il suo padrone. Lentamente, senza fretta, la gravità tornò a fare sentire la sua influenza e, complice un improvviso calo del vento, perse quota rapidamente. Il pensiero di schiantarsi non increspò neppure per un attimo la sensazione di levità e di gioia che la pervadeva: era libera! Libera di muoversi nel cielo. Libera di vagare dove nessun essere umano avrebbe mai potuto permettersi di andare. Con la stessa subitaneità il vento la riprese e la trasportò ancora in alto. “Lingua mortal non dice …” : ecco, proprio questo era il punto. Lo stato di ineffabilità era stato raggiunto. Non avrebbe saputo assolutamente trovare come esprimere quello stato di completa comunanza ed assonanza con la Natura, con le sue forze e con tutte le manifestazioni che, a volte, ad occhi e cuori offuscati, potrebbero sembrare crudeli ed insensibili: la potenza di un tornado, lo scatenarsi della furia devastatrice di un’eruzione o di un terremoto. Tutto questo e altro ancora “sentiva” entro di sé, mentre svincolata dalle catene del peso si librava senza posa in quello scenario che aveva un che di divino. Ma tutto quello che di più bello proviamo, prima o poi deve terminare. Il vento stava declinando con dolcezza, trasformandosi in una lieve brezza, quasi tiepida. Assecondandone la natura e l’invito, cominciò una lenta discesa, rotta soltanto da qualche subitaneo refolo che la faceva impennare ancora ogni tanto verso l’alto da cui, ondeggiando, tornava verso quote più miti. Lentamente, con calma, cercando di assaporare ancora quello che la Natura benigna poteva offrirle, iniziò la planata finale. In basso gli armenti continuavano il loro lento ruminare. Il vento le permise di compiere una larga virata, mostrandole lo splendore di un paesaggio autunnale dai colori accesi e variegati attraverso un’atmosfera assolutamente cristallina. Là in basso un fiumiciattolo segnava con riflessi argentei una strada percorsa da pesci guizzanti alla ricerca della loro pastura quotidiana. Chiazze marroni e verdi in varie tonalità denotavano i campi seminati con i vari frutti che la terra avrebbe prodotto nella prossima estate. Le colline, coperte di vigneti, facevano bella mostra di sé, con i grappoli di diverso colore che si confondevano col verde intenso del fogliame. La discesa ora si faceva più decisa: sempre in compagnia del vento che, graziosamente, l’accompagnava nell’ultima fase del suo volo, vide la terra avvicinarsi sempre di più. Ormai di lì a poco quel sogno di leggerezza si sarebbe spento definitivamente. Cominciò a girare in volute sempre più strette, diminuendo contemporaneamente di quota. Erano gli ultimi istanti di quella beatitudine. Una pozzanghera si avvicinava sempre di più. Ondeggiando riuscì a superarla per raggiungere un tratto di un sentiero senza erba, dove finì col posarsi delicatamente. Un uomo si avvicinò, calzando pesanti scarponi e, senza neppure degnarla di un’occhiata, schiacciò quella foglia ormai secca che, per una frazione di eternità aveva conosciuto la voluttà del cielo.


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Roderigo di Brankfurten

HAG

In Italia il restauro e la rimessa in efficienza di aeroplani storici è un’impresa titanica, burocrazia farraginosa, costi elevatissimi di carburante, pezzi di ricambio e hangaraggio inducono solo un ridottissimo numero di “coraggiosi” a intraprendere l’avventura del restauro e della gestione di un “heavy metal warbirds”. Quasi una sfida quindi è stata la costituzione dell’H.A.G., Historical Aircraft Group, una scommessa fra cinque amici che con differenti back ground coltivano una passione comune per gli aerei d’epoca. Cinque amici, cinque diverse realtà che vanno dall’imprenditore al pilota commerciale, dal controllore del traffico aereo al tecnico progettista passando per l’avvocato, legati dalla voglia di volare macchine con parecchi compleanni sulle spalle, magari dimenticati in un hangar o smontati in qualche magazzino. Abbandonata in partenza l’idea di acquisire un warbirds di elevate prestazioni per i motivi citati poc’anzi oltre che per il costo improponibile di acquisto, ci siamo indirizzati sugli aerei leggeri da addestramento e da osservazione, i cosiddetti “L birds”, macchine comunque interessanti dal punto di vista storico e semplici da gestire e da mantenere, ed è proprio con questa politica che nell’arco di due anni l’Associazione ha acquistato un interessante numero di macchine: uno stinson L5 (I-AEEP), un Avia FL3 (I-DODO), un Macchi MB308 (I-BIOT), un aliante Aerometro M100 (I-SETA). Per la cronaca l’appellativo “L birds” viene utilizzato per indicare i piccoli aerei da osservazione e collegamento (Liaison plane) impiegati dall’esercito degli Stati Uniti a partire dalla seconda guerra mondiale fino al conflitto del Vietnam, i più famosi capostipiti di questa famiglia furono il Piper Cub L4 “grassopper” e lo Stinson L5 “sentinel” seguiti poi negli anni dai Piper L18 e L21 e dal Cessna L19 “Bird Dog”, alcuni di noi già utilizzano questo tipo di macchine nell’uso del traino alianti, volando il Cessa L19 dell’Aeroclub Prealpi Venete e gli Stinson L5 dell’Aerclub Volovelistico di Ferrara. Con queste macchine prive di armamento i cosiddetti Forward Air Controller fornivano indicazioni di tiro e puntamento ai reparti di artiglieria e segnalavano per mezzo di razzi fumogeni le posizioni degli obbiettivi ai bombardieri tattici, tutto questo volando a filo degli alberi a 80 nodi e sotto al fuoco nemico. Casualmente Giorgio Bonato, il presidente dell’H.A.G., trovò dimenticato in un hangar dell’aeroclub di Torino uno Stinson L5 una volta utilizzato per il traino alianti, l’I-AEEP. Ricoperto da quattro dita di polvere e con un’ala malconcia a ricordo di un brutto atterraggio con il vento al traverso, l’aspetto della macchina non era certo invitante, ma un più attento e approfondito esame rivelò che nel complesso le condizioni erano buone, tra l’altro manteneva ancora il motore originale Lycoming O-435 da 180 HP e non il potenziato Lycoming O-540 da 235HP, il che ne faceva una base di partenza perfetta per il nostro progetto di restauro. La rimessa in efficienza di un aeroplano storico è un operazione complessa e impegnativa sotto tutti i punti di vista, organizzativi, logistici, burocratici ed economici, un’errata valutazione di uno qualsiasi di questi aspetti può pregiudicare notevolmente il restauro, allungando anche di parecchi mesi il traguardo finale, il primo volo! Da questo lato l’affiatamento di ognuno di noi, ha avvantaggiato il gruppo nel superare le inevitabili difficoltà. Allo smontaggio completo della cellula, che ricordiamo essere costituita da una fusoliera in tubi saldati rivestita in tela e dalle ali in legno, ha seguito una pulitura totale di tutti i componenti e il loro stoccaggio. Dopo una verifica delle saldature sui punti critici di sforzo la fusoliera è stata sverniciata e ridipinta nell’originale Interior Green e successivamente rintelata, contemporaneamente il lavoro si è svolto sulle ali che stelate e ripulite in maniera puntigliosa, sono state verificate attentamente in tutti gli incollaggi. L’estremità alare sinistra , a seguito di una imbardata in atterraggio era stata notevolmente danneggiata, ciò a richiesto un attento lavoro di riparazione e ricostruzione, fortunatamente nello Stinson L5 prevedendo possibili imbardate, il progettista ha strutturato la tip alare come un pezzo a se stante, in modo che eventuali contatti con il terreno non danneggiassero anche il longherone, come ad esempio nel Piper Cub che arriva fino all’estremità alare. Il motore è stato completamente revisionato dalla officina David, che lo a riportato a 0 ore, e si prevede che il primo volo avverrà nella prossima primavera. Parallelamente al lavoro pratico sulla macchina è stata avviata una ricerca storica per conoscere l’identità dell’aeroplano, come tutti gli L5 italiani anche il nostro “EP” presto servizio nell’US ARMY. Dopo essere stati intensamente utilizzati su tutti i fronti di battaglia gli L5 e gli L4 vennero raggruppati sull’aeroporto di …….. in Germania per essere successivamente ridistribuiti in vari paesi europei. In Italia furono destinati 40 L5 sia nella versione da osservazione sia in quella di aeroambulanza, il cosiddetto “barellato”, e furono presi in carico dalla neo costituita Aeronautica Militare Italiana che li utilizzò inizialmente come addestratori basici, poi come collegamenti fra le varie basi, durante questo periodo gli L5 subirono numerose modifiche, sia agli impianti che alla struttura per adattarli alle nuove esigenze. L’evoluzione tecnica di quegli anni rese ben presto l’L5 non all’altezza di una forza armata moderna, e l’A.M.I. li rassegnò agli Aeroclub, cominciò quindi una nuova carriera senza le stellette per questi infaticabili aeroplani, dimostrando se ancora ce ne fosse bisogno la longevità e la bontà del progetto, dopo quarant’anni li ritroviamo ancora in prima fila, questa volta nel ruolo non facile di trainatori, attività non certo rilassante per un mezzo con sessanta primavere sulle spalle! Generalmente all’interno dell’abitacolo sulla prima centina dell’ala, dovrebbe essere presente una targhetta metallica con riportata l’identità e i dati costruttivi con il serial number della ditta, purtroppo nell’”EP” questa informazione essenziale non è presente, asportata in qualche precedente restauro, e la mancanza di ulteriori validi indizi sul resto della struttura rendono impossibile l’accertamento dell’identità della macchina durante il servizio con l’US ARMY, sfortunatamente non si conosce l’esistenza di tabelle che rapportino la Matricola Militare assegnata dall’A.M.I. con la precedente matricola americana. Alla luce di questa realtà, l’H.A.G. ha deciso di riprodurre un aeroplano in uso all’88th Divisione di fanteria americana, che ha combattuto valorosamente su tutto il fronte italiano, da Monte Cassino alla Linea Gotica e alla fine del conflitto rimase per qualche anno in Friuli Venezia Giulia per supervisionare ai fatti di Trieste, gli L5 aggregati del 337° field art.Batt. operarono intensamente dall’aeroporto di Gorizia e dal campo di Prosecco, lasciando tutt’oggi un vivo ricordo nelle popolazioni di quei luoghi. La scoperta di bellissime foto relative a questo periodo ci hanno fatto individuare una macchina interessante, sarebbe bello scoprire anche il nome del pilota …la ricerca continua!


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Andrea Rossetto

Cavalieri impavidi

Guerrieri impavidi di una guerra contro noi stessi, ci raggruppiamo, ordinatamente, come branco per una migrazione. Concentrati attendiamo il nostro destino, anonimi interpreti di una avventura straordinaria. Spalla a spalla vinciamo le nostre paure protetti dal ventre possente del nostro aeroplano. Silenziosi durante l’attesa, trepidanti quando la luce irrompe sui nostri volti, uno a uno ci alziamo decisi, consapevoli dello straordinario momento. Fragore assordante nelle nostre orecchie, silenzio irreale nelle nostre menti, sensazioni sconosciute, esperienze di nuova vita. L’eterno attimo è giunto! Uno a uno, fulminei, ci schiudiamo nell’indaco del cielo assaporando increduli la grandiosità del nostro atto, dolcemente ci culliamo nel vento verso la terra che ci ha creato, noi angeli nell’infinito.

LIVORNO 6 NOVEMBRE 1996


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Andrea Rossetto

Il mio cielo

Innanzitutto si dovrebbe precisare che si sbaglia a chiamarlo al singolare: secondo me è più adeguato “I cieli”. Ebbene sì, non esiste un cielo singolo, un cielo che è quello lì e basta, sarebbe fin troppo facile descriverlo o quanto meno trovare degli aggettivi adeguati a renderlo in parole. Potrei descrivere innanzitutto il più bel cielo che abbia mai visto: quello che ammiro quando mi sveglio all’alba. Il cielo mattutino è all’apparenza indescrivibile: esco fuori ancora sonnecchiando e alzo il naso verso l’infinito. Un’immensa tavolozza di colori appare all’improvviso: una miriade di poltiglie colorate che il pittore, autore del quadro più bello in assoluto, ha lasciato sbadatamente a impastarsi tra loro. Dopo un primo smarrimento comincio ad osservare con attenzione: riesco a distinguere il magico intreccio che il giallo tesse con l’arancio e il rosso fuoco … è il sole che, come un fiero condottiero, manda in avanscoperta le truppe con lo scopo di annunciare il suo arrivo. Sullo sfondo fanno capolino i gregari che hanno lo scopo essenziale di esaltare la magnificenza dell’esercito in arrivo: azzurro, celeste, grigio fumo e persino rosa pesca si affannano, si accavallano l’uno sull’altro nel disperato tentativo di prevalere sul vicino. Impresa impossibile per nostra fortuna: infatti pur essendo mischiati tra loro, ogni colore riesce a trovare la giusta allocazione, l’esatta posizione dove esaltare la perfetta sfumatura, la precisa gradazione che contraddistingue ciascuno di questi gregari. Mentre me ne sto lì, quieta, quieta a contemplare la semplicità e al contempo lo splendore di quest’opera d’arte, pensando che non manca niente, che nessuna cosa può essere aggiunta a tale perfezione, ecco che quatte, quatte, silenziose, cominciano a sfilare e allo stesso tempo a sfilacciarsi come fili di un maglione ormai un po’ vecchiotto, quelle che io considero “la ciliegina sulla torta”: le nuvole!!!! Bianche come la panna o rosa come un confetto, ognuna trova la sua giusta posizione per farti raggiungere in un certo senso il paradiso: eh sì, il paradiso. Il paradiso più paradiso che ci sia: quello che più mi piace, fatto di pace, silenzio e calma assoluta!!!! Ogni pensiero, ogni angoscia, ogni preoccupazione si dissolvono come fossero gocce di rugiada sulle foglie che, allo spuntar del giorno, si aprono alla vita. Abbiamo detto i cieli … eh sì, “I CIELI”… “Ce ne saranno altri allora?”… purtroppo per me, che mi sto cimentando nell’impresa di descriverli, ci sono ancora altri tetti celesti. Quello della notte, ad esempio, sembra un coperchio nero, nero che attanaglia il cuore. “Sembra” perché in fondo non è così. Bisogna saper osservare: gli occhi alzati verso il cielo notturno in un primo momento non percepiscono nulla, domina solo il buio più assoluto. A poco, a poco però, le pupille si abituano all’oscurità e, come per magia, cominciano a spuntare tante piccole lucciole … le stelle. Ognuna brilla di un’intensità personale, nessun luccichio è pari per luminosità a quello della compagna, vicina o lontana che sia. Inizialmente sembrano sparse, rade, poche: poi, piano, piano, come se stessi pigiando una miriade di interruttori, una dopo l’altra cominciano a risplendere fino a trasformare il cielo in un manto pieno di coriandoli iridescenti. Regna su tutte la Luna sovrana. Una sola espressione mi esalta quando cerco di definire il cielo … se mi chiedessero: “Cos’è per te il cielo?” io senza esitazione risponderei candidamente: “La coperta del mondo!!!!”.

 


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Rosaria

L'unico sito italiano di letteratura inedita (e non) a carattere squisitamente aeronautico.